La procedura negoziata senza bando con carattere d’urgenza si applica soltanto se l’urgenza non è imputabile all’Amministrazione

13 Mar 2013
13 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 06 marzo 2013 n. 350, si sofferma sulla procedura negoziata senza bando avente carattere d’urgenza, regolata dall’art. 57, c. 1 e c. 2, lett. c), D. Lgs. 163/2006 secondo cui: “1. Le stazioni appaltanti possono aggiudicare contratti pubblici mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara nelle ipotesi seguenti, dandone conto con adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre.

2. Nei contratti pubblici relativi a lavori, forniture, servizi, la procedura è consentita: (...)

c) nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”.

 Chiarito che tale procedura rappresenta una deroga al principio comunitario della pubblicità e della massima concorsualità delle gare pubbliche, poiché: “l’art. 57, II comma, lett. c) del DLgs n. 163/2006 consente il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara “nella misura strettamente necessaria, quando l’estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”” e che, di conseguenza, la “predetta norma – che rappresenta una deroga, nell'ambito degli appalti pubblici, alla procedura di evidenza pubblica (indispensabile presidio a garanzia del corretto dispiegarsi della libertà di concorrenza e della trasparenza dell'operato delle amministrazioni: cfr., ex pluribus, CdS, VI, 28.1.2011 n. 642) - può essere utilizzata, in funzione meramente strumentale all’espletamento di una gara pubblica e nella misura temporale strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti (e non da situazioni soggettive, contingibili, prevedibili e ad essa imputabili, qual è il ritardo nell’attivazione dei procedimenti), non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara”, il Collegio ritiene che “i presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità devono essere accertati con il massimo rigore e non sono suscettibili di interpretazione estensiva: in tale contesto, pertanto, deve ribadirsi che l'urgenza di provvedere non deve essere addebitabile in alcun modo all'Amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione, ovvero per sua inerzia o responsabilità; che, dunque, alla luce delle suesposte considerazioni si deve escludere che possa costituire legittima motivazione della determinazione di avvalersi della procedura negoziata quella dell’imminente (recte: nel caso di specie, contestuale) scadenza dei contratti in corso trattandosi, evidentemente, di evento palesemente prevedibile da parte della stazione appaltante, a cui, peraltro, vanno anche imputati i ritardi nell’attivazione della procedura concorsuale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 350 del 2013

Il diniego di assoggettabilità a V.I.A. è un atto impugnabile autonomamente?

12 Mar 2013
12 Marzo 2013

 Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 04 marzo 2013 n. 327, si occupa della procedura di screening ambientale prevista dall’art. 7, c. 2, l. r. Veneto 26.03.1999 n. 10, secondo cui: “Per le tipologie progettuali di cui all’allegato C4 il soggetto proponente richiede la verifica all’autorità competente al fine di stabilire se l’impatto sull’ambiente, in relazione alle caratteristiche del progetto, comporta la necessità dello svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale”.

Il caso in esame concerne il trasferimento di alcuni impianti produttivi che effettuano lavorazioni di zincatura a caldo, quindi di attività ricomprese nel punto 3, lett. c) dell’allegato C4, l. r. Veneto 10/1999 (applicazione di strati protettivi di metallo fuso con una capacità di trattamento superiore a 2,6 t/ora di acciaio grezzo), per le quali è necessaria la V.I.A. solamente se sia accertata la loro ubicazione in aree densamente abitate, soggette a vincoli paesaggistici o interessate dalla presenza di ecosistemi.

La Provincia di Vicenza, in seguito all’istanza di attivazione della procedura di screening richiesta dalla ditta, esclude la necessitò si svolgere la valutazione di impatto ambientale, negando la sussistenza di tale presupposti.

Il T.A.R. Veneto, in seguito al ricorso di un’Associazione Onlus che impugna tale provvedimento provinciale, ma non il provvedimento finale che autorizza il trasferimento dell’impianto, chiarisce che la decisione di sottoporre a V.I.A. un determinato progetto non è un atto endoprocedimentale (impugnabile soltanto unitamente al provvedimento finale), ma atto che va impugnato autonomamente, indipendentemente dall’eventuale impugnazione del provvedimento finale, poiché: “va affermata l’immediata ed autonoma impugnabilità del provvedimento che, nell’ambito della procedura di screening, decide sulla sottoposizione o meno di un determinato progetto alla valutazione di impatto ambientale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 137; id. 16 febbraio 2012, n. 265; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213), in quanto già da questa determinazione scaturiscono effetti potenzialmente lesivi dei valori ambientali.

