Tag Archive for: Amministrativo

Il D.M. 41843 per i pagamenti dei debiti per gli appalti di lavori pubblici da escludere dal patto di stabilità

20 Mag 2013
20 Maggio 2013

Premesso che: “il comma 1 dell’articolo del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35, che prevede che i pagamenti di debiti di parte capitale certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti di parte capitale per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine, ivi inclusi i citati pagamenti delle provincie in favore dei comuni, sostenuti nel corso del 2013 dagli enti locali, sono esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno per un importo complessivo di 5.000 milioni di euro” e che: “il comma 3 dell’articolo 1 del predetto decreto legge n. 35 del 2013 che dispone che, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sono individuati, entro il 15 maggio 2013, per ciascun ente locale, gli importi dei pagamenti da escludere dal patto di stabilità interno per il 90 per cento dell’importo di cui al comma 1 sulla base delle modalità di riparto individuate dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali che potrà fornire entro il 10 maggio 2013, ovvero, in mancanza, su base proporzionale. Con successivo decreto da emanarsi entro il 15 luglio 2013 in relazione alle richieste pervenute entro il 5 luglio si procede al riparto della quota residua del 10 per cento”, Il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – in data 14 maggio 2013 ha emanato il decreto n. 41843 con il quale si attribuiscono agli enti locali ed alle provincie l’entità dei pagamenti dei debiti per gli appalti di lavori pubblici da escludere dal patto di stabilità.

Inoltre si sottolinea che l’art. 9 del D. L. 35/2013 stabilisce che: “Entro il 30 giugno 2013 le pubbliche amministrazioni di cui agli articoli 1, 2, 3 e 5, comunicano ai creditori, anche a mezzo posta elettronica, l'importo e la data entro la quale provvederanno rispettivamente ai pagamenti dei debiti di cui agli articolo 1, 2, 3 e 5. L'omessa comunicazione rileva ai fini della responsabilità per danno erariale a carico del responsabile dell'ufficio competente”.

dott. Matteo Acquasaliente

decreto ministeriale

2013_Allegato_DM41843_Spazi_finanziari_DL35

Due DGRV sul contributo previsto dall’art. 37 della L. R. 3/2000 per compensare economicamente le Amministrazioni comunali interessate dal disagio dovuto dalla presenza di impianti di gestione dei rifiuti

20 Mag 2013
20 Maggio 2013

La Deliberazione della Giunta Regionale n. 452 del 10 aprile 2013 reca "Articolo 37 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 come modificato dall'art. 41 della legge regionale 6 aprile 2012, n. 13 (legge Finanziaria per l'esercizio 2012). Prima individuazione dell'entità del contributo da applicare in via sperimentale quale compensazione economica al disagio dovuto dalla presenza di impianti di gestione dei rifiuti. DGR n. 12/CR del 29/01/2013"

DGRV 452 del 2013

Con la Deliberazione della Giunta Regionale n. 578 del 03 maggio 2013 la Giunta Regionale, nel confermare quanto deciso con la delibera n. 452 del 10/04/2013, ridetermina alcune delle aliquote originariamente fissate in funzione della diversa tipologia di rifiuto considerata

DGRV 578 del 2013

La L. R 8/2013 “Disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche” modifica la L.R. 10/2001 e la L.R. 33/2002 in materia di turismo

20 Mag 2013
20 Maggio 2013

Sul Bur n. 42 del 17 maggio 2013 è stata pubblicata la L.R. veneta n. 8 del 14 maggio 2013, recante "Disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche. Modifica della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 "Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche" e successive modificazioni e della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 "Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo" e successive modificazioni".

Modifica commercio aree pubbliche

Convegno di Venetoius su PAI e altre complicazioni: crediti formativi

17 Mag 2013
17 Maggio 2013

Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza ha riconosciuto 4 crediti formativi alla partecipazione al convegno organizzato da Venetoius per il 31 maggio 2013  su PAI, terre e rocce da scavo e pubblicazioni obbligatorie.

