Quando viene presentata domanda di sanatoria di abusi edilizi, diventano inefficaci i precedenti atti sanzionatori (ordini di demolizioni, inibitorie, ordine di sospensione dei lavori)

29 Ago 2013
29 Agosto 2013

Segnaliamo sul punto al sentenza del TAR Veneto n. 1076 del 2013.

Scrive il TAR: "1.3 Sul punto va ricordato come l’orientamento giurisprudenziale prevalente, peraltro confermato da recenti pronunce, abbia sancito che ” quando viene presentata domanda di sanatoria di abusi edilizi, diventano inefficaci i precedenti atti sanzionatori (ordini di demolizioni, inibitorie, ordine di sospensione dei lavori), nel presupposto che, sul piano procedimentale, il Comune è tenuto innanzitutto a esaminare ed eventualmente a respingere la domanda di condono effettuando, comunque, una nuova valutazione della situazione mentre, dal punto di vista processuale, la documentata presentazione di istanza di condono comporta l'improcedibilità del ricorso per carenza di interesse avverso i pregressi provvedimenti repressivi (Cons. Stato Sez. V, 24-04-2013, n. 2280, conferma della sentenza del T.a.r. Veneto, sez. II, n. 1008/2000)”. Anche in precedenti pronunce la giurisprudenza di merito ha confermato che “la proposizione di ogni istanza di sanatoria o di condono successivamente all'adozione dei provvedimenti negativi già impugnati con uno o più ricorsi giurisdizionali ancora pendenti, determina l'improcedibilità dei gravami stessi per carenza di interesse, in quanto il riesame dell'abusività dell'opera provocato da tali istanze comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto, idoneo comunque a superare la precedente misura sanzionatoria oggetto dell'ultima impugnativa; l'interesse del responsabile dell'abuso edilizio viene pertanto traslato verso il futuro provvedimento che, eventualmente, respinga detta istanza e disponga ex novo la demolizione (T.A.R. Abruzzo L'Aquila Sez. I Sent., 17-12-2008, n. 1322 e T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 22-05-2009, n. 1262)”.
1.4 Detto orientamento trova la propria ragion d’essere nella considerazione in base alla quale, a seguito della presentazione della domanda di sanatoria o di accertamento di conformità, viene ad instaurarsi un nuovo procedimento che può culminare con il rilascio della concessione edilizia in sanatoria o con il rigetto della nuova domanda. In entrambi i casi è del tutto evidente come si determini il venir meno della precedente situazione litigiosa, in quanto la stessa verrà comunque superata dal nuovo provvedimento del Comune che concluderà  definitivamente il procedimento di sanatoria. L’interesse originario del ricorrente, anche a seguito dei provvedimenti inibitori delle Dia e delle Scia edilizie, risulta pertanto effettivamente “traslato” nel procedimento diretto all’emanazione del permesso in sanatoria e, ciò, considerando che non è possibile individuare alcun interesse a coltivare un gravame concernente misure che verranno sostituite con un nuovo provvedimento sanzionatorio, ovvero, dal titolo
edilizio rilasciato in sanatoria".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1076 del 2013

La Confcommercio e i singoli commercianti non sono automaticamente legittimati a impugnare titoli edilizi riguardanti immobili commerciali

28 Ago 2013
28 Agosto 2013

Si occupa della questione la sentenza del TAR Veneto n. 1071 del 2013.