Conseguentemente, stante lo stretto nesso procedimentale che si instaura tra la procedura di valutazione di impatto ambientale e l'atto finale, l’omessa impugnazione di quest’ultimo non determina alcuna preclusione all'ammissibilità, né rifluisce sulla procedibilità, del ricorso proposto contro il provvedimento che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, il quale, ove annullato, produce effetti caducanti e non solo vizianti dell’atto finale (in modo non dissimile a quanto accade in caso di impugnazione del piano regolatore dove vi è la facoltà ma non l’obbligo di impugnazione immediata del piano adottato o, un volta impugnato questo, di impugnare il piano approvato)”.   

Nella suddetta sentenza il T.A.R. Veneto cita un precedente conforme, ossia la sentenza emessa dalla medesima sezione III, il 5 febbraio 2013 n. 137, ove, però, si giunge a conclusioni opposte, ossia all’obbligo di impugnare solamente il provvedimento finale.

In tale vertenza l’Associazione Nazionale Legambiente Onlus impugnava il provvedimento provinciale di esclusione dalla V.I.A. di un impianto per la realizzazione di calcestruzzo, con materiali inerti e rifiuti non pericolosi, all’interno di una cava di rilevante interesse paesistico ambientale, assieme alla determinazione provinciale di approvazione ed autorizzazione finale del progetto.

 Premesso ciò, il Collegio ritiene che il ricorrente abbia solamente la facoltà - e non un obbligo – di impugnare il diniego provinciale di assoggettabilità a V.I.A., in quanto l’obbligo di impugnazione concerne solamente il provvedimento finale di autorizzazione: “Il Collegio non ignora che in alcune pronunce è stata affermata l’immediata ed autonoma impugnabilità del provvedimento che, nell’ambito della procedura di screening, decide sulla sottoposizione o meno di un determinato progetto alla valutazione di impatto ambientale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 16 febbraio 2012, n. 265; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213), ma ritiene di dover puntualizzare che l’impugnazione del provvedimento di esclusione dalla sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale, costituisce una facoltà e non un onere per la parte ricorrente, in quanto è vero che già da questa determinazione scaturiscono effetti potenzialmente lesivi dei valori ambientali, ma va tuttavia considerato che solo l’approvazione del progetto ha carattere costitutivo degli effetti connessi alla sua realizzazione.

Ad una tale conclusione conduce l’art. 29, comma 1, del Dlgs. n. 152 del 2006, il quale prevede che “la valutazione di impatto ambientale costituisce, per i progetti di opere ed interventi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, presupposto o parte integrante del procedimento di autorizzazione o approvazione. I provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”.

Conseguentemente, stante il rapporto di necessario collegamento espressamente sancito a livello normativo tra i diversi atti che compongono l'atto finale, l'omessa tempestiva impugnazione del provvedimento che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, non determina alcuna preclusione all'ammissibilità, né rifluisce sulla procedibilità, del ricorso proposto contro la delibera di approvazione ed autorizzazione del progetto, e può costituire oggetto di censura al momento dell’impugnazione dell’atto costitutivo degli effetti finali della procedura (in modo non dissimile a quanto accade in caso di impugnazione del piano regolatore dove vi è la facoltà ma non l’obbligo di impugnazione immediata del piano adottato)”.

Che sia sta la Certezza del Diritto a pronunciare la  famosa frase: "il mio regno non è di questo mondo"?

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 327 del 2013

TAR Veneto 137 del 2013

 

Obblighi in capo al Sindaco in materia di Protezione Civile

12 Mar 2013
12 Marzo 2013

In materia di Protezione Civile hanno un’importanza fondamentale il Decreto Legislativo 9 Aprile 2008, N. 81 e s.m.i. in materia di SALUTE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO, e il Decreto Ministeriale 13 Aprile 2011.

Il Decreto Ministeriale del 2011 si propone di coniugare la tutela della salute e della sicurezza dei volontari della Protezione Civile con il perseguimento degli obiettivi tipici del Servizio nazionale della Protezione Civile (quali: la tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamita naturali, da catastrofi o da altri eventi calamitosi).

All’art. 2, comma 1, del Decreto ministeriale si stabilisce il principio secondo il quale le norme in materia di salute e sicurezza sui luogo di lavoro contenute nel D. Lgs. n. 81/2008 sono applicate ai volontari di Protezione Civile, tenendo conto delle particolari esigenze che caratterizzano le attività e gli interventi svolti. L'attività delle organizzazioni di volontariato della Protezione civile si svolgono in contesti caratterizzati necessariamente da urgenza, emergenza ed imprevedibilità.