LOCANDINA convegno 31 maggio 2013

Il D.M. del 1968 prevale anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme e va applicato anche a corpi distinti di un’unica costruzione, compresa l’ipotesi di sopraelevazione

17 Mag 2013
17 Maggio 2013

Il Consiglio di Stato, Sez. IV ,  in data 8 maggio 2013, con al sentenza n. 2483, si è espresso sui presupposti per ritenere applicabile la distanza di 10 metri tra parete finestrata e parete dell’edificio antistante ex art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968.

La tesi del Comune, smentita dal Consiglio di Stato, considerava il progetto de quo come una mera “sopraelevazione” riconducibile, al più, ad un intervento di “nuova ristrutturazione” e non già di “nuova costruzione”, con la conseguente applicazione in tale ultimo caso soltanto della distanza di m. 10 da corpi antistanti.

Nella sentenza si legge che: “Va, infatti, in primo luogo evidenziata l’intrinseca contraddittorietà della tesi dell’Ascheri secondo la quale la distanza di m. 10 non si applicherebbe alle ipotesi di “edificio unico”, come – per l’appunto – nel caso in esame, posto che l’Ascheri medesimo ha ben più fondatamente sostenuto per l’innanzi, anche con l’adesione di questo stesso giudice, che l’edificio di cui trattasi non costituisce un “condominio” ma due unità abitative tra di loro autonome. Ma, soprattutto, è assorbente la constatazione, derivante dalla giurisprudenza dianzi citata, che l’art. 9 del D.M. 1444 del 1968, laddove impone l’anzidetta distanza di 10 metri tra parete finestrata e corpo edificato, è norma di ordine generale, prevalente anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme, e va pertanto applicata anche a corpi distinti di un’unica costruzione, ivi dunque compresa l’ipotesi di sopraelevazione (cfr. sul punto, ad es., Cass. Civ., Sez. II, 27 marzo 2001 n. 4413).”

dott.sa Giada Scuccato

CDS 2483-2013

La violazione dell’obbligo di custodire le offerte rileva se è verosimile o probabile che sia avvenuta una qualche forma di manomissione

17 Mag 2013
17 Maggio 2013

 Il T.A.R. Veneto, nella sentenza n. 593/20103, afferma che la violazione dell’obbligo di adeguata conservazione dei plichi contenenti le offerte di gara, deve essere formulata in modo specifico e non generico, poiché occorre “l’allegazione di specifici elementi atti a far ritenere verosimile o probabile che sia avvenuta una qualche forma di manomissione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 25 febbraio 2013, n. 1169)”.

La sentenza da ultimo citata, infatti, è chiara nel confermare “l’orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. III, 25 novembre 2011 n.6266; III, 13 maggio 2011 n.2908; V, 7 luglio 2011 n.4055; V, 5 ottobre 2011 n.5456) secondo il quale, ove si lamenti la mancata, idonea custodia delle buste contenenti la documentazione di gara e delle offerte, spetta al deducente suffragare l’assunto con elementi circostanziati o quantomeno sintomatici, tali da far ritenere verosimile o altamente probabile che la condotta dell’amministrazione possa avere dato adito a manomissioni e che in mancanza di deduzioni specifiche ogni censura avanzata in proposito è affetta da assoluta genericità.

 Nella fattispecie Tecnologie Sanitarie, né al momento del ricorso in primo grado, né nel corso dell’appello incidentale, ha mai individuato, nemmeno in via di ipotesi, una qualche manomissione degli atti di gara, né ha indicato sospetti verso un qualsiasi elemento della documentazione a corredo presentata dalla Tea o da altre ditte che potesse essere stato oggetto di alterazione o contraffazione”.

dott. Matteo Acquasaliente

Strada privata con servitù di uso pubblico: la servitù di U.P. e la destinazione a O.U. primaria non bastano al Comune per consentire l’apertura di passi carrai ai terzi

16 Mag 2013
16 Maggio 2013

Lo stabilisce il Consiglio di Stato nella sentenza n.  2416 del 2013.

Tenendo conto di tale orientamento, ai Comuni conviene inserire nelle convenzioni urbanistiche o negli atti unilateriali d'obbligo la clausola pattizia contenente il consenso del proprietario della strada a costituitre non solo la servitù di uso pubblico a favore del Com,une, ma anche  a favore di tutti i frontisti. Altrimenti i lotti frontisti possono essere considerati come interclusi, vale a dire privi di accesso.

Scrive il Consiglio di Stato: "2. Il thema decidendum consiste nello stabilire se legittimamente l’amministrazione comunale possa, in sede di rilascio di un permesso di costruire, consentire l’accesso – carrabile e pedonale – da un’area privata su una strada ad uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà di un altro soggetto privato e qualora manchi il consenso (anzi: vi sia l’espresso dissenso) da parte del proprietario.

2.1. Ad avviso del Collegio, la sentenza è meritevole di conferma laddove ha ritenuto che al quesito debba essere fornita risposta in senso negativo.

Al riguardo si osserva in primo luogo:

- che è pacifico in atti che la via Ateleta è un’arteria viaria in parte di proprietà comunale e in parte di proprietà della cooperativa edilizia appellata e che essa si configura – almeno in parte – come strada privata di suo pubblico in quanto consente il collegamento fra due strade piuttosto importanti per la viabilità cittadina (la Via Abruzzo e la Via della Scuola);

- è parimenti pacifico che l’accesso pedonale e carrabile che il Comune ha ammesso da e per il complesso immobiliare della società appellante ricade in toto nella porzione della via Ateleta di proprietà della cooperativa appellata (in tal senso depone, oltretutto, la relazione tecnica che il primo giudice ha demandato al dirigente del Settore Viabilità – Mobilità della provincia dell’Aquila).

2.2. Ora, risulta in atti che sia sorta fra le parti private una controversia avente ad oggetto la delimitazione della consistenza dei reciproci diritti sulla strada in questione e che essa sia stata definita con sentenza del Tribunale civile dell’Aquila n. 202 del 2009, il quale si è espresso nei termini che seguono: “l’utilizzazione di una strada privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità indeterminata di persone, se da un lato vale ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non può dall’altro legittimare il proprietario del fondo confinante all’apertura di accesso alla strada stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico del bene privato e che correlativamente non può essere neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”; pertanto, “ [l’assoggettamento] ad uso pubblico della strada Ateleta (…) non poteva certamente legittimare la resistente, una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di passaggio”.

Ritiene il Collegio le conclusioni cui è pervenuto il giudice civile siano condivisibili e applicabili anche ai fini della definizione della presente controversia, nel cui ambito la questione relativa alla delimitazione dei diritti e degli obblighi delle parti private in lite viene in rilievo in quanto incide sulla legittimità degli atti abilitativi rilasciati dall’amministrazione comunale.

In particolare, la sentenza civile è condivisibile laddove ha osservato che la compressione delle prerogative del proprietario conseguenti all’assoggettamento del bene al pubblico passaggio non può spingersi (per evidente eterogeneità di ratio) sino ad ammettere l’adozione di atti abilitativi (nel caso di specie: il permesso di costruire) i quali comportino un’ulteriore forma di compressione volta al soddisfacimento di un interesse squisitamente privato ed individuale, quale l’accesso alla strada di uso pubblico.

Si osserva, d’altronde, che se si ammettesse che in sede di rilascio del permesso di costruire all’autorità amministrativa sia consentito costituire sull’area di un terzo un peso (nel caso si specie: l’obbligo di consentire il passaggio) indipendentemente dal consenso del proprietario, si giungerebbe ad ammettere un modo surrettizio di costituzione di una servitùsostanziale (quale quella che consente il passaggio attraverso e sul fondo del vicino) al di fuori dei tassativi modi di costituzione espressamente richiamati dall’articolo 1032 del Codice civile e in assenza della corresponsione dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli 1032 e 1053 del medesimo Codice.

2.3. Si osserva, inoltre, che le conclusioni richiamate non sono in contrasto con i princìpi enucleati dalla sentenza di questo Consiglio di Stato, quinta sezione, 9 giugno 2008, n. 2864 (espressamente richiamata nell’atto di appello).

Si osserva al riguardo:

- che quella sentenza ha compendiato i princìpi giurisprudenziali in tema di presupposti e condizioni per l’assoggettamento all’uso pubblico di una strada privata, ma non ha trattato la questione (che qui viene in rilievo) relativa al se tale assoggettamento ad uso pubblico comporti altresì che l’amministrazione possa – in assenza o in contrasto con la volontà del proprietario – consentire un accesso ad uso esclusivamente privato sull’area;

- che, se per un verso è vero che la sentenza in parola ha affermato che l’assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata comporta che questa diviene soggetta alla normale disciplina stradale “e la proprietà privata si riduce al fatto che l'area ritornerebbe nella piena disponibilità del proprietario quando cessasse la destinazione stradale”, per altro verso essa non ha affatto affermato che ciò comporti necessariamente la possibilità di adottare in modo legittimo atti di carattere abilitativo quale quello impugnato in primo grado. Anzi, se si portasse alle estreme conseguenze di sistema l’assunto dell’appellante, si giungerebbe alla conclusione (invero inammissibile) secondo cui, anche una volta venute meno le condizioni che hanno comportato l’assoggettamento ad uso pubblico della strada, non verrebbe meno l’impropria forma di servitù in tal modo costituita (lo si ripete: in assenza di una fonte legale o volontaria di costituzione ai sensi dell’articolo 1032 del Codice civile).

3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Per le medesime ragioni deve altresì essere respinto l’appello incidentale proposto dal Comune dell’Aquila il quale (coma anticipato in narrativa) risulta basato essenzialmente sulla tesi secondo cui il primo giudice non avrebbe adeguatamente valutato ai fini del decidere la circostanza per cui la via Ateleta sia qualificabile come strada privata ad uso pubblico, nonché come opera di urbanizzazione primaria nell’ambito del complessivo piano di gestione territoriale".

sentenza CDS 2416 del 2013

Soltanto il protocollo dell’Ente attribuisce certezza sull’an e sul quando dell’acquisizione di un documento

16 Mag 2013
16 Maggio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza n. 2359 del 30 aprile 2013 ha stabilito che: “si debba attribuire rilievo al decorso del tempo (per la verifica della formazione di un silenzio della pubblica amministrazione o del mancato esercizio di un potere di riesame), tranne i casi espressamente tipizzati dalla legge, non rileva di per sé la rilevazione su un foglio dei dati di ‘ricezione di un fax’ o l’apposizione di un generico timbro: ha rilievo la data attestata dal protocollo, facente fede fino a querela di falso, soltanto dopo la quale comincia a decorrere il termine entro il quale il potere può essere esercitato. Del resto, il fatto che solo l’acquisizione in via ufficiale al registro di protocollo dell’Ente possa garantire la necessaria certezza sull’an e sul quando dell’acquisizione di un determinato documento risulta viepiù confermato nel caso di specie, per i profili di incertezza che emergono dall’esame del documento versato in atti”.

dott.sa Giada Scuccato

cds 2359-2013

Responsabilità della P.A: sul ricorrente incombe l’onere della prova di tuti gli elementi costitutivi dell’illecito

16 Mag 2013
16 Maggio 2013

Con la sentenza n. 2388 del 2 maggio 2013, il Consiglio di Stato, sez. V, si è espresso sull’onere della prova dell'illecito della P.A. nel processo amministrativo, ribadendo che lo stesso spetta al ricorrente.