Scrive il TAR: "1.1 Sul punto va premesso che la mancanza di interesse di interesse a ricorrere è da ritenersi riferita ad entrambe le differenti  categorie di soggetti nell’ambito delle quali è possibile distinguere gli attuali ricorrenti. E’ necessario, infatti, constatare come i provvedimenti di cui si tratta siano stati avversati da un’associazione di categoria, e precisamente la “Confcommercio Unione Venezia” sia, nel contempo, da tre titolari di esercizi commerciali.
2. Per quanto concerne la Confcommercio Unione Venezia risulta evidente la carenza sia, di una qualunque legittimazione ad agire sia, ancora, di un interesse specifico, concreto e attuale all’annullamento degli atti del presente ricorso che, è necessario rilevarlo sin d’ora, hanno una caratterizzazione esclusivamente urbanistica.
2.1 Come è noto l’interesse sul quale poggia la legittimazione delle associazioni di cui si tratta deve avere un carattere collettivo, dovendo così riferirsi all’intera categoria considerata in modo complessivo e unitario. Un costante orientamento giurisprudenziale, richiamato dai soggetti contro interessati, e a cui questo Collegio ritiene di aderire (TAR Lombardia IV n. 2054/2006), ha rilevato come detto requisito non sussista nell’ipotesi in cui si impugni un titolo edilizio, seppur correlato all’edificazione di un parco commerciale, posto in essere di  un’associazione di commercianti. Si consideri, ancora, come non rientri negli scopi statutari dell’associazione sopra ricordata l’impugnativa di provvedimenti edilizi riferiti a soggetti terzi.
2.2 Nemmeno è possibile fare proprie le affermazioni degli stessi ricorrenti le quali rilevano, al fine di fondare il requisito della legittimazione attiva, l’inesistenza di un conflitto di interessi tra la Confcommercio di Venezia e il Consorzio Forte di Brondolo e la Società Immobiliare Grandi distribuzioni e, ciò, considerando come queste ultime siano delle società immobiliari non iscritte all’associazione di cui si tratta.
2.3 A prescindere dall’iscrizione o meno dei controinteressati all’associazione in questione, sul punto, risulta dirimente constatare come non sia possibile ravvisare l’esistenza di un interesse di carattere generale - correlato alle funzioni dell’associazione - e in relazione alla tutela del quale l’impugnazione avrebbe potuto risultare ammissibile. 
2.3 Si consideri ancora, come non solo risulti carente il requisito della legittimazione attiva, ma che nel contempo sia assente anche qualunque interesse diretto, ed attuale, ad ottenere l’annullamento dei permessi di costruire (e successive varianti) impugnati con il presente ricorso. Confcommercio Unione di Venezia, infatti, non ha dato prova in giudizio di essere proprietaria di un qualunque terreno o di un immobile ubicato, o meno, “in prossimità” dell’area di incidenza del parco commerciale di cui si tratta.
3. Analogo difetto di interesse sussiste, seppur con riferimento ad altri profili, nei confronti dei rimanenti ricorrenti qualificati, nel ricorso di cui si tratta, quali “esercenti attività commerciali in Chioggia”, in quanto titolari di licenze di abbigliamento sportivo e alimentari. Parte ricorrente, con riferimento a questi ultimi, afferma genericamente che le attività di cui sono titolari gli stessi verrebbero svolte a “pochissimi chilometri” dall’area oggetto del ricorso. Nulla di più.
3.1 E’ noto che l’impugnativa dei provvedimenti di autorizzazione edilizia è soggetta ad una disciplina parzialmente differente da quella che attiene all’impugnazione delle autorizzazioni commerciali.
3.2 Va, infatti, rilevato che in materia di impugnativa di permesso di costruire risulti determinante l’interpretazione dell’art. 31 comma 9 della L. n. 1150/1942, disposizione che ha portato al cristallizzarsi di due orientamenti. Un primo orientamento ritiene sufficiente la nozione di  “vicinitas” al fine di fondare l’interesse a ricorrere e, ciò, in contrasto a quell’ulteriore orientamento giurisprudenziale orientato a ritenere che la nozione di stabile collegamento territoriale, tra il ricorrente e la zona interessata, debba essere interpretata unitamente alla ricerca “di una lesione attuale di uno specifico interesse di natura urbanistico-edilizia nella sfera dell’istante quale diretta conseguenza della realizzazione dell’intervento contestato (Consiglio di Stato Sez. IV del 04/12/2007 n. 6157)”.
