Note sulla decadenza del permesso di costruire

17 Set 2012
17 Settembre 2012

L’art. 15 del D.P.R. 06 giugno 2001 n. 380 (c.d. T.U. sull’edilizia) recita: “1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.

3. La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione.

4. Il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.

In passato era dibattuta la natura della decadenza del titolo edilizio correlata all’inattività dell’interessato: operava automaticamente o era necessario un provvedimento amministrativo espresso?

Parte della giurisprudenza riteneva che “La decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non è automatica e, pertanto, tale decadenza deve essere necessariamente dichiarata, ai sensi dell'art. 31, l. n. 1150 del 1942, con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie un giudizio d'accertamento” (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 28.06.2002, n. 595) e che “affinché la concessione edilizia perda, per decadenza, la propria efficacia ex art. 31 l. n. 1150 del 1942, occorre un atto formale dell'amministrazione che renda operanti gli effetti della decadenza accertata” (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612), con la conseguenza che “è necessaria l'adozione di un atto dell'amministrazione che, accertata la sussistenza dei presupposti della decadenza, renda operativa la perdita di efficacia della concessione edilizia” (Cons. Stato, sez. V, 15.06.1998, n. 834).

L’orientamento maggioritario riteneva invece che: “La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi "ex se" con l'inutile decorso del termine. Segue da ciò che: a) l'eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato con richiamo al termine ultimo previsto per l'inizio dei lavori, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo "ope legis" prevalente sul primo; b) non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto "ipso iure" del mancato inizio dei lavori e non residuando all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 28.06.2005, n. 5370).

Attualmente la prevalente giurisprudenza ritiene che la decadenza del premesso di costruire operi ipso jure, cioè in assenza di un provvedimento espresso in quanto “la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori operava di diritto e che il provvedimento pronunciante la decadenza, ove adottato, aveva carattere meramente dichiarativo di un effetto “ex se”, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine prefissato” (Cons. Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915). Anche il T.A.R. Marche, Ancona, 28.12.2009, n. 1475 afferma lo stesso principio: “, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa della società concessionaria, la decadenza deve essere dichiarata mediante un provvedimento formale, avendo la stessa natura dichiarativa”.

In realtà non mancano alcune pronunce di segno contrario: il Consiglio di Stato, sez. V, 12.05.2011, n. 2821 reputa che “la perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza”.

Recentemente il T.A.R. Veneto ha affermato la decadenza automatica del permesso di costruire per mancato inizio dei lavori entro l’anno in assenza di proroga anche con riferimento all’ampliamento previsto dall’art. 9, comma 6, della L. R. 08 luglio 2009 n. 14 (c.d. Piano Casa) sancendo la “decadenza del permesso di costruire, dichiarata per mancato inizio dei lavori entro l’anno” (T.A.R. Veneto, Venezia, 01.03.2011, n. 361).

Il Consiglio di Stato ritiene che la pronuncia di “decadenza del permesso di costruire è per certo  espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare, ovvero della sopravvenienza di una nuova e diversa strumentazione edilizia e assume pertanto decorrenza ex tunc; inoltre il termine di durata del titolo edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio e che accerti l'impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis, ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore” (Cons. Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).

Con riferimento alla proroga il T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 22.05.2012, n. 874 chiarisce che: “il superamento del termine massimo previsto per l'ultimazione dei lavori è giustificato in presenza di un «factum principiss» o di forza maggiore, ossia di atti d'autorità provenienti (anche) dalla stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo o di fatti sopravvenuti non imputabili al concessionario; per essere ritenuti ammissibili, le ipotesi di sospensione o proroga connesse a «factum principiss» o a forza maggiore debbono, tuttavia, risultare non riferibili alla condotta del titolare della concessione o comunque della situazione di vantaggio. L'evento interruttivo è, infatti, imputabile al titolare del diritto nelle ipotesi in cui non si è di fronte a fatti che sfuggono con carattere di non eludibilità al suo controllo”.

Corollario di ciò è che se il soggetto richiedente il permesso di costruire presenta una istanza di proroga conforme ai requisiti previsti dall’art. 15 del T.U. dell’edilizia, l’Amministrazione deve adottare un provvedimento ad hoc in cui accerti la presenza dei requisiti legali richiesti: tale provvedimento quindi non ha natura dichiarativa ma costitutiva.

Alla luce di quanto detto si può affermare che se il soggetto richiedente il permesso di costruire - decorso il termine di ultimazione dei lavori ed in assenza di istanza di proroga - sia rimasto inerte l’Amministrazione non ha l’onere di notificare all’interessato un provvedimento che dichiari la sua decadenza; al contrario in caso di istanza di proroga l’Amministrazione ha l’obbligo di adottare un provvedimento espresso che accerti (o non accerti) la presenza dei requisiti richiesti.

dott. Matteo Acquasaliente

T.A.R. Veneto. Venezia, 01.03.2011, n. 361

Seminario sui titoli edilizi e le novità della legge 134 del 2012: Spinea 19 ottobre 2012

15 Set 2012
15 Settembre 2012

Il Comune di Spinea organizza un convegno sui titoli edilizi e le novità introdotte dalla legge 134 del 2012.

Verranno esaminati i procedimenti e il regime sanzionatorio ed analizzate le problermatiche più frequenti.

Relatori saranno l'avv. Stefano Bigolaro e l'avv. Alessandro Veronese, ai quali potranno essere anticipati i quesiti.

Alleghiamo la locandina con il modulo per l'iscrizione.

ProgrammaConSchedaIscrizione19 ottobre

Come calcolare l’oblazione per sanare un muro ex art. 36 DPR 380/2001?

14 Set 2012
14 Settembre 2012

La giurisprudenza ritiene soggetta a concessione edilizia (o permesso di costruire) l’edificazione del muro di contenimento in quanto “i muri di contenimento, invero, hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento). Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico” (sentenza T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 06 aprile 2012,. n. 742).

Premesso ciò, qualora il muro di contenimento sia realizzato in assenza di D.I.A. come si calcola l’oblazione per ottenere la sua sanatoria?

La questione trova solo in parte una compiuta soluzione alla luce dell’art. 36 del D.P.R. 06 giugno 2001 n. 380 (c.d. Testo Unico dell’Edilizia).

L’art. 36 del T.U. dell’Edilizia recita: “1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
2. Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell’ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso.

3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.

L’applicazione della normativa non crea problemi allorquando l’intervento sia oneroso e sia contemplato dalla tabelle comunali degli oneri di urbanizzazione e dalle norme in tema di costo di costruzione, ovvero sia gratuito (rispetto al contributo di costruzione) ai sensi dell’art. 17, comma 3, del T.U. edilizia; al contrario sorgono degli interrogativi se l’opera non è prevista dalle tabelle comunali.

Il muro di contenimento, infatti, non determina alcun carico urbanistico: di conseguenza non potrebbero essere pretesi oneri di urbanizzazione.

Mancando allo stato attuale una disciplina organica di settore che definisca i criteri per determinare l’oblazione per la sanatoria di un muro di sostegno segnaliamo quanto affermato dalla Regione Piemonte in un recente parere: “ove opere quali sono i muri di contenimento ed altre simili strutture non siano contemplate dalle tabelle comunali in materia (per lo più, tale considerazione nelle tabelle non compare) viene in evidenza – nel silenzio della normativa regolamentare comunale – il principio secondo cui non possono essere pretesi oneri di urbanizzazione quando l’opera non determina un carico urbanistico ulteriore”.

Al contrario, ex art. 36, comma 2, T.U. edilizia, il contributo di costruzione dovrebbero essere costituito dal solo raddoppio del costo di costruzione (determinabile attraverso un computo metrico controllato dal Comune), fermo restando l’applicazione dell’art. 17, comma 3, T.U. dell’edilizia che disciplina i casi in cui tale importo non è dovuto.

Segnaliamo che questa soluzione non è da tutti condivisa.

Propongo di aprire un dibattito sul tema: voi come la pensate?

dott. Matteo Acquasaliente

parere regione piemonte - oblazione

Gestione delle acque meteoriche di dilavamento ed altre precisazioni sulle NTA del Piano di Tutela delle Acque

13 Set 2012
13 Settembre 2012

Sul BUR n. 75 del giorno 11 settembre 2012 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 1770 del 28 agosto 2012, recante precisazioni al Piano di Tutela delle Acque (D.C.R. n. 107 del 5/11/2009).

Con Deliberazione n. 107 del 5 novembre 2009 il Consiglio regionale ha approvato, ai sensi dell'art. 121 del D.Lgs 152/2006, il Piano di Tutela delle Acque (PTA), e in particolare le relative Norme Tecniche di Attuazione (NTA).

Durante i primi due anni di attuazione del Piano approvato sono emerse, dal confronto con vari soggetti che si sono trovati ad applicare nella pratica le disposizioni del Piano stesso, alcune esigenze di chiarimento dei suoi contenuti e in alcuni casi di vera e propria modifica del testo del PTA. Molte delle esigenze di chiarimento hanno trovato puntuale risposta nella DGR n. 80 del 27/1/2011 "Linee guida per l'applicazione di alcune norme tecniche di attuazione del Piano di Tutela delle Acque". Per altri aspetti, è stato necessario intervenire invece con vere e proprie modifiche del testo del PTA, deliberate dalla Giunta Regionale previo parere della 7° commissione consiliare; tali modifiche hanno riguardato l'art. 32 (DGR n. 145 del 15/2/2011), gli artt. 11 e 40 (DGR n. 1580 del 4/10/2011) e infine, in risposta a richieste di alcune Province, associazioni di categoria ed altri soggetti e anche a seguito di modifiche della normativa nazionale, vari articoli del Piano (DGR n. 842 del 15/5/2012).

Tuttavia, per alcuni aspetti, sono state recentemente richieste ulteriori precisazioni, che rendano il dispositivo delle NTA maggiormente efficace e applicabile omogeneamente sul territorio regionale. In particolare, è stata evidenziata la necessità di una più precisa definizione degli obblighi a cui sono soggette le aziende, ad esempio in materia di gestione delle acque meteoriche di dilavamento.

E' stato pertanto necessario stabilire alcune linee guida, senza peraltro pregiudicare la possibilità di raggiungimento degli obiettivi ambientali, fissati dalla Direttiva 2000/60 e dal D.Lgs 152/2006, entro il 2015.

DGRV 1170 del 2012

1770_AllegatoA_242329

Pubblicate sul BURV le modalità operative per la gestione dei rifiuti da attivita’ di costruzione e demolizione

12 Set 2012
12 Settembre 2012

Sul BUR n. 75 del giorno 11 settembre 2012 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 1773 del 28 agosto 2012, recante "Modalità operative per la gestione dei rifiuti da attivita' di costruzione e demolizione. D.lgs. 03.04.2006 e s.m.i., n. 152; L.R. 3/2000".

La deliberazione fornisce un insieme di indicazioni operative per una migliore gestione delle problematiche legate alla produzione e alla gestione dei rifiuti nel settore delle costruzioni e demolizione sia nel luogo di produzione, sia negli impianti in cui questi vengono trasformati in nuovi prodotti.

DGRV 1173 del 2012

1773_AllegatoA_242332

L’azione di condanna atipica al TAR

12 Set 2012
12 Settembre 2012

 Il T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, con la sentenza del 04 settembre 2012 n. 2220 ammette l’ammissibilità della c.d. azione di condanna atipica, subordinandola alla presenza di alcuni requisiti espressamente previsti dal codice del processo amministrativo.

Innanzitutto in applicazione dell’art. 32 c.p.a., comma 2, “Il giudice qualifica l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali”, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalle parti. Nel caso di specie la ricorrente (un’associazione ambientalista) definisce espressamente la propria domanda quale “accertamento” della difformità dell’attività pianificatoria della Regione Lombardia - in materia di inquinamento atmosferico - rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente. Il Collegio tuttavia ritiene di essere in presenza di un’azione di condanna atipica: “la ricorrente richiede infatti di accertare l’esistenza di un inadempimento, a cui porre rimedio con una pronuncia costitutiva di condanna ad un facere, e cioè all’adozione di piani conformi alla normativa vigente, ciò che rappresenta la sostanziale pretesa a cui aspira l’associazione ricorrente.

