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S.O.S. tecnico: le opere di miglioramento fondiario possono ottenere la compatibilità paesaggistica?

16 Lug 2014
16 Luglio 2014

Un tecnico comunale (che ringraziamo sentitamente per la segnalazione)  chiede se per le opere abusive di miglioramento fondiario e/o di sistemazione agraria (per esempio terrazzamenti con “masiere” o modellature collinari)  sia possibile ottenere l’accertamento di compatibilità dal punto di vista paesaggistico, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’articolo 167 del decreto legislativo 42/2004.

La Soprintendenza sembra ritenere (se capiamo bene) che non si possa concedere la sanatoria, perché non trattasi di opere edilizie che incidono su manufatti o edifici.

A tal proposito si ricorda il tenore dell’art. 181, c. 1 ter, lett. a) del D. Lgs. n. 42/2004, secondo cui: “1-ter. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 167, qualora l'autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.

Tuttavia la posizione della Soprintendenza appare confusa, perché è ben possibile che un’opera abusiva incida su un edificio, senza creare né volumi né superfici, perchè non sembra scritto da nessuna parte che la compatibilità paesaggistica si applichi solo aglio edifici e anche perché bisogna distinguere meglio i concetti.

Per quanto riguarda, infatti, le  opere di sbancamento o di creazione di strade, la giurisprudenza, soprattutto quella penale, sembra aver introdotto un concetto di superficie molto ampio, che non c’entra nulla con la superficie in edilizia. In altre parole, il concetto  ambientale-paesaggistico di superficie utile sarebbe diverso da quello edilizio-urbanistico e comprenderebbe anche opere come le strade (anche in terra battuta) o i piazzali.

In sostanza ogni intervento che modifica e/o incida il profilo paesaggistico, creando una superficie dal punto di vista paesaggistico, non potrebbe ottenere la compatibilità paesaggistica, anche se dal punto di vista edilizio non costituisce nè volume nè superficie utile. 

Ovviamente se interpretata alla lettera tale conclusione porterebbe a negare a priori la quasi totalità delle sanatorie paesaggistiche de quibus.

Voi cosa ne pensate?

Alleghiamo la scambio di corrispondenza tra il Comune e la Soprintendenza.

Corrispondenza

Modalità operative per la gestione e l’utilizzo nel settore delle costruzioni di prodotti ottenuti dal recupero e di rifiuti‏

16 Lug 2014
16 Luglio 2014

Modalità operative per la gestione e l'utilizzo nel settore delle costruzioni di prodotti ottenuti dal recupero e di rifiuti. D.lgs. n. 152/2006 e s.m.i., Parte IV, Titolo I. 

DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. 1060 del 24/06/2014

Link: 

Accordo tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, concernente l’adozione di moduli unificati e semplificati per la presentazione dell’istanza del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) edilizia

16 Lug 2014
16 Luglio 2014

Supplemento ordinario alla “Gazzetta Uffi ciale„ n. 161 del 14 luglio 2014 - Serie generale è stato pubblicato un atto della Conferenza Unificata, contenente l'accordo del  12 giugno 2014: "Accordo tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, concernente l’adozione di moduli unificati e semplifi cati per la presentazione dell’istanza del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) edilizia. Accordo, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lett. c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. (Repertorio atti n. 67/CU)".

In allegato si trova tutta la relativa modulistica.

accordo

Il diritto di accesso è autonomo e quindi più ampio rispetto alla situazione che legittimerebbe un ricorso

15 Lug 2014
15 Luglio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 916 del 2014.

Scrive il TAR: "1. In primo luogo va rilevato come sia possibile respingere, in quanto infondata, l’eccezione dei soggetti controinteressati nella parte in cui hanno rilevato la mancanza di legittimazione attiva e di interesse al ricorso degli attuali ricorrenti.

1.1 L’eccezione è infondata, risultando applicabile quel costante orientamento giurisprudenziale diretto a differenziare l’interesse all’accesso rispetto all’interesse all’impugnativa, ritenendo ammissibile il proponimento di un’istanza di accesso “anche sulla base di un interesse di contenuto tale da non legittimare la proposizione del ricorso giurisdizionale, dovendosi ribadire l'autonomia dell'interesse a chiedere l'ostensione di determinati documenti rispetto a quello che conduce, eventualmente, l'interessato, ad agire in giudizio per la tutela di determinate posizioni giuridiche (T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 06-02-2014, n. 317)”.

1.2 L’esercizio del diritto di accesso non è condizionato all’ammissibilità di un’eventuale azione tesa alla tutela di una determinata posizione giuridica, in quanto la legittimazione al diritto di accesso va riconosciuta in presenza di atti idonei a spiegare, in modo diretto e indiretto, effetti sul ricorrente e, ciò, proprio in ragione dell’autonomia del diritto di accesso rispetto alla situazione soggettiva legittimante un eventuale impugnazione dell’atto.

1.3 Nel caso di specie sussiste la legittimazione del ricorrente che agisce per acquisire elementi utili al prosieguo del contenzioso di cui all’RG 618/2013, avente ad oggetto presunti abusi edilizi, nell’esperimento di un accesso defensionale, strumentale rispetto al ricorso sopra citato, accesso che per un costante orientamento giurisprudenziale viene ritenuto prioritario rispetto alla riservatezza dei soggetti terzi (Tar Emilia Romagna n. 7498/2010).

1.4 Rilevata l’infondatezza dell’eccezione preliminare è possibile esaminare nel merito il ricorso, ritenendolo fondato con riferimento al primo motivo.

2. E’ necessario precisare che il contenuto dell’istanza di accesso evidenzia come quest’ultima sia diretta ad ottenere l’accesso ad eventuali procedimenti volti alla modifica e/o alla revisione al contenuto dei provvedimenti di vincolo sulla tenuta Musella in considerazione dell’unitarietà del complesso vincolato, circostanze queste ultime espressamente menzionate nell’istanza sopracitata.

Detta richiesta veniva motivata, infatti, sulla base di una duplicità di esigenze, in quanto riconducibili all’esistenza del ricorso giurisdizionale, pendente e finalizzato a contestare l’esistenza di presunti abusi edilizi e, nel contempo, proprio in ragione di acquisire elementi utili diretti a evidenziare il tenore “degli interventi posti in essere dai Sig. ri Stevanella all’interno della tenuta medesima”.

2.1 Costituisce ulteriore dato accertato che l’immobile di proprietà degli attuali controinteressati si trova all’interno di un unico comprensorio, circostanza quest’ultima che consente di ritenere, di per sé, erronea l’argomentazione della Soprintendenza nella parte in cui ha ritenuto di respingere l’istanza di cui si tratta in ragione della distanza in linea d’aria (pari a circa 800 metri) tra la costruzione dei ricorrenti e degli attuali controinteressati.

2.2 Si consideri, inoltre, che l’accesso defensionale, in quanto propedeutico alla migliore tutela delle proprie ragioni in giudizio, riceve protezione preminente dall’ordinamento atteso che per espressa previsione normativa (art. 24 L. n. 241/90) e, a sua volta, prevale sull’interessi dei terzi, anche qualora questi ultimi siano finalizzati alla tutela della riservatezza (in questo senso Consiglio di Stato n.783/2011).

Anche questo Tribunale ha avuto modo di precisare che l’interesse ad acquisire conoscenza di provvedimenti utili, a proseguire un ricorso, assume una valenza autonoma e non dipendente dalla sorte del processo principale (TAR Veneto n. 120/2014).

2.3 Si consideri, ancora, come la domanda di accesso, se pure riferita ad una pluralità e genericità di atti, conservava comunque un carattere di complessiva omogeneità e non presentava profili di indeterminatezza, risultando sufficientemente specifica nel momento in cui si riferiva “al contenuto e alle estensione ed alle prescrizioni dei provvedimenti di vincolo sulla tenuta Musella”.

2.4 Non sussistono, come sostenuto dall’Amministrazione resistente, i presupposti per un controllo generalizzato dell’azione amministrativa, in applicazione di quell’orientamento giurisprudenziale in base al quale “la legittimazione all'accesso ai documenti amministrativi (artt. 22 ss. della L. n. 241/1990) deve ritenersi consentita a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti anche nei suoi confronti e il diritto di accesso, purché non diretto a detto controllo generalizzato, può essere esercitato anche indipendentemente dall'esistenza di una lesione immediata della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non emulativo, a conoscere gli atti già posti in essere e a partecipare alla formazione di quelli successivi (Cons. Stato Sez. V, 30-08-2013, n. 4321 e T.a.r. Lazio - Roma, sez. I ter, n. 7050/2012)”.

2.5 Al fine di respingere un’ulteriore argomentazione dell’Amministrazione resistente va rilevato come altrettanto recenti pronunce (Cons. Stato Sez. III, 28-11-2011, n. 6276) hanno sancito l’ammissibilità del diritto di accesso esperito e riferito ad atti endoprocedimentali in pendenza del relativo procedimento".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 916 del 2014

I condomini non sono controinteressati nel caso di impugnazione da parte di un condomino di un diniego di sopraelevazione

15 Lug 2014
15 Luglio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 918 del 2014 esclude che, qualora un condomino impugni il diniego del rilascio di un titolo edilizio che egli aveva chiesto, gli altri condomini siamo controinteressati, ad almeno uno dei quali sia necessario notificare il ricorso a pena di inammissibilità dello stesso.

Si legge nella sentenza: "1. In primo luogo è necessario rilevare l’infondatezza dell’eccezione preliminare proposta dal Comune di Chioggia nella parte in cui rileva l’inammissibilità del ricorso in quanto non notificato ad almeno un controinteressato.

1.1 Sul punto va considerato come costituisca orientamento consolidato (per tutti Cons. Stato Sez. V, 27-03-2013, n. 1755) che ai fini di individuare l’esistenza di un onere di notifica, previsto dall'art. 41, co. 2 del Codice del processo Amministrativo, è necessaria la sussistenza di un profilo sostanziale costituito dall'essere il terzo portatore di un  interesse qualificato analogo e contrario a quello che legittima la posizione del ricorrente. In altri termini, la posizione di controinteressato spetta a coloro che abbiano un interesse qualificato alla conservazione dell'assetto giuridico recato dall'atto impugnato o dalla vicenda controversa, e non già a chi è portatore di un interesse comune alla rimozione dell'atto ovvero all'ottenimento di una pronuncia giurisdizionale che possa giovare anche alla propria posizione (Parziale riforma della sentenza del T.a.r. Puglia - Bari, sez. I, n. 919/2011).

1.2 Applicando detti principi al caso di specie non si vede come possa sussistere un interesse qualificato dei proprietari del condominio del palazzo da innalzare e, ciò, considerando come con il presente ricorso si è impugnato un provvedimento di diniego di permesso di costruire e non certo un provvedimento edilizio abilitativo, diretto ad autorizzare le opere pur richieste nell’originaria istanza. 

1.3 L’eventuale annullamento dell’atto impugnato ha l’effetto di determinare l’espunzione di quest’ultimo dall’ordinamento giuridico,
con conseguente obbligo dell’Amministrazione di ripronunciarsi, senza determinare l’automatica emanazione di un provvedimento
autorizzatorio, quest’ultimo suscettibile di ledere, quanto meno in astratto, la posizione giuridica dei proprietari limitrofi e confinanti".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 918 del 2014

I commi 2 e 3 dell’art. 9 del D.M. 1444 del 1968 si riferiscono solo alle zone C

15 Lug 2014
15 Luglio 2014

I commi 2 e 3 dell'articolo 9 del D.M. 1444 del 1968 stabiliscono quanto segue:

"Le distanze minime tra fabbricati -tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti)- debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

- ml 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml 7;  

- ml 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml 7 e ml 15;                        

- ml 10,00 per lato, per strade di larghezza superiore a ml 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con
previsioni planovolumetriche".

La sentenza del TAR Veneto n. 918 del 2014 ribadisce che tali commi si applicano solo alle zone C: "Come ha già avuto modo di precisare questo Tribunale (T.A.R. Veneto Sez. II, Sent., 20-03-2014, n. 364) “i comma 2 e 3 dell'art. 9 si riferiscono esclusivamente alle zone urbanistiche contrassegnate come zone "C)", fattispecie pertanto estranea ai manufatti, come quello in esame, che rientra nell'ambito delle zone classificate come "B)".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 918 del 2014

Le sanzioni per il ritardato pagamento delle rate del contributo di concessione

14 Lug 2014
14 Luglio 2014

La interessante sentenza del TAR Veneto n. 879 del 2014  puntualizza alcuni punti della annosa questione delle sanzioni da applicare nel caso di ritardato versamento delle rate del contributo di concessione.

Scrive il TAR: "Con il ricorso in oggetto e per i motivi in esso dedotti parte istante denuncia, sotto diversi profili, il provvedimento impugnato, con il quale l’amministrazione intimata ha provveduto a dare comunicazione dell’ammontare dell’importo dovuto per il mancato versamento, nei termini previsti, della seconda e terza rata del costo di costruzione e  della seconda e terza rata degli oneri di urbanizzazione, relativi al permesso di costruire n. 92/10, ingiungendone il relativo pagamento. .. la medesima amministrazione, a fronte dell’oggettiva inosservanza dei termini previsti in occasione del rilascio del permesso di costruire per effettuare il versamento della seconda e terza rata degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, ha provveduto ad inoltrare alla ricorrente la comunicazione qui contestata, applicando la maggiorazione prevista ai sensi dell’art. 81 della L.r. 61/85, ossia ingiungendo il pagamento delle somme dovute maggiorate nella percentuale di 4/3.  I motivi dedotti in ricorso si rivolgono a contestare sia la pretesa dell’amministrazione, a fronte della volontà manifestata di ridurre l’entità dell’intervento originariamente assentito, sia il computo delle somme dovute a titolo di sanzione per ritardato pagamento, invocando l’applicazione dei criteri dettati dall’art. 42 del D.P.R. 380/01.  Quanto alla mancata escussione della fideiussione, il Collegio, pur dando atto dei diversi orientamenti espressi riguardo all’obbligo da parte delle amministrazione di escutere la fideiussione rilasciata a prima richiesta, non può non osservare come, nello specifico caso in oggetto, il comportamento del Comune sia stato determinato proprio dall’intenzione manifestata dalla ricorrente di apportare una variante, di modo che, proprio nell’ambito dei rapporti di correttezza tra debitore e creditore, ha ritenuto di non procedere immediatamente all’escussione della fideiussione. Per tali ragioni quindi, il ricorso deve essere respinto con riferimento a tutti i profili che ineriscono la legittimità della pretesa avanzata dall’amministrazione in conseguenza dei ritardati versamenti. A diverse conclusioni è invece possibile giungere con riguardo all’ultimo motivo, con il quale è stato contestato il computo delle somme dovute a titolo di sanzione per il ritardo. In ordine a tale profilo il Collegio ritiene di poter confermare e ribadire anche nel caso di specie l’orientamento già manifestato in fattispecie analoga, circa la diretta applicabilità dei criteri di computo dettati dall’art. 42 del D.P.R. 380/01 (cfr. T.A.R Veneto, II, n. 648/2012). Coerentemente con l’indirizzo richiamato, va dichiarata l’incompatibilità dell’art. 81 della L.r. 61/85 con l’art. 42 del D.P.R. 380/01, laddove il primo articolo prevede, per il caso di ritardo oltre 180 giorni, una sanzione pari ai 4/3 del contributo di costruzione, la quale è superiore al limite massimo entro il quale alla Regione è consentito di stabilirne l’importo (pari al doppio del 40% del contributo di costruzione).  In applicazione dei principi generali, atteso che ai sensi dell’art. 10 della legge n. 62/1953, le leggi regionali possono essere abrogate, oltre che da leggi regionali sopravenute, anche per effetto di normative statali sopravvenute recanti norme di principio rispetto alle quali la previgente normativa regionale risulti incompatibile, ne discende che nella specie, non essendo la Regione intervenuta a disciplinare la materia, possa trovare diretta applicazione il disposto normativo dettato dalla disciplina statale, di modo che la sanzione deve essere calcolata nei termini dettati dall’art. 42, lettera c) del D.P.R. 380/01. Conseguentemente, in accoglimento parziale del presente ricorso, il provvedimento impugnato va annullato nella parte in cui stabilisce ed ingiunge alla ricorrente il pagamento di una sanzione d’importo superiore a quello determinabile sulla base dell’art. 42, lettera c) del D.P.R. 380/01".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 879 del 2014

Quando viene presentata una DIA/SCIA il Comune non può creare risposte diverse dal “modello legale” disciplinato dall’art. 23, comma 6, del t.u. dell’edilizia

14 Lug 2014
14 Luglio 2014

L'opportuno insegnamento è contenuto nella sentenza del TAR Veneto n. 760 del 2014. Il Comune, infatti aveva disposto la "sospensione" dell'atto, concedendo un termine per eventuali integrazioni e preannunciando eventuali futuri dinieghi.

Il TAR censura il Comune: "Il ricorso deduce il seguente primo motivo, che il Collegio ritiene fondato e assorbente: 1) Violazione dell’art. 23, comma 6, del t.u. approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380. Violazione dei principi di tipicità e nominatività degli atti amministrativi; nell’assunto che tutti gli atti emessi dal Comune di Arcugnano sarebbero stati emessi in violazione del “modello legale” disciplinato dall’art. 23, comma 6, del t.u. dell’edilizia. Osserva il Collegio che la norma richiamata in effetti dispone che : “6. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza. E' comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni  necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia. “ Il tenore letterale della legge è chiarissimo e non lascia spazio ad ambiguità interpretative di sorta: l’unico provvedimento che l’Amministrazione può (e deve) assumere a seguito della presentazione di una d.i.a., allorché ritenga che non sussistano le condizioni per l’esecuzione dei lavori, è l’“ordine motivato di non effettuare il previsto intervento”, che deve intervenire entro il termine di legge dei 30 giorni e che, ovviamente, non preclude la facoltà della parte di ripresentare la DIA, modificata o integrata anche nel modo eventualmente suggerito dal Comune. Invece l’atto del 27.2.2014, nonostante gli erculei sforzi “interpretativi” della difesa comunale, non può essere in alcun modo ricondotto al provvedimento tipico previsto dalla legge, proprio perché risulta finalizzato a realizzare una del tutto atipica “sospensione della denuncia di attività” , dando termine per la presentazione di integrazioni ( che, tra l’altro, non è nemmeno chiaramente comprensibile come potessero ritenersi “richieste”) e preannunciando una futura (ed eventuale) emissione del provvedimento di diniego. E’ evidente che già con questo atto il Comune si è posto del tutto al di fuori del procedimento tipico previsto dalla legge! Quindi, la logica conseguenza di questo primo macroscopico errore comunale è che non si è potuto avverare alcun effetto “sospensivo” e basta questo a dimostrare che il provvedimento “tipico”, che è quello che è finalmente intervenuto in data 1 aprile 2014, deve ritenersi palesemente tardivo! Né tale atto può in alcun modo essere salvato mediante l’escamotage di ritenere che la integrazione documentale depositata in data 3.3.2014 costituisse nuova  DIA ( come pure argomentano le difese comunali) e che, rispetto a tale data, il provvedimento inibitorio fosse intervenuto in termine; infatti con tale atto il Comune afferma chiaramente, espressis verbis, che intende inibire l’intervento di cui alla DIA del 22.2.14 e, anche dalla nota di riscontro del 10.3.2014, si evince in maniera evidente che il Comune non ha inteso affatto la succitata integrazione documentale come una nuova DIA, ma ha semplicemente preteso di far decorrere ex novo i termini ritenendo che la stessa integrasse un nuovo progetto. E’ evidente che l’intero iter procedimentale ha completamente stravolto le previsioni normative inerenti la DIA, con la conseguente palese fondatezza del primo motivo di ricorso, che è anche palesemente assorbente rispetto a tutti gli altri motivi e comporta l’accoglimento del ricorso con il conseguente annullamento degli atti comunali impugnati".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 760 del 2014

Sul termine per il deposito del ricorso (e dell’integrazione del contraddittorio) in materia di espropri

14 Lug 2014
14 Luglio 2014

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 784 del 2014 per alcune questioni processuali in materia di esproprio.

La sentenza  ricorda che i termini per il deposito del ricorso presso la segretaria del TAR sono dimezzati e che questo vale anche per l'atto con cui si integra il contraddittorio a seguito dell'ordine del TAR.

L'omesso deposito in termini dell'atto di integrazione del contraddittorio rende il ricorso improcedibile.

 Per l'integrazione del contraddittorio si veda l'art. 49 c.3 del d.lgs 104/2010: "Il giudice, nell'ordinare l'integrazione del contraddittorio, fissa il relativo termine, indicando le parti cui il ricorso deve essere notificato. Può autorizzare, se ne ricorrono i presupposti, la notificazione per pubblici proclami prescrivendone le modalità. Se l'atto di integrazione del contraddittorio non è tempestivamente notificato e depositato, il giudice provvede ai sensi dell'articolo 35".

Il termine è dimidiato ai sensi dell’art. 119 c.p.a.,

L'articolo 35 prevede che nel caso in esame il ricorso venga dichiarato improcedibile.

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 784 del 2014

Come incide il mutamento di un’ATI?

14 Lug 2014
14 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 01 luglio 2014 n. 970 si occupa dei mutamenti nella compagine di un’Associazione Temporanea d’Impresa (ATI): “Ora osserva il Collegio che, nel caso in questione, si è assistita ad una sostituzione del soggetto partecipante alla gara, atteso che la RTI, invero, non si è mai costituita, così che il soggetto che ha partecipato alla gara ed avanzato l’offerta contrattuale, con la rinuncia del mandante alla costituzione del raggruppamento temporaneo, in realtà ha modificato la originaria compagine per assumere una nuova e diversa veste.

Secondo la ricorrente tale evenienza non assume alcuna giuridica rilevanza, atteso che la predetta possiede tutti i requisiti formali e sostanziali per partecipare e svolgere il lavoro previsto dal bando.

Invero il disposto normativo di cui all’art. 37, commi 9, 18 e 19 statuisce una immodificabilità della compagine che ha partecipato alla gara e che si è impegnata in sede di offerta.

L’ordinamento prevede, in via di eccezione, le ipotesi in cui, come nel caso di specie, il mandante del RTI può essere sostituito.

Si tratta all’evidenza di ipotesi eccezionali e di stretta interpretazione che non consentono una possibile estensione analogica per le evenienze non previste (Cons. St., sez. V, 7 aprile 2006, n. 1903; Cons. St., sez. V, 30 agosto 2006, n. 5081).

Né la presente vicenda può essere ricondotta nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 51 D.lgs 12 aprile 2006, n.163, atteso che nessuna delle ipotesi ivi previste può essere ravvisata nel fatto che la mandante ha ritenuto di non costituire il raggruppamento temporaneo e ritirarsi dell’esecuzione dei lavori già provvisoriamente aggiudicati.

Invero al rigoroso orientamento giurisprudenziale sopra riportato, si è opposto, sempre dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, una diversa e più aperta interpretazione della norma proprio per consentire la sostituzione di componenti l’ATI ed il contestuale mantenimento dell’impegno contrattuale.

Anche la Plenaria con la decisione n.8/2012, sembra aderire a tale impostazione con la precisazione che tale evenienza non deve costituire, però, un motivo per eludere una eventuale e successiva esclusione dalla gara.

Ora, osserva il Collegio che era onere della ricorrente dimostrare che il rifiuto della mandante di perfezionare la costituzione del raggruppamento temporaneo non era dettato da sopraggiunte inidoneità soggettive od oggettive a contrattare e che tale evenienza era frutto di una mera scelta organizzativa della mandante.

Solo in tali termini, pertanto la modifica, in senso recessivo del soggetto partecipante alla gara può superare il rigido criterio espresso dall’art. 37 cit. e risultare conforme all’orientamento giurisprudenziale espresso dalla Plenaria e sopra riportata.

E’ di tutta evidenza, infatti, che eventuali e negativi accadimenti che possono aver coinvolto uno dei componenti il RTI comportano, in sede di verifica, la conseguente decadenza del lavoro eventualmente aggiudicato, così coinvolgendo l’intero raggruppamento.

Né tale evenienza potrebbe essere superata attraverso una formale recessione dal raggruppamento proprio in considerazione degli impegni congiuntamente assunti.

Allora, ritiene il Collegio che è onere della componente e dei componenti rimasti quello di rappresentare in modo obiettivo che tale recesso non è elusivo delle regole di gara, onere che il ricorrente non ha punto assolto con il ricorso in questa sede scrutinato”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 970 del 2014

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