3.3 Ulteriori, pronunce hanno, poi, sancito la necessità di ancorare, e meglio definire, la nozione di stabile collegamento territoriale nell’ipotesi in cui ad impugnare il permesso di costruire fosse un operatore economico. E’ stata così sancita la necessità (si veda T.A.R. Abruzzo L'Aquila Sez. I, 10-05-2011, n. 249) che affinchè “il suo interesse processuale possa qualificarsi personale, attuale e diretto, deve potersi ravvisare la coincidenza, totale o parziale, del prevedibile bacino di clientela, tale da potere determinare un apprezzabile calo del volume di affari del ricorrente; in  sostanza l'insediamento commerciale realizzato ex novo nella zona può considerarsi pregiudizievole e radicare un interesse tutelabile quando serve in tutto o in parte lo stesso bacino di clientela (in questo senso anche T.A.R. Campania Napoli Sez. IV Sent., 21-08-2008, n. 9955).
3.4 Si è, così, riconosciuta la legittimazione all'impugnazione di atti edificatori in favore di coloro che si trovino in una situazione di stabile collegamento con l'area oggetto dell'intervento assentito e che facciano valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, anche se correlato ad altro di natura economico-commerciale (cfr. C.d.S, Sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4821).
4. Ne consegue che il riconoscimento di detta legittimazione ad agire, non è genericamente ammesso nei confronti di tutti gli esercenti commerciali, ma è subordinato al riconoscimento di determinati presupposti e, ciò, al fine di poter ritenere giuridicamente rilevante (nonché qualificato e differenziato) l’interesse all’impugnazione. E’, pertanto, necessario che il soggetto che intende impugnare un atto edilizio correlato ad un’autorizzazione commerciale eserciti “nelle immediate adiacenze” una determinata attività commerciale e che, detta attività, sia dello stesso tipo di quella relativa al titolare dei titoli abilitativi, stante l'indubbio pregiudizio economico che quello stesso soggetto è destinato a subire con l'apertura dell'impianto concorrente.
4.1 E’, allora, del tutto evidente come l'interesse al rispetto della disciplina urbanistico-edilizia, per trovare adeguata tutela, deve combinarsi e coesistere con quello economico alla tutela dell'attività commerciale, esercitata nella medesima area interessata dalle impugnate concessioni edilizie.
5. Applicando detti principi al caso di specie risulta evidente la carenza di interesse degli attuali ricorrenti, qualificati quali esercenti un’attività commerciale. A tali fini risulta va sin da subito chiarito come non sia sufficiente affermare di essere titolari di un’attività commerciale nello stesso Comune per un impugnare un provvedimento di natura urbanistica.
5.1 Il Comune di Chioggia ha, peraltro, affermato, senza per questo risultare smentito, che i tre operatori economici esercitano la propria attività in locali ubicati nella zona centrale di Sottomarina e di Chioggia e “quindi a distanza di diversi chilometri dall’area del parco commerciale ubicato fuori città”.
5.2 Non solo dette affermazioni non sono state contestate, ma sul punto non è stata data alcuna prova che lo svolgimento dell’attività commerciale sia in una qualche “prossimità” dell’insediamento edilizio di cui si tratta e, ciò, con riferimento ad un area comunale che, come ricordano i soggetti controinteressati, ha una superficie superiore ai 180 chilometri quadrati. Si consideri, infatti, come non sia stata data alcuna dimostrazione in merito alla distanza che separa le proprietà dei tre soggetti ricorrenti e l’intervento urbanistico oggetto dei titoli edilizi ora impugnati e, ciò, nell’intento di poter desumere, da detto elemento, il pregiudizio e l’alterazione dell’assetto edilizio che il ricorrente intende conservare (Consiglio di Stato n. 339/2003). 5.3 Non risultano nemmeno condivisibili le argomentazioni di parte ricorrente laddove rileva che il concetto di stabile collegamento territoriale sia una nozione “relativa e variabile” in relazione alle connotazioni del soggetto. O meglio, se può essere condiviso astrattamene il fatto che la nozione di collegamento territoriale sia una nozione relativa è, pur vero, che detto presupposto deve sussistere e deve essere dimostrato in sede di giudizio e, ciò, soprattutto nell’ipotesi in cui si impugnano provvedimenti urbanistici.
