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Sentenze sul P.I.: le scelte urbanistiche ed il commercio

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 22.06.2012 n. 877, si occupa del rapporto tra le scelte urbanistiche e la disciplina in materia di commercio, chiarendo che legittimamente il Comune può imporre - tramite le norme del PI - ad una attività commerciale la vendita al dettaglio dei soli prodotti realizzati nel loco dell’insediamento produttivo: “Premesso che, come correttamente osservato dalla difesa del Comune, la disciplina in materia di commercio non incide né condiziona di per sé le scelte di carattere urbanistico, di modo che, indipendentemente dal fatto che l’attività di vendita nei cd. esercizi di vicinato sia stata liberalizzata, nulla impedisce che il Comune organizzi il proprio territorio stabilendo che solo tale tipologia di attività vengano ammesse in un determinato ambito;

ciò permesso in termini generali, è tuttavia da rilevare che la richiesta di annullamento dell’emendamento apportato alle previsioni del PI, nei termini ritenuti pregiudizievoli per la ricorrente, in caso di accoglimento, non sortirebbe alcun effetto favorevole per l’istante, atteso che verrebbe a riassumere efficacia la precedente determinazione che non aveva accolto la richiesta di modifica proposta in sede di osservazioni dalla ricorrente, finalizzata a rendere possibile presso le grandi strutture produttive la vendita in loco dei prodotti realizzati”.

La sentenza del TAR Veneto sul P.I. citata in questo post è allegata al primo post datato 15 maggio 2013, avente per oggetto le sentenze del TAR Veneto sul P.I. di Verona.

dott. Matteo Acquasaliente

Sentenze sul P.I.: le scelte urbanistiche e il rapporto con l’affidamento dei privati e con la motivazione

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 09 maggio 2013 n. 689, conferma che le scelte urbanistiche rientrano nella discrezionalità dell’ente; tuttavia, laddove vi è un (precedente) affidamento qualificato del privato, esse necessitano di una motivazione specifica e puntuale atteso che: “Secondo i consolidati principi, infatti, le scelte di ordine urbanistico sono riservate alla discrezionalità dell'amministrazione, cui compete il coordinamento di quelle esigenze che nella concreta realtà si presentano in modo articolato, con la conseguenza che nell'adozione di un atto di programmazione territoriale avente rilevanza generale l'amministrazione stessa non è tenuta a dare specifica motivazione delle singole scelte operate, che trovano giustificazione nei criteri generali di impostazione del piano, a meno che sulla precedente disciplina urbanistica siano state fondate specifiche aspettative, come quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto (per tutte, Cons. Stato, IV, 4 maggio 2010, n. 2545).

Tali evenienze generatrici di affidamento "qualificato", sulla scia della giurisprudenza ormai consolidata, laddove insussistenti, fanno sì che non sia configurabile un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria, ma una mera spes, e quindi solo l'aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri all'utilizzazione più proficua dell'immobile, posizione cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell'Amministrazione; onde non può essere invocata la c.d. polverizzazione della motivazione, la quale si porrebbe in contrasto con la natura generale dell'atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 24 del 1999; idem, cit., sez. IV, n. 5210 del 2007; Cons.Stato, sez. III, 6 ottobre 2009,n. 1610; idem, sez. IV, 12 maggio 2010 , n. 2843; T.A.R.Umbria, 12 luglio 2007 , n. 554, Tar Campania, Napoli, sez. V, 3 giugno 2008 , n. 5222).

Per altro verso, le osservazioni presentate dagli interessati in merito alle varianti di piano assumono, come noto, valore di apporto collaborativo, il cui rigetto non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.

Infine, la valutazione dell'idoneità delle aree a soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici, rientra nei limiti dell'esercizio del potere discrezionale, rispetto al quale, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è configurabile neppure il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento basato sulla comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti. (cfr. per tutte, C.d.S, VI, 17.2.2012, n. 854).

Trattasi quindi dell’espressione di un potere di scelta, a carattere discrezionale, rispetto al quale non è ipotizzabile - in relazione a zone contigue od affini che siano assoggettate a regimi diversi - un'identità di posizioni soggettive ed oggettive che costituisce il presupposto per poter configurare il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento" (T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 19 novembre 2003 , n. 1602; T.A.R. Valle d’Aosta, 2.11.2011, n. 72)”.

Quanto esposto è confermato anche nella sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II, 09 maggio 2013 n. 677, laddove si afferma che: “1.3.1.Va a questo punto premesso che per consolidato orientamento giurisprudenziale le scelte effettuate dalla P.A. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono accompagnate da un’amplissima valutazione discrezionale, sono insindacabili nel merito e per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità delle stesse.

In effetti, disegnare in uno o in altro modo lo sviluppo dell’abitato, così come stabilire se un terreno debba essere utilizzato come area per strutture sportive o come lotto edificabile, sono fatti tecnicamente non vincolati né in alcun modo predeterminabili.

1.3.2. In ragione di tale discrezionalità, l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella predetta sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano.

1.3.3. Sempre al riguardo, giova rammentare che le scelte adottate per ciò che attiene la destinazione delle singole aree non necessitano di una specifica motivazione se non nel caso che la scelta vada ad incidere negativamente su posizioni giuridicamente differenziate ravvisabili unicamente però nell’esistenza di piani e/o progetti di lottizzazione convenzionati già approvati o situazioni di diverso regime urbanistico accertate da sentenze passate in giudicato” ed ancora: “1.3.4. Peraltro, la giurisprudenza amministrativa ha sempre affermato che non è invocabile, in materia, una sorta di diritto alla immutabilità della classificazione urbanistica dell’area di proprietà, e che la preesistente destinazione urbanistica non impedisce l’introduzione di previsioni di segno diverso in virtù dell’esercizio di uno jus variandi pacificamente riconosciuto all’Amministrazione. Ed inoltre, che la posizione del proprietario assume un contenuto di semplice aspettativa, senza che perciò, possa configurarsi a carico dell’Ente locale un onere di specifica motivazione in ordine alla disposta variazione urbanistica dell’area, ben potendo soccorrere al riguardo l’esposizione delle ragioni di carattere generale sottese alle scelte di gestione del territorio comunale (cfr Ad. Pl. n.24 del 22/12/1999)”.

In particolare, per quanto concerne la disparità di trattamento, il T.A.R. Veneto n. 677/2013 sottolinea che: “Anche tale doglianza è infondata, poiché le scelte urbanistiche hanno un effetto necessariamente disuguagliante, piuttosto, in questa materia, la regola è paradossalmente la disparità di trattamento, non essendo possibile pianificare l’uso del territorio senza differenziare le varie sue parti, valorizzandole alcune, destinandole ad esempio all’edilizia privata, e mettendone altre più o meno direttamente al loro servizio. In altri termini, poiché il piano ha come oggetto principale quello di attribuire destinazioni di aree, che non possono essere comunque le stesse, esso riveste necessariamente un carattere discriminatorio.

Conseguentemente, non possono avere ingresso in tale materia censure basate sulla disparità di trattamento.

In tal senso si veda la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo la quale “la scelta amministrativa sottesa all’esercizio del potere di pianificazione di settore deve obbedire solo al superiore criterio di razionalità nella definizione delle linee dell’assetto territoriale, nell’interesse pubblico alla sicurezza delle persone e dell’ambiente, e non anche ai criteri di proporzionalità distributiva degli oneri e dei vincoli, con la conseguenza che in relazione ad essa non può prospettarsi una disparità di trattamento.” (Cons. St. n. 3358/2008)”.

Inoltre, se il rigetto delle osservazioni presentate dai privati in sede di redazione degli strumenti urbanistici non richiede specifica motivazione poiché: “Ora, è nota la giurisprudenza relativa alla mancanza di necessità di idonea e specifica motivazione di reiezione sulle osservazioni dei privati nella adozione degli atti pianificatori. Ciò in quanto le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (ex plurimis, Consiglio Stato, IV, 21.5.2007, n.2577)” (cfr. T.A.R. Veneto, n. 677/2013) , le scelte (urbanistiche) discrezionali dell’ente possono essere sindacate dinanzi al Giudice amministrativo laddove sintomatiche del vizio dell’eccesso di potere, come sancisce il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 09 maggio 2013 n. 678, secondo cui: “7.1 Un costante orientamento giurisprudenziale ha di frequente ricordato (per tutti Cons. Stato Sez. IV, 26-05-2003, n. 2827) che anche nei provvedimenti che incidono sul merito sussistono precisi obblighi di motivazione e, ciò, laddove si è evidenziato che “la variante ad un piano regolatore deve essere motivata quando le nuove scelte incidono su legittime aspettative del privato”.

7.2 La stessa giurisprudenza di merito ha sottolineato come l’esistenza di un’attività produttiva determina l’insorgere di un limite al potere pianificatorio del Comune e, ciò, considerando che la nuova scelta urbanistica, tutte le volte che va ad incidere su posizioni consolidate dei privati, deve essere assistita da una puntuale e specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico ritenuto prevalente sul mantenimento dell’attività produttiva (T.A.R. Lombardia Brescia, 06-04-2004, n. 404).

7.3 E’ del tutto evidente che la discrezionalità del potere comunale di pianificazione del territorio trova un limite tutte quelle volte che le modifiche vanno ad incidere su posizioni consolidate di privati o, ancora, su legittime aspettative di conservazione delle destinazioni in atto. Detta circostanza finisce per correlare l’esercizio del potere discrezionale all’espressione di un’adeguata ponderazione degli interessi coinvolti che, in quanto tale, permetta di comprendere le ragioni alla base di detta nuova classificazione e i motivi in relazione ai quali si ritiene di imporre determinati sacrifici al privato in funzione di un determinato interesse pubblico perseguito.

7.4 Come ha confermato anche una recente pronuncia (Cons. Stato Sez. IV, 09-10-2012, n. 5257)L'obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi va inquadrato, senza formalismi, nel contesto complessivo del procedimento, nell'ambito del quale si devono collocare, logicamente e giuridicamente, tutti i presupposti - intesi come fatti storici - che hanno presidiato l'attività procedimentale e che erano comunque storicamente conosciuti dall'interessato nell'ambito di un rapporto di causa-effetto. Il difetto di motivazione, pur restando sempre e comunque un vizio di legittimità sul piano formale, per sua natura costituisce lo strumento tipico per l'analisi funzionale del provvedimento. Il difetto di motivazione, quindi, nell'ottica sostanziale sull'azione amministrativa, ha rilievo quando - menomando in concreto i diritti del cittadino ad un comprensibile esercizio dell'azione amministrativa - costituisce un indizio sintomaticamente rivelatore del mancato rispetto dei canoni di imparzialità e di trasparenza, di logica, di coerenza interna e di razionalità; ovvero appaia diretto a nascondere un errore nella valutazione dei presupposti del provvedimento”. 

