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Condono edilizio: dichiarazione dolosamente infedele e onere probatorio

25 Ago 2014
25 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1127 conferma che, in materia di condono edilizio, la dichiarazione dolosamente infedele impedisce la formazione del silenzio-assenso perché: “Le circostanze sopra citate consentono di ritenere come la domanda di sanatoria integrasse la fattispecie della “domanda dolosamente infedele”, di cui all’art. 40 della L. n. 47/1985, disposizione quest’ultima che consente di escludere la formazione del silenzio assenso e, ciò, in applicazione di un costante orientamento giurisprudenziale nella parte in cui ha sancito che “in tema di concessione in sanatoria, la dolosa infedeltà della domanda di condono che, ai sensi degli artt. 35 e 40 della legge n. 47/1985, preclude la formazione del silenzio assenso della P.A. sulla medesima, è configurabile ove siano riscontrate omissioni ed inesattezze rilevanti – nel caso di specie, l’inesattezza attiene al tempo della commissione dell’abuso - preordinate a trarre in inganno il Comune sugli elementi essenziali dell’abuso che, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda Consiglio di Stato Sez. IV, Sent. n. 7491 del 30-11-2009)”.

Per quanto concerne le foto aree prodotte dal Comune, è onere della parte privata dimostrare la loro inconferenza e/o la loro erroneità: “1 Con il primo motivo parte ricorrente rileva la violazione dell’art. 32 comma 25 del D.L. n. 269/2003 in quanto dalla foto area, esibita dal Comune di Padova, non sarebbe possibile evincere con certezza che alla data del 31/03/2003 il manufatto di cui si tratta non risultava esistente.

2. Le argomentazioni della ricorrente non convincono e vanno respinte.

2.1 Pur convenendo che l’esame della documentazione fotografica non risulti risolutivo al fine di accertare l’esistenza o meno dell’abuso in questione, sul punto risulta dirimente rilevare che il Comune, nel corso dell’accesso posto in essere in data 07/04/2004, aveva accertato che la realizzazione del manufatto abusivo, a quella data, era ancora in corso.

2.2 Ne consegue che l’accertamento dello stato dei lavori, così posto in essere, risulta in contrasto con quanto dichiarato dal ricorrente nella dichiarazione sostitutiva presentata in sede di deposito della domanda di sanatoria, nella parte in cui si era affermato come i lavori erano stati ultimati alla data del 31/03/2003.

2.3 Nel corso del procedimento l’Amministrazione, dopo aver constatato l’esistenza di ulteriori dichiarazioni contrastanti con quella della ricorrente, si era determinata nel procedere a disporre successivi approfondimenti e, quindi, ad acquisire le riprese fotogrammetriche realizzate nel periodo maggio – novembre 2003.

2.4 L’esistenza di dette dichiarazioni contrastanti avevano poi determinato lo svolgimento di un procedimento penale conclusosi con un indulto, circostanza quest’ultima confermata dalla stessa ricorrente.

2.5 Va, inoltre, rilevato come non possano essere considerati elementi idonei a contrastare i rilievi del Comune di Padova le dichiarazioni rese nel giudizio da soggetti terzi e ulteriori – sempre in merito alla data di ultimazione dei lavori - e, ciò, considerando come dette dichiarazioni facciano riferimento ad un manufatto diverso rispetto a quello in causa (il numero civico è differente) e, comunque, non costituiscano dichiarazioni idonee a smentire l’accertamento posto in essere dall’Amministrazione nella parte in cui ha rilevato come i lavori fossero ancora in corso alla data del 07/04/2004.

2.5 Ciò premesso risulta evidente che in presenza del quadro di incertezza sopra rilevato costituisse onere del ricorrente dimostrare l’esistenza di un presupposto, quello dell’esistenza dell’opera al 31/03/2003, indispensabile ai fini dell’ottenimento del provvedimento di sanatoria ( in questo senso si veda T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 14-02-2014, n. 133).

2.6 Malgrado ciò il ricorrente non ha fornito, sia nel corso del procedimento quanto a tutto l’esplicarsi del presente giudizio, elementi utili per dimostrare come l’ultimazione dei lavori sia sicuramente avvenuta ad una data antecedente a quella accertata dall’Amministrazione comunale.

2.7 Al contrario ci si è limitati a contestare l’idoneità della documentazione fotografica e, nel contempo, a ritenere infondati gli ulteriori riscontri posti in essere.

3. Ne consegue che in mancanza di elementi certi a sostegno delle tesi della parte istante il Comune di Padova non poteva che ritenere mancante un presupposto indispensabile per integrare la fattispecie di cui all’art. 32 comma 25 del D.Lgs. 269/2003 e, quindi, per accogliere l’istanza di sanatoria presentata.

La censura è, pertanto, infondata e va respinta”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1127 del 2014

Si deve impugnare anche l’esclusione dalla prove orale

25 Ago 2014
25 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1138 dichiara che, in materia di concorsi pubblici, vi è l’onere di impugnare, a pena di decadenza, anche l’esclusione dalla prove orali essendo già questa esclusione  lesiva delle pretese dell’interessato: “Invero, come da costante orientamento, “nel caso di mancato superamento delle prove scritte e conseguente non ammissione alle prove orali si verifica, nei confronti del candidato, un arresto del procedimento concorsuale e la sua definitiva esclusione, la lesione è immediata e lo svolgimento ulteriore del concorso rimane indifferente per il candidato stesso che non si opponga alla determinazione negativa con l'impugnazione in sede giurisdizionale nei termini di decadenza. La soluzione così prescelta consente di evitare, secondo un principio generale di economia delle attività degli Enti Pubblici, che procedure complesse e laboriose siano condotte a termine con l'incertezza derivante dalla eventuale proposizione di impugnazioni tardive e potenzialmente idonee a porre nel nulla le attività svolte.” (C.d.S. , VI, 4623/2007).

Nel caso di specie, ai fini dell’individuazione del termine per la proposizione del ricorso a seguito dell’avvenuta conoscenza del mancato superamento della prova scritta con un punteggio pari a quello minimo richiesto dal bando, non può farsi riferimento all’accesso successivamente effettuato dall’interessato in data 26.5.2014, atteso che di per sé la mancata partecipazione alle prove orali (tenutesi, per espressa disposizione del bando, nelle giornate del 14 e 15 aprile 2014) doveva già rendere edotto il concorrente del mancato superamento della prova scritta e della mancata ammissione alle prove orali;

ne consegue che, quanto meno a partire dalla data del 15 aprile (secondo giorno delle prove orali, come da bando), il ricorrente doveva considerarsi escluso dall’ulteriore partecipazione alla selezione e quindi era suo onere impugnare l’atto che ha comportato, per lui, l’arresto della procedura e non la graduatoria finale di tutta la procedura”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1138 del 2014

La distanza tra pareti finestrate si applica anche se i due edifici costituiscono un’unica costruzione

22 Ago 2014
22 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1137 chiarisce che l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 si applica anche se i due corpi edilizi aventi pareti finestrate costituiscono un’unica proprietà: “Assume, invero, preliminare e dirimente rilevanza il profilo, evidenziato nel provvedimento impugnato, interessante la mancata osservanza delle distanze dettate, in termini inderogabili, dalla normativa statale (D.M. 1444/68, artt. 8 e 9) onde assicurare il rispetto delle distanze tra pareti finestrate, nella specie in rapporto all’altezza di edifici frontistanti.

A tale proposito, va sottolineato, come comprovato dall’amministrazione, che trattasi di due edifici che sono stati realizzati, sebbene dall’allora unica proprietà, sulla base di due diversi titoli rilasciati in epoche diverse (per quanto riguarda l’edificio ora di proprietà della ricorrente, il titolo risale al 1968, per quello frontistante al 1969).

In ogni caso, anche a voler prescindere da tale dato di fatto, si osserva che il rispetto delle distanze imposte dal D.M. 1444/68, art. 9, è norma che trova comunque applicazione, senza che assuma alcuna rilevanza l’eventuale unica proprietà dei due edifici (“..è assorbente la contestazione…che l’art. 9 del D.M. 1444/68, laddove impone l’anzidetta distanza di 10 metri tra pareti finestrate, prevale anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme e va pertanto applicata anche a corpi distinti di un’unica costruzione, ivi dunque compresa l’ipotesi di sopraelevazione (cfr. sul punto, Cass. Civ., Sez. II, 27.3.2001, n. 4413)”, così, C.d.S, IV, 2483/2013).

Né, infine, è consentito, neppure in occasione dell’applicazione della normativa sul “Piano Casa”, derogare a tali parametri, essendo questi imposti al fine di assicurare le condizioni di salubrità ed evitare la creazione di dannose intercapedini”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1137 del 2014

I presupposti del diritto di accesso

22 Ago 2014
22 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1042 enuclea i presupposti del c.d. diritto di accesso ai documenti amministrativi ex artt. 22 e ss della L. n. 241/1990: “la tutela del diritto di accesso, come previsto dall'art. 22, comma 2, della L. n. 241 del 1990 (come modificata dalla L. n. 69 del 2009), è preordinata al perseguimento di rilevanti finalità di pubblico interesse al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'attività amministrativa (ex multis Cons. St., sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2093).

La giurisprudenza amministrativa (ex multis Cons.St., sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 555) ha ritenuto che la domanda di accesso: a) deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile, e non può essere generica; b) deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta (Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3271; sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4216); c) deve essere finalizzata alla tutela di uno specifico interesse giuridico di cui il richiedente è portatore; d) non può essere uno strumento di controllo generalizzato dell'operato della P.A. (ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 12 gennaio 2011, n. 116; id., sez. IV, n. 2283/2002; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 02 febbraio 2011, n. 187); e) non può assumere il carattere di una indagine o un controllo ispettivo, cui sono ordinariamente preposti organi pubblici (Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2283; T.a.r. Lazio, sez. II, 22 luglio 1998, n. 1201)”.

Chiarito ciò, il Collegio si sofferma anche sul c.d. diritto di accesso defensionale, previsto dall’art. 24, c. 7 della L. n. 241/1990, il quale prevale anche sugli altri contrapposti interessi: “è stato affermato che l'accesso c.d. defensionale, cioè propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni in giudizio (già pendente o da introdurre), ovvero nell'ambito di un procedimento amministrativo, riceve protezione preminente dall'ordinamento atteso che, per espressa previsione normativa (art. 24, u.c., L. n. 241 del 1990), prevale su eventuali interessi contrapposti (in particolare sull'interesse alla riservatezza dei terzi, financo quando sono in gioco dati personali sensibili e, in alcuni casi, anche dati ultrasensibili (Cfr. C.S., Sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 783).

Ebbene, nella fattispecie, la ricorrente ha dimostrato di essere titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti ai quali è chiesto l' accesso, stante la necessità di conoscere tali atti alla cui stregua poter dimostrare la regolarità edilizia dei propri immobili e poter compiutamente esercitare il proprio diritto di difesa nei confronti del Comune e/o di terze società che ciò hanno posto in contestazione”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1042 del 2014

 

Espropriazione: rapporto tra interessi pubblici e privati

21 Ago 2014
21 Agosto 2014

Il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 07 agosto 2014 n. 3439 si sofferma su alcune questioni in materia di esproprio concernenti il rapporto tra gli interessi pubblici e privati coinvolti nella procedura de qua.

Innanzitutto conferma che la possibile lesione degli interessi dei privati deriva soltanto dall’approvazione del progetto definitivo e non dall’approvazione di quello preliminare: “Osserva la Sezione che la giurisprudenza, con orientamento consolidato, ha chiarito che la comunicazione dell'avvio del procedimento prevista dall'art. 7 L. 7 agosto 1990, n. 241, non è necessaria nel caso di approvazione del progetto soltanto preliminare di un'opera pubblica: tale comunicazione occorre solo nel caso in cui debba approvarsi il progetto definitivo dell’opera, al quale è riconnessa per implicito anche la dichiarazione di pubblica utilità, come previsto dall'art. 14, comma 13, L. 11 febbraio 1994 n. 109 (C.d.S., V, 3 maggio 2012, n. 2535; IV, 11 aprile 2007, n. 1668; 29 maggio 2009, n. 3364; 14 dicembre 2002, n. 6917; 26 settembre 2001, n. 5070). In via di principio, quindi, non sussiste alcun obbligo dell'Amministrazione di comunicare l'avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990 relativamente all'approvazione di un progetto preliminare (IV, 3 agosto 2010, n. 5155), il quale non è nemmeno un atto di per sé autonomamente impugnabile, in quanto solo endoprocedimentale, diversamente da quelli che approvano il progetto definitivo e quello esecutivo, che sono invece impugnabili in quanto suscettibili di ledere la posizione giuridica soggettiva individuale (IV, 22 giugno 2006, n. 3949)” ed ancora: “la giurisprudenza ha precisato che, poiché la volontà di realizzare un'opera pubblica deve esplicitarsi attraverso provvedimenti tipici, come chiarito dall'art. 12, d.P.R. n. 327 del 2001 in continuità con quanto in precedenza previsto dall'art. 14, comma 13, legge n. 109 del 1994, all'approvazione del progetto preliminare non può essere connesso il significato di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera: C.d.S., VI, 24 novembre 2011, n. 6207”.

Successivamente i Giudici confermano che la dichiarazione dell’occupazione d’urgenza non necessita della comunicazione di avvio del procedimento: “La doglianza risulta infondata in considerazione del principio, più volte enunciato dalla giurisprudenza, per la quale non è necessaria la comunicazione dell'avvio del procedimento per l'emanazione del decreto di occupazione d’urgenza, dal momento che questo è atto di mera attuazione del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori: di conseguenza, le garanzie procedimentali relative alla partecipazione sono proprie solo di quest'ultimo (C.d.S., Ad.Pl., 15 settembre 1999, n. 14; IV, 8 giugno 2007, n. 2999; 5 febbraio 2009, n. 676; V, 26 settembre 2013, n. 4766; VI, 2 marzo 2011, n. 1312).

Peraltro, comunque la previa comunicazione dell'avvio del procedimento non è richiesta, dall'art. 7, comma 1, della legge n. 241/1990, ove “sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento” (C.d.S., IV, 15 luglio 2013, n. 3861), come avviene in re ipsa nel caso della occupazione d’urgenza”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3439 del 2014

Le c.d. clausole escludenti vanno impugnate immediatamente

21 Ago 2014
21 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 17 luglio 2014 n. 1039 si sofferma sulle c.d. clausole escludenti dei bandi di gara/concorso, chiarendo che le stesse devono venire impugnate nel termine di trenta/sessanta giorni decorrenti dal momento della pubblicazione del bando/concorso e non dall’adozione del provvedimento di esclusione: “il prevalente indirizzo giurisprudenziale, recepito dalla decisione del Cons. Stato, Ad. Plen., 29/1/2003, n. 1, ritenga immediatamente impugnabile il bando di gara o di concorso allorché contenga clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione, come quelle che prescrivono requisiti soggettivi di partecipazione, ex se lesive.

Ebbene, nel caso in esame, la disposizione del bando sul limite di età, in sé assolutamente chiara ed univoca nel suo contenuto precettivo e tale da non richiedere alcun apporto interpretativo, costituisce indubbiamente un requisito soggettivo di partecipazione alla gara, per cui, avendo immediata attitudine lesiva, andava subito fatta oggetto di gravame.

Ciò premesso, poiché il bando è stato pubblicato nell’albo pretorio on line del Comune dal 31 gennaio 2014 al 13 marzo 2014, e l’odierno ricorso è stato notificato all’amministrazione solo in data 4 giugno 2014, l’odierna impugnazione del bando deve essere giudicata irricevibile per tardività.

Ne consegue l’inammissibilità dell’impugnazione del provvedimento di esclusione applicativo della suddetta prescrizione”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1039 del 2014

Se il ripristino è impossibile si applica la sola sanzione pecuniaria

20 Ago 2014
20 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 10 luglio 2014 n. 997 si sofferma sulla portata dell’abrogato art. 131 del D. Lgs. n. 490/1999 – sostituito dal vigente D. Lgs. 42/2004 (c.d Codice dei beni culturali e del paesaggio) – per affermare che la demolizione delle opere abusive, eseguite su di un immobile vincolato, impone una seria ed attenta valutazione circa la loro compatibilità. In particolare, laddove la reintegrazione sia oggettivamente impossibile, appare corretto applicare unicamente la sanzione pecuniaria prevista dal comma 4 dell’articolo citato: “2. Non solo sussiste la contraddittorietà tra quanto contenuto nel parere sopra citato e il decreto di ripristino, ma sussiste, altresì, la violazione dell’art. 131 del D. Lgs. 490/1999 nella parte in cui detta disposizione richiede, sulla base di quanto previsto dai comma primo e quarto, che l’ordine di demolizione contenga l’indicazione di un danno e la menzione circa l’effettiva possibilità di procedere al ripristino della nuova opera.

2.1 Nulla di tutto ciò è presente nell’ordinanza impugnata che, in quanto tale, non solo non contiene alcuna menzione del danno subito dal complesso immobiliare, ma nel contempo non considera l’entità delle opere realizzate dirette allo sostituzione di un solaio e, quindi, a garantire l’integrità del manufatto, senza incidere sulle caratteristiche essenziali dello stesso.

2.2 Nemmeno vi è menzione circa l’effettiva fattibilità di un ripristino, argomentazione che pure doveva ritenersi indispensabile in considerazione dell’abuso contestato.

Nel caso di specie, infatti, la struttura che il Ministero vorrebbe ripristinare è stata integralmente rimossa con la conseguente impossibilità della sua riparazione.

L’esistenza di dette circostanze evidenzia il venire in essere di un ulteriore profilo dell’eccesso di potere, riconducibile al difetto di istruttoria e, ciò, considerando come la specificità del manufatto, unitamente all’impossibilità di un ripristino, avrebbe dovuto essere rilevata da parte della Soprintendenza, con la conseguenza di ritenere applicabile la fattispecie di cui al quarto comma dell’art. 131 del D. Lgs. 490/1999 nella parte in cui prevede in dette ipotesi l’applicazione della sanzione pecuniaria”.

dott. Matteo Acquasaliente

 sentenza TAR Veneto n. 997 del 2014

Ancora sulle motivazioni apodittiche della Soprintendenza

20 Ago 2014
20 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto n. 1125 conferma che i provvedimenti della Soprintendenza, per essere legittimi, devono contenere una motivazione chiara e puntuale: “un costante orientamento giurisprudenziale, peraltro di recente sostenuto anche da questo Tribunale, ha rilevato come la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo è diretta a consentire al destinatario di ricostruire l’iter logico-giuridico in base al quale l’amministrazione è pervenuta all’adozione di tale atto, nonché le ragioni ad esso sottese; e ciò allo scopo di verificare la correttezza del potere in concreto esercitato, nel rispetto di un obbligo da valutarsi, invero, caso per caso in relazione alla tipologia dell’atto considerato ((TAR Veneto 767 e 768 del 2014),Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750; sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 938, sez. V, 25 settembre 2000 n. 5069).

3.1 Si è, altresì, precisato che la valutazione discrezionale dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo deve essere strettamente riferita ai luoghi in cui il manufatto viene ad incidere, con un onere dell’Amministrazione di indicare le specifiche ragioni in relazione alle quali le opere edilizie non si ritengono adeguate (si veda TAR Piemonte n. 1024/2013 e TAR Veneto 1394/2013).

3.2 E’, allora, evidente che una motivazione puntuale deve ritenersi necessaria, anche a prescindere dalla particolarità della fattispecie e, ciò, affinché siano sempre esternate le ragioni che giustificano la determinazione assunta, non potendo la motivazione espressa in essa esaurirsi in semplici, generiche locuzioni di stile.

3.3 Nulla di tutto ciò è presente nei provvedimenti impugnati e, ciò, considerando come il diniego della Soprintendenza non reca nessun riferimento concreto all’ambiente circostante, così come non viene evidenziato quale elemento delle terrazze risulterebbe in contrasto con i valori ambientali e paesaggistici tutelati.

3.4 La motivazione del parere contrario alla demolizione della copertura è stata disposta “perché deturpa l’ambiente vincolato dalla legge n. 1089/1939”, motivazione quest’ultima che per il suo tenore non può non essere considerata apodittica.

3.5 Nemmeno può condividersi l’argomentazione dell’Avvocatura distrettuale dello Stato nella parte in cui si limita a ricordare il carattere discrezionale del parere della Soprintendenza e, in ciò, senza esplicitare quegli elementi che sarebbero in contrasto con l’intervento di accorpamento di terrazze già assentite”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1125 del 2014

 

A chi va notificato il diniego del condono edilizio?

19 Ago 2014
19 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1135 stabilisce che il rigetto del condono edilizio, ex L. n. 47/1985, deve essere notificato solo all’originario richiedente e non anche agli eventuali e/o successivi acquirenti dell’immobile: “vale il principio generale accolto dalla giurisprudenza amministrativa per cui: “quando un provvedimento negativo si consolida, per decorso dei termini di impugnazione, in capo al suo destinatario (che non ha agito in giudizio a tutela del suo interesse legittimo), l'eventuale alienazione da parte di quest'ultimo della res in ordine alla quale il provvedimento è stato emesso non riapre, per l'acquirente, i termini per impugnare, neppure se costui viene a conoscenza integrale dei provvedimenti negativi solo dopo l'avvenuto acquisto ed a seguito di accesso agli atti amministrativi” (cfr. T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 12-11-2010, n. 24034).

Nella fattispecie in esame va rilevato che l'art. 35 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 stabilisce espressamente che "il diniego di sanatoria è notificato al richiedente", dando ragione sia della necessità di una notificazione del provvedimento negativo, sia del fatto che unico destinatario della stessa debba essere colui che ha attivato il procedimento.

Con la conseguenza che nessun obbligo incombe al Comune di individuare come destinatario del provvedimento di rigetto, oltre al richiedente - di cui nessuna norma, tra l'altro, prevede l'esclusione in caso di alienazione - anche l'eventuale acquirente dell'immobile interessato in tutto o in parte dalla sanatoria. Il che, peraltro, determinerebbe un notevole aggravio procedimentale a carico del Comune.

E si comprende che una simile stringente applicazione del dato normativo trova ragionevole rispondenza in evidenti esigenze di certezza e celerità che devono assistere procedimenti e provvedimenti riguardanti beni ed interessi di rilevanza generale, come la tutela del territorio, soprattutto ove con la stessa venga ad interferire un regime derogatorio quale quello introdotto da norme di sanatoria di interventi realizzati in assenza di titolo edilizio o in difformità dalla disciplina urbanistica vigente; ne discende che del tutto ragionevolmente il legislatore ha indicato il solo richiedente come soggetto interlocutore del procedimento di condono, nonché quale formale destinatario del provvedimento finale, affidando alla tutela predisposta dal diritto civile ogni questione che possa sorgere da eventuali vicende traslative di diritti dominicali interessanti le opere e gli immobili per cui è stato richiesto il beneficio urbanistico; vicende che, a ben vedere, poco o quasi nulla rilevano ai fini dell'ordinato sviluppo del territorio cui la disciplina urbanistica si rivolge (cfr. T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 04-11-2011, n. 5148)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1135 del 2014

Solo un’offerta paria zero è inattendibile

19 Ago 2014
19 Agosto 2014

Il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 17 luglio 2014 n. 3805 si sofferma sulla valutazione dell’anomalia delle offerte della stazione appaltante.

Dopo aver sottolineato il forte potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, chiarisce che soltanto un’offerta pari a zero o in perdita è ex se inattendibile e, quindi, va esclusa: “7.3.2. Circa l’ambito del sindacato esercitabile dal giudice amministrativo sul giudizio di non anomalia, il Collegio rinvia ai principi elaborati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. sentenze nn. 7 e 8 del 2014 e 36 del 2012, successivamente Sez. V, n. 244 del 2014), secondo cui la valutazione di anomalia (e a fortiori quella di non anomalia) attiene a scelte rimesse alla stazione appaltante quale espressione di autonomia negoziale in ordine alla convenienza dell’offerta ed alla serietà e affidabilità del concorrente, ed è pertanto sindacabile solo ab externo, nei limiti della abnormità, manifesta irragionevolezza e travisamento dei fatti presupposti (evenienze queste che non si configurano nel caso di specie dove, al contrario, si è avuta la prova empirica della serietà dell’offerta atteso che tutte le prestazioni contrattuali sono state realizzate senza contestazioni e nei termini pattuiti).

7.3.3. Nel merito si rileva, in una con la consolidata giurisprudenza (cfr. da ultimo la richiamata Sez. V, n. 2444 del 2014, nonché Sez. VI, n. 4676 del 2013; Sez. IV, n. 1633 del 2013; C.g.a. n. 250 del 2013; Sez. IV, n. 4206 del 2012, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 120, co. 10 c.p.a.), che:

a) il giudizio di verifica della congruità delle offerte ha natura globale e sintetica abbracciando l’offerta nel suo insieme, esso pertanto non ha ad oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze essendo finalizzato ad accertare se l’offerta sia seria e attendibile nel suo complesso restando irrilevanti, sotto tale angolazione, singole voci di scostamento da parametri ordinari (nella specie il dato maggiormente contestato è stato quello della sottostima del costo della mano d’opera che è stato però ritenuto congruo dal c.t.u., in termini monetari, e anomalo, in relazione al rapporto fra numero di ore lavorate e numero di addetti);

b) il mancato rispetto dei minimi tabellari sul costo del lavoro o, in mancanza, dei valori indicati dalla contrattazione collettiva non determina l’automatica esclusione dalla gara ma costituisce un indice di anomalia dell’offerta che va poi verificato mediante un giudizio complessivo di remuneratività ed affidabilità che consente all’impresa di fornire le proprie giustificazioni di merito;

c) solo un utile pari a zero o l’offerta in perdita rendono ex se inattendibile l’offerta economica (circostanze queste che non si sono verificate nel caso di specie);

d) in occasione della verifica in contraddittorio della congruità dell’offerta è consentito un limitato rimaneggiamento degli elementi costitutivi di quest’ultima purché l’originaria proposta contrattuale non venga modificata sostanzialmente ovvero non venga alterata la sua logica complessiva (anche tali evenienze non si sono realizzate nel caso concreto);

e) la legge di gara non ha previsto modalità formali, presidiate dalla sanzione della esclusione, per la produzione delle giustificazioni in sede di offerta; inoltre, tutte le paventate irregolarità nella compilazione delle schede di analisi potevano essere superate dal concorrente, per espressa volontà del bando <<…con analisi più dettagliate e con quant’altro ritenga opportuno fornire a giustificazione del ribasso offerto>> (pagina 9 del bando); quanto all’inidoneità professionale di due ditte indicate quali sub appaltatrici, è sufficiente rilevare che: I) la previsione del sub appalto, nel caso di specie, incide sulla fase della esecuzione del contratto; II) la ditta Polaris non ha mai svolto attività di sub appaltatrice; III) la ditta Rainoldi ha prestato la propria attività nell’ambito di un’a.t.i. e dunque nei limiti delle proprie capacità; IV) in ogni caso, da un lato, il sub appalto è stato debitamente autorizzato in concreto dalla stazione appaltante, dall’altro, il Consorzio era munito di tutti i requisiti di capacità richiesti dal bando per poter eseguire direttamente le opere”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3805 del 2014

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