5.4 Se, ancora, può risultare altrettanto condivisibile l’affermazione in base alla quale (TAR Veneto n. 4302 del 2005), “l'attuale facilità degli spostamenti sono elementi che consentono di superare il tradizionale limite del collegamento della struttura di vendita con il territorio” è, pur vero, che detto orientamento, sancito con riferimento alle impugnazioni di atti di autorizzazione, deve trovare un contemperamento con i principi propri dell’impugnazione dei titoli edilizi e di cui all’art. 31 sopra citato così come interpretati dalla successiva giurisprudenza, nella parte in cui considera essenziale la dimostrazione di uno stabile collegamento con l’area nell’ambito della quale sono stati realizzati determinati abusi edilizi.
6. Argomentare in altro modo, fare proprie le tesi di parte ricorrente – pur ben argomentate -, avrebbe l’effetto di stabilire una sostanziale equiparazione tra impugnare un’autorizzazione commerciale e impugnare un permesso di costruire.
6.1 Conseguenza ulteriore sarebbe quella di differenziare posizioni giuridiche sostanzialmente analoghe e, ciò, in considerazione del fatto se ad impugnare un titolo edilizio sia un singolo cittadino (nei cui confronti si applicherebbero i principi in materia di vicinitas) o, al contrario, sia un esercente un’attività commerciale, nei cui confronti risulterebbe ammissibile l’impugnazione di un permesso di costruire pressocchè del tutto svincolata dall’esame del bacino di utenza in cui incide l’attività commerciale del ricorrente.
6.2 Ne risulterebbe violato il presupposto dello stabile collegamento con l’area interessata, legittimando impugnazioni che potrebbero prescindere da un qualunque esame della contiguità o della vicinitas con il manufatto presumibilmente abusivo.
6.3 Ne verrebbe elusa, altresì, la Giurisprudenza che ha caratterizzato l’art. 31 sopra citato, consentendo l’impugnativa a “chiunque” sia titolare di una licenza commerciale a prescindere dal collegamento territoriale con l’area di cui si tratta e, legittimando, il ritorno alla qualificazione dell’art. 31 quale esercizio di un’azione popolare.
6.4 Ne risulterebbe pregiudicata la certezza dei rapporti giuridici, consentendo ad un qualunque esercente di un esercizio commerciale di impugnare un atto edilizio in considerazione di una presunta lesione alla concorrenza e in relazione a parchi commerciali o esercizi insistenti in ambiti territoriali del tutto differenti.
6.5 Sul punto va, inoltre, rilevato come recenti pronunce (Cons. Stato Sez. V, 21-05-2013, n. 2757) siano arrivate – e in materia di impugnazione di un atto di autorizzazione commerciale - a ritenere non sufficiente, “per comprovare la legittimazione e l'interesse a ricorrere in via giurisdizionale”, la dimostrazione della semplice vicinitas con l'esercizio di nuova istituzione, occorrendo comprovare l'esistenza di un pregiudizio specifico, diretto e immediato (Conferma della sentenza del T.a.r. Piemonte, sez. I, n. 1249/2000).
6.6 Ma a anche a prescindere da detto ultimo orientamento va comunque rilevato come, a parere di questo Collegio, sia necessario distinguere l’interesse a fondamento dell’impugnazione di un’autorizzazione commerciale, dalla situazione che legittima il ricorso avverso un titolo edilizio e, ciò, in ossequio all’ottemperanza al percorso giurisprudenziale di cui all’art. 31 sopra citato.
7. Detta affermazione considera la necessaria correlazione tra titolo edilizio e atto commerciale di cui alla L Reg. 15/2004.
7.1 Se, infatti, è del tutto evidente che l'annullamento della concessione edilizia si ripercuote sull'autorizzazione commerciale assentita al titolare della concessione per l'apertura di un grande centro commerciale va, comunque, rilevato come i due procedimenti (quello teso al rilascio di un permesso e di un’autorizzazione) rispondono a discipline, e all’esercizio, di poteri dell'amministrazione posti a tutela di interessi di diversa natura, con provvedimenti caratterizzati da funzioni tipiche e distinte.
7.2 Ne consegue come risulti altrettanto legittimo differenziare la legittimazione attiva e l’interesse a ricorrere per i due procedimenti, circostanza quest’ultima che ha permesso a questo Tribunale di decidere, nel merito, l’analogo ricorso RG 1853/06 con il quale sono state impugnate le autorizzazioni commerciali conseguenti all’emanazione dei titoli edilizi di cui si tratta.
8. La dichiarazione di inammissibilità, ora al contrario pronunciata, va estesa anche alla delibera di Giunta n. 120/11 impugnata con i terzi e quarti motivi aggiunti e, ancora, alla deliberazione del Consiglio Comunale n. 103/2012 e, ciò, considerando come dette impugnazioni sono comunque finalizzate – unicamente - all’annullamento dei titoli edilizi sopra ricordati".