Si legge infatti che: “Anche nel giudizio amministrativo, invero, spetta al ricorrente, che assume di aver subito un danno dall’adozione di un provvedimento illegittimo o anche da un comportamento della pubblica amministrazione, l’onere della prova, secondo il principio generale fissato dall’art. 2697 c.c. (ex multis, C.d.S., sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; 18 gennaio 2006, n. 112; sez. VI, 14 novembre 2012, n. 5747; 22 agosto 2006, n. 4932; 27 febbraio 2006, n. 835), non potendo a tanto supplire il soccorso istruttorio del giudice, trattandosi di prove che sono nella piena disponibilità della parte. E’ stato ripetutamente sottolineato, in tema di responsabilità della pubblica amministrazione, che l’ingiustizia del danno non può considerarsi in re ipsa nella sola illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo in realtà il giudice procedere ad accertare che sussista un evento dannoso; che il danno sia qualificabile come ingiusto (in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento); che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione; che l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della pubblica amministrazione anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa (ex pluribus, Cass. Civ., sez. III, 28 ottobre 2011, n. 22508; 23 febbraio 2010, n. 4326).”

dott.sa Giada Scuccato

CDS 2388-2013

Sentenze sul P.I.: previsioni regolative, operative e programmatiche del PI

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Previsioni regolative, operative e programmatiche del PI

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 09 maggio 2013 n. 688, si occupa della distinzione tra le previsioni urbanistiche regolative, quelle operative e programmatiche del Piano degli Interventi, chiarendo che: “A ciascuna tipologia di prescrizioni è assegnata una funzione precisa, in rapporto alle esigenze di disciplina dell’organizzazione del territorio, immediata o programmata nel tempo, nello spirito di attuazione delle previsioni contenute nel PAT.

E’ così stato previsto che per quanto riguarda il normale esercizio dell’attività conformativa del territorio da parte dell’autorità comunale dovranno essere osservate le prescrizioni regolative, riferite in modo particolare all’attività edilizia della città esistente e del territorio aperto: trattasi quindi della disciplina ordinaria, di gestione della situazione esistente al momento dell’approvazione del piano.

Le altre due tipologie sono invece rivolte a disciplinare l’attività edilizia nella prospettiva di realizzare interventi di trasformazione ed espansione dell’esistente: trattasi di attività programmate sulla base di previsioni quinquennali, quindi di previsioni interessanti interventi che avranno realizzazione nel tempo, nell’ottica di trasformazione della realtà esistente, seguendo gli obiettivi indicati dal PAT (previsioni operative) ovvero di previsioni di più ampio periodo, che superano il quinquennio, e che dovranno tenere conto anche degli sviluppi ed integrazioni dello stesso Piano degli Interventi (previsioni programmatiche).

Per quanto riguarda in particolare le previsioni operative, che individuano le aree e gli immobili nei quali sarà possibile realizzare gli interventi di trasformazione dell’esistente o di espansione, è prevista l’applicazione della normativa dettata dalla legge regionale n. 11/2004, consentendo la presentazione da parte dei soggetti privati di “manifestazioni di interesse” che, una volta ritenute ammissibili in quanto compatibili con il PAT e gli obiettivi dell’amministrazione, contribuiranno ad integrare la disciplina dettata dal PI, mediante l’elaborazione di una “scheda norma”, che provvederà a regolare direttamente l’area di riferimento, sostituendosi alle norme di piano.

Appare quindi evidente il rapporto intercorrente fra le previsioni di tipo regolativo e quelle di tipo operativo, anche da un punto di vista temporale: con le prime si intende disciplinare la situazione esistente al momento della elaborazione del piano degli interventi, con le seconde si intendono disciplinare, favorendo la collaborazione con i privati, le operazioni di trasformazione e di espansione del territorio.

In quest’ottica, appare chiara la funzione di sostanziale “salvaguardia” affidata alle prescrizioni regolative, affinché, nell’attesa dell’attuazione degli interventi di trasformazione previsti dal piano, non intervengano modifiche tali da compromettere il raggiungimento degli obiettivi di programmazione urbanistica”.

La sentenza del TAR Veneto sul P.I. citata in questo post è allegata al primo post datato 15 maggio 2013, avente per oggetto le sentenze del TAR Veneto sul P.I. di Verona.

dott. Matteo Acquasaliente

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