Appare, quindi, chiaro che l’organizzazione di volontariato deve dotarsi di criteri operativi idonei e di strumenti atti a tutelare, in primo luogo, la salute dei volontari facenti parte dell’associazione. Vi è, in senso lato, quasi una equiparazione del volontario di Protezione Civile al lavoratore: vi è l’obbligo per l’associazione di dotare il volontario di sistemi di protezione individuale, di sottoporre il volontario a “controllo sanitario” (controllo che potrà essere assicurato dalle componenti mediche interne delle organizzazioni, ove presenti, ovvero mediante accordi tra organizzazioni, ovvero dalle strutture del Servizio sanitario nazionale pubbliche o private accreditate, art. 4, comma 1 e art. 5) e l’obbligo di impartire, agli iscritti, una idonea formazione, informazione ed addestramento.

Ma qual è il soggetto responsabile?

II soggetto che viene individuato come primo e principale destinatario degli obblighi di sicurezza e salute durante l'attività dei volontari è, secondo l’art. 3 comma 3 del D.M, i1 legale rappresentante dell'organizzazione, da individuarsi nella persona che, in base allo statuto o all'atto costitutivo della compagine di volontariato, è dotato del potere di rappresentanza, vale a dire del potere di agire in nome e per conto della stessa e di impegnarla nei confronti dei terzi. Ma non solo:  l'art. 3, comma 3, del D.M, infatti, individua il principale destinatario delle prescrizioni da osservarsi per la tutela della sicurezza e della salute dei volontari, nel soggetto che, nelle organizzazioni, detiene di norma il potere decisionale e di spesa in ordine al compimento di tutti gli atti necessari alia loro attività.

Cosi individuato, è chiaro che nel caso di associazioni di Protezione Civile comunali, il cui bilancio è un capitolato del bilancio dell’Ente Locale, il legale rappresentate sarà il Sindaco!

Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’art. 15 della L. 225/92, è proprio il Sindaco l’autorità comunale di Protezione Civile, il quale assume, al verificarsi dell’emergenza nel territorio comunale, la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso e assistenza alla popolazione.

Allo stesso modo, se, nelle organizzazioni di volontariato, il concreto ed effettivo potere decisionale e di spesa venisse esercitato da persona diversa dal formale legale rappresentante dell'ente, questo soggetto si aggiunge al legale rappresentante quale obbligato all'osservanza delle prescrizioni in materia di tutela delle condizioni di sicurezza e salute dell'attività dei volontari siccome sancite dall'art. 4 DM, quali: “Obblighi delle organizzazioni di volontariato della protezione civile

1. Le organizzazioni curano che il volontario aderente nell'ambito degli scenari di rischio di protezione civile individuati dalle autorità competenti, e sulla base dei compiti da lui svolti, riceva formazione, informazione e addestramento, nonché sia sottoposto al controllo sanitario, anche in collaborazione con i competenti servizi regionali, nel rispetto dei principi di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, fatto salvo quanto specificato al successivo art. 5 in materia di sorveglianza sanitaria. Il controllo sanitario potrà essere assicurato dalle componenti mediche interne delle organizzazioni, ove presenti, ovvero mediante accordi tra organizzazioni, ovvero dalle strutture del Servizio sanitario nazionale pubbliche o private accreditate.

2. Le organizzazioni curano che il volontario aderente, nell'ambito degli scenari di rischio di protezione civile individuati dalle autorità competenti e sulla base dei compiti da lui svolti, sia dotato di attrezzature e dispositivi di protezione individuale idonei per lo specifico impiego e che sia adeguatamente formato e addestrato al loro uso conformemente alle indicazioni specificate dal fabbricante.

3. Le sedi delle organizzazioni, salvi i casi in cui nelle medesime si svolga un'attività lavorativa, nonché i luoghi di esercitazione, di formazione e di intervento dei volontari di protezione civile, non

sono considerati luoghi di lavoro.”

In ordine alla sanzione conseguente all'inadempimento di tali precetti, deve essere immediatamente osservato che il DM non contiene alcuna norma che stabilisca una sanzione penale per la violazione di quanto disposto dall'art. 4.

In conclusione, la violazione degli obblighi riportati nell'art. 4 non costituirà autonoma figura di reato e, di conseguenza, il legale rappresentante dell'organizzazione non risponderà penalmente degli eventuali inadempimenti rispetto a tali obblighi.

dott.sa Giada Scuccato

Fate i buoni, se potete

12 Mar 2013
12 Marzo 2013

L’8 marzo 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato il “Nuovo codice di comportamento dei dipendenti della Pubbliche amministrazioni”, che abroga il precedente Codice di comportamento adottato con decreto del Ministro della Funzione Pubblica 28 novembre 2000.

Si tratta di un atto regolamentare adottato in attuazione dell’art. 54 del DLgs. 30 marzo 2001, n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni), così come sostituito dall’art. 1, comma 44, della L.  6 novembre 2012, n. 190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”).

Il nuovo Codice di comportamento entrerà in vigore dopo l’approvazione con decreto del Presidente della Repubblica.

Il comma 2 dell’art. 54 del D.Lgs. 165/2001 prevede che esso venga consegnato al dipendente pubblico che lo sottoscrive al momento dell’assunzione. Ai sensi del successivo comma 3, la violazione dei doveri in esso contenuti dà luogo a responsabilità disciplinare, nonché a responsabilità civile, amministrativa e contabile, secondo le relative discipline. Il medesimo comma precisa che violazioni gravi o reiterate del Codice comportano l’applicazione della sanzione di cui all’art. 55-quater, comma 1 del D.Lgs. 165/2001 (licenziamento disciplinare).

Il comma 5 dell’art. 54 del D.Lgs. 165/2001 prevede che ciascuna P.A. debba dotarsi di un proprio Codice di comportamento, che integra e specifica il Codice adottato a livello governativo, la cui violazione è pure fonte di responsabilità disciplinare, nonché delle altre conseguenze stabilite dal comma 3 citato.

La competenza a vigilare sull’applicazione del Codice “generale” e di quello “specifico” di ogni singola P.a. spetta ai dirigenti responsabili di ciascuna struttura, alle strutture di controllo interno e agli uffici di disciplina.

Nel merito, si segnalano le seguenti disposizioni:

-          l’art. 2 estende l’ambito di applicazione del Regolamento a tutti i collaboratori o consulenti, ai titolari di uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché ai collaboratori di imprese fornitrici di servizi in favore della p.a. La responsabilità di queste figure per così dire “esterne” viene fatta valere attraverso la previsione, nei relativi atti di incarico, nei contratti di collaborazione, di consulenza o di acquisizione dei servizi, di apposite di clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di violazione dei doveri del codice;

-          l’art. 4 fa divieto di ricevere regali, compensi o altre utilità quale corrispettivo per compiere atti del proprio ufficio (il divieto si estende al coniuge, al convivente, ai parenti ed affini fino al secondo grado). È consentito ricevere regali o utilità d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia, con la precisazione che si intendono di modico valore quelli che non superino i 100,00 euro, anche sotto forma di sconto;

-          l’art. 5 fa obbligo al dipendente di comunicare tempestivamente al responsabile dell’ufficio l’adesione ad associazione i cui ambiti di intervento possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio (ad esclusione, ovviamente, dell’adesione a partiti o sindacati, dal momento che la partecipazione ad essi è esercizio di libertà costituzionalmente garantita);

-          l’art. 6 riguarda l’obbligo di comunicare l’esistenza di rapporti di collaborazione (in qualunque modo retribuiti) intrattenuti dal dipendente (o dal coniuge, dal convivente, dai parenti ed affini fino al secondo grado) con soggetti privati negli ultimi tre anni e se tali pregressi rapporti intercorrano con soggetti che hanno interessi nelle pratiche a lui affidate. È previsto anche l’obbligo per il dipendente di astenersi da decisioni inerenti le sue mansioni, qualora vi sia un conflitto di interessi (di qualsiasi natura) personale, del coniuge, del convivente, dei parenti ed affini fino al secondo grado;

-          l’art. 7 specifica i casi in cui vi è l’obbligo di astensione per conflitto di interessi. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio;

-          l’art. 8 obbliga, tra l’altro, il dipendente a denunciare, sia all’autorità giudiziaria sia al proprio superiore gerarchico, eventuali situazioni di illecito nell’amministrazione di cui sia venuto a conoscenza;

-          l’art. 9 riguarda la trasparenza e la tracciabilità (attraverso un adeguato supporto documentale) dei processi decisionali;

-          L’art. 10 prevede anche specifici obblighi di condotta nella vita extralavorativa, con l’obbligo di non assumere comportamenti che possano nuocere all’immagine della p.a.;

-          L’art. 11 si segnala, in particolare, per il divieto dell’uso dei mezzi di servizio (linee telefoniche, internet, auto) per fini personali, fatti salvi i casi di urgenza;

-          L’art. 12 disciplina le modalità attraverso le quali il dipendente deve relazionarsi con il pubblico, ispirate a “spirito di servizio, correttezza, cortesia e disponibilità …”. Si segnala l’obbligo di rispettare gli appuntamenti coi cittadini e di rispondere senza ritardo ai loro reclami.

Il dipendente deve astenersi da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine della p.a. E’ tenuto ad informare il proprio responsabile dei suoi rapporti con la stampa.

Egli non può fornire informazioni sulle pratiche in corso di istruttoria, al di fuori dei casi previsti dalla legge.

-          L’art. 13 si rivolge in particolare ai dirigenti, imponendo, tra l’altro, l’obbligo di fornire informazioni sulle partecipazioni azionarie che possono porli in conflitto di interessi con la funzione svolta, nonché sulle dichiarazioni annuali dei redditi soggetti ad IRPEF.

Si segnala l’obbligo di “adottare un comportamento esemplare ed imparziale …” e di “curare il benessere organizzativo della struttura, favorendo l’instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori…”. “Il dirigente difende anche pubblicamene l’immagine della p.a. …. favorisce la diffusione della conoscenza di buone prassi e buoni esempi al fine di rafforzare il senso di fiducia nei confronti dell’amministrazione”.

-          L’art. 14  prescrive, tra gli altri, il divieto per il dipendente di concludere contratti con imprese con le quali nel biennio precedente abbia stipulato contratti o ricevuto utilità e di astenersi, dandone atto per iscritto, dalla decisioni relative ai contratti stipulati dalla p.a. con tali imprese.

Le disposizioni brevemente ricordate si caratterizzano, da un lato, per l’intento di assicurare che il dipendente pubblico assuma le proprie determinazioni libero da condizionamenti esterni all’evidente fine anti-corruttivo (il riformato art. 54 del D.Lgs. 165/2001 è stato inserito nella legge c,d, “anti-corruzione n. 190/2012), dall’altro, per l’intento di restituire alla p.a. una immagine di trasparenza, credibilità, correttezza nei rapporti con il cittadino.

Con riguardo a quest’ultima finalità, osservo che alcuni precetti imposti al dipendente pubblico, come quello di difendere pubblicamente l’immagine della p.a. o quello di comportarsi nella vita privata salvaguardando il buon nome della p.a. (“non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione”), mi riecheggiano alla mente (perdonate la goffa associazione) un articolo del regolamento adottato nel 1957 dalla Latteria Sociale “Boro” di Monte di Malo (VI), il quale ci è stato donato da un cliente e che ora campeggia sulla parete del corridoio del nostro studio: “Chi mormora o critica ingiustamente il Consiglio o le persone addette al servizio, perde tutto il latte conferito”.

avv. Marta Bassanese

regolamento_dipendenti pubblici

I parcheggi interrati della legge Tognoli non si possono realizzare in zona agricola

11 Mar 2013
11 Marzo 2013

L’art. 9, c.1, l. 122/1989 (c.d. legge Tognoli), recante le “Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate, nonché modificazioni di alcune norme del testo unico sulla disciplina della circolazione stradale”, prevede che: “I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti. Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché‚ non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici. Restano in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale ed i poteri attribuiti dalla medesima legislazione alle regioni e ai Ministeri dell’ambiente e per i beni culturali ed ambientali da esercitare motivatamente nel termine di 90 giorni. I parcheggi stessi ove i piani del traffico non siano stati redatti, potranno comunque essere realizzati nel rispetto delle indicazioni di cui al periodo precedente”.

La giurisprudenza è unanime nell’affermare che i parcheggi disciplinati dalla normativa suddetta, possono essere realizzati solamente all’interno delle aree urbane: “Va poi ribadito che trattandosi di intervento in zona agricola non è applicabile, per giurisprudenza pacifica, la normativa della cosiddetta “legge Tognoli” che consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo anche in deroga gli strumenti urbanistici, essendo questa consentita solo nelle zone residenziali, e ciò a prescindere dall'ulteriore considerazione postulante l'esclusione della deroga in presenza di vincoli ambientali” (T.A.R. Veneto, sez. II, 25.01.2007, n. 1331, ma si veda anche T.A.R., Piemonte, Torino, sez. I, 27.05.2011, n. 566; T.A.R. Toscana, sez. III, 16.06.2009, n. 1037; T.A.R., Campania, Napoli, sez. II, 08.06.2009, n. 3134; Consiglio di Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7324).

Inoltre la Regione Piemonte nel parere n. 7/2009 afferma che: “Deve ritenersi, inoltre, che la disposizione di cui all’art. 9 L. 122/1989 vada considerata nell’ambito della disciplina complessiva dettata dalla L. 122/1989, in cui essa si inserisce.

Tale legge appare inequivocabilmente deputata a dettare regole ed a disciplinare interventi relativi ai centri urbani, ed in particolare ai centri urbani afflitti da gravi problemi di traffico. La fonte legislativa, infatti, non si occupa soltanto dei parcheggi pertinenziali agli edifici, ma anche e soprattutto dei “programmi urbani dei parcheggi” e, in generale, delle “realizzazioni volta a favorire il decongestionamento dei centri urbani, mediante la creazione di parcheggi finalizzati all’interscambio con i sistemi di trasporto collettivo”.

Procedendo ad un’interpretazione logica e sistematica dell’art. 9, quindi, deve ritenersi che la disposizione in esame sia applicabile soltanto alle aree urbane e non a quelle agricole ed extraurbane in genere.

In tal senso, peraltro, si è più volte espressa la giurisprudenza amministrativa: “La possibilità di realizzare parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unità immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, consentita dall'art. 9 l. n. 122 del 1989, costituisce disposizione di carattere eccezionale da interpretarsi nel suo significato strettamente letterale ed in considerazione delle finalità della legge nel cui contesto risulta inserita. Pertanto tale articolo è applicabile alla costruzione di spazi parcheggio nelle sole aree urbane, mentre la realizzazione di parcheggi in aree extraurbane resta soggetta alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie necessitando della normale concessione edilizia” (Cons. Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7325; conf. TAR Piemonte, sez. I, 07.03.2007, n. 1157; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 06.09.2002, n. 5259, ove si precisa che “l’operatività della disposizione non può ritenersi estesa alle zone agricole”; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 19.12.2000, n. 2533).

In conclusione, per rispondere al quesito posto a questo Servizio, deve affermarsi che la facoltà di costruire autorimesse pertinenziali anche in deroga agli strumenti urbanistici è prevista dalla Legge Tognoli soltanto relativamente alle aree urbane. Al di fuori di tali aree, l’edificazione di parcheggi pertinenziali sarà comunque possibile, ma non potrà attuarsi nelle forme e nei modi di cui all’art. 9 L. 122/1989, rimanendo invece sottoposta alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 1331 del 2007

Parere Regione Piemonte n. 7 del 2009

L’udienza del 26 febbraio 2013 davanti alla Corte Costituzionale sulla VAS nel Veneto

11 Mar 2013
11 Marzo 2013

La Corte costituzionale rende disponibili i filmati delle singole cause di ogni udienza pubblica nei giorni successivi allo svolgimento della stessa.

Il ruolo delle cause di ciascuna udienza pubblica è consultabile nella pagina Calendario lavori della sezione.

La visione di tali filmati è possibile direttamente selezionando il filmato in formato flash o previo download del file in formato mp4. Qualora si scelga di vedere i filmati direttamete dal sito devono essere abilitati i pop up.

Al n. 6 di ruolo del 26 febbraio 2013 si è tenuta l'udienza pubblica relativa alla esenzione, prevista dalla legge regionale veneta, della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), prevista dall'art. 6 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell'ambiente), solo dei piani ed accordi contenenti progetti o interventi sottoposti a VIA.

Partecipanti all'udienza:IORGIO LATTANZI (GIUDICE RELATORE), Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri (AVVOCATO DELLO STATO),Paolo Stella Richter,  Stefano Baciga e Daniela Palumbo per la Regione  Veneto (AVVOCATI)

 Gli interventi in udienza si possono ascoltare on line sul sito:
Download del file:   wmv
Per quanto riguarda la posizione della REgione Veneto su VAS e PI, si consulti il sito:
 

Convegno di Venetoius sulla L.R. 55/2012 (SUAP – sportello unico per le attività produttive)

09 Mar 2013
9 Marzo 2013

Per la partecipazione al convegno del 22 marzo, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza riconoscerà 4 crediti formativi.

Locandina 22 marzo 2013

L’Amministrazione comunale ha diversi “poteri di controllo” su DIA/SCIA, a seconda del momento in cui viene proposta l’istanza del privato

08 Mar 2013
8 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 15 febbraio 2013 n. 230, affronta la tematica del silenzio serbato dall’Amministrazione comunale in seguito alla diffida del privato confinante di verificare la legittimità della D.I.A. (ora S.C.I.A.) ottenuta dal vicino.

Nel caso di specie il privato, dopo aver chiesto all’Amministrazione comunale di porre in essere le verifiche previste dall’art. 19, c. 6-ter, l. 241/1990, secondo cui: “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”, proponeva ricorso al T.A.R. Veneto ex art. 31 c.p.a., essendo decorsi 30 giorni senza aver ottenuto un provvedimento espresso.