sentenza TAR Veneto 1071 del 2013

La decadenza del permesso di costruire deve essere formalizzata anche se opera automaticamente

28 Ago 2013
28 Agosto 2013

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto 1070 del 2013.

Scrive il TAR: "va rilevato come sia infondata la censura relativa alla presunta violazione dell’art. 15 comma 6, e art. 15 comma 2 della L. Reg. 15/2004, laddove si sostiene l’illegittimità del verbale della conferenza del 28 Settembre 2009 e delle consequenziali autorizzazioni commerciali del 01/07/20120, in considerazione del fatto che detti provvedimenti presupporrebbero la vigenza del permesso di costruire n. 165/2005, permesso che, al contrario, parte ricorrente ritiene decaduto per superamento dei termini in esso previsti.
8.2 Sul punto va rilevato che la decadenza di un permesso presuppone comunque un atto esplicito, con un contenuto e diretto a rilevare l’avvenuta decadenza, provvedimento quest’ultimo che non è stato mai emanato dall’Amministrazione comunale. A dette conclusioni conforta  quell’orientamento giurisprudenziale, oggetto peraltro di una recente pronuncia (Cons. Stato Sez. III, 04-04-2013, n. 1870), nella parte in cui si è affermato che “la pronunzia di decadenza del permesso di costruire riceve puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia). Si tratta di un provvedimento che ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal cit. art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc (Riforma della sentenza del T.a.r. Toscana -Firenze, sez. III, n. 955/2012)”. Si è sancito, altresì, che “la decadenza pur operando automaticamente per effetto dell’inutile decorso dei termini di inizio e fine lavori, deve essere formalizzata in un provvedimento amministrativo per quanto vincolato che presuppone un acclaramento da parte dell’amministrazione da effettuarsi mediante un procedimento soggetto alle regole della L.07 Agosto 1990 n. 241 (TAR lazio Latina sez. I 07/06/2007 n. 424)”.
8.3 E’, inoltre, evidente come l’esame degli atti consente di constatare come le attività edilizie fossero iniziate, circostanza quest’ultima che consente di ritenere come l’Amministrazione abbia ritenuto lo status quo meritevole dell’emanazione di un nuovo permesso di costruire al fine di completare quelle opere, ancora, non eseguite.
8.4 Ne consegue che la conferenza di servizi del 28 Settembre 2009 ha legittimamente consentito la nuova distribuzione delle superfici commerciali sulla base di un permesso di costruire valido ed efficace e, ciò, peraltro in considerazione dei termini di inizio e conclusione dei lavori successivamente modificati".

sentenza TAR Veneto 1070 del 2013

L’abuso edilizio è illecito permanente e si applica la disciplina vigente al momento dell’adozione del provvedimento sanzionatorio

27 Ago 2013
27 Agosto 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1068 del 2013, che riguarda una ordinanza di demolizione di un'opera abusiva, successiva al diniego di un condono edilizio.

Scrive il TAR: "5. Con il terzo motivo si sostiene la violazione dell’art. 11 delle preleggi del Codice Civile in considerazione del fatto che all’abuso edilizio avrebbe dovuto applicarsi la normativa vigente all’epoca dei fatti.
5.1 La censura non risulta condivisibile, in quanto la natura di illecito permanente degli abusi edilizi comporta l’applicabilità agli stessi della disciplina esistente al momento dell’adozione del provvedimento sanzionatorio (per tutti si veda T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, 22-03-2013, n. 354)".

Segnaliamo anche il seguente passaggio della sentenza: "In considerazione di tale motivo di censura va premesso che l’ordinanza di demolizione, ora in esame, trova il proprio presupposto in un precedente provvedimento di diniego su un’istanza di sanatoria, rimasto non impugnato dalla parte ricorrente. Va, nel contempo, ricordato che l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce l’espressione di un’attività vincolata della Pubblica amministrazione e, ciò, con la conseguenza che tutti i provvedimenti relativi all’esercizio di detto potere repressivo, quali l'ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario acquisire il parere di organi, quali la Commissione edilizia integrata (T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 17-11-2011, n. 1713)".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1068 del 2013

Come si modifica/sopprime una commissione edilizia?

27 Ago 2013
27 Agosto 2013

L’art. 4, c. 2 del D.P.R. 380/2001 attribuisce ai Comuni la possibilità di istituire le Commissioni Edilizie (C.E.): “Nel caso in cui il Comune intenda istituire la Commissione edilizia, il regolamento indica gli interventi sottoposti al preventivo parere di tale organo consultivo”.

Assodato ciò, qualora il Comune intenda modificare o sopprimere le C.E., quale normativa deve seguire?

Sul punto vi sono due linee normative-interpretative possibili:

- una prima possibilità è applicare l’art. 96 del D. Lgs. 267/2000 il quale prevede che: “1. Al fine di conseguire risparmi di spese e recuperi di efficienza nei tempi dei procedimenti amministrativi i consigli e le giunte, secondo le rispettive competenze, con provvedimento da emanare entro sei mesi dall'inizio di ogni esercizio finanziario, individuano i comitati, le commissioni, i consigli ed ogni altro organo collegiale con funzioni amministrative ritenuti indispensabili per la realizzazione dei fini istituzionali dell'amministrazione o dell'ente interessato. Gli organismi non identificati come indispensabili sono soppressi a decorrere dal mese successivo all'emanazione del provvedimento. Le relative funzioni sono attribuite all'ufficio che riveste preminente competenza nella materia” (cfr. il Comune veronese di Oppeano);

- un’alternativa è utilizzare l’art. 50 della l. r. Veneto 27.06.1985 n. 61 concernente le varianti parziali al piano regolatore (cfr. il Comune padovano di Albignasego).

Qualcuno ha un’idea più precisa al riguardo?

dott. Matteo Acquasaliente

Comune di Oppeano

Comune di Albignasego

Quando serve il piano di lottizzazione nelle zone di espansione

27 Ago 2013
27 Agosto 2013

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4255 del 22 agosto 2013, ha affrontato nuovamente la questione della necessitĂ  di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio di un titolo edilizio in una zona di espansione, al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione esistenti (si veda in tal senso Consiglio Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7486 Consiglio Stato: sez. IV, 1 ottobre 2007, n. 5043 e 15 maggio 2002, n. 2592; sez. V, 1 dicembre 2003, n. 7799 e 6 ottobre 2000, n. 5326).

Il Collegio ha rimarcato il principio secondo cui l’esclusione della necessità di strumenti attuativi per il rilascio di concessioni in zone già urbanizzate “è applicabile solo nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo (ad es. il lotto residuale ed intercluso in area completamente urbanizzata), ma non anche nell'ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all'abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria nella zona o integrando l'urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l'armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all'edificazione)” (ex multis T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 23-02-2012, n. 372 T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 10 febbraio 2011 , n. 117).

Sul punto, inoltre, il Consiglio di Stato, riprende il ragionamento fatto dal Tar impugnato e afferma che: “seppur in via di principio l’evenienza di una imposizione della redazione di un piano attuativo non possa escludersi, residua l’esigenza che detta opzione volitiva sia congruamente motivata dal Comune (così la sentenza impugnata: “vi possono essere peraltro delle ipotesi in cui, ancorché in una zona urbanizzata, la confusione edilizia e il disordine urbanistico siano tali da richiedere comunque la predisposizione di un piano attuativo, però tali situazioni devono risultare nella motivazione del provvedimento amministrativo anche pianificatorio o perlomeno dalla relazione accompagnatoria e dalla documentazione allegata”)”.

dott.sa Giada Scuccato

sentenza CDS 4255 del 2013

Quando si tratta di atti discrezionali non c’è automatismo tra la illegittimitĂ  dell’atto e l’accoglimento della domanda risarcitoria

26 Ago 2013
26 Agosto 2013

Il TAR Veneto, nella stessa sentenza n. 1088 del 2013, allegata al post che precede,  dopo aver ritenuto illegittimo il diniego di un impianto di biogas, precisa che ciò non atribuisce automaticamente all'interessato il diritto di ottenere il risarcimento del danno, perchè il rilascio dell'autorizzazione è un atto discrezionale, cosicchè bisogna valutare se alla fine l'autorizzazione doveva essere  rilasciata oppure no.