Le sentenze del TAR Veneto sul P.I. citate in questo post sono allegate al primo post datato 15 maggio 2013, avente per oggetto le sentenze del TAR Veneto sul P.I. di Verona.

dott. Matteo Acquasaliente

Sentenze sul P.I.: il P.I. può modificare la destinazione di un’area impressa dal precedente PAT?

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 09 maggio 2013 n. 683, dichiara che, ex art. 17, c. 2, L.R. Veneto n. 11/2004, il contenuto del Piano degli Interventi deve essere coerente con le disposizioni previste dal Piano di Assetto del Territorio.

Chiarito che: “il Piano degli Interventi, nella disciplina regolativa, ha immotivatamente e inspiegabilmente riclassificato l’area di proprietà della ricorrente come “sub ambito agricolo di ammortizzazione e transizione” precludendo, in tal modo, ogni possibilità di trasformazione urbanistica dell’area in questione e sottoponendola ad una particolare tutela conservativa. Tale scelta si pone in aperto ed insanabile contrasto con il P.A.T. vigente che invece qualifica l’area come periurbana disciplinata dall’art. 51 delle NTA al PAT, sopra riportato”, il Collegio afferma che: “la delibera impugnata di approvazione del P.I., nella parte in cui riclassifica l’area di proprietà della ricorrente, qualificata dal P.A.T. come “periurbana” ex art. 51 delle N.T.A., in “sub ambito agricolo di ammortizzazione e transizione” ex art. 142 delle N.T.O. al P.I., si pone in netto contrasto con le scelte strategiche di sviluppo del territorio stabilite dal piano urbanistico di livello superiore, e ciò in violazione dell’art. 17 della L.R. n. 11/2004, che impone al P.I. di disciplinare gli interventi “in coerenza ed in attuazione del piano di assetto del territorio”.

Conformemente il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 09 maggio 2013 n. 676, afferma che il PI può comunque modificare (radicalmente) la destinazione di un’area impressa dal precedente PAT, soltanto a seguito di un’istruttoria seria ed approfondita e tramite una motivazione specifica e puntuale atta a dimostrare la ragionevolezza della scelta: “Tale modo di procedere è pertanto, non solo contraddittorio, ma si pone in aperto ed insanabile contrasto con la destinazione allo sviluppo insediativo previsto dal P.A.T. per l’area in questione (la quale è stata invece, dal P.I., relegata alla totale inedificabilità che caratterizza la disciplina dei sub ambiti agricoli di ammortizzazione e transizione). Una così radicale variazione della destinazione urbanistica dell’area, se espressione del potere del pianificatore, in sede di P.I., di precisare l’effettiva dimensione e l’ubicazione delle linee di sviluppo insediativo (ex art. 51, punto 51.02), doveva essere sorretta da una sufficiente motivazione, basata su risultanze acquisite attraverso un’istruttoria, ad esempio sulle specifiche caratteristiche dell’area, idonea a dimostrare la ragionevolezza della scelta e la sua coerenza con le prescrizioni del P.A.T.”.

Le sentenze del TAR Veneto sul P.I. citate in questo post sono allegate al primo post datato 15 maggio 2013, avente per oggetto le sentenze del TAR Veneto sul P.I. di Verona.

dott. Matteo Acquasaliente

Sentenze sul P.I.: il rapporto tra la vicinitas e l’impugnazione degli strumenti urbanistici

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, dopo aver costantemente chiarito che la mera vicinitas non è sufficiente per impugnare le scelte edilizie del vicino-confinante, giunge ad affermare che essa non è più sufficiente anche per impugnare le scelte urbanistiche dell’ente: “Sul punto, va in ogni caso osservato che – come da costante orientamento della Sezione - la mera vicinitas non può assurgere a requisito sufficiente al fine della legittimazione alla proposizione del ricorso, in quanto è sempre necessario stabilire la sussistenza del pregiudizio che la conformazione urbanistica di una determinata area potrà avere sugli interessi del soggetto istante, così da necessitare la dimostrazione delle ripercussioni, anche in termini di diminuzione del godimento del proprio bene, che dette previsioni possono comportare.

Nel caso di specie nulla è stato comprovato al riguardo, essendosi parte ricorrente limitata a denunciare il pregiudizio derivante dalla compromissione di un ambito del territorio per effetto della riduzione dell’area verde, come tale genericamente pregiudizievole dell’interesse, facente capo alla collettività, al contenimento dell’edificato: ne consegue l’inammissibilità della doglianza, formulata in termini generali a contestazione delle scelte pianificatorie, non essendo ammesso il ricorso allo strumento giurisdizionale quale controllo generalizzato sulla legittimità delle scelte dell’amministrazione” (T.A.R. Veneto, sez. II, 09.05.2013, n. 687; Id., 09 maggio 2013, n. 686).

 In realtà, in alcuni casi, il Collegio ritiene che la perdita di una visuale bucolica possa costituire ex se una lesione più che sufficiente per legittimare l’impugnazione dello strumento urbanistico: “nel caso di specie, i ricorrenti non vantano una mera “vicinitas” rispetto al nuovo intervento edificatorio, ma subiscono da questo un pregiudizio certo e concreto in termini di compromissione del godimento delle loro proprietà.

Il nuovo insediamento residenziale, infatti, andrebbe ad occupare l’area agricola antistante le villette abitate dai ricorrenti, le quali attualmente si trovano sul limite esterno dell’edificato urbano e possono beneficiare del verde e del silenzio della campagna e di una visuale ampia e libera.

In particolare, con il contestato intervento si prevede l’inserimento, in tale area confinante, di diversi fabbricati a due piani fuori terra, che dovrebbero ospitare, in tutto, circa 80 abitanti, nonché di edifici a destinazione commerciale-direzionale, quindi, la realizzazione di nuove strade, parcheggi ed opere infrastrutturali. Il che, oltre a ripercuotersi negativamente sulla conformazione del paesaggio, inevitabilmente determinerà un aumento del traffico veicolare e pedonale, e un connesso aumento dell’inquinamento atmosferico e acustico, con conseguenti riflessi negativi sulla qualità della vita degli attuali residenti.

D’altra parte è evidente come una cosa è avere di fronte la propria residenza una fascia agricola di territorio precollinare e altra cosa ancora essere fronteggiati da un insediamento residenziale.

Pertanto, in considerazione delle rilevanti dimensioni dell’intervento edilizio progettato e dei prevedibili riflessi che lo stesso può ragionevolmente produrre sulla sfera giuridica dei ricorrenti, si ritiene che nella specie non possa negarsi, in capo a costoro, l'esistenza di un interesse differenziato e qualificato. (Si veda la sentenza del Consiglio di Stato n. 5715/2012 che ha riguardato un caso analogo)”.

Le sentenze del TAR Veneto sul P.I. citate in questo post sono allegate al primo post datato 15 maggio 2013, avente per oggetto le sentenze del TAR Veneto sul P.I. di Verona.

dott. Matteo Acquasaliente

Sentenze sul P.I. del Comune di Verona

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Pubblichiamo una serie di sentenze del TAR Veneto che hanno deciso alcuni ricorsi riguardanti il P.I. del Comune di Verona.

Alcuni commenti a tali sentenze sono contenute nei cinque post che seguono.

TAR Venento n. 688 del 2013

TAR Veneto n. 676 del 2013

TAR Veneto n. 677 del 2013

TAR Veneto n. 678 del 2013

TAR Veneto n. 683 del 2013

TAR Veneto n. 684 del 2013

TAR Veneto n. 686 del 2013

TAR Veneto n. 687 del 2013

TAR Veneto n. 689 del 2013

TAR Veneto n. 877 del 2013

Schema di regolamento regionale recante gli indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale adottato con DGRV 38/CR del 07/05/2013 ed inviato alla commissione consiliare competente

14 Mag 2013
14 Maggio 2013

Pubblichiamo copia della deliberazione della Giunta Regionale del Veneto n. 38 del 7 maggio 2013, contenente la richiesta del parere della commissione consiliare sullo schema di regolamento regionale recante gli indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale, ai sensi dell'articolo 4, comma I, della legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 recante "Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto".

CR 38 - indirizzi commerciale

 

IL CDS sulla VAS per “piccola area di livello locale” con particolare riferimento a centri commerciali e parcheggi

14 Mag 2013
14 Maggio 2013

Segnaliamo il Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 6.5.2013, n. 2446.

Scrive il Consiglio di Stato: "Costituisce jus receptum, in giurisprudenza, il principio per cui la V.A.S. (valutazione ambientale strategica) introdotta dal D.Lgs. n. 152 del 2006 è una valutazione di compatibilità ambientale relativa ai piani e ai programmi e non già ai singoli progetti, per i quali il legislatore ha predisposto il diverso strumento del procedimento di valutazione impatto ambientale -cd. V.I.A.-. (Cons. Stato Sez. IV, 04-12-2009, n. 7651).

Stabilisce in proposito l’art. 6 del Lgs. n. 152/2006 (del quale appare conducente riportare per esteso il testo dei primi due commi) che “la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale.

Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi:

a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualita' dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, III e IV del presente decreto;

b) per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalita' di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d'incidenza ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni.”.

Come è agevole riscontrare, il comma 3 della predetta disposizione, si ricollega al comma secondo prima citato, specificando/modificandone le prescrizioni, in quanto stabilisce che: “Per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale e' necessaria qualora l'autorita' competente valuti che producano impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilita' ambientale dell'area oggetto di intervento.”.

Il concetto di “piccola area di livello locale” si lega al comma secondo quindi; e poiché ivi non è direttamente definito il concetto opposto di “non piccola area di livello locale” non facendosi riferimento ad alcun dato dimensionale, ad avviso del Collegio il referente corrispondente va individuato con riguardo alla prescrizione, contenuta sempre al comma 2 della citata disposizione, che richiama gli allegati II, III, IV del decreto.

Nell’allegato IV, in particolare, al punto 7 (“progetti di infrastrutture”) è dato riscontrare il correlativo referente del concetto di “piccole aree a livello locale” mancante nel testo del comma 2 laddove sono stati indicati (quale oggetto di obbligatoria sottoposizione a Vas):

“a) progetti di sviluppo di zone industriali o produttive con una superficie interessata superiore ai 40 ettari;

b) progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici superiori ai 40 ettari; progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all'interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari; costruzione di centri commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 "Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59"; parcheggi di uso pubblico con capacità superiori a 500 posti auto;”.

L’art. 12 del citato decreto, a propria volta richiamato dal comma 3 prevede che: “nel caso di piani e programmi di cui all'articolo 6, commi 3 e 3-bis, l'autorita' procedente trasmette all'autorita' competente, su supporto informatico ovvero, nei casi di particolare difficolta' di ordine tecnico, anche su supporto cartaceo, un rapporto preliminare comprendente una descrizione del piano o programma e le informazioni e i dati necessari alla verifica degli impatti significativi sull'ambiente dell'attuazione del piano o programma, facendo riferimento ai criteri dell'allegato I del presente decreto. L'autorita' competente, in collaborazione con l'autorita' procedente, individua i soggetti competenti in materia ambientale da consultare e trasmette loro il documento preliminare per acquisirne il parere. Il parere e' inviato entro trenta giorni all'autorita' competente ed all'autorita' procedente. Salvo quanto diversamente concordato dall'autorita' competente con l'autorita' procedente, l'autorita' competente, sulla base degli elementi di cui all'allegato I del presente decreto e tenuto conto delle osservazioni pervenute, verifica se il piano o programma possa avere impatti significativi sull'ambiente. L'autorita' competente, sentita l'autorita' procedente, tenuto conto dei contributi pervenuti, entro novanta giorni dalla trasmissione di cui al comma 1, emette il provvedimento di verifica assoggettando o escludendo il piano o il programma dalla valutazione di cui agli articoli da 13 a 18 e, se del caso, definendo le necessarie prescrizioni. Il risultato della verifica di assoggettabilita', comprese le motivazioni, deve essere reso pubblico. La verifica di assoggettabilita' a VAS ovvero la VAS relative a modifiche a piani e programmi ovvero a strumenti attuativi di piani o programmi gia' sottoposti positivamente alla verifica di assoggettabilita' di cui all'art. 12 o alla VAS di cui agli artt. da 12 a 17, si limita ai soli effetti significativi sull'ambiente che non siano stati precedentemente considerati dagli strumenti normativamente sovraordinati”.

Dalla piana lettura delle disposizioni summenzionate emerge quindi che l’art. 6 distingue la fattispecie della Vas obbligatoria - comma 2 della norma - rispetto a quella di cui al successivo comma terzo e che laddove si ravvisi la situazione normata al comma 3 si dà luogo a verifica di compatibilità, disciplinata dal successivo art. 12, mentre, laddove si verta nella fattispecie descritta al secondo comma si impone puramente e semplicemente l’obbligo di esperire la Vas.

Come si è fatto presente allorchè è stata respinta l’eccezione di irricevibilità del mezzo di primo grado, ove si sostenga che doveva puramente e semplicemente esperirsi la Vas in quanto imposta dal secondo comma della citata disposizione di cui all’art. 6 (non essendovi spazio per una “valutazione in concreto” che è invece normata dal successivo comma 3 della predetta disposizione) non rileva l’esito della verifica di esperibilità della Vas, né la omessa impugnazione della determina negativa.

La asserita incontestabilità della determina negativa non può precludere il rilievo del vizio di violazione di legge per non avere effettuato la vas laddove non v’era spazio alcuno per la verifica di esperibilità.

La valutazione ambientale strategica (VAS) di cui alla Direttiva 42/2001/Ce del Parlamento europeo, è volta a garantire che gli effetti sull'ambiente di determinati piani e programmi siano considerati durante l'elaborazione e prima dell'adozione degli stessi, così da anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata (come avviene per la valutazione di impatto ambientale) sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa, mancando in concreto la possibilità di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, le modalità di utilizzazione del territorio.

Detta valutazione, si rende necessaria in armonia con il principio di “precauzione” direttamente discendente dal Trattato Ue che, per ciò solo, costituisce criterio interpretativo valido in Italia, a prescindere da singoli atti di recepimento delle direttive in cui esso si compendia (per una definizione di quest’ultimo: “il cd. "principio di precauzione" fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione.”- T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 20-01-2012, n. 665-; “la regola della precauzione può essere considerata come un principio autonomo che discende dalle disposizioni del Trattato UE.

L'applicazione del principio di precauzione comporta che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali. “-T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 20-01-2012, n. 663-).

Sarebbe del tutto incongruo, ad avviso del Collegio, che soggetti che non abbiano partecipato alla fase di verifica di esclusione, pur legittimati ad insorgere (in virtù del criterio della vicinitas, ovvero come nel caso oggetto della odierna delibazione giudiziale, anche in virtù della propria particolare posizione di controinteresse discendente dalla titolarità di una attività “rivale” rispetto a quella in corso di autorizzazione) avverso gli atti successivamente adottati prescindendo dalla effettuazione della Vas vedano preclusa la propria legittimazione a denunciare il detto vizio a cagione della omessa impugnazione della delibera di esclusione.

A tacer d’altro, infatti, non è assolutamente noto, al momento in cui viene adottata la determinazione di esclusione, se effettivamente il procedimento proseguirà sino all’adozione del piano o programma: è quest’ultimo, infatti, che spiega affetto lesivo nei confronti del soggetto legittimato a dolersi ed insorgere giudizialmente. La preclusione alla denuncia del vizio della omessa effettuazione della Vas “discrezionale” determinata dalla omessa tempestiva impugnazione della detta determina di esclusione, priverebbe di tutela l’interesse sostanziale e generale, pur a fronte di un atto negativo dal quale il soggetto leso è rimasto del tutto estraneo".

Consiglio di Stato su VAS e PUA

Le edicole funebri necessitano di un titolo edilizio?

14 Mag 2013
14 Maggio 2013

 L’art. 94, c. 1, D.P.R. 10.09.1990 n. 285 (Regolamento di polizia mortuaria), adottato in esecuzione del R.D. 27.07.1934 n. 1265 (Testo Unico Leggi sanitarie), prevede che: “I singoli progetti di costruzioni di sepolture private debbono essere approvati dal sindaco su conforme parere della commissione edilizia e del coordinatore sanitario della unità sanitaria locale competente”.

 

Di conseguenza, un’interpretazione strettamente letterale della disposizione sembrerebbe escludere per le opere funebri l’applicazione del D.P.R. 380/2001, ritendo sufficiente che il progetto edilizio sia approvato dal Sindaco su conforme parere della commissione edilizia e della ASL/ULSS competente: “L’attività edilizia all’interno dei cimiteri è regolata, in via primaria, non dalla normazione urbanistica, ma dalle norme del regolamento di polizia mortuaria (D.P.R. 10.09.1990 n. 285 e successive modificazioni), e, in via secondaria, non dagli strumenti urbanistici generali, ma dal piano regolatore cimiteriale che. ogni Comune è tenuto ad adottare (cfr. ex multis Cass. Sez. III 02.06.1983 n. 451, TAR Sicilia-Catania 18.02.1981 n. 86, TAR Abruzzo-Pescara 04.12.1989 n. 534, TAR Toscana 03.05.1994 n. 176, TAR Calabria-Reggio Calabria 06.04.2000 n. 304). Pertanto, per lo svolgimento di attività edilizia all'interno dei cimiteri anche da parte dei privati non occorre il rilascio di alcuna concessione edilizia, essendo sufficiente il giudizio da parte del Sindaco di conformità del progetto alle prescrizioni edilizie contenute nel piano regolatore cimiteriale e non dalle norme comuni in tema di edilizia ed urbanistica” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 04.06.2004, n. 9187), confermando quanto già in precedenza asserito dalla Cassazione penale, sez. III, nella sentenza del 10.01.1990 secondo cui: “L'attività edilizia all'interno dei cimiteri, essendo regolata in via primaria dal regolamento di polizia mortuaria e, in via secondaria, dal piano regolatore cimiteriale, non è compresa nell'ambito di applicazione della legge n. 10 del 1977 e successive modificazioni”.

 

Ma è davvero così? In realtà, la citata disposizione del regolamento di polizia mortuaria non sembra escludere ex se la necessità di un titolo edilizio, specificando soltanto la competenza del Sindaco in materia, conformandosi alla normativa prevista negli anni novanta in campo edilizio (questo perché il regolamento risale al 1990).

 

La giurisprudenza più recente, infatti, sembra richiedere uno specifico titolo edilizio in quanto le edicole funebri realizzate dai privati all’interno del cimitero, non sono ex se opere pubbliche e, di conseguenza, non costituiscono attività edilizia libera ex art. 7, lett. c, D.P.R. 380/2001: “Cappelle, edicole e tumuli, invece, come già scritto autonomamente realizzabili dagli assegnatari dei suoli, eventualmente riuniti in confraternite, risultavano privi di siffatta connotazione in quanto primariamente destinati al soddisfacimento di specifici, 'individuati' interessi singolari (quelli degli assegnatari cui la loro realizzazione era affidata), pur avendo, in una prospettiva complessiva e finale, un apprezzabile rilievo sociale: non si trattava, dunque, di opere 'stricto sensu' pubbliche, come tali esonerate dalla necessità di uno specifico titolo edilizio in applicazione dell'art. 7, lett. c), d.p.r. n. 380 del 2001 (a norma del quale <<Non si applicano le disposizioni del presente titolo per: [...] c) opere pubbliche dei comuni deliberate dal consiglio comunale, ovvero dalla giunta comunale, assistite dalla validazione del progetto, ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554>>).

4.3 Legittima, per conseguenza, la valutazione della loro abusività effettuata dal Comune” (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 13.03.2013, n. 575).

 

Conferma indiretta di ciò deriva anche dalla sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa, sez. giurisd., 10.06.2009, n. 534 che, con riferimento agli oneri di costruzione ex art. 9, c. 1), lett. f.) l. 10/1977 (trasfuso nel vigente art. 17, c. 3, lett. c), D.P.R. 380/2001) afferma la loro debenza non trattandosi di opere pubbliche: “Non è esentato dal pagamento degli oneri di urbanizzazione il titolo edilizio rilasciato ad una Confraternita per la realizzazione di una cappella cimiteriale, poiché difettano i presupposti oggettivi e soggettivi, necessariamente concorrenti, in base ai quali l'art. 9, lett. f) l. n. 10 del 1977 riconosce il beneficio della gratuità, la cui "ratio" è quella di agevolare l'esecuzione di opere destinate al soddisfacimento di interessi pubblici. Dal punto di vista soggettivo, infatti, le confraternite non perseguono un interesse generale ricadente sull'intera collettività, bensì particolare siccome afferente ai propri associati e quindi ad una determinata categoria di persone; dal punto di vista oggettivo, invece, l'opera in questione non è annoverabile tra le opere di urbanizzazione che l'ultima parte dell'art. 9, lett. f) l. n. 10 del 1977 individua come quelle realizzate dal privato in attuazione di uno strumento urbanistico”).

 

Anche il T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, nella sentenza del 26.01.2010, n. 26, giunge alle medesime conclusioni seppur con un ragionamento diverso: “Quanto alla necessità del titolo edilizio in ordine al progetto della cappella funeraria, la legittimità del regolamento comunale discende sia dal principio di sussidiarietà, che si è illustrato prima, sia da evidenti considerazioni sistematiche.

Infatti, il tenore della disciplina del DPR 380/01 è tale da attrarre nella sua sfera di applicazione ogni genere di trasformazione edilizia dei suoli e dunque non si vede quale tipo di ragione, in diritto o anche di esigenza di interesse pubblico, dovrebbe comportare una eccezione per gli edifici funerari, peraltro soggetti alla disciplina delle norme tecniche dell’edilizia, in funzione antisismica, che sono disciplinate pur sempre dal medesimo DPR 380/2001 (art. 52 e ss. ed in particolare artt. da 83 in poi).

A ben vedere, l’unica sostanziale ragione secondo la quale parte ricorrente sostiene la estraneità della disciplina in materia rispetto a quella generale, starebbe in una sostanziale specialità del DPR 285/1990, che esaurirebbe in sé la disciplina applicabile, con la conseguenza che l’autorizzazione del sindaco in esso prevista costituirebbe l’unico titolo esigibile per la costruzione del manufatto a servizio votivo dei defunti.

Si deve dare atto che tale argomentazione è fondata sulle conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza più risalente (TAR Sicilia Catania, 18.02.1981, n. 88; Cassazione Penale, sez. III, 02.03.1983) e che, peraltro, anche pronunce recenti hanno mantenuto (TAR Campania, Napoli, 9187/2004).

Tuttavia, il Collegio deve sottoporre a revisione critica l’orientamento appena richiamato: invero, la “specialità” del regolamento di igiene di cui al DPR 285/1990, che trae il proprio vigore dalle norme di cui al testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27.07.1934, n. 1265, artt. da 337 a seguire, non esclude la necessità del titolo edilizio, quando il regolamento locale lo richiede.

Invero, l’art. 94 del DPR 285/1990, che prevede che i singoli progetti di costruzioni di sepolture private debbono essere approvati dal sindaco su conforme parere della commissione edilizia e del coordinatore sanitario della unità sanitaria locale competente, ha ad oggetto l’esercizio del potere di controllo della corrispondenza del progetto con le previsioni del piano regolatore del cimitero di cui agli artt. 54 e ss. del medesimo decreto, e quindi richiama, nella disciplina territoriale, all’esercizio dei poteri di controllo delle attività di trasformazione del territorio che, come si è visto, sono da ritenersi strutturalmente propri delle competenze comunali ai sensi del Dlgs 267/2000, collocandoli all’interno di un quadro generale costituito dalla regolamentazione del piano regolatore cimiteriale.

Ne consegue che l’art. 94 cit. va interpretato nel senso che non istituisce un procedimento tipico o nominato: il Comune, pertanto, ben può riservare, in via regolamentare, l’esercizio del summenzionato potere di controllo alla disciplina procedimentale propria del DPR 380/2001, assicurando uniformità di presupposti, procedimenti e condizioni all’esercizio del potere di controllo delle trasformazioni edilizie del territorio, sia in area cimiteriale che all’esterno di essa, con la conseguenza che è legittima la previsione regolamentare locale che assoggetta l’edificazione nel suolo cimiteriale alle più garantite procedure di autorizzazione proprie della disciplina edilizia generale di cui al DPR 380/2001 ed alla conseguente disciplina (oneri concessori, termini di inizio e fine lavori e così via)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Calabria n. 26 del 2010

TAR Puglia Lecce n. 575 del 2013

Farmacie: la Regione può solo intervenire in via sostitutiva in caso di inerzia dell’ Ente locale

14 Mag 2013
14 Maggio 2013

La vicenda giuridica che brevemente si illustra concerne la pianificazione delle sedi farmaceutiche così come rinnovata dalle ultime liberalizzazioni.

Nel dettaglio, si tratta dell'applicazione giurisprudenziale dell'art. 11 del c.d. “decreto liberalizzazioni o Cresci Italia” - (D.L. 24.01.2012 n. 1) poi convertito, con modificazioni dalla Legge 24.03.2012 n. 27 – che ha ad oggetto  il potenziamento del servizio di distribuzione farmaceutica, l'accesso alla titolarità delle farmacie e la modifica della disciplina della somministrazione dei farmaci.

Tale norma, infatti, aumenta il numero delle autorizzazioni all'apertura delle farmacie modificando il rapporto farmacie/numero di abitanti (una farmacia ogni tremila abitanti); obbliga regioni e province autonome a modificare le piante organiche delle farmacie e a bandire un concorso straordinario per la copertura delle nuove farmacie e per quelle vacanti.

In applicazione della suddetta normativa il Comune di Bergamo ha ritenuto che ricorressero le condizioni per programmare l'apertura di altre farmacie.

Dopo un'istruttoria l' Ente deliberava l'istituzione di tre nuove sedi farmaceutiche trasmettendo la deliberazione alla Regione Lombardia.

Il titolare di una farmacia bergamasca ubicata nella zona interessata all'apertura delle nuove farmacie non condivideva le scelte comunali e impugnava tutti gli atti del procedimento e soprattutto la deliberazione della Giunta comunale rilevando, tra l'altro, l'incompetenza della Giunta comunale a decidere in materia di apertura di nuove farmacie  in quanto il potere di “zonizzazione” attribuito dal “Decreto Cresci Italia” al Comune rientrerebbe nella competenza pianificatoria del Consiglio comunale ex art. 42 D.Lgs n. 267/2000.

Intanto la Regione Lombardia bandiva il concorso straordinario per l'assegnazione delle nuove sedi farmaceutiche che però veniva prontamente impugnato dalla farmacia bergamasca.

I suddetti ricorsi venivano assegnati alla seconda Sezione del T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, che preliminarmente riuniva le due impugnazioni e poi le respingeva con la sentenza del 02 maggio 2013 n. 402.

I giudici amministrativi, innanzitutto, rilevano che la competenza alla pianificazione di nuove sedi farmaceutiche appartiene all'organo esecutivo dell'Ente locale ossia alla Giunta comunale. Quest'ultima, infatti, ha competenza residuale per gli atti di amministrazione non riservati espressamente al Consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalle leggi o dallo Statuto, del Sindaco, del Presidente della Provincia, degli Organi di decentramento, del Segretario o dei funzionari dirigenti.

Altresì il Tribunale evidenzia che, innovando rispetto al passato, l'art.11 del “Decreto Cresci Italia” ha attribuito al Comune la competenza esclusiva di individuare il fabbisogno di farmacie e di conseguenza di decidere l'istituzione di nuove sedi farmaceutiche.

La Regione – continuano i giudici - ha solo il compito di gestione delle procedure di copertura delle sedi con un unico concorso a livello regionale e cioè di intervenire in via sostitutiva in caso di inerzia dell' Ente locale.

Da ciò deduciamo che l'attività di controllo della Regione riguarda esclusivamente gli aspetti formali degli atti necessari e non si estende al merito delle scelte operate dal Comune che resta l'unico titolare di decidere sulla pianificazione di sedi farmaceutiche sul proprio territorio.

di Rocco Giacobbe Vaccari – Avvocato del Foro di Padova

TAR_Lombardia,_Brescia_n._402_del_2013

Perchè il proprietario incolpevole è lo stesso destinatario dell’ordine di demolizione dell’immobile abusivo

13 Mag 2013
13 Maggio 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 541 del 2013.

Scrive il TAR: "da rigettare è il secondo motivo d’impugnazione, con il quale si sostiene che il proprietario dell’immobile abusivo, laddove non sia responsabile dell’abuso, non possa essere destinatario dell’ordine di demolizione. E ciò, interpretando il disposto dell’art. 29 del Dpr 380/2001 nella parte in cui individua nel “responsabile dell’abuso” il soggetto destinatario delle sanzioni previste. Va rilevato, infatti, come l’art. 29 non ricomprenda tra i soggetti destinatari di dette sanzioni il proprietario dell’immobile abusivo. Affinchè il proprietario acquisisca la connotazione di “responsabile” è  del tutto evidente che nei suoi confronti debba potersi ascrivere una qualche responsabilità, per aver egli concorso, anche solo moralmente, con il committente o l’esecutore dei lavori illegittimi alla realizzazione dell’abuso contestato. Detta disciplina risulterebbe applicabile se ci si limitasse ad un esame letterale della sola disposizione di cui all’art. 29 del Dpr 380/2001. Tuttavia, è necessario rilevare come il successivo art. 31 prevede che .."Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3".  E’ allora chiara l’esistenza di una precisa scelta del legislatore diretta a ricomprendere il proprietario tra i soggetti destinatari dell’ordine di demolizione a prescindere o meno se vi sia stato un suo concorso nella realizzazione dell’abuso. Detta scelta trova la sua ratio nella considerazione per cui il proprietario è il solo soggetto legittimato ad intervenire sull’immobile, ed eliminare così un abuso anche in precedenza realizzato, non potendo sottrarsene adducendo l’esclusiva responsabilità di terzi, o del precedente proprietario e venditore. L’ordine di demolizione ha, infatti, una natura non personale ma reale, seguendo oggettivamente la cosa abusiva e il suo rapporto proprietario, e non mira a colpire l’attività del costruire illegittimamente svolta e quindi a irrogare una sanzione afflittiva al responsabile dell’abuso (come le sanzioni penali), bensì ad eliminare una situazione obiettivamente antigiuridica. Esso non ha, dunque, una funzione afflittiva, bensì ripristinatoria dell’ordine urbanistico violato e, in quanto tale, ricade direttamente sul soggetto che si trova in rapporto qualificato con il bene (il proprietario per l’appunto), a nulla rilevando l’intervenuta alienazione dell’immobile da parte di chi ha compiuto l’abuso. L’eventuale alienazione dell’immobile determina il venire in essere della possibilità per l’acquirente di rivalersi nei confronti del venditore tutte le volte che ne dovesse derivare un danno patrimoniale anche riconducibile all’avvenuta demolizione. Né può giovare all’acquirente lo stato di buona fede (ignoranza) in cui eventualmente versava all’atto della stipula, per avere il venditore  falsamente dichiarato la persistente pendenza della pratica di condono. Tale falsa dichiarazione del venditore (e il correlativo stato di buona fede dell’avente causa), infatti, può costituire valida causa di invalidità del contratto sotto il profilo civilistico, ma non è idonea a consentire all’acquirente di contestare il provvedimento sanzionatorio amministrativo".

sentenza TAR Veneto 541 del 2013

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