La sentenza de qua si chiude con l’obbligo dell’Amministrazione comunale di istruire ed attivare nuovamente il procedimento e di concluderlo con un provvedimento espresso, soffermandosi però sul momento temporale in cui il privato ha presentato la diffida: solamente qualora avvenga entro il periodo di tempo nel quale l’Amministrazione può ancora esercitare i poteri inibitori sanciti dall’art. 19, c. 1, l. 241/1990, ossia nei 30 giorni decorrenti dalla presentazione della S.C.I.A. (come si ricava dal combinato disposto dell’ art. 19, c. 3 e 6-bis), l’accertamento dell’Amministrazione avrà ad oggetto la verifica ex art. 19, c. 6-ter, l. 241/1990, negli altri casi “solleciterà” solamente l’esercizio del potere di autotutela o sanzionatorio/repressivo, indipendentemente dal momento in cui ha avuto conoscenza della S.C.I.A. o della sua illegittimità.

La medesima sentenza, inoltre, approfondisce la natura della D.I.A. (ora S.C.I.A.) e del connesso procedimento attivato su impulso del vicino avverso il silenzio dell’Amministrazione comunale: “Sul punto va, preliminarmente, ricordato quanto disposto dall’Adunanza Plenaria n.15/2011 (nel risolvere il conflitto sulla natura provvedimentale o meno della d.i.a.) nella parte in cui ha sancito la natura perentoria del termine per l’esercizio del potere inibitorio da parte dell’Amministrazione, rilevando come, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, residui all’Amministrazione un potere di autotutela in applicazione dei principi fondamentali sulla legge sul procedimento.

3. Va, altresì, ricordato come il comma 6 ter dell'art. 19 della L. n. 241/1990 (introdotto dall'art. 6, D.L. n. 138/2011) ha, di fatto, determinato il superamento, quanto meno parziale, proprio delle conclusioni cui era giunta l’Adunanza Plenaria n.15/2011 e per quanto attiene il proponimento di un’azione (atipica) di accertamento dell’obbligo di provvedere.

3.1 Detta ultima disciplina legislativa ha, come è noto, previsto che la tutela della posizione giuridica soggettiva del terzo, avverso il deposito di una DIA (ora SCIA) ritenuta lesiva, debba comportare l’esperimento “in via esclusiva”, dell’azione in materia di silenzio e di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3, D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104".

3.2 E’ ancora utile ricordare come questo Tribunale abbia già avuto modo di precisare, in una precedente decisione (Sez. II, 05 marzo 2012, n. 298), che l'azione avverso il silenzio ex art. 31 c.p.a., è ora esperibile anche prima della scadenza del termine assegnato all'Amministrazione per effettuare il controllo sulla s.c.i.a., azione che in tal caso, ha ad oggetto direttamente l'accertamento dei presupposti per l'esercizio dell'attività dichiarata.

4. Da quanto sopra precisato ne consegue che l’applicazione della disciplina ora vigente ha l’effetto di attribuire efficacia dirimente al momento in cui la domanda del terzo viene presentata, mutando le caratteristiche del potere e dei controlli esperibili e, ciò, nel tentativo posto in essere dalla modifica legislativa sopra ricordata, di operare un non facile contemperamento tra l’interesse del privato a non rimanere perennemente esposto alle conseguenze di un ricorso di un soggetto terzo e, ancora, la necessità di consentire un’effettività della tutela della posizione giuridica del terzo presumibilmente leso da un atto di iniziativa privata.

E’ del tutto evidente che, argomentare in modo differente - e non circoscrivere un preciso limite temporale all’esperimento del potere inibitorio – avrebbe l’effetto di legittimare il riesercizio dello stesso potere in qualunque tempo, a seguito di una semplice istanza proposta da un terzo, con l’inevitabile conseguenza di ritenere ammissibile una disciplina in cui la vicenda correlata alla s.c.i.a./dia (e la posizione del dichiarante in particolare) potrebbe rimanere instabile a tempo indefinito e, ciò, quanto meno entro i termini entro i quali è esperibile l'azione avverso il silenzio secondo i principi generali dell’istituto di cui si tratta.

5. Una volta esaurito il periodo di tempo entro il quale l’Amministrazione può esercitare i poteri inibitori, l'istanza del terzo potrà essere diretta a sollecitare l'esercizio del “solo” potere di autotutela e di quello sanzionatorio/repressivo, senza che rilevi il momento in cui l'interessato abbia effettivamente appreso della s.c.i.a. o constatato la lesività dell'attività dichiarata.

Restano inoltre salve, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 241/1990, le misure sanzionatorie volte a reprimere le dichiarazioni false o mendaci, nonché le attività svolte in contrasto con la normativa vigente, così come sono impregiudicate le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo previste dalla disciplina di settore (in questo senso di recente si veda anche Consiglio di Stato n. 5751/2012) e le rimanenti ipotesi dirette a prevenire un danno al patrimonio artistico e culturale” ed ancora: “6.1 E’, altresì, del tutto evidente come non sia possibile condividere l’argomentazione di parte resistente che vorrebbe far decorrere il periodo di tempo per l’esercizio del potere inibitorio dall’ acquisizione delle cinque DIA e dall’avvenuto esperimento dell’istanza di accesso agli atti, ciò, in considerazione dei principi di affidamento del privato sopra ricordati.

6.2 Ne consegue come nel caso di specie sia esperibile solo l’esercizio di un potere di autotutela che, in quanto tale, non può prescindere dall’applicazione dei principi regolatori sanciti dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo (Cons. St., ad. plen., 29 luglio 2011 n. 15).

7. Ne consegue che se il potere di autotutela resta pur sempre un potere in cui sussiste la discrezionalità dell’Amministrazione è, comunque, necessario che il corretto esercizio di detto potere sia preceduto da una previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse e, quindi, da un’attività istruttoria diretta a verificare l’istanza del privato, attività istruttoria che deve ritenersi ancora più indispensabile nelle materie sottoposte a DIA o Scia nelle quali la tutela ex art. 31 comma 4 del codice del processo costituisce l’unica forma di tutela possibile.

7.1 Deve, infatti, ritenersi che l’attuale disciplina vigente, nel prevedere il ricorso allo strumento del “silenzio”, abbia di fatto inevitabilmente anticipato la tutela del terzo ad una fase di partecipazione procedimentale, il cui mancato esperimento ha l’effetto di privare il terzo di un’effettiva forma di tutela.

Come hanno evidenziato altre pronunce …”una volta formatosi il titolo edilizio della d.i.a., l'intervento dell'amministrazione può essere giustificato soltanto nell'ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies l. n. 241 del 1990, previo avviso di avvio di procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento (T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 13-04-2012, n. 299)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 230 del 2013

Le Camere di Commercio non possono più rilasciare certificati con dicitura “antimafia”

08 Mar 2013
8 Marzo 2013

Dal 14 febbraio 2013 sono in vigore le disposizioni integrative e correttive del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione: da tale data la documentazione antimafia deve essere richiesta alla Prefettura da parte delle Pubbliche Amministrazioni, da parte dei concessionari di opere pubbliche e da parte dei contraenti generali di cui all’art.76 del D.Lgs. n.163/06. Le Camere di Commercio non possono più rilasciare certificati con dicitura antimafia, in quanto viene meno la loro competenza sulla materia. Le imprese che effettuavano la richiesta di tale documento alle Camere di Commercio competenti, pertanto, potranno sostituire il certificato antimafia con una autocertificazione ai sensi dell’art.38 del DPR n.445/00 nei seguenti casi:
 contratti e subcontratti relativi a lavori o forniture dichiarate urgenti;
 provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti;
 attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività alla P.A. competente;
 attività provate sottoposte alla disciplina del silenzio-assenso, indicate nella tabella C annessa al regolamento approvato con DPR n.300/92.
(D.Lgs. n.218 del 15/11/2012, G.U. n.290 del 13/12/2012)

Nuovi chiarimenti sulla responsabilità fiscale solidale nei contratti di appalto di opere e servizi

08 Mar 2013
8 Marzo 2013

L'Agenzia delle Entrate ha fornito nuovi chiarimenti sull’applicazione operativa della norma introdotta dall’art.13-ter del D.L. n.83/12, che prevede la responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore per il versamento all’Erario dell’Iva e delle ritenute fiscali sui redditi dei lavoratori dipendenti dovute dal subappaltatore e l’applicazione di sanzioni in capo al committente che non ha effettuato i dovuti controlli (rilascio di autocertificazione o asseverazione) sulla regolarità dei versamenti fiscali dell’appaltatore e del subappaltatore. I principali dubbi risolti sono i seguenti:
- la norma va applicata esclusivamente in relazione alle fattispecie contrattuali ricadenti nei contratti di appalto di opere e di servizi ai sensi  ell’art.1655 del codice civile indipendentemente dal settore economico in cui operano le parti contraenti (non solo nel settore dell’edilizia);
- sono esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione della disciplina in commento gli appalti di fornitura di beni, i contratti d’opera, i contratti di trasporto, i contratti di subfornitura e le prestazioni rese nell’ambito del rapporto consortile;
- sono esclusi dall’ambito soggettivo di applicazione della disciplina le stazioni appaltanti, le persone fisiche prive di partita Iva e i condomìni;
- ricadono nell’applicazione della norma tutti i contratti di appalto stipulati a decorrere dal 12 agosto 2012 ovvero i contratti già in essere e rinnovati in data successiva al 12 agosto 2012.
(Agenzia delle Entrate, Circolare n.2, 01/03/2013)

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