Scrive il TAR: "5. Ciò premesso, va ora osservato che, trattandosi di un interesse legittimo pretensivo a fronte di un’attività tecnico-discerzionale della P.A., non vi può essere alcun automatismo tra la riconosciuta illegittimità dell’atto e l’accoglimento della domanda risarcitoria. Ed infatti, a fronte di poteri discrezionali la tutela risarcitoria per equivalente deve passare - se non attraverso la effettiva riedizione del potere stesso, e fatto salvo il successivo accoglimento della pretesa - attraverso un giudizio prognostico di carattere probabilistico da condursi secondo la regola civilistica del “più probabile che non”. Nel caso di specie, tuttavia, la ricorrente non ha più interesse alla riedizione del potere ed al rilascio dell’autorizzazione richiesta. Si tratta dunque di accertare, ex post, se gli elementi di fondatezza della pretesa erano tali da rendere, se non necessitato, quantomeno probabile il rilascio del provvedimento favorevole.

6. Tale giudizio, nel caso in esame, non può portare ad un esito positivo. Ed infatti, pur se il provvedimento di diniego dell’autorizzazione è stato motivato sulla base di presupposti erronei, quali l’aumento dell’inquinamento atmosferico, o comunque secondari e superabili, quali i profili viabilistici, ciononostante, residuerebbe una elevata discrezionalità amministrativa nella valutazione di diversi ed ulteriori elementi. Nel corso della conferenza di servizi sono infatti emerse varie e non  secondarie criticità derivanti dall’installazione dell’impianto di produzione di energia nelle vicinanze dell’ospedale di Trecenta, che avrebbero potuto assumere rilevanza nell’ambito di una valutazione più ampia e approfondita da effettuarsi da parte della Regione Veneto in sede di motivazione del provvedimento finale, e che comunque non potevano essere lasciate all’apprezzamento particolare di una singola amministrazione (la ULSS) non chiamata a rendere pareri in relazione ad interessi pubblici di cui non è titolare. Ad esempio, la criticità principale dell’installazione dell’impianto sembra risiedere infatti proprio nelle sua localizzazione nei pressi di un sito  sensibile. Ed anche dovendosi escludere la rilevanza della localizzazione sotto il peculiare profilo dell’inquinamento atmosferico, è peraltro emerso che l’attivazione dell’impianto di produzione di energia avrebbe comunque comportato un peggioramento della complessiva situazione ambientale - in termini di aumento di emissioni di rumori, odori, fumi, e d’ incremento del traffico di veicoli anche industriali - non pienamente tollerabile a causa della presenza dell’ospedale a 400 metri di distanza; considerata anche l’esistenza, nelle stesse vicinanze, di un analogo impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili. Peraltro, tali inconvenienti non sarebbero stati compensati da una (inizialmente programmata) riduzione delle emissioni d’inquinanti nell’atmosfera, che si sarebbe potuta ottenere con la disattivazione della caldaia dell’ospedale alimentata da fonti fossili e la sua sostituzione con la fornitura di energia pulita da parte del nuovo impianto, essendo emerso che quest’ultima non sarebbe stata sufficiente per soddisfare  integralmente il fabbisogno energetico dell’ospedale.

7. Ne consegue, dunque, come dall’analisi della fattispecie, anche eliminando gli elementi costituenti i motivi di diniego posti alla base del provvedimento impugnato, permanga un’ estesa ed irriducibile area di discrezionalità tecnica, che impedisce di addivenire ad un sicuro accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale all’installazione dell’impianto di produzione di energia in questione. Ovvero, in altre parole, non vi è certezza nemmeno probabilistica che ove il provvedimento finale fosse stato emesso emendato dai vizi motivazionali o procedurali denunciati dalla ricorrente, sarebbe stato favorevole per la stessa. Mancano, dunque, le condizioni imprescindibili per l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni derivanti dal provvedimento di diniego, la quale, pertanto, deve essere rigettata".

Impianti di biogas e conferenza di servizi dell’art.12 D.lgs. 387/2003: il parere negativo dell’ULSS non è insuperabile

26 Ago 2013
26 Agosto 2013

Lo dice la sentenza del TAR Veneto n. 1088 del 2013.

Scrive il TAR: "4. Nel merito, ritiene il Collegio che il provvedimento di diniego sia da ritenersi illegittimo in ragione del difetto e dell’erroneità della motivazione evidenziati con i primi due motivi di ricorso. Infatti, la Regione Veneto, nel motivare il provvedimento finale di diniego, come denunciato dalla parte ricorrente, si è riferita esclusivamente, come se si trattasse di un insuperabile veto, al parere negativo della ULSS n. 18 di Rovigo, recepito acriticamente dal Comune e dall’ARPAV, ed ove si è ritenuto, in sostanza, che “la messa in esercizio dell’impianto contribuirebbe ad incrementare l’inquinamento atmosferico in loco”. E ciò, nonostante che tale valutazione fosse in contrasto, non solo con le conclusioni del tecnico incaricato della società richiedente, ma anche con due distinti pareri tecnici positivi dell’ARPAV – ente specificamente competente in materia di vigilanza, di controllo e di accertamento tecnico sulle cause di inquinamento atmosferico - con i quali si era espressamente escluso che l’attivazione dell’impianto potesse determinare un superamento dei limiti di legge delle emissioni atmosferiche e dunque un apprezzabile peggioramento della qualità dell’aria. Peraltro, la ULSS, nell’ultimo parere reso per la conferenza di servizi del 27 marzo 2012, riferisce come “non sia possib ile attestare l’assenza, nel sito Ospedaliero, di un incremento degli inquinanti dell’aria”. Ed è evidente come tale asserzione rimanga lontana da una dimostrazione positiva (peraltro di competenza dell’ARPAV) di un superamento dei limiti di legge delle emissioni atmosferiche derivante dall’attivazione dell’impianto. Nel parere della ULSS, richiamato anche in tale parte nel provvedimento finale, si evidenzia inoltre che l’attivazione dell’impianto inevitabilmente determinerebbe un aumento del traffico veicolare in prossimità dell’ospedale, con conseguente aumento dell’inquinamento atmosferico e ed interferenza sull’ordinario flusso dei veicoli, anche adibiti all’emergenza, in prossimità del nosocomio di Trecenta. Anche riguardo a tale valutazione, la difesa della ricorrente ha correttamente sottolineato come i profili viabilistici fossero stati positivamente esaminati dall’amministrazione competente, ovvero la Provincia di Rovigo. Peraltro, tale aspetto, di per sé, non può costituire congruo motivo ostativo alla realizzazione dell’impianto di produzione di energia".

sentenza TAR Veneto 1088 del 2013

Testo aggiornato del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 a seguito della legge di conversione 98 del 2013

22 Ago 2013
22 Agosto 2013

Pubblichiamo il testo del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (in S.O. n. 50/L alla Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 144 del 21 giugno 2013), coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98 (in questo stesso S.O. alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia». (13A07086) (GU n.194 del 20-8-2013 - Suppl. Ordinario n. 63)

testo coordinato decreto legge 69 del 2013

C’è chi ama i “casoti da cacia” e chi no

22 Ago 2013
22 Agosto 2013

La Regione Veneto evidentemente ama i casoti  (o, più probabilmente, gli elettori che li costruiscono).

Con la sentenza n. 139 del 13 giugno 2013, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della legge regionale del Veneto n. 25 del 6 luglio 2012 nelle parti in cui esenta gli appostamenti per la caccia (capanni, altane) dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e dal titolo abilitativo urbanistico-edilizio (D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.).

La Regione Veneto, per ovviare alla sentenza della Corte, con la deliberazione della Giunta n. 1393 del 30 luglio 2013 ha disposto che “gli appostamenti di caccia in assenza di titolo abilitativo edilizio non possono essere allestiti prima del 1.08.2013 e devono essere rimossi entro e non oltre il 28.02.2014”.

Segnaliamo che la deliberazione nulla dice sulla autorizzazione paesaggistica: insomma essa sembra un pasticcio giuridico.

Molto critica è stata la presa di posizione della associazione ecologista Gruppo d'Intervento Giuridico Onlus, che ha inviato un esposto alle Procure  della Repubblica, come si può leggere nel sito sotto indicato:

htpp://gruppodinterventogiuridicoweb.wordpress.com/2013/08/17/la-giunta-regionale-del-veneto-se-ne-frega-della-corte-costituzionale-per-favorire-i-cacciatori/#more-7787

Dario Meneguzzo

dgr_appostamenti_fissi_caccia-29-7-2013

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC