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La Regione Veneto ci riprova coi “casoti”

20 Set 2013
20 Settembre 2013

Si era già detto che la Regione Veneto ama i "casoti".

Il Consiglio Regionale Veneto il 18 settembre 2013, in seno alla legge di proroga del Piano Faunistico venatorio del 2007, ha approvato un emendamento proposto dall’Assessore Regionale alla Caccia Stival che risolve il problema legato agli appostamenti fissi di caccia. La questione era sorta dopo la sentenza della Corte Costituzionale (da noi in precedenza commentata) che ha eccepito l'incostituzionalità della legge regionale con la quale si era proposto una specifica regolamentazione sui capanni da caccia.

Il testo ieri licenziato prevede la fondamentale distinzione tra le opere soggette a DIA e quelle, invece soggette ad una semplice comunicazione.

L’emendamento prevede che, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 20 bis della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” così come modificato dal presente articolo, “sono da considerarsi opere precarie e sono soggetti a DIA gli appostamenti per la caccia agevolmente rimovibili, destinati ad assolvere esigenze specifiche, contingenti e limitate nel tempo e ad essere rimossi al cessare della necessità. Ove tali opere ricadano in aree tutelate ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, le stesse sono assoggettate a procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica,  ai sensi dell’allegato 1, punto 39, del  Decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell'articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni”.

Diversamente “sono soggette a semplice comunicazione le opere precarie di cui al comma 1, ove rimosse entro 90 giorni; è in ogni caso fatta salva l’autorizzazione paesaggistica semplificata qualora ricadano in aree tutelate ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.”

Importanti poteri vengono dati ai Comuni, i quali possono determinare le modalità costruttive per gli appostamenti di caccia sia per quelli soggetti a DIA, sia per quelli soggetti a semplice comunicazione, nel rispetto della vigente disciplina in materia edilizia, tenendo comunque presente che per gli appostamenti di caccia diversi da quelli descritti nel presente emendamento, trovano applicazione le vigenti disposizioni in materia edilizia e paesaggistica.

La DIA di cui al comma 1 e la comunicazione di cui al comma 2 devono essere inoltrate al Comune territorialmente competente e, per conoscenza, alla Provincia territorialmente competente ai fini della pianificazione faunistico-venatoria.

In chiusura, l’emendamento modifica:

  1. Il comma 2 dell’art.20 bis della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” è così modificato:

“2. Le Province identificano, d’intesa con gli ambiti territoriali di caccia o i          comprensori alpini, le zone in cui possono essere collocati gli appostamenti di cui         al comma 1; gli appostamenti collocati al di fuori delle zone individuate dalle    Province non possono essere utilizzati a fini venatori.”.

2.   La lettera h) del comma 2 dell’art.9 della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50             “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” è così        modificata:

         “h) l’identificazione delle zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi, tenuto           conto anche di quelli autorizzati alla data in vigore della legge n.157/1992; per gli     appostamenti che vengono rimossi a fine giornata di caccia non è previsto l’obbligo della comunicazione al comune territorialmente competente;”.

Dott.sa Giada Scuccato

Il Consiglio Regionale Veneto abroga il quorum referendario per la fusione dei Comuni.

20 Set 2013
20 Settembre 2013

Si fa seguito alla nota del 12 dicembre, intitolata “Nota sulla fusione dei Comuni nel Veneto”, ove si spiegava nel dettaglio la procedura che le amministrazioni comunali avrebbero dovuto attivare per intraprendere il processo di fusione. Nella seduta del Consiglio Regionale del Veneto del 18 settembre 2013, è stato approvata la proposta di legge di modifica dell'articolo 6 della legge regionale del 24/12/1992 n. 25  "Norme in materia di variazioni provinciali e comunali", stabilendo che le consultazioni referendarie tra i cittadini interessati a progetti di fusioni di comuni o variazioni delle circoscrizioni comunali saranno valide indipendentemente dal numero degli elettori che vi partecipano. Il Consiglio regionale ha abolito, perciò, il quorum per i referendum consultivi relativi a modifiche dei confini comunali, riservandosi tuttavia la possibilità di valutare l’esito della consultazione, qualora la partecipazione fosse particolarmente esigua.

Della nuova legge, in vigore da subito, potranno beneficiare per primi gli elettori di Quero e Vas (ricordiamo il processo di fusione esaminato nella precedente nota citata sopra) chiamati il 27 ottobre a pronunciarsi con un voto diretto sulla fusione dei rispettivi comuni. Si ricorda che questo progetto è stato il primo dei 13 percorsi di unione amministrativa già avviati in Veneto nell’ultimo anno grazie alla legge che favorisce le aggregazioni tra amministrazioni locali.

dott.sa Giada Scuccato

L’architettura dopo la crisi: convegno a San Donà di Piave sabato 21 settembre 2013

20 Set 2013
20 Settembre 2013

Ore 16.30 Convegno
L’ARCHITETTURA DOPO LA CRISI
Prima o dopo la crisi finirà, proviamo ad immaginare come sarà l’architettura nel mondo prossimo.
Intervengono:
Dott. Leo Oliviero, Assessore all’edilizia
Dott.ssa Francesca Zottis, Assessore all’urbanistica
Prof. Ezio Miceli, Professore IUAV- Venezia
Arch. Diego Cisi, Archiplan- Mantova
Arch. Stefano Pujatti, Elasticospa-Torino
Arch. Alessandro Tessari, ETB, Treviso-Siviglia
Moderatore: Danilo Gerotto

Per informazioni Sportello unico dell’edilizia Comune di San Donà di Piave 0421-590404

FESTA DELL'ARCHITETTURA

I “casoti da cacia” all’interno dei siti natura 2000 (sic-siti di importanza comunitaria e zps-zone di protezione speciale) richiedono la valutazione di incidenza?

19 Set 2013
19 Settembre 2013

Sembra che la Forestale ritenga che la costruzione dei "casoti da cacia" all'interno dei siti natura 2000 (sic-siti di importanza comunitaria e zps-zone di protezione speciale) richieda la preventiva valutazione di incidenza, ai sensi del dpr 357/1997, come modificato dal dpr 120/2003 ed in violazione delle direttive 147/2009/ce (direttiva uccelli) e 92/43/ce (direttiva habitat).

Segnaliamo che il TAR Palermo, con al sentenza n. 1474 del 2013, ha dichiarato illegittimi i calendari venatori e il piani faunistico venatorio per non essere stati preceduti dalla valutazione di incidenza ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, come sostituito dall’art. 6 del d.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Palermo 1474 del 2013

Lo stato di abbandono di un immobile non ne azzera il carico urbanistico (ai fini del contributo concessorio in caso di lavori edili)

19 Set 2013
19 Settembre 2013

Segnaliamo sul tema del carico urbanistico, ai fini del calcolo del contribhuto concessorio, la sentenza del TAR Piemonte 1009 del 2013.

Il TAR decide un ricorso col quale la società ricorrente ha lamentato l’illegittimità dell’imposizione da parte del Comune, in sede di rilascio del permesso di costruire, del pagamento di oneri di urbanizzazione per la realizzazione dei lavori di riqualificazione dell’immobile che, consistendo in semplici opere di manutenzione straordinaria e mantenendo inalterate superfici e volumetria dell’unità immobiliare, non avrebbero comportato, a suo parere, a differenza di quanto ritenuto dall’Amministrazione, un incremento del carico urbanistico, già considerato al momento del rilascio dei titoli edilizi per la costruzione e l’ampliamento dell’impianto industriale nel 1973 e nel 1980.

IL Comune ha tentato di sostenere che la debenza ex novo degli oneri di urbanizzazione sarebbe stata cagionata dallo stato di abbandono che avrebbe caratterizzato lo stabilimento industriale (inattivo da circa 20 anni) “azzerando” il precedente “carico urbanistico derivante dal suo uso”.

Il TAR accoglie il ricorso.

Scrive il TAR: "Va ribadito sul tema che il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 10.02.2011 n. 243).

Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’immobile: poiché l’entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e, quindi, l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 14.11.2007, n. 11213).

Nella fattispecie non affiorano elementi utili a comprovare che il rifacimento dei servizi (bagni, spogliatoi) e la realizzazione di nuovi impianti tecnici (centrale termica, centrale frigorifera, impianto di scarico acque bianche, impianto di scarico acque nere, impianto antincendio) sia stata accompagnata da un’alterazione del carico urbanistico, tenendo conto che la “riqualificazione” de qua interessa un immobile avente già in precedenza destinazione industriale .

In ogni caso, come affermato di recente (cfr. sentenze di questa Sezione 2/3/2012 n. 355; 24/8/2012 n. 1467) in presenza di un insediamento già in possesso di analoghe caratteristiche funzionali (l’immobile era, come detto, già sede di una fabbrica di ceramiche) l’Amministrazione – per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione – avrebbe dovuto dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evinceva il maggior carico urbanistico addebitabile alla predetta destinazione (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 4/5/2009 n. 3604).

Nel caso concreto l’Amministrazione ha evidenziato, invece, solo nelle memorie difensive che la debenza ex novo degli oneri di urbanizzazione sarebbe stata cagionata dallo stato di abbandono che avrebbe caratterizzato lo stabilimento industriale (inattivo da circa 20 anni) “azzerando” il precedente “carico urbanistico derivante dal suo uso”.

Tali argomentazioni, soprattutto in mancanza di precisi elementi esposti al riguardo nel provvedimento impugnato, non possono essere condivise.

Alla luce delle argomentazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato nella parte relativa alla richiesta da parte del Comune degli oneri di urbanizzazione, accertamento della non spettanza dei detti oneri per l’intervento di “riqualificazione” di cui è causa ed assorbimento di ogni altra doglianza".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Piemonte 1009 del 2013

Se la P.A. non paga, l’appaltatore può sospendere i lavori

19 Set 2013
19 Settembre 2013

Si segnala che tra le novità introdotte dal c.d. “Decreto del fare” (D.L. 35/2013 convertito dalla L. 34/2013) vi è la previsione di una disciplina transitoria sul rifiuto dell’appaltatore di eseguire la propria prestazione ai sensi dell’art. 1460 c.c. (Eccezione d’inadempimento).

L’art. 6 bis del decreto ha inserito nell’art. 253 del Codice dei Contratti il comma 23 bis, che così recita: “In relazione all'articolo 133, comma 1, fino al 31 dicembre 2015, la facoltà dell'esecutore, ivi prevista, di agire ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile può essere esercitata quando l'ammontare delle rate di acconto, per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il 15 per cento dell'importo netto contrattuale"

Ciò significa che, fino al 31 dicembre 2015, le imprese che non vengono pagate dalle amministrazioni potranno sospendere i lavori ed agire per la risoluzione del contratto, se l'ammontare delle rate di acconto non pagate raggiunge il 15% dell'importo contrattuale netto, anziché il 25% come previsto in via ordinaria dall’art. 133 c. 1 D.lgs. 163/2006.

avv. Marta Bassanese

Le distanze per le api

19 Set 2013
19 Settembre 2013

Segnaliamo che l'articolo 8 della L. 24 dicembre 2004, n. 313 (Disciplina dell'apicoltura) ha disciplinato le distanze per gli apiari, stabilendo che:

Dopo l’articolo 896 del codice civile, è inserito il seguente:

 “Art. 896-bis – (Distanze minime per gli apiari) – Gli apiari devono essere collocati a non meno di dieci metri da strade di pubblico transito e a non meno di cinque metri dai confini di proprietà pubbliche o private.
Il rispetto delle distanze di cui al primo comma non è obbligatorio se tra l’apiario e i luoghi ivi indicati esistono dislivelli di almeno due metri e se sono interposti, senza soluzione di continuità, muri, siepi o altri ripari idonei a non consentire il passaggio delle api. Tali ripari devono avere una altezza di almeno due metri. Sono comunque fatti salvi gli accordi tra le parti interessate.
Nel caso di accertata presenza di impianti industriali saccariferi, gli apiari dev ono rispettare una distanza minima di un chilometro dai suddetti luoghi di produzione".

La regola del rispetto della distanza dei dieci metri, di cui all’art. 9 del D.M. n.1444/68, vale per le pareti con vedute e non per quelle con luci

18 Set 2013
18 Settembre 2013

Lo precisa la sentenza del Consiglio di Stato n. 4451 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "Ebbene, un preciso orientamento sia della Cassazione (Cass. Sez. Civ., Sez. II 30 aprile 2012 n.6604), sia di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. IV 22 gennaio 2013 n.844) - dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi- ha avuto modo di affermare come la regola del rispetto della distanza dei dieci metri, di cui all’art. 9 del D.M. n.1444/68, si riferisce esclusivamente a pareti munite di finestre qualificabili come vedute e non ricomprende anche quelle su cui si aprono finestre cosiddette lucifere (come nel caso di specie). Ciò che rileva, insomma, è che il Novaro non ha la possibilità di “inspicere” nell’altrui prospiciente proprietà; e se così è, non v’è luogo all’applicazione della norma ex art. 9 citato, non esistendo, appunto, pareti finestrate su edifici fronteggianti e/o contrapposti (illuminante al riguardo è la riproduzione fotografica n. 4 della documentazione acclusa alla relazione dell’Ufficio accertatore)".

Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4451 del 2013

Le dichiarazioni ex art. 38 Codice Appalti riguardano anche l’affitto del ramo d’azienda

18 Set 2013
18 Settembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 11 settembre 2013 n. 1090, asserisce che le dichiarazioni rese ex art. 38, D. Lgs. 163/2006, devono essere espressamente riferite anche al legale rappresentante/amministratore dell’impresa, dalla quale la concorrente di una ATI si sia resa affittuaria di un ramo d’azienda: “Vero è che nel codice degli appalti manca una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o fitto d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori e direttori tecnici della cedente - atteso che l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda successiva all’aggiudicazione della gara - tuttavia non è neppure dubitabile che la norma di cui al citato art. 38, comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono (così TAR Napoli, Sez. I, 03 giugno 2013, n. 2868, nonché A.P. n. 10 del 2012 per la fattispecie specifica della cessione d’azienda).

3.4. Peraltro, l’esigenza di riferire le dichiarazioni anche agli amministratori dell’impresa dalla quale la concorrente ha ottenuto la disponibilità dell’azienda è ancora più evidente nel caso in cui si tratti di affitto e non di cessione dell’azienda, dal momento che l’influenza dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti (cfr., in termini, Consiglio di Stato, Sezione III, 18 luglio 2011, n. 4354; C.G.A., 5 gennaio 2011, n.8 e 26 ottobre 2010, n. 1314; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 16 marzo 2011, n. 488).

3.5. Né, per le stesse ragioni, può aver rilievo la circostanza che, nel caso di specie, il fitto di ramo di azienda sia intervenuto in epoca antecedente (tre mesi prima) alla pubblicazione del bando”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1090 del 2013

La semplice comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 non estingue l’obbligo di provvedere perché non coincide con l’emanazione del provvedimento finale

17 Set 2013
17 Settembre 2013

Lo precisa (ma bisognava proprio farselo dire?) la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 9/9/2013 n. 4473.

Scrive il Consiglio di Stato:  "....Va osservato che, poiché sia l'art. 2 della legge n. 241/1990 che l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 stabiliscono che l'amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso e motivato, l’adempimento di detto obbligo si realizza solo mediante l'adozione del provvedimento finale, entro i termini stabiliti dalla legge o dai regolamenti, in quanto è proprio l'emanazione di esso provvedimento che costituisce l'oggetto dell'obbligo di provvedere gravante (in base a dette norme) sull'Amministrazione e solo l'emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento fa venire meno l'inerzia dell'amministrazione.

Di conseguenza, la semplice adozione di un atto endoprocedimentale, come la comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10 bis della l. n. 241/1990, non estingue l'obbligo di provvedere e non fa venire meno l'inerzia dell'amministrazione, perché non coincide con l'emanazione del provvedimento finale, oggetto dell'obbligo di provvedere.

Sotto altro profilo va considerato che l'avvio del procedimento e la trasmissione dell'avviso dei motivi ostativi comunque non possono soddisfare la pretesa del ricorrente ad ottenere un provvedimento espresso, né rendere inutile la decisione del ricorso, atteso che solo la declaratoria giurisdizionale dell'obbligo di provvedere e dell'illegittimità del silenzio attribuisce con sicurezza al ricorrente la possibilità di ottenere, anche tramite la nomina di un commissario “ad acta”, un provvedimento espresso e motivato sull'istanza proposta....".

Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4473 del 2013

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