Tag Archive for: Diritto

Convertito in legge il decreto “taglia Italia” (alias spending review)

20 Ago 2012
20 Agosto 2012

Il decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, è stato convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, pubblicata sulla G.U. n. 189 del 14/08/2012, entrata in vigore il 15 agosto.

Si può accedere al testo coordinato pubblicato sul sito "normattiva" (si veda il link sulla barra di destra), digitando prima "ricerca" e poi  95 sul numero e 2012 sull'anno.

Nelle aree che il PAT qualifica come “tessuto urbano consolidato” può essere chiesto il PUA?

20 Ago 2012
20 Agosto 2012

La stessa sentenza del TAR Veneto n. 1116 del 2012, esaminata nel post precedente, tratta anche della questione indicata nel titolo, affermando che la qualificazione di un'area come "tessuto urbano consolidato" non esclude automaticamente la necessità di un piano attuativo.

Scrive il TAR: "E’ altrettanto infondato il terzo (e ultimo motivo) con il quale il ricorrente rileva come le aree in questione, in quanto inserite nel Pat - quali aree a “tessuto urbano consolidato” -, sarebbero edificabili poiché già dotate delle principali opere di urbanizzazione, circostanza quest’ultima che renderebbe di fatto non necessario l’emanazione del piano attuativo.
Il rilievo presuppone l’applicabilità dell’art.18 bis delle L. reg. 11/2004 nella parte in cui rende ammissibili ..” anche in assenza di piani attuativi…gli interventi sul patrimonio edilizio esistente di cui alle lettere a) b) c) e d) dell’art. 3 Dpr 380/2001”.
E’ del tutto evidente che detta norma debba essere interpretata non in modo “assolutistico”, e nel senso di considerare ammissibili - sempre e comunque -, interventi nelle aree già urbanizzate. Essa implica l’esercizio di una potestà “valutativa” da parte dell’Amministrazione, diretta considerare l’”entità dell’intervento” e a verificare se, con riferimento a quest’ultimo, le opere di urbanizzazione siano sufficienti a garantire tutte esigenze della comunità locale.
Sul punto va rilevato come la parte ricorrente non abbia fornito alcuna prova o elemento di riscontro e, ciò, pur considerando come l’intervento richiesto sia relativo ad un intero edificio ed a un’unica strada di accesso. L’art. 18 bis citato, laddove rende ammissibili gli interventi in aree già urbanizzate, deve pertanto
essere applicato dall’Amministrazione “volta per volta”, presupponendo comunque una valutazione e un’adeguata istruttoria, volta a verificare effettiva l’idoneità degli impianti e delle opere di urbanizzazione esistenti agli interventi da realizzare".

Piani attuativi: il dirigente può negarne l’approvazione?

20 Ago 2012
20 Agosto 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1116 del 2012 tratta alcune questioni in materia di piani attuativi.

Nel caso in esame, il Dirigente del comune aveva inviato al presentatore del piano una comunicazione dalla quale si evinceva che il comune non avrebbe approvato il piano attuativo per la mancanza della titolarità delle aree: la comunicazione costituisce senza dubbio un arresto procedimentale ed è stata impugnata per l'incompetenza del dirigente, in quanto l’art. 20 comma 1 della L. 23/04/2004 n.11 attribuisce alla competenza della Giunta il potere di approvare i piani attuativi.

In passato la giurisprudenza aveva più volte affermato che la competenza a negare un piano attuativo spetta allo stesso organo che sarebbe competente ad approvarlo.

La sentenza in esame, però, di fatto afferma il contrario,  ritenendo che un arresto procedimentale di tipo istruttorio spetti alla competenza del dirigente: "Sul punto va rilevato come la comunicazione impugnata, pur rilevando la presenza di elementi ostativi all’approvazione del PUA – e pur costituendo un arresto procedimentale -, deve considerarsi una mera comunicazione interlocutoria tra le parti, assunta in risposta ad una precedente nota inviata dai legali della ricorrente.

Nel provvedimento impugnato il Dirigente responsabile si limita a verificare l’assenza dei requisiti previsti per l’approvazione dello stesso PUA e, ciò, nella parte in cui rileva che l’art. 4 comma 2 delle NTA del PRG/PI precisa che i …."PUA sono riferiti all’intero ambito territoriale previsto dal Prg". L’Amministrazione si è limitata a constatare come il ricorrente fosse di fatto privo della titolarità di tutte le aree, così come richiesto dal connaturato disposto dell’art. 20 comma 6 L. Reg. 11/2004 e dell’art. 40 delle NTA del Piano di Intervento. Siamo quindi in presenzadi un atto diretto ad evidenziare ai ricorrenti la mancanza di un presupposto per l’approvazione del PUA che, tuttavia, si ferma ad un momento propedeutico e precedente alla fase di manifestazione di volontà della Giunta. La comunicazione circa la mancanza dei requisiti deve essere allora collocata nell’ambito della fase istruttoria, essendo – com’è-, diretta a sollecitare l’impresa destinataria a "colmare" le irregolarità riscontrate, ad ottenere la documentazione richiesta e, quindi, a determinare una legittima approvazione del Piano".

A nostro parere, peraltro, dovrebbe essere tenuto presente che un arresto procedimentale è pur sempre un diniego di approvazione.

sentenza TAR Veneto 1116 del 2012

Il Comune non può richiedere per i nuovi alloggi una superficie minima superiore a quella del D.M. 5 luglio 1975

17 Ago 2012
17 Agosto 2012

Nella sentenza n. 117 del 2012, il TAR Veneto dichiara illegittimo un regolamento edilizio comunale che stabilisce che "le nuove unità abitative nelle costruzioni residenziali dovranno avere una superficie minima di pavimento" non nferiore ad 80 mq (al netto delle murature ed accessori).

Scrive il TAR: "Come rilevabile dagli atti di causa e dalla stessa deliberazione n. 15/12, assunta nelle more del giudizio dal Consiglio Comunale di Colle S. Lucia, l’obiettivo sotteso alla disposizione introdotta con il Regolamento Edilizio, stabilente la metratura minima della superficie di pavimento per i nuovi edifici a destinazione residenziale (80 mq), è quello di assicurare la realizzazione di appartamenti aventi
dimensioni idonee alla residenza di carattere stabile, arginando il fenomeno delle “seconde case”, utilizzate stagionalmente da non residenti.
Scoraggiando così la realizzazione di nuovi immobili con dimensioni ridotte, a favore di interventi che privilegiano l’insediamento di nuovi nuclei familiari stanziali in appartamenti di più ampie dimensioni, con la norma regolamentare, più volte modificata nel corso degli anni attraverso le varianti approvate, il Comune ha inteso esercitare il proprio potere di disciplina dell’uso del territorio.
Ritiene il Collegio che gli atti assunti in tale ottica, così come perseguita attraverso la disposizione contenuta nel regolamento edilizio, siano illegittimi.
Va infatti condiviso l’assunto di parte ricorrente che rileva la diversa finalità attribuita alle disposizioni contenute nei regolamenti edilizi comunali, le quali, pur essendo destinate a disciplinare le modalità costruttive, hanno il precipuo scopo di assicurare che gli alloggi rispettino i requisiti minimi di carattere igienico-sanitario, ovvero rispondano a determinate caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero ancora assicurino determinate condizioni di sicurezza e vivibilità.
Orbene, il limite fissato dal Comune per le nuove costruzioni, che impone, al netto delle murature e degli accessori, una superficie utile di almeno 80 mq, non appare giustificato da alcuna delle suddette finalità: lo stesso limite fissato dal D.M. del 1975 impone infatti una dimensione minima della superficie da assicurare in rapporto al numero degli abitanti l’unità residenziale che è palesemente inferiore a quella fissata dal Comune (56 mq per quattro occupanti), pur essendo ritenuta conforme ai requisiti di carattere igienico-sanitario degli immobili.
In realtà, come espressamente ammesso dalla stessa amministrazione, la prescrizione impugnata rappresenta lo strumento utilizzato per il contenimento dell’edilizia a scopo eminentemente turistico, al fine di favorire degli insediamenti della popolazione locale.
Una simile impostazione, tuttavia, non solo non è rispettosa dei contenuti propri e delle finalità delle disposizioni contenute nei regolamenti edilizi, ma finisce per incidere in modo sensibile sul libero esercizio dello ius aedificandi, limitando la libera scelta degli operatori del settore, senza considerare che, nell’attuale congiuntura economica, la realizzazione e successiva messa sul mercato di abitazioni di dimensioni più contenute (non necessariamente rivolte al solo mercato delle seconde case) può assicurare maggiori possibilità di alienazione dei nuovi immobili.
Non può essere infatti ignorato il dato di fatto per cui, allo stato attuale, le dimensioni dei nuclei familiari sono sempre più contenute, senza contare il fenomeno dei “single”, e quindi può apparire anacronistica l’affermazione del Comune secondo la quale solo garantendo la realizzazione di nuovi appartamenti di più ampie dimensioni si favorirebbe l’insediamento di nuovi nuclei familiari.
“Non si può non rilevare che sono le regole del libero mercato e la domanda di alloggi con superficie inferiore a 45 mq a determinare la scelta dell’imprenditore di realizzare abitazioni adeguate alle necessità sociali degli acquirenti, mentre un’eventuale inadeguatezza degli alloggi rispetto alle richieste del mercato, comporta un naturale squilibrio nell’offerta delle tipologie edilizie”(T.A.R. Brescia, n. 301/2055).
Peraltro, non può essere ignorata la considerazione dedotta in ricorso secondo la quale il perseguimento di tali obiettivi può essere ottenuto attraverso altri strumenti di politica sociale, quale è l’edilizia economico popolare o la riserva di appartamenti a favore dei nuovi nuclei familiari".

sentenza TAR Veneto 1117 del 2012

Il piano degli interventi non può essere approvato dopo l’indizione dei comizi elettorali per il nuovo consiglio comunale

14 Ago 2012
14 Agosto 2012

La questione è trattata dalla sentenza del TAR Veneto n. 1118 del 2012.

Scrive il TAR: "il Collegio ritiene che possa trovare accoglimento, in via del tutto assorbente ogni altra doglianza, il terzo
motivo di ricorso, con il quale è stata denunciata l’illegittimità della delibera impugnata per violazione del disposto di cui al quinto comma dell’art. 38 D.lgs. n. 267/00, in quanto assunta dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, nell’arco temporale immediatamente precedente le nuove elezioni amministrative.
La norma di cui al quinto comma dell’art. 38 stabilisce infatti che : “I consigli durano in carica sino all'elezione dei nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, ad adottare gli atti urgenti e improrogabili”.
Nel caso in esame la deliberazione impugnata è stata assunta in tale periodo, quindi nelle more dell’espletamento delle nuove elezioni comunali.
La difesa resistente ha opposto il carattere urgente ed indifferibile della deliberazione, con conseguente inapplicabilità della norma invocata.
Orbene, come osservato da questo Tribunale su identica fattispecie “…la ratio della richiamata disposizione normativa è … quella di limitare l’attività dei consigli che, prossimi alla loro cessazione, possono meno avvertire la propria responsabilità istituzionale, ovvero essere maggiormente influenzati nelle loro decisioni dall’imminenza delle elezioni; ma è altresì quella di riservare alla nuova assemblea, attuale espressione della volontà popolare, la massima parte delle scelte e delle decisioni riguardanti i futuri assetti dell’Ente.
In questo periodo di transizione, dunque, l’organo può approvare soltanto atti essenziali ed indifferibili, imposti dalla necessaria continuità dell’azione amministrativa (cfr. T.A.R. Sicilia Catania, III, 22 dicembre 2009, n. 2194).
Si tratta, cioè, degli atti per i quali è previsto un termine perentorio e decadenziale, superato il quale viene meno il potere di emetterli, ovvero essi divengono inutili, cioè inidonei a realizzare la funzione per la quale devono essere formati (si pensi al
caso di una domanda di finanziamento che deve essere presentata necessariamente entro un termine prestabilito), o hanno un’utilità di gran lunga inferiore.
Si può altresì dare il caso che il ritardo non precluda l’utile esercizio del potere da parte dell’organo, ma che ciò comporti sanzioni ovvero conseguenze materiali sfavorevoli di qualche rilevanza (come nel caso di forniture necessarie per l’ordinaria amministrazione dell’Ente): ed anche in tal caso il consiglio sarà tenuto a pronunciarsi, purché l’effetto pregiudizievole derivante dal ritardo non sia ipotetico ed eventuale, ma certo o comunque particolarmente probabile, in base a preesistenti e concreti elementi.”(così, T.A.R. Veneto, II, n. 6478/2010).
Né può essere condiviso quanto opposto in sede di discussione circa l’osservanza del termine per portare a compimento il procedimento di approvazione del Piano degli Interventi, secondo le scadenze temporali indicate dalla legge urbanistica regionale.
Anche su tale punto può essere richiamato il precedente già citato di questo Tribunale, ove, anche a voler condividere il carattere di urgenza della deliberazione, non è stato rinvenuto il carattere di indifferibilità di una deliberazione per la quale la legge non stabilisce un termine perentorio per la sua adozione.
A tale riguardo è stata infatti evidenziata l’insostenibilità delle tesi secondo la quale “…sarebbero sia urgenti che indifferibili tutti gli atti, conclusivi di procedimenti per i quali scada nel periodo d’interesse il termine non perentorio di provvedere, trascorso il quale, cioè, l’organo conserva comunque il proprio potere decisorio.
Bisogna considerare, infatti, che, attualmente, per ogni provvedimento esiste o dovrebbe esistere un termine ordinatorio (fosse pure quello generale ex art. 2 l. 241/90) per la sua adozione, una volta che il procedimento sia stato avviato: sicché, a seguire tale interpretazione, ne conseguirebbe che il divieto di cui all’art. 38, V comma sarebbe sostanzialmente disapplicato, semplicemente invocando
l’esistenza di un simile termine, la cui scadenza potrà forse rendere urgente l’approvazione del relativo provvedimento ma certamente di per sé non indifferibile.” (sent. cit.)
Orbene, quanto al termine per l’approvazione del PI, così come ricavabile dal disposto di cui all’art. 18 della L.r. n. 11/04, comma 4, secondo il quale, una volta decorsi i sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, il Consiglio comunale decide sulle stesse ed approva il piano, non è rinvenibile il carattere delle perentorietà di tale scadenza fissata dal legislatore regionale, essendo possibile ritenere tale termine come sollecitatorio, di natura ordinatoria, per la definizione del procedimento, una volta che l’amministrazione si sia determinata in ordine alle osservazioni presentate.
Il che porta a concludere per quanto riguarda la fattispecie in esame nel senso che nulla impediva al Consiglio e nella specie al Commissario ad acta (i cui poteri erano stati già prorogati) di differire la conclusione del procedimento di approvazione del Piano degli Interventi – Seconda Fase al periodo successivo alle elezioni per il rinnovo degli amministratori, non essendo ravvisabili, né sono stati rappresentati nel caso di specie, effetti pregiudizievoli ex se discendenti dalla proroga, la quale trova nell’evento costituito dallo scioglimento un factum principis che esclude, almeno di norma, qualsiasi responsabilità dell’Amministrazione per “inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento” (art. 2 bis l. 241/90).

sentenza TAR Veneto 1118 del 2012

Manca l’interesse a impugnare l’installazione di un nuovo impianto di carburanti se i bacini d’utenza sono diversi

13 Ago 2012
13 Agosto 2012

Segnaliamo la sentenza del TAR veneto n. 1146 del 2012 in materia di nuovi impianti di distribuzione di carburanti.

Il ricorso del concorrente è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse, in quanto “i due impianti di distribuzione hanno bacini d’utenza essenzialmente distinti (ex multis: TAR Lazio, I, 15.2.2012, n. 1526)”.

I motivi che hanno portato il TAR a questa conclusione sono i seguenti: “l’impianto di distribuzione di carburanti della ricorrente rispetto a quello contestato della controinteressata è sito in un tratto di strada a due corsie, separate da costruziooni che impediscono l’attraversamento della carreggiata, ed intercetta, nella relativa carreggiata, i veicoli che muovono nella direttrice Nord – Sud, mentre l’altro impianto, nella diversa carreggiata, intercetta i veicoli che si muovono nella perpendicolare direzione Est – Ovest.

Le due stazioni di servizio distano inoltre più di 500 metri.

Pertanto non vi è una rilevante interferenza tra i due flussi veicolari”.

Ricordiamo che l'articolo 35 del codice del processo amministrativo stabilisce al comma 1, lett. b) che il giudice dichiara, anche d'ufficio, il ricorso inammissibile "quando è carente l'interesse". Nelle recenti pronunzie il TAR Veneto ha mostrato un notevole rigore nel valutare se sussista l'interesse al ricorso, dichiarando inammissibili i ricorsi che non risultano supportati da un adeguato interesse.

Va ricordato che una sentenza che dichiara l’inammissibilità di un ricorso per carenza di interesse non implica anche che il ricorso  sarebbe stato infondato nel merito: insomma l’atto impugnato potrebbe teoricamente anche essere illegittimo, ma il Tribunale non valuta questo aspetto, appunto perché rileva un impedimento processuale a farlo

sentenza TAR Veneto 1146 del 2012

Nel caso di vincoli espropriativi quando spetta l’indennizzo e quando il risarcimento del danno: conseguenze sulla giurisdizione

13 Ago 2012
13 Agosto 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1121 del 2012 si occupa di alcune questioni in materia di vincoli espropriativi.

Il TAR precisa che, il risarcimento del danno spetta quando il vincolo è stato reiterato in modo illegittimo e in tal caso sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo. L’indennizzo, invece, spetta in via normale quando il vincolo venga reiterato, senza che si discuta della legittimità della reiterazione e, in tal caso, la giurisdizione spetta al giudice ordinario.

Scrive il TAR: “Risultano evidenti la diversità tra il calcolo dell’indennizzo e la fattispecie sottoposta a questo Collegio.

Il diritto all’indennizzo, di cui è competente il Giudice Ordinario, sorge solo in conseguenza dell’imposizione della reiterazione del vincolo decaduto, automaticamente e a seguito del semplice decorso del quinquennio e, ciò, senza che sia fatta questione della legittimità dello stesso provvedimento di adozione. Un costante orientamento Giurisprudenziale conferma (Cons. di Stato IV sez. n. 2627 del 2010)…..” che, ai sensi dell'art. 39, comma 1, t.u. sugli espropri, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il principio della spettanza di un indennizzo al proprietario nel caso di reiterazione o di tempestiva proroga del vincolo preordinato all'esproprio non rileva per la verifica della legittimità dei provvedimenti, che hanno disposto l'approvazione dello strumento urbanistico con la conseguente reiterazione o proroga del vincolo, atteso che i profili relativi alla spettanza dell'indennizzo e al suo pagamento non attengono alla legittimità del procedimento, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale, che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione e sono devolute alla cognizione della giurisdizione ordinaria”.

Nulla di tutto ciò è assimilabile al caso di specie, laddove al contrario si è in presenza di provvedimenti dichiarati illegittimi - in quanto immotivati -, e che sono stati annullati dal Decreto del Presidente della Repubblica previo parere del Consiglio di Stato.

Va inoltre rilevato come la ricostruzione della Suprema Corte sia peraltro del tutto conforme alla Giurisprudenza amministrativa nella parte in cui ammette il risarcimento del danno per illegittima reiterazione del vincolo (per tutti si veda Tar Puglia, Lecce sez. I, 7 febbraio 2001 n. 325).

La fattispecie sottoposta a questo Collegio va pertanto analizzata, non sulla base dei principi in materia di indennizzo per la reiterazione di un vincolo di esproprio, ma in ossequio ai principi generali in materia di risarcimento del danno conseguente all’annullamento di un provvedimento impugnato”.

sentenza TAR Veneto 1121 del 2012

In che cosa consiste il danno da illegittima reiterazione di un vincolo espropriativo

13 Ago 2012
13 Agosto 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1121 del 2012, pubblicata nel post che precede, si occupa poi del risarcimento del danno da illegittima reiterazione del vincolo.

Scrive il TAR: “è, pertanto, possibile constatare il venire in essere di tutti i presupposti che caratterizzano “il danno”, suscettibili di ammettere una pronuncia di condanna al risarcimento della lesione subita dal ricorrente.

Nel caso di specie sussiste infatti “l’evento lesivo” - così come la concreta “lesione” -, entrambe riconducibili all’asserita e protratta indisponibilità dell’area che. Essa, in conseguenza dell’illegittima apposizione del vincolo, non ha potuto produrre alcuna forma di “reddito” nei confronti del proprietario; sussiste la “culpa” dell’Amministrazione, riconducibile all’adozione di un provvedimento assolutamente privo di motivazione e, ciò, malgrado l’inevitabile compressione che detto provvedimento era astrattamente idoneo a provocare.

Deve ritenersi esistente, altresì, sia il nesso di causalità e, ancora, la prova del danno subito da parte del ricorrente nella parte in cui quest’ultimo ha dimostrato il “costo dell’indebitamento” sopportato.

Si è avuto modo di evidenziare come proprio l’indisponibilità del bene abbia, di fatto, obbligato la stessa ricorrente a stipulare un contratto di mutuo bancario per un importo pari a 550.000,00 Euro.

L’obbligo risarcitorio deve pertanto considerare non solo la reiterazione del vincolo poi dichiarata illegittima, ma soprattutto dovrà avere a riferimento la sostanziale indisponibilità del bene sopportata dal ricorrente.

E’ allora evidente come proprio “l’indisponibilità patrimoniale” del bene costituisce quell’indispensabile parametro per addivenire ad una corretta quantificazione del danno.

Detta indisponibilità ha comportato – soprattutto per una società immobiliare che opera sul mercato -, la necessità di ricorrere al credito per il naturale esplicarsi dell’attività economica e d’impresa che, il valore patrimoniale del bene, avrebbe potuto garantire e, quindi, il contestuale pagamento di quegli interessi correlati all’acquisizione di una determinata somma.

E’ allora del tutto evidente come il calcolo del danno subito non possa prescindere da una valutazione del valore dell’area, incisa dal provvedimento di reiterazione illegittimo. A tal fine questo Collegio ha ordinato lo svolgimento di una CTU a cui devolvere, altresì, l’accertamento relativo sia all’esatta classificazione dell’area in questione. Per quanto attiene al calcolo del risarcimento va rilevato come il Consulente d’Ufficio, abbia prospettato a questo Collegio due distinte soluzioni, corrispondenti a due differenti stime di valore. Per l’ipotesi denominata “A)” il valore andrebbe calcolato avendo a riferimento le aree in quanto considerate “non edificabili” ed è stato determinato nella quota corrispondente al 30% dei valori indicati nell’ipotesi B). L’ipotesi B) quantifica detto valore avendo a riferimento “l’edificabilità di fatto” e, quindi, prendendo a confronto le aree circostanti, anch’esse tutte edificabili. Lo stesso Consulente ha evidenziato come il Programma di fabbricazione del 1968 avesse qualificato l’area di proprietà del ricorrente come “agricola”; il programma di fabbricazione successivo, a sua volta, aveva inserito la stessa area nell’ambito della classificazione a “verde pubblico”. Ha altresì ricordato, sempre il Consulente, come le aree in questione, in una fase immediatamente antecedente alle delibere annullate - e in conseguenza del vincolo oramai decaduto -, fossero qualificate come “zona bianca” ai sensi di quanto previsto dall’art. 9 del Dpr 327/2001.

Sulla base di quanto sopra si è concluso che la destinazione delle aree di proprietà del ricorrente debba essere ricondotta ad area aree “agricole” o comunque ad aree destinate a “verde” e, in ciò risultando determinante la considerazione in base alla quale dette proprietà non erano state mai destinate, nemmeno da un aspetto meramente “potenziale”, ad essere edificate.

In ragione di una classificazione costante, risalente sin al 1968” e protratta per un tempo così considerevole – fino al Prg del 1992, deve allora ritenersi di prescindere dal considerare rilevante ai fini del calcolo del valore del bene il carattere “edificabile” delle aree circostanti.

A conferma di quanto sopra evidenziato è necessario rilevare come lo stesso Consulente abbia affermato che le aspettative di sviluppo delle aree della FIRB fossero, all’atto in cui veniva reiterato il vincolo, del tutto “indefinite”. Ne consegue come debba prescindersi dalla stima di cui all’ipotesi B), ritenendo più aderente al reale valore del bene quantificato l’ipotesi sub A) che, al contrario, evidenzia la classificazione, della stessa area, quale “zona bianca”.

Sempre ai fini di operare una corretta quantificazione del pregiudizio subito dal ricorrente va individuato il periodo di tempo in cui il danno si è prodotto. Il dies a quo deve essere individuato nella data di adozione della prima delibera comunale del Febbraio 1999 di reiterazione del vincolo e non, come vorrebbe parte resistente, nella delibera del 2002 con cui la Regione ha approvato la variazione del Prg che rendeva efficace la reiterazione del vincolo di inedificabilità.

Deve ritenersi che l’indisponibilità dell’area ai fini patrimoniali sopra precisati si sia prodotta a partire dal giorno in cui il Comune ha adottato la reiterazione, rendendola manifesta all’esterno e così determinando, da quel momento e di fatto, l’impossibilità del ricorrente di poter utilizzare l’area di cui si tratta e quel pregiudizio economico alla base della richiesta di risarcimento.

A tal fine va pertanto considerato che l’individuazione del dies a quo deve fare riferimento ai principi generali relativi al risarcimento a seguito dell’annullamento dell’atto, principi in base ai quali il termine iniziale va individuato dalla data del provvedimento lesivo (Cons. Stato, Sez. IV, 3 dicembre 2010, n. 8533).

Ne consegue che il termine finale della lesione, in quanto strettamente correlata al provvedimento di cui si tratta, non può che essere individuato proprio nella data di annullamento dello stesso vincolo, annullamento avvenuto, nel corso del 2007 e a seguito dell’accoglimento del Ricorso Straordinario sopra citato.

Il ricorso, pertanto, può essere accolto e di conseguenza deve essere condannata l’Amministrazione al risarcimento del danno subito così come quantificato dall’ipotesi sub A) della perizia depositata dal Consulente nominato da questo Tribunale e per un importo pari a Euro 22.125,44 (ventiduemilacentoventicinque//44)”.

Quando il contratto viene registrato non è più necessario comunicare all’Autorità Locale di Pubblica Sicurezza la “cessione del fabbricato”

10 Ago 2012
10 Agosto 2012

L’articolo 12 del decreto legge 21 marzo 1978, n. 59 (convertito dalla legge 18 maggio 1978, n. 191), ha introdotto l’obbligo di segnalare all’Autorità Locale di P.S. la cessione di un fabbricato (anche in locazione o comodato) o di parte di esso.

L’articolo 2 del decreto legge 20 giugno 2012, n. 79 ha previsto che, nel caso di locazione o di comodato soggetti all’obbligo di registrazione in termine fisso, la registrazione assorbe l’obbligo di comunicazione.

Alleghiamo la circolare del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno n.  557/LEG/912.138 del 20 luglio 2012 e la nota della Questura di Vicenza del 31 luglio 2012.

circolare Ministero Interni

Lo schema del regolamento di riforma degli ordini professionali

10 Ago 2012
10 Agosto 2012

Pubblichiamo lo schema del regolamento di riforma degli ordini professionali, approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 3 agosto 2012.

dpr2agosto

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC