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Come deve essere motivato un parere negativo in materia di condono edilizio?
La sentenza del TAR Veneto n. 922 del 2014 dichiara illegittimo un parere negativo della Commissione di Salvaguardia di Venezia per difetto di motivazione: "Detti ricorsi possono essere accolti, ritenendo fondato il motivo relativo all’asserita esistenza di un difetto di motivazione (primo motivo del ricorso RG 306/97 e terzo del ricorso RG 2201/98).
3.1 La Commissione di Salvaguardia, nell’ambito di un procedimento di sanatoria, ha ritenuto di fondare il suo parere negativo, rinviando a quanto in precedenza previsto con riferimento ai pareri negativi del 1985 (peraltro annullato da questo Tribunale per carenza di motivazione) e al vincolo del 1988 (quest’ultimo confermato da una pronuncia di secondo grado), riferiti entrambi ad istanze di autorizzazione per manufatti poi effettivamente realizzati.
3.2 Ciò premesso è evidente l’illegittimità del parere (e quindi per illegittimità derivata anche del successivo diniego) nel momento in cui la Commissione di Salvaguardia, lungi da esprimere una qualche e autonoma valutazione di incompatibilità con riferimento al
procedimento di sanatoria, si è limita a rinviare, in modo del tutto apodittico, alle precedenti valutazioni poste in essere dalla stessa
Commissione.
3.3 Si consideri, ancora, che i pareri menzionati erano riferiti non ad analoghi procedimenti di condono, bensì a procedimenti di
autorizzazione dei titoli edilizi, nell’ambito dei quali la Commissione di Salvaguardia aveva espresso un giudizio di non compatibilità del progetto che, nel contempo, era stato già realizzato.
3.4 E’, altresì, noto che nell’ipotesi di un’istanza di condono di cui alla L. n. 47/1985 l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo ha l’onere di valutare, in considerazione della specialità e dell’eccezionalità della disciplina del condono, i profili di compatibilità sopra citati che, in quanto tali, devono tenere conto della circostanza che l’opera è stata realizzata e, ancora, dell’esistenza di un interesse del privato al mantenimento dell’opera di cui si tratta.
3.5 Detto principio è applicabile soprattutto nel caso di specie dove la richiesta di sanatoria era riferita non già ad un’opera eseguita in assenza di preventiva concessione, quanto in ragione di un titolo abilitativo poi successivamente annullato.
3.6 Infatti, in relazione a provvedimenti negativi in materia di nulla osta paesaggistico, pur ritenendosi sufficiente una motivazione circoscritta alla situazione di incompatibilità, sussiste comunque l’onere dell’Amministrazione di motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all'esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali le opere edilizie considerate non si ritengono adeguate alle caratteristiche ambientali protette (in questo senso si veda Cons. Stato, VI, 8 maggio 2008, n. 2111 e T.A.R. Salerno sez. I del 20/06/2012 n. 1236).
3.7 Ne consegue che conformemente agli orientamenti sopra citati deve ritenersi illegittimo, nell'ambito della procedura di sanatoria, il parere negativo espresso ai sensi dell'art. 32 della L. n. 47 del 1985, nella parte in cui non contiene una specifica motivazione in ordine al pregiudizio che all'interesse pubblico deriverebbe dall'intervento stesso. E’, altrettanto, evidente che pur non spingendosi l'onere motivazionale fino al punto dell'indicazione di prescrizioni tali da rendere l'intervento edilizio assentibile, il provvedimento di diniego deve rendere intelligibili all'interessato le ragioni del ritenuto contrasto dell'opera con il paesaggio circostante, così da consentire, se del caso, l'adozione di eventuali accorgimenti volti a consentirne il recupero della compatibilità ambientale e paesaggistica.
3.8 Si consideri, ancora, che anche laddove risultasse insistente sull’area un vincolo di inedificabilità assoluto, e risultasse applicabile l’art. 33 della L. n. 47/1985 (circostanza che comunque non è possibile evincere dal parere impugnato) è stato affermato che “nondimeno in caso di vincolo successivo (come nel caso di specie), il parere negativo al rilascio della sanatoria non può ritenersi atto vincolato, da adottarsi in via automatica solo per effetto dell'esistenza del vincolo di inedificabilità, dovendo la Soprintendenza svolgere i necessari accertamenti in concreto per valutare la compatibilità del manufatto con il provvedimento di vincolo. In altre parole, in caso di vincolo sopravvenuto, l'accertamento della Soprintendenza deve essere concreto ed approfondito e nella motivazione dell'atto devono essere puntualmente indicate le ragioni per le quali la conservazione dell'intervento (conseguente al rilascio della sanatoria) sia incompatibile con i valori tutelati” (T.A.R. Lazio sez. II del 05/02/2009 n. 1212).
4. Detto difetto di motivazione deve ritenersi sussistente, sia per quanto concerne il parere negativo della Commissione di Salvaguardia sia, ancora, per quanto riguarda – e per illegittimità derivata - l’impugnazione proposta avverso il provvedimento definitivo di diniego del 13 Maggio 1998 (RG 2201/98) che, in quanto tale, fa proprie le conclusioni del provvedimento obbligatorio e vincolante sopra citato".
Dario Meneguzzo - avvocato
Saremo costretti a rimpiangere il bicameralismo perfetto?
Vale la pena di leggere questa notizia, per capire quali leggi strampalate stiano facendo sul processo amministrativo: http://www.lexitalia.it/p/2014/ricorsodimensionato.htm
Il processo amministrativo è bistrattato da molti anni. Ci sarebbero molte cose da scrivere, ma qualcuno magari direbbe che vogliamo difendere chissà quali privilegi e non il diritto dei cittadini e delle imprese di far valere i propri diritti.
Facciano dunque i nostri legislatori. Ma bisognerebbe almeno che non scadessero nel ridicolo, come in quello che si legge in quel link.
Nel contempo viene però da pensare che forse il legislatore costituente aveva visto giusto prevedendo un bicameralismo perfetto, che avrà anche rallentato il nostro sistema, ma che in tante occasioni ha permesso di rimediare a sciocchezze come questa.
Avvocato Giovanni Sala (Vicenza)
Il parere obbligatorio e vincolante è un atto immediatamente impugnabile anche se endoprocedimentale?
Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 922 del 2014: "2. Con riferimento al ricorso RG 306/1997 è necessario esaminare l’eccezione preliminare proposta dall’Amministrazione comunale diretta a rilevare l’inammissibilità del ricorso in quanto diretto ad ottenere l’annullamento di un parere e, quindi, di un atto ritenuto endoprocedimentale.
2. 1 L’eccezione è infondata è va respinta. Costituisce orientamento consolidato (per tutti si veda T.A.R. Veneto Sez. II, 10-03-1987, n. 140) che il parere della commissione di salvaguardia, previsto per l'esecuzione di opere edilizie nella laguna di Venezia dall'art. 6, l. 16 aprile 1973, n. 171, ha carattere obbligatorio e vincolante, esplicando “un'efficacia del tutto particolare verso l'attività dell'amministrazione attiva, dal momento che imprime il suo contenuto ed orienta la valutazione finale in maniera ben più intensa di un semplice atto di collaborazione consultiva; esso, pertanto, può essere acquisito anche in via di sanatoria”.
2.2 E’ inoltre, evidente che detto parere esprime una valutazione di compatibilità, o di incompatibilità, analoga (e per certi versi più ampia in quanto riferita anche a profili edilizi) a quella caratteristica del parere della Soprintendenza di cui all’art. 146 dell’art. 42/2004, in relazione al quale sussiste un orientamento pressocchè unanime diretto a sancire l’autonoma impugnabilità (T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, 16-01-2013, n. 11).
2.3 Va, altresì, ricordato che anche questo Tribunale (T.A.R. Veneto sez. II del 21/10/2005 n. 3731) ha avuto modo di rilevare come il parere della Commissione di Salvaguardia sia immediatamente impugnabile e, ciò, pur costituendo un atto endoprocedimentale inserito, com’è, nel provvedimento di rilascio di un titolo abilitativo".
Dario Meneguzzo - avvocato
Ratifica e rimozione dei rifiuti
Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1031 dopo aver chiarito che il programma di smaltimento dei rifiuti ha la stessa natura giuridica dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti (“L’eccezione con la quale il Comune sostiene l’improcedibilità del ricorso perché con esso è impugnato non un ordine di rimozione di rifiuti ma un ordine di presentazione di un programma di smaltimento che alla fine è stato presentato dai proprietari dei terreni, non può essere accolta.
Infatti l’ordine di presentazione del programma di smaltimento dei rifiuti si inscrive, al pari dell’ordine di rimozione, nell’ambito della procedura prevista dall’art, 192 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, è un atto immediatamente lesivo nei confronti del destinatario, e la sua lesività non è superata dall’avvenuta presentazione del medesimo da parte dei proprietari, che sono solo dei coobbligati in solido”) si sofferma sulla ratifica dei provvedimenti in materia di rimozione dei rifiuti.
In particolare i Giudici statuiscono che: “Infatti va in primo luogo sottolineato che, come chiarito dalla giurisprudenza, la ratifica di un atto amministrativo non richiede una specifica motivazione sull'interesse pubblico (cfr. Consiglio Stato Sez. V, 30 agosto 2005, n. 4419) in quanto l’interesse pubblico che lo sorregge è la perdurante persistenza di quello perseguito dall’atto da convalidare (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 7 settembre 2001, n. 771; Consiglio di Stato , Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 683).
In secondo luogo va osservato che l’esigenza di salvaguardare l’ambiente e le matrici ambientali dalla contaminazione derivante dall’abbandono dei rifiuti, obbliga l’Amministrazione ad individuare i responsabili e ad ottenere da loro il ripristino delle condizioni ambientali precedenti e, contrariamente a quanto dedotto, il potere di ratifica risulta esercitato entro un termine ragionevole, tenuto conto della circostanza che alla data del provvedimento di ratifica non era stato ancora presentato il programma di smaltimento, e l’abbandono dei rifiuti configura un illecito di carattere permanente”.
Infine con riferimento alla omessa comunicazione di avvio del procedimento affermano che: “Orbene, tenuto conto che la ratio perseguita con l'art. 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241, deve ritenersi soddisfatta, nonostante la mancanza della rituale comunicazione di avvio, ogniqualvolta l'interessato abbia avuto comunque compiuta conoscenza dell'avvio del procedimento (cfr. Tar Lazio, Roma, 6 marzo 2013, n. 2391; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. I, 12 dicembre 2012, n. 1167; Consiglio di Stato, Sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032; Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1476; id. 4 dicembre 2009, n. 7607; Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 marzo 2009, n. 1207), la censura deve essere respinta”.
dott. Matteo Acquasaliente
Differenza tra le regole di zonizzazione/ localizzazione e le prescrizioni di dettaglio del PRG ai fini della decorrenza del termine di impugnazione
La sentenza del TAR Veneto n. 990 del 2014 distingue tra le varie previsioni del P.R.G. ai fini della decorrenza del termine dell'impugnazione: "Ciò precisato in punto interesse, è tuttavia da osservare come, per le medesime ragioni, le censure dedotte avverso le delibere di variante siano palesemente tardive e quindi il ricorso irricevibile, in quanto, proprio perchè immediatamente pregiudizievoli degli interessi facenti capo ai ricorrenti (nei termini testè ricordati), dovevano essere oggetto di immediata impugnazione, entro i termini ordinari di decadenza, una volta decorsi i termini di pubblicazione (trattandosi di atti generali, che non interessavano direttamente i ricorrenti). E’ quindi proprio l’assunto sulla base del quale i ricorrenti fondano il proprio interesse e quindi la legittimazione alla proposizione del gravame a determinare la fondatezza dell’eccezione di irricevibilità del ricorso per quanto riguarda specificatamente l’impugnazione delle delibere consiliari, risalenti al 2009, che hanno apportato la variante al PRG, modificando, in termini per loro pregiudizievoli, la destinazione urbanistica della zona antistante e comunque posta nelle immediate vicinanze delle loro abitazioni. Sul punto va richiamato e condiviso l’orientamento già manifestato dal Tribunale in fattispecie analoga, nella quale era stata parimenti censurata la modifica di destinazione urbanistica di un area, che da zona F era divenuta zona C (cfr. T.A.R. Veneto, II, n. 1779/2011): in tale occasione il Tribunale, richiamando altri arresti giurisprudenziali, aveva in primo luogo sottolineato che “nel sistema di pubblicità-notizia disciplinato dalla legislazione urbanistica nazionale e regionale nonché ai sensi dell’art. 124 del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267, il termine per l’impugnazione decorre dalla data di pubblicazione del decreto di approvazione o, comunque, al più tardi dall’ultimo giorno della pubblicazione all’albo pretorio dell’avviso di deposito presso gli uffici comunali dei documenti relativi al piano approvato, con la sola eccezione della ipotesi che esso incida specificatamente, con effetti latamente espropriativi, su singoli determinati beni, nel cui caso solo è dovuta la notifica individuale ai proprietari interessati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4545 del 2010; n. 5818 del 2009; 12 giugno 2009, nr. 3730; Cons. Stato, sez. VI, 3 agosto 2007, nr. 4326; Cons. Stato, sez. V, n. 6214 del 2008; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2006, nr. 1534; Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2004, nr. 5510; id., 19 luglio 2004, nr. 5225; id., 8 luglio 2003, nr. 4040; id., 16 ottobre 2001, nr. 5467; C.g.a.r.s., 8 ottobre 2007, nr. 929” (così in motivazione, C.d.S., IV, 28 marzo 2011 n. 1868). Con specifico riguardo al profilo in esame è stato quindi osservato come sia “orientamento consolidato (cfr. Cons. Stato VI Sez. n. 5258 del 2009; 1567 del 2007) quello secondo cui in tema di disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, deve distinguersi fra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione; la destinazione di aree a soddisfare gli “standard” urbanistici; la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) dalle altre regole che più in dettaglio disciplinano l’esercizio dell’attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze; sull’osservanza di canoni estetici; sull’assolvimento di oneri procedimentali e documentali; regole tecniche sull’attività costruttiva, ecc.)”. In altri termini, stante l'immediato effetto conformativo dello jus aedificandi derivante dalla diversa zonizzazione, appare conseguentemente necessario che, onde evitare il consolidarsi di tali previsioni (che per i titolari delle aree interessate costituiscono il fondamento in base al quale potranno essere realizzate le nuove edificazioni, in questo caso a destinazione residenziale) il contenuto di tali previsioni venga contestato entro il termine di decadenza, a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio. In difetto di tale gravame, le regole di zonizzazione e di localizzazione divengono inoppugnabili, diversamente che nel caso in cui si tratti di contestare prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare, le quali sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo e possono essere, quindi, oggetto di censura in occasione della sua impugnazione. I contenuti della variante apportata al PRG del Comune di Cortina, per quel che riguarda la località Calstelverzo di Sopra, proprio per i riflessi che la nuova previsione di zona avrebbe avuto sull’area antistante le abitazioni dei ricorrenti, erano quindi di immediata percezione e soprattutto evidenziavano da subito, senza dover attendere ulteriori specificazioni (ad esempio in sede progettuale o di rilascio dei titoli edilizi) il nuovo assetto del territorio, così come voluto dall’amministrazione comunale, con la possibilità di realizzare due gruppi di insediamenti a destinazione residenziale per l’edilizia popolare. Per tali ragioni, ritenuta la fondatezza dell’opposta eccezione, il ricorso risulta in parte qua irricevibile".
Dario Meneguzzo - avvocato
sentenza TAR Veneto n. 990 del 2014
Anche gli impianti fotovoltaici sono soggetti alla compatibilità ambientale
Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 14 luglio 2014 n. 3645 conferma che anche gli impianti di produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica devono ottenere la compatibilità paesaggistico-ambientale: “Il decreto legislativo 29 dicembre 2003 n.387 di attuazione della direttiva CEE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili all’art.12 stabilisce espressamente (comma 3) che “la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili … nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi sono soggetti ad un’autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o da altro soggetto istituzionale delegato dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico- artistico” ed inoltre al successivo comma 4 della predetta legge è altresì contemplato che “l’autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nei principi del rispetto della semplificazione …”.
In attuazione di tali previsioni legislative la chiesta progettazione e realizzazione di impianti per essere autorizzati vanno esaminati e assentiti o meno anche in relazione alla loro compatibilità paesaggistico- ambientale e questo perché, ferma restando la valenza delle iniziative volte alla produzione e utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili è indispensabile contemperare la salvaguardia delle esigenze poste dai valori paesaggistici del territorio su cui detti impianti vanno ad inserirsi, in ossequio peraltro ad un più vasto e moderno concetto di governo del territorio volto ad assicurare una tutela delle aree che tenga presente sia dei valori ambientali e paesaggistici, sia delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti sia delle esigenze economico -sociali, unitamente al modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi in considerazione della loro storia, della tradizione e della conformazione morfologica (vedi, per tutte, Cons. Stato Sez. IV 10/5/2012 n. 2710)”.
Per quanto concerne il momento in cui la V.A.S. deve intervenire: “La Valutazione Ambientale Strategica, volta a garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente sì da rendere compatibile l’attività antropica con le condizioni di sviluppo sostenibile va ad integrare le scelte discrezionali tipiche dei piani e dei programmi e l’art.11 del dlgs n.152 del 2006 al comma 3 a proposito della effettuazione i tale procedura così recita: “… la fase di valutazione è effettuata anteriormente all’approvazione del piano o programma … e comunque durante la fase di predisposizione dello stesso. Essa è preordinata a garantire che gli impatti significativi sull’ambiente derivanti dall’attuazione dei detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione”.
Dalla lettura della norma de qua non si evince affatto che la procedura VAS quale passaggio endoprocedimentale (Cons. Stato Sez. IV 12/1/2011 n.133 ; idem 17/9/2012 n.4926) debba avvenire al momento dell’adozione e neppure prima e d’altra parte appare del tutto ragionevole che la valutazione in questione venga esperita prima del varo finale del Piano (l’approvazione) proprio per far sì che la verifica dell’incidenza delle scelte urbanistiche sugli aspetti di vivibilità ambientale del territorio avvenga nel momento in cui tali scelte stiano per divenire definitive”, mentre con riferimento alla V.I.A. si legge che: “Quanto alle ragioni di cui al suindicato punto b) con cui si invoca una sorta di affidamento alla compatibilità ambientale sulla scorta dei pareri resi in precedenza in senso favorevole al progetto, la circostanza dedotta non vale ad inficiare gli atti di segno diverso,successivamente posti essere atteso che il rapporto giuridico in rilievo poteva e doveva essere definito secondo il criterio del tempus regit actum, con riferimento cioè alle disposizioni sopravvenute durante la gestione della varie fasi del procedimento e sussistenti al momento di conclusione dello stesso (Cons. Stato Sez. IV 22/1/2013 n.359).
Col terzo mezzo d’impugnazione parte appellante imputa in sostanza alla Regione di aver ingiustificatamente “baipassato” il parere favorevole reso dal Comune di Brindisi in sede di VIA, disattendendo così la valenza di detto parere valido anche ai fini paesaggistici.
La doglianza non ha pregio.
Invero, è noto che la verifica ambientale di VIA è procedura che viene esperita a monte della pianificazione e attiene appunto agli aspetti squisitamente ambientali della progettazione e su ciò il Comune di Brindisi si è debitamente pronunciato; altra cosa invece è il recepimento da parte dello stesso Ente in sede di variante al PRG delle previsioni recate dalla Carta Idrogeomorfolica, prescrizioni che incidono precipuamente sugli aspetti paesaggistici dei siti posti nelle vicinanze dei corsi d’acqua.
A parte la differenza ontologica esistente tra l’adempimento procedurale previsto dall’art.26 del dlgs n.152/06 e la natura normativa delle prescrizioni della Carta, gli ambiti di applicazione e le finalità perseguite dalle due fasi procedimentali in rilievo sono del tutto diverse, per cui ben può accadere come peraltro correttamente evidenziato dal TAR procedente che un progetto sia compatibile per alcuni aspetti e sotto altri no e questo al di là dell’obbligo , pure sussistente, di definire la richiesta di autorizzazione sulla base dello ius superveniens rappresentato dalla sopraggiunta adozione della Carta Idrogeomorfologica”.
dott. Matteo Acquasaliente
ANAC: Orientamento n. 11/2014 – SCIA E DIA IN MATERIA EDILIZIA EQUIPARATE A PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
La dott.sa Paola Masetto, che sentitamente ringraziamo, inizia una collaborazione col nostro sito in materia di trasparenza e anticorruzione.
Pubblichiamo la sua nota sull'orientamento ENAC n. 11/2014 in materia di SCIA e DIA.
In caso di esproprio il soggetto delegante è responsabile in solido col delegato
Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 995 del 2014: "2. Ciò premesso va esaminata l’eccezione, contenuta nel ricorso incidentale proposto dall’Anas, relativa all’accertamento di un difetto di legittimazione attiva, eccezione quest’ultima reiterata, con analoghe – e contrarie - argomentazioni, da parte della società Campenon Bernard.
2.1 Dette eccezioni sono entrambe infondate.
2.2 Se, infatti, alla società concessionaria spettava, in virtù della Convenzione sottoscritta, l’emanazione degli atti di esproprio, risulta dirimente constatare come la stessa procedura espropriativa era stata posta in essere nell’interesse dell’ANAS Spa che, in quanto tale, era comunque tenuta al rispetto degli obblighi di vigilanza sul corretto esperirsi della procedura in questione.
2.3 Un precedente orientamento che questo Collegio ritiene di condividere ha, infatti, correttamente rilevato (TAR Lombardia, Brescia, n. 13/2013 e Corte di Cassazione, sez. I civ., 04 giugno 2010 , n. 13615) che "qualora l'amministrazione espropriante avvalendosi dello schema di cui agli art. 35 e 60 L. n. 865 del 1971 affidi ad altro soggetto, anche mediante appalto o concessione, la realizzazione di un'opera pubblica e gli deleghi nello stesso tempo gli oneri concernenti la procedura ablatoria (e non anche tutti i poteri suoi propri, di soggetto espropriante, come è peculiare della concessione traslativa) da compiere in nome e per conto del delegante", è ravvisabile "una corresponsabilità solidale dell'ente delegante il quale con il conferimento del mandato non si spoglia delle responsabilità relative allo svolgimento della procedura espropriativa secondo i suoi parametri soprattutto temporali e conserva, quindi, l'obbligo di sorvegliarne il corretto svolgimento anche perché questa si svolge non solo in nome e per conto di detta amministrazione, ma anche di intesa con essa. Questa ultima conserva un potere di controllo o di stimolo dei comportamenti del delegato, il cui mancato o insufficiente esercizio obbliga anche il delegante in presenza di tutti i presupposti al relativo risarcimento ai sensi del combinato disposto degli art. 2043 e 2055 c.c.".
Dario Meneguzzo - avvocato
L’istituto della occupazione acquisitiva è stato espunto dall’ordinamento italiano – questioni in materia di risarcimento del danno
Segnaliamo anche questo interessante passaggio della sentenza del TAR Veneto n. 995 del 2014: "4.2 Sempre dalla pronuncia del Tribunale di Venezia è possibile evincere che, ancora, nel successivo quinquennio dall’immissione in possesso non era stata decretata l’espropriazione definitiva e, ciò, pur essendo stata realizzata l’opera stradale con irreversibile trasformazione del suolo comportante la perdita della proprietà.
4.3 Le domande di risarcimento riconducibili all’avvenuta acquisizione in proprietà da parte dell’Anas presuppongono, tuttavia, la perdurante efficacia nel nostro ordinamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, che però è stato espunto sia, a seguito dell'intervento della Corte europea dei Diritti dell'Uomo sia, ancora, in conseguenza dell'entrata in vigore del'art. 42 bis, D.P.R. n. 327 del 2001.
4.4 A questa conclusione, induce, altresì lo stesso art. 42-bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, aggiunto dall'art. 34, primo comma, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in L. 15 luglio 2011, n. 111, norma che, anche con riguardo ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, disciplina le modalità attraverso le quali, a fronte di un'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile pervenire ad un'acquisizione non retroattiva della titolarità del bene al patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione e, ciò, sotto condizione sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprietà, di un importo a titolo di indennizzo, nella misura superiore del dieci per cento rispetto al valore venale del bene (in questo senso Cass. civ., Sez. II, 14 gennaio 2013, n. 705).
4.5 E’ stata proprio l’interpretazione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ad eliminare ogni possibilità di individuare sistemi di
acquisizione che miravano ad individuare fatti o comportamenti (e quindi l'avvenuto completamento dell'opera pubblica o la richiesta del solo risarcimento come momento abdicativo implicito della proprietà) idonei a sostituire i sistemi legali di acquisto della proprietà.
4.6 Il venir meno dell’istituto dell’occupazione acquisitiva comporta che l’Amministrazione può diventare proprietaria dell’area o con un provvedimento di acquisizione sanante ai sensi di quanto previsto dall'art. 42 bis, d.P.R. n. 327 del 2001, o in conseguenza di una cessione volontaria o, ancora, con l’emanazione di un provvedimento di esproprio (in questo senso T.A.R. Toscana sez. III del 29/11/2013 n. 1655 e Consiglio di Stato sez. IV del 29/08/2011 n. 4833).
4.7 Detta ultima circostanza si è verificata nel caso di specie, laddove in particolare il decreto di esproprio non è stato nemmeno impugnato dalla parti ricorrenti, con conseguente formarsi del relativo giudicato per quanto attiene la quantificazione dell’indennità di esproprio ivi prevista.
4.8 Ne consegue che vanno rigettate le richieste di risarcimento del danno correlate al venire in essere dell’occupazione appropriativa e del relativo danno presumibilmente verificatosi.
5. Va respinta, altresì, sia la richiesta di risarcimento del danno “non patrimoniale” in quanto non è stata addotta alcuna prova circa il venire in essere dei presupposti idonei a configurarne l’esistenza sia, ancora, la richiesta di risarcimento correlata al presunto deprezzamento del fondo residuo.
5.1 In relazione a detta fattispecie va, peraltro, rilevato che anche il CTU nel corso del giudizio innanzi al Tribunale di Venezia, ne aveva rilevato la sua infondatezza, ritenendo che detta fattispecie doveva ritenersi inclusa nella valutazione complessiva dell’area non edificabile.
6. Se quindi non può essere risarcito il danno da perdita della proprietà, in quanto il diritto dominicale era rimasto in capo al ricorrente sino all’emanazione del decreto di esproprio, è possibile giungere a conclusioni differenti per quanto attiene la richiesta di risarcimento correlata al mancato godimento del bene.
6.1 Si è, infatti, affermato (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-02-2012, n. 1130) che “l'unica domanda risarcitoria accoglibile è quella relativa all'illegittima occupazione dei suoli per il danno riferibile all'arco temporale compreso tra l'immissione nel possesso dei medesimi e l'emanazione del decreto di esproprio”.
6.2 Il danno in questione deve, allora, essere liquidato in misura pari agli interessi moratori sul valore di mercato del bene per ciascun anno del periodo di occupazione, con rivalutazione e interessi dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza (Cons. Stato, Sez. IV, 1 giugno 2011, n. 3331).
6.3 Detto risarcimento deve operare con riferimento al momento in cui l'occupazione dell'area privata è divenuta illegittima e, quindi, dal momento in cui è avvenuta la prima apprensione del bene e, ciò, sia nell’ipotesi in cui l'intera procedura espropriativa sia stata annullata sia, ancora, se – come è avvenuto nel caso di specie, l’immissione nel possesso sia avvenuta dopo la scadenza del termine previsto nel decreto di occupazione d’urgenza, sino al definitivo trasferimento della proprietà posto in essere dal decreto di espropriazione sopra citato.
6.4 Sul punto si condivide infatti l’opinione di parte ricorrente che individua detto dies a quo nell’avvenuto decorso del termine per operare una legittima immissione nel possesso, termine che, pertanto, è possibile far coincidere con la materiale occupazione dei beni avvenuta in data 24 Marzo 1992.
6.5 In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui il decreto di esproprio è risultato idoneo a produrre i suoi effetti, consentendo l’acquisizione della proprietà.
6.6 Per quanto attiene il quantum del risarcimento è possibile applicare, condividendone le conclusioni, quanto già deciso in un’analoga pronuncia (T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, 22-10-2013, n. 632), facendo luogo ad una valutazione equitativa ai sensi degli artt. 2056 e 1226 del codice civile che, in quanto tale, prende atto dell’avvenuta quantificazione del valore venale del bene disposta con il provvedimento di esproprio del 31 maggio 2002, calcolando su detta somma la percentuale del cinque per cento annuo, in linea con il parametro fatto proprio dal Legislatore con l'art. 42- bis, comma 3, d.P.R. n. 327/2001.
7. La richiesta di risarcimento per mancato godimento è, pertanto, accolta e per l’effetto si condannano le attuali parti resistenti a
corrispondere alla ricorrente la somma così calcolata e con riferimento al periodo di tempo che intercorre dal 24 Marzo 1992 sino all’avvenuta pubblicazione del decreto di esproprio.
7.1 Detta somma, costituendo debito di valore (Cass., I, 4.2.2010, n. 2602), dovrà essere rivalutata secondo l'indice ISTAT dei prezzi al consumo, mentre sulle somme anno per anno rivalutate dovranno, altresì, essere corrisposti gli interessi legali fino alla data di deposito della sentenza.
7.2 Le somme così quantificate devono considerarsi dovute sia dall’Anas Spa che dalla Società Campenon bernard SGE in regime
dell’applicazione del principio di solidarietà passiva e, ciò, sulla base delle argomentazioni che hanno consentito di respingere le eccezioni di difetto di legittimazione attiva sopra ricordate. In conclusione il ricorso è accolto limitatamente a quanto sopra specificato, mentre va respinto per la parte rimanente".
Dario Meneguzzo - avvocato
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