In tema di pronunce dichiarative, deve infatti distinguersi tra l'accertamento compiuto dal giudice a fronte dell'esperimento di azioni costitutive o di condanna, ciò che rappresenta il momento cognitivo della sussistenza dei presupposti per l'emissione della sentenza, e le azioni di mero accertamento, volte cioè ad eliminare uno stato di incertezza, che di per sé è idoneo a garantire la soddisfazione della situazione giuridica dedotta in giudizio, a prescindere da qualsiasi ulteriore statuizione.

Come chiarito da autorevolissima dottrina processual-civilistica, con l’azione meramente dichiarativa l'attore tende esclusivamente a procurarsi la certezza giuridica di fronte ad uno stato di incertezza che gli è pregiudizievole, all'uopo chiedendo che si dichiari esistente un suo diritto o inesistente un diritto altrui, indipendentemente dall’effettiva realizzazione, e cioè dalla condanna. In tali azioni il bisogno di tutela giurisdizionale è pertanto soddisfatto dalla sola immutabilità dell'accertamento contenuto nella sentenza, in modo che l'interesse legittimo del ricorrente trovi una compiuta tutela nella mera affermazione della sussistenza della pretesa fatta valere.

La funzione di accertamento si esplica pertanto unicamente onde rimuovere un’incertezza pregiudizievole dell’attore, ad opera della dichiarazione giudiziale”.

In secondo luogo il Collegio conferma l’ammissibilità di un’azione nella quale il ricorrente chieda, previo accertamento dell’inadempimento degli obblighi imposti dalla normativa in materia, la condanna dell’Amministrazione ad un facere, ossia all’adozione di atti conformi alla disciplina vigente atteso che “con la sentenza n. 3 del 23.3.2011 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha dato risposta positiva al quesito, facendo leva sulla disciplina dettata dal c.p.a., il quale ha ampliato le tecniche di tutela dell’interesse legittimo, mediante l’introduzione del principio della pluralità di azioni. Alla tutela di annullamento, si sono infatti aggiunte quella di condanna, dichiarativa, ed in materia si silenzio-inadempimento, l’azione di condanna all’adozione del provvedimento, previo accertamento, nei casi consentiti, della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio. L’architettura del codice ha pertanto superato la tradizionale limitazione della tutela dell’interesse legittimo al solo modello impugnatorio, ammettendo l’esperibilità di pronunce dichiarative, costitutive o di condanna, idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa

L’ammissibilità in via generale di proporre azioni di condanne atipiche va rintracciata nell’ 34 c.p.a, comma 1, lett. c) e lett. e) : “In caso di accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti della domanda: (...) c) condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile (...) e) dispone le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l'ottemperanza”. Tale disposizioni prefigurano un potere di condanna senza restrizione di oggetto, modulabile a seconda del bisogno differenziato emerso in giudizio: di conseguenza l’azione di condanna atipica non è da considerarsi eccezionale, ma esemplificazione di un’azione ammessa in via generale come conferma anche T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 08.06.2011, n. 1428.

Con riferimento ai presupposti per esperire tale azione, il Collegio si richiama all’art. 30 c.p.a., comma 1 secondo cui “l'azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma”. Corollario di ciò è l’inammissibilità dell’azione di condanna atipica non accompagnata dalla contestuale azione di annullamento del provvedimento amministrativo negativo o da un’azione avverso il silenzio.

dott. Matteo Acquasaliente

T.A.R. Lombardia, Milano, 04.09.2012 n. 2220

Come si distingue una concessione di servizi da un appalto di servizi

11 Set 2012
11 Settembre 2012

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n . 4682 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "Emerge con evidenza che assume un rilievo determinante ai fini del decidere la corretta qualificazione giuridica dell’affidamento per cui è causa (affidamento che il Tribunale ha ritenuto di ascrivere al genus dell’appalto di servizi ai sensi del comma 10 dell’art. 3 del d.lgs. n. 163 del 2006).
Ad avviso del Collegio, l’appello in epigrafe è meritevole di accoglimento laddove afferma, al contrario, che l’affidamento in questione è qualificabile come concessione di servizi la quale – come è noto – viene definita come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all’articolo 30” (art. 3, comma 12, d.lgs. n. 163 del 2006).
Ai fini della qualificazione in parola risultano dirimenti da un lato la circostanza per cui il rischio della gestione del servizio all’origine dei fatti di causa resta interamente in capo al soggetto affidatario, il quale – oltretutto – è anche tenuto a corrispondere un importo pecuniario piuttosto cospicuo in favore dell’Amministrazione, e dall’altro lato la circostanza che il servizio viene erogato non in favore della Università, ma della collettività di utenti universitari (studenti, docenti, personale).
Nel caso di specie deve, quindi, trovare puntuale applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale (conforme peraltro al paradigma comunitario di riferimento) secondo cui si ha concessione quando l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l'onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione (in tal senso –ex plurimis -: Cons. St., sez. V, 9 settembre 2011, n. 5068).
Si è precisato, al riguardo, che quando l'operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull'utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione per cui può affermarsi che è la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall'appalto di servizi. Pertanto, si avrà concessione quando l'operatore si assuma in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza, mentre si avrà appalto quando l'onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull'amministrazione (Cons. St., sez. V, 6 giugno 2011, n. 3377)".

sentenza CDS 4682 del 2012

Linee guida ACPV per gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991

11 Set 2012
11 Settembre 2012

Sono pubblicate nella Determinazione n. 3 del primo agosto 2012, che alleghiamo.

AVCP_linee-guida-coop-soc_Det.n.3_01.08.2012

Prima di emanare un provvedimento il comune deve effettuare una istruttoria vera e seria (non basta richiamarsi a una CTU)

10 Set 2012
10 Settembre 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1109 del 2012 si occupa dell'istruttoria che deve essere svolta (ai sensi dell'art. 6 della L. 241/90) al fine di emanare un provvedimento di repressione  di un abuso edilizio.

Nel caso specifico, il Comune si era limitato (in particolare per quanto riguarda la individuazione di un elemento decisivo come la data di commissione di un  abuso edilizio) a citare le risultanze di una CTU effettuata tra le parti nel corso di un giudizio civile (del quale, peraltro, era parte anche il Comune).

Il TAR ha ritenuto il provvedimento illegittimo.

Scrive il TAR: "Lo stesso considerevole lasso di tempo (circa nove anni dall’adozione della precedente ordinanza di riduzione in pristino) avrebbe dovuto determinare il Comune nello svolgimento di un’accurata attività ispettiva, diretta a verificare lo stato dei luoghi attualmente esistente, le eventuali “variazioni” rispetto alle verifiche poste in essere in occasione della prima ordinanza e, più in generale, al compimento di quella attività preparatoria e di supporto “fattuale e tecnico” che costituisce la condizione minima, ma anche indispensabile, per l’emanazione di un provvedimento così incisivo nella sfera dei ricorrenti, quale non può non essere qualificato un’ordinanza di demolizione.
Rispetto a dette attività risulta la più totale “assenza” di quanto effettivamente realizzato dall’Amministrazione comunale.
Il provvedimento ora impugnato è unicamente fondato sui risultati di una consulenza tecnica d’ufficio, posta in essere nell’ambito di un distinto e differente giudizio civile instaurato dai ricorrenti".

sentenza TAR Veneto n. 1109 del 2012

Circolare Funzione Pubblica: il DURC è un certificato e va acquisito d’ufficio dalla P.A.

10 Set 2012
10 Settembre 2012

Sulla GU n. 207 del 5-9-2012 è stata pubblicata la Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 6  del 31 maggio 2012, recante "Applicazione al DURC delle disposizioni introdotte in materia di certificazione dall'articolo 40, comma 02, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, introdotto dall'articolo 15, legge 12 novembre 2011, n. 183. (12A09668)".

Il contenuto rilevante della circolare è quello indicato nel titolo.

circolare DURC n. 6 2012 Funzione Pubblica

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