Tag Archive for: Veneto

La legge che attribuisce alla Giunta il potere di approvare i piani attuativi non è incostituzionale

18 Ago 2014
18 Agosto 2014

La questione è esaminata dal TAR Veneto nella sentenza n. 986 del 2014.

Si legge nella sentenza: "La riconosciuta inammissibilità del ricorso per quanto riguarda i ricorrenti Gradini, Florean e Geronazzo, richiede, tuttavia, la delibazione circa i profili di incostituzionalità prospettati, in via subordinata, dai ricorrenti con riguardo proprio alla disposizione introdotta dall’art.5, comma 13 della legge 106/11. La difesa istante ha infatti evidenziato come detta norma si ponga in palese contrasto con i principi di rispetto delle autonomie dettati dalla Costituzione, così come espressamente richiamati nel T.U.E.L., nella parte in cui rileva come le norme in esso contenute siano espressione di principi generali, non modificabili se non per espressa previsione normativa, nonché dal richiamo contenuto nel medesimo corpo normativo all’art. 128 della Costituzione, che ribadisce il rispetto delle autonomie, principio che, proprio attraverso la sottrazione della competenza all’approvazione del PUA al Consiglio Comunale, sarebbe stato violato dalla norma contestata. Ritiene il Collegio che la questione di legittimità costituzionale, sebbene rilevante ai fini della decisione in esame, non presenti elementi di manifesta fondatezza per le considerazioni che seguono. In primo luogo, vanno ribadite le considerazioni sopra accennate circa la ratio della norma e la conseguente insussistenza di un reale pregiudizio per le funzioni assegnate al Consiglio. Al riguardo è stato messo in rilievo come detta previsione, da un punto di vista squisitamente politico, attribuendo il compito di approvazione dei PUA ad un organo di maggioranza, faccia di per sé venire meno il ruolo dell’opposizione (ed è infatti questo il punto che ha spinto i ricorrenti a impugnare le delibere): tuttavia, come già osservato, il profilo non è dirimente, in quanto i piani di cui si discute debbono essere conformi al PRG, che a sua volta è stato, seppur in passato, votato dal Consiglio comunale. Invero, proprio tenuto conto delle specifiche condizioni in presenza delle quali è possibile concentrare in capo alla Giunta l’adozione e l’approvazione del PUA, ossia la sua conformità alle previsioni di PRG, è evidente che se il PUA non presenta innovazioni rispetto al PRG, esso si porrà in sintonia con ciò che il Consiglio Comunale ha già deliberato in occasione della redazione del PRG. La concentrazione dell’intera procedura in capo alla Giunta, quindi, risponde ad esigenze di celerità e semplificazione che comunque non diminuiscono le competenze del Consiglio, trattandosi  dell’approvazione di uno strumento urbanistico di secondo grado coerente e conforme a quanto già deliberato dal Consiglio Comunale. Per altro verso e con espresso riguardo al rispetto delle disposizioni costituzionali che assicurano le autonomie ed al richiamo contenuto nel T.U.E.L. all’art. 128 Cost. (proprio al fine di impedire, quale norma di salvaguardia, la deroga o, più correttamente, l’abrogazione tacita delle disposizioni in esso contenute per effetto di leggi sopravvenute, non aventi tale specifica e conclamata finalità), il Collegio osserva in primo luogo come detto richiamo alla norma costituzionale non abbia più valore, per effetto dell'art. 9, comma 2, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che ne ha disposto l’abrogazione. Eliminato il richiamo costituzionale, l’analisi della norma dell’art.5, comma 13 – ferme restando le considerazioni sopra espresse circa il rispetto delle autonomie e delle competenze degli organi - deve quindi essere operata solo attraverso il rapporto che intercorre tra le due fonti normative, da un lato un T.U.E.L., decreto legislativo 267/01, normazione delegata dal Parlamento, e dall’altro una legge ordinaria, L. n. 106/11. In punto di stretto diritto, se sussiste un rapporto di sovra ordinazione gerarchica fra le due norme, il problema è pacificamente risolto nel senso che sarà la norma superiore a prevalere, rendendo l’altra invalida. Diversamente, nell’ipotesi in cui siano norme di pari rango normativo, dovrà essere seguito il criterio cronologico, per cui la norma successiva abrogherà quella precedente. Seguendo la tesi maggioritaria che attribuisce ai Testi Unici il medesimo livello gerarchico delle leggi del Parlamento, applicando anche nel caso  in esame il criterio cronologico, la legge 106/11 deve prevalere ed abrogare, nelle specifiche ipotesi, la norma dell’art. 42 del T.U.E.L. Essendo venuto a mancare il richiamo all’art. 128 Cost. contenuto nell’art. 1 T.U.E.L., difettando un ulteriore fondamento costituzionale delle disposizioni contemplate dal testo unico, e applicando dunque il  principio cronologico, la nuova disciplina, avente pari forza della precedente, ne determina l’abrogazione. Non profilandosi, quindi, neppure sotto il profilo del contrasto con i principi costituzionali, ragioni per  non dare applicazione alla normativa applicata nel caso in esame, restano confermate le conclusioni sopra espresse circa l’inammissibilità del ricorso proposto dai tre Consiglieri comunali".

Dario Meneguzzo - avvocato 

sentenza TAR Veneto n. 986 del 2014

Un accordo di pianificazione ex art. 6 L. 11/2004 non è impugnabile fino a quando non diventi efficace dopo il recepimento nel PAT o nel PI

18 Ago 2014
18 Agosto 2014

Segnaliamo su questa questione la sentenza del TAR Veneto n. 986 del 2014.

Scrive il TAR: "è da osservare come, anche a voler superare la dedotta tardività, sia indubitabile che in ogni caso la lesività di detto accordo si paleserà soltanto una volta che lo stesso sarà divenuto efficace e operativo. Infatti, come la stessa difesa di parte ricorrente ha riconosciuto, detto accordo necessita, per essere efficace, di essere recepito e divenire parte integrante dello strumento urbanistico, ossia del PAT e quindi del PI. Prima di tale momento, l’accordo - sebbene esprima la volontà, politica, del Comune di dare avvio ad un intervento che darà luogo, nella specie, alla realizzazione di un parcheggio pubblico sotterraneo e che prevede anche una ben precisa contropartita in favore della Parrocchia - non è tuttavia in grado di produrre alcun effetto: ne consegue che, in ogni caso, le censure dedotte avverso tale atto sono comunque inammissibili in quanto riferite a contenuti dell’accordo che, quanto meno al momento in cui è stato proposto il ricorso, non erano in alcun modo operativi. Solo nell’ipotesi in cui si dovesse accertare che il contenuto dell’accordo è già stato recepito nel PUA impugnato, allora si potrà valutare l’eccezione di tardività".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 986 del 2014

Quando è possibile ottenere il trasferimento per assistere un familiare disabile?

18 Ago 2014
18 Agosto 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 06 agosto 2014 n. 4200 si occupa dei requisiti che devono sussistere affinché un dipendente pubblico possa chiedere ed ottenere il trasferimento, presso una diversa Pubblica amministrazione, al fine di poter assistere un familiare disabile.

Il Collegio, dopo aver ricordato le recenti modifiche effettuate con la L. n. 183/2010, si sofferma sul “forte” potere discrezionale della Pubblica Amministrazione. In particolare si legge che: “A seguito della novella di cui alla legge nr. 183 del 2010, è stata eliminata dall’art. 33 della legge nr. 104 del 1992 la previsione dei requisiti della continuità ed esclusività dell’assistenza: tali requisiti, pertanto, non possono più essere pretesi dall’Amministrazione come presupposto per la concessione dei benefici di cui al citato art. 33, e dunque gli unici parametri entro i quali l’Amministrazione deve valutare se concedere o meno i benefici in questione – nella fattispecie concreta, il trasferimento presso la Casa Circondariale di Matera – sono da un lato le proprie esigenze organizzative ed operative e dall’altro l’effettiva necessità del beneficio, al fine di impedire un suo uso strumentale.

Ciò premesso, va rilevato che la richiesta di trasferimento in base alla normativa suindicata non configura un diritto incondizionato del richiedente: la p.a. può legittimamente respingere l’istanza di trasferimento di un proprio dipendente, presentata ai sensi dell’art. 33, quando le condizioni personali e familiari dello stesso recedono di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 marzo 2014, nr. 1073).

Il c.d. “diritto al trasferimento” è quindi rimesso ad una valutazione relativamente discrezionale dell’Amministrazione ed è soggetto ad una duplice condizione: che nella sede di destinazione vi sia un posto vacante e disponibile e che vi sia l’assenso delle Amministrazioni di provenienza e di destinazione; ne discende che, quand’anche il requisito della vacanza e della disponibilità risulti soddisfatto, il beneficio può essere negato in considerazione delle esigenze di servizio della struttura di provenienza o di destinazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 aprile 2014, nr. 1677).

Quando poi risulta che la persona portatrice di handicap ha altri familiari in loco e che il richiedente non ha in precedenza prestato attività di assistenza nei suoi confronti, la p.a. può legittimamente respingere l’istanza di trasferimento (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere nr. 3297 del 21 novembre 2013)”.

La sentenza, inoltre, conferma quanto già statuito dal giudice di prime cure, ovvero che per avere il “diritto al trasferimento” il dipendente deve già assistere, sin da quando è in servizio, una persona disabile.  I Giudici ancorano tale statuizione al tenore dell’art. 33, c. 3 della L. n. 104/1992, secondo cui: “il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità”. 

Che si davvero questa, però, la ratio legis?

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 4200 del 2014

Lo spunto del sabato: L’uomo è fame

16 Ago 2014
16 Agosto 2014

Da Don Andrea Gallo "Sopra ogni cosa. Il Vangelo laico secondo Fabrizio De Andrè nel testamento di un profeta":

"Siamo tutti affamati d'amore. Ogni essere umano sulla nostra Madre Terra è un affamato, un assetato, un perenne insoddisfatto... L'essere umano è, per sua stessa natura, destinato a essere tormentato da una fame acuta e inestinguibile. La sua ricerca di qualcosa che possa saziarlo è sovente frenetica. E' una fame che talvolta degenera in bulimia... E' fame di cibi ricercati e preziosi, ma anche di oggetti, di comodità, di esperienze nuove, di emozioni, di sentimenti... Simone Weil diceva che "l'uomo è fame". L'individuo sovente non lo sa (o fa finta di non saperlo), mentre -aggiungeva la grande filosofa francese- "l'essenziale è sapere che si ha fame". Un perenne senso d'insoddisfazione attraversa tutta la parabola dell'esistenza umana. L'uomo crede di poter essere felice se risolve tutti i propri bisogni fisici, materiali, intellettuali, affettivi, relazionali e persino spirituali, ma quando ha raggiunto o ottenuto ciò che desidera, percepisce nuovi bisogni e sente forte la mancanza di qualcosa che possa finalmente pacificarlo mettendo a tacere la sua inquietudine profonda... Il dramma è l'insufficienza della creatura umana, la sua finitezza, il suo limite. Ecco perchè l'essere umano spasima tutta la vita una pienezza che non potrà mai ottenere, se non in rari e fugacissimi momenti. Il cuore dell'uomo anela a un'ulteriorità che lo trascende. L'uomo è un perenne insoddisfatto, anche quando pare appagato in tutto... L'accettazione della propria fame è un cammino difficile. L'uomo saggio grida la propria fame, ma ancora prima la riconosce e l'accetta. L'uomo è affamato di un senso. E fino a che non l'ha trovato non trova pace. la pace, qui sulla terra, è realtà sempre provvisoria e sfuggente. E tuttavia essa ci aiuta a proseguire il cammino, anche di fronte al mistero della sofferenza, anche di fronte al nonsenso e all'assurdità di tante situazioni. L'uomo deve gridare la propria fame di attenzione e di amore, proprio come fece Faber nella sua Amico Fragile, perchè quando l'uomo diventa consapevole della propria fame comincia a uscire da se stesso, a diventare umile, compassionevole, tollerante".

Dedicato alla memoria di Robin Williams

Dario Meneguzzo

Il debito pubblico italiano è eccessivo e pericoloso

14 Ago 2014
14 Agosto 2014

A giugno il debito pubblico italiano è salito a 2.168,4 miliardi di euro, aumentando di 99 miliardi in soli sei mesi dall'inizio dell'anno.

E' evidente che non si può sostenere ancora per molto una situazione del genere: se, per accumulare 2000 miliardi di debito pubblico, l'Italia ha impiegato circa 70 anni, c'è molto che non quadra, se adesso il debito aumenta al ritmo di 200 miliardi all'anno. Ormai gli addetti ai lavori sembrano rassegnati all'idea del commissariamento dell'Italia da parte della BCE, con la conseguente adozione di misure drastiche (leggasi come un imponente drenaggio di denaro a carico dei cittadini).

Segnaliamo sulla questione l'interessante articolo di Guido Salerno Aletta, ex vicesegretario generale di Palazzo Chigi, al seguente link

http://www.formiche.net/2014/08/13/vi-spiego-perche-urgente-intaccare-il-debito-pubblico/

Sanzioni edilizie: si applica la legge vigente al momento dell’accertamento

14 Ago 2014
14 Agosto 2014

Il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 07 agosto 2014 n. 4213, conferma la sentenza del T.A.R. Veneto n. 1562/2003 ove si affrontavano alcune questioni in materia di condono ex L. n. 47/1985 e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive non demolite.

Con riferimento al profilo della retroattività della L. n. 47/185, i Giudici confermano l’orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui, in materia di sanzioni edilizie, si applica la legge vigente al momento in cui si accerta l’abuso e non quale esistente al momento della sua realizzazione: “9.1.- Va osservato che il giudice di primo grado ha al riguardo affermato che in materia di sanzioni amministrative non vige il divieto di retroattività e che, al fine di individuare la disciplina sanzionatoria applicabile agli abusi edilizi, deve aversi riguardo non all’epoca della costruzione abusiva ma della scelta da parte dell’Autorità tra la demolizione e la sanzione alternativa, perché ha ritenuto che i poteri del Sindaco in materia di abusi edilizi non si estinguono per decorso del tempo, stante la natura di illecito permanente derivante dalla mancata spontanea demolizione.

9.2.- In proposito, con riguardo all'applicabilità all’atto della repressione degli abusi edilizi della normativa non vigente all'epoca della loro commissione, la Sezione, pur tenendo presente quanto affermato con propria sentenza 24 ottobre 2013 n. 5158 (peraltro relativa ad eventi verificatisi circa cinquanta anni prima che avevano determinato affidamento nei privati), con riguardo all’applicabilità del principio generale di cui all'art. 11 disp. prel. Cod. civ. e alla mancanza di un'espressa previsione che ammetta l'irrogazione anche retroattiva delle sanzioni previste dalla l. n. 47/1985, ritiene che, sulla scorta della prevalente giurisprudenza, debba essere affermato che l'illecito edilizio ha natura permanente (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30 giugno 2014, n. 3281; sez. IV 27 giugno 2014 n. 3242 e 18 aprile 2014 n. 1994), violando con la sua realizzazione l'ordinato e programmato assetto urbanistico del territorio, con la conseguenza che colui che ha realizzato l'abuso mantiene inalterato nel tempo l'obbligo di eliminare l'opera abusiva. Stante, quindi, il carattere permanente dell'infrazione della norma edilizia, anche il potere di repressione può essere esercitato con riferimento a fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore di detta norma che disciplina tale potere; conferma di tale orientamento è data dal dettato normativo della stessa l. n. 47 del 1985, la quale espressamente ha inteso estendere il nuovo regime sanzionatorio anche alle opere ultimate prima della data del 1º ottobre 1983 e non condonate.

Costituisce invero regola giurisprudenziale prevalente quella della retroattività delle sanzioni urbanistiche (specie se di natura rispristinatoria e non meramente afflittiva), introdotte dalla l. n. 47/1985, come evincibile dal tenore degli artt. 32, sesto comma, 33, terzo comma, e 40, primo comma della l. n. 47/1985, concernenti gli immobili per i quali o non viene chiesta la sanatoria o questa è negata, secondo cui il recupero dell'ordine urbanistico violato va effettuato secondo la normativa del tempo in cui l'Amministrazione acquisisce cognizione dell'esistenza delle opere prive di titolo abilitativo.

Quindi il procedimento sanzionatorio previsto dalla l. n. 47/1985, vigente all’epoca di adozione del provvedimento di repressione dell’abuso edilizio di cui trattasi, deve ritenersi che fosse applicabile a qualsiasi opera abusiva realizzata senza titolo, a nulla rilevando l'epoca di edificazione, sul rilievo che è possibile applicare retroattivamente le misure sanzionatorie contenute nella detta legge anche agli abusi commessi prima della sua entrata in vigore (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 29 novembre 2000 n. 2544), non vigendo in materia di sanzioni amministrative relative ad abusi edilizi il divieto di retroattività - che la Costituzione pone solo per le leggi penali (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 1982, n. 275) e non per le disposizioni, come quelle previste dalla legge di cui trattasi, finalizzate a riportare "in pristino" la situazione esistente e ad eliminare opere abusive in contrasto con l'ordinato assetto del territorio - ed essendo pertanto applicabile, in conformità al principio generale “tempus regit actum”, la normativa vigente al momento dell'irrogazione della sanzione, non già quella in vigore all'epoca di realizzazione dell'abuso (cfr. Cons. St., sez. V, 29 aprile 2000 n. 2544; 9 febbraio 1996, n. 152)”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 4213 del 2014

Sanzioni edilizie: rapporto tra acquisizione gratuita e sanatoria

14 Ago 2014
14 Agosto 2014

Il Consiglio di Stato, nella stessa sentenza n. 4213/2014, si occupa anche del rapporto tra l’acquisizione gratuita e la successiva istanza di sanatoria edilizia.

Dopo aver premesso che “Il Collegio al riguardo ben conosce l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, per quanto attiene al rapporto tra l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'immobile e la successiva presentazione dell'istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi della legge n. 47/85, l'acquisizione gratuita ai beni del Comune di un manufatto abusivo determina una situazione inconciliabile con la sanatoria soltanto quando all'immissione nel possesso sia seguita una delle due ipotesi previste dall'art. 43 della l. n. 47/1985 e cioè, o la demolizione dell'immobile abusivo ovvero la sua utilizzazione a fini pubblici (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 25 ottobre 1993, n. 1080 e 23 maggio 2000, n. 2973). Ciò in forza del principio di cui all'art. 43, comma 1, della legge n. 47/85, ai sensi del quale "l'esistenza di provvedimenti sanzionatori non ancora eseguiti, ovvero ancora impugnabili o nei cui confronti pende l'impugnazione, non impedisce il conseguimento della sanatoria"”, il Collegio afferma che: “L'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive realizzate non rappresenta, infatti, un provvedimento di autotutela, ma costituisce una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all'inottemperanza dell'ordine di demolizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 28 aprile 2014, n. 2196) ed opera di diritto; di conseguenza il provvedimento comunale di acquisizione non soltanto costituisce un atto dovuto, ma ha carattere meramente dichiarativo, in quanto l'acquisizione avviene automaticamente per effetto dell'accertata inottemperanza all'ordine di demolizione.

La scadenza del termine per ottemperare configura il presupposto per l'applicazione automatica della sanzione amministrativa, che consiste nel trasferimento coattivo all'Ente comunale della proprietà sull'immobile non demolito. Scopo evidente di questa sanzione è quello di consentire all'Ente pubblico di provvedere d'ufficio alla demolizione dell'immobile a spese del responsabile dell'abuso, salvo che si accerti in concreto un prevalente interesse pubblico alla conservazione dell'immobile stesso.

Per costante giurisprudenza, è inammissibile il ricorso proposto avverso il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale della costruzione abusiva e dell'area di sedime, nel caso di mancata impugnazione dell'ingiunzione a demolire, per vizi relativi a tale atto, essendo il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale autonomamente impugnabile solo per vizi propri (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 24 marzo 2011, n. 1793).

Tanto esclude la fondatezza della censura che la valutazione del presupposto legittimante tale acquisizione dovesse nel caso di specie essere rinnovata in sede di adozione dell’atto.

La circostanza che la scelta dell’applicazione del provvedimento sanzionatorio finale, cioè l’acquisizione o la demolizione o l’applicazione della sanzione alternativa pecuniaria, sia effettuata all’atto della conclusione del procedimento non comporta infatti che possa essere rimessa in discussione, in sede di impugnazione del provvedimento conclusivo del procedimento, la legittimità o meno del provvedimento presupposto costituito dall’inottemperato ordine di demolizione.

L’art. 7, comma 3, della l. n. 47/1985 stabilisce che “Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”; il successivo comma 5 dispone che “L'opera acquisita deve essere demolita con ordinanza del sindaco a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali”.

Dette norme configurano come doverosa ed automatica l'ordinanza di acquisizione dell'opera al patrimonio comunale, come conseguenza della mancata esecuzione dell'ordine di demolizione rivolto al responsabile dell'abuso, mentre l'eventualità che il Consiglio comunale possa, con apposita delibera, escludere la necessità di procedere alla demolizione, ravvisando l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al suo mantenimento (e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici), è successiva all'ordinanza di acquisizione e si configura quale alternativa all'ulteriore ordinanza di demolizione in danno delle opere abusive gratuitamente acquisite, che si configura anch'esso come un atto dovuto, questa volta, rivolto agli organi esecutivi comunali preposti a darvi esecuzione.

Gli appellanti non hanno quindi alcun interesse suscettibile di tutela giurisdizionale a censurare tale scelta, comportando entrambe le soluzioni adottabili l’ablazione della proprietà dell’immobile oggetto dell’inottemperato ordine di demolizione (per la ricordata circostanza che l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive realizzate costituisce una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all'inottemperanza dell'ordine di demolizione ed opera di diritto), sicché in tale parte l’appello va valutato inammissibile.

L’altra valutazione discrezionale che in sede di adozione dell’atto conclusivo del procedimento è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione, che è quella relativa alle dimensioni dell’area acquisita, che non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita, non è stata oggetto di impugnazione”.

Infine il Collegio conferma la legittimità di un’acquisizione gratuita priva dell’indicazione esatta dei dati catastali e di estensione dell’immobile da acquisire, purché tali elementi vengano comunque successivamente forniti in un separato provvedimento: “12.1.- Dette censure sono, ad avviso del Collegio, infondate, in quanto in materia edilizia, come ha precisato più volte la giurisprudenza, si può disporre l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale di opere edilizie abusive, pur senza la precisa indicazione delle aree oggetto dell'acquisizione, giacché la detta specificazione non costituisce contenuto essenziale dell'ingiunzione di cui all'art. 7 della l. n. 47/1985, tenuto conto che, ove la relativa ordinanza non specifichi le aree da acquisire al patrimonio comunale, da essa non possono discendere automatici effetti confiscatori, che comunque si verificano dopo l’adozione di un ulteriore atto di individuazione delle aree eccedenti quelle di sedime (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, 8 aprile 2004, n. 1998).

Il provvedimento con il quale viene disposta l'acquisizione gratuita - costituente titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari - può essere adottato senza la specifica indicazione dell'ulteriore area oggetto di acquisizione, potendosi procedere a tale individuazione anche con un successivo separato atto attuativo, adeguatamente motivato sul punto”.

dott. Matteo Acquasaliente

Novità in materia di risparmio energetico

13 Ago 2014
13 Agosto 2014

Buongiorno,

rispetto alla precedente versione della mia nota, chiedo venia, perchè mi erano sfuggiti alcuni aspetti segnalati dai lettori  (ringrazio allora vivamente l'arch. Fiorenza Dal Zotto e Riccardo per la segnalazione), e per farmi perdonare ho investito un po’ di tempo nel realizzare due specchietti di paragone fra la norma precedente e l’attuale, uno relativo alla nuova edificazione, ed uno relativo alla riqualificazione di edifici esistenti.

 In sostanza, ho rilevato le seguenti modifiche:

                     Nuove costruzioni:

    • aumento della “deroga” da 25 cm. a 30 cm. per le murature esterne, i solai intermedi ed i tetti;
    • inserimento di una nuova struttura derogabile, indicata come “solaio inferiore”;
    • viene tolta l’indicazione generica “tutti i volumi e le superfici necessarie alla riduzione dell’indice di prestazione energetica”;
    • le strutture ammesse alla deroga, sono solo quelle che racchiudono il volume riscaldato;
    • viene inserita la deroga per le distanze minime dalle sedi ferroviarie;
    • tutte le deroghe trovano un limite nelle distanze minime stabilite dal Codice Civile;
    • la riduzione minima dell’indice di prestazione energetica, passa dal 10% al 20%;

 

  • Riqualificazioni edifici esistenti:
    • aumento della “deroga” da 20 cm. a 25 cm. per le murature esterne;
    • aumento della “deroga” da 25 cm. a 30 cm. per i tetti;
    • viene inserita la deroga alle distanze dai confini di proprietà;
    • tutte le deroghe trovano un limite nelle distanze minime stabilite dal Codice Civile;

 

EDIFICI DI NUOVA COSTRUZIONE

 

 

D. Lgs. 115/2008

D. Lgs. 102/2014

Murature esterne > 30 cm. max 25 cm. > 30 cm. max 30 cm.
Muri portanti > 30 cm. max 25 cm. > 30 cm. max 30 cm.
Solai intermedi > 30 cm. max 15 cm. > 30 cm. max 15 cm.
Tetti > 30 cm. max 25 cm. > 30 cm. max 30 cm.
Solai inferiori ===== > 30 cm. max 30 cm.
Volumi e superfici necessarie alla riduzione dell’indice di prestazione energetica Tutti =====
Deroghe
  • Distanze minime tra edifici
  • Distanze minime dai confini di proprietà
  • Distanze minime dalle sedi stradali
  • Altezze massime
  • Distanze minime tra edifici
  • Distanze minime dai confini di proprietà
  • Distanze minime dalle sedi stradali
  • Distanze minime dalle sedi ferroviarie
  • Altezze massime
Limite a tutte le deroghe in base alle distanze minime del Codice Civile
Indice prestazione energetica Riduzione 10% indice prestazione energetica di cui al D. Lgs. 192/2005 Riduzione 20% indice prestazione energetica di cui al D. Lgs. 192/2005
       

 

RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA EDIFICI ESISTENTI

 

 

D. Lgs. 115/2008

D. Lgs. 102/2014

Murature esterne > esistente max 20 cm. > esistente max 25 cm.
Tetti > esistente max 25 cm. > esistente max 30 cm.
Deroghe
  • Distanze minime tra edifici
  • Distanze minime dalle sedi stradali
  • Altezze massime
  • Distanze minime tra edifici
  • Distanze minime dai confini di proprietà
  • Distanze minime dalle sedi stradali
  • Altezze massime
Limite a tutte le deroghe in base alle distanze minime del Codice Civile
Indice prestazione energetica Riduzione 10% dei limiti di trasmittanza di cui al D. Lgs. 192/2005 Riduzione 10% dei limiti di trasmittanza di cui al D. Lgs. 192/2005

dott. Salvatore Abbate

I coniugi litigiosi hanno diritto di accesso ai documenti fiscali reciproci e anche a quelli del nuovo convivente more uxorio dell’altro

13 Ago 2014
13 Agosto 2014

Con la sentenza del 14 maggio 2014, n. 2472, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del TAR Lazio che aveva accolto il ricorso in materia di accesso proposto da un coniuge avverso il diniego tacito formatosi sulla sua richiesta di accedere ai documenti fiscali detenuti dall’Agenzia delle Entrate, al fine di dimostrare la capacità reddituale della moglie nel giudizio di separazione in corso con la stessa.

Al fine di tutelare i propri interessi nel giudizio di separazione, egli aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate di esercitare il diritto di accesso con riferimento ai seguenti documenti fiscali della moglie al fine di dimostrarne in giudizio la capacità reddituale: “dichiarazioni dei redditi degli anni 2009, 2010 e 2011, contratti di locazione a terzi delle proprietà immobiliari dal 2009 alla data odierna, comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari dell’ Anagrafe tributaria – sezione Archivio dei rapporti finanziari – relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili alla Sig.ra (omissis) anche in qualità di delegante o di delegata, dal 2009 alla data odierna”.

Decorsi trenta giorni dalla richiesta senza che l’Amministrazione desse riscontro alla richiesta, l’istante ha proposto ricorso al T.A.R. del Lazio avverso il diniego così implicitamente oppostogli.

Il T.A.R. adito ha accolto il ricorso richiamando la giurisprudenza che riconosce il diritto del coniuge, anche in pendenza del giudizio di separazione o divorzio, di accedere alla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale del coniuge, al fine di difendere il proprio interesse giuridico, attuale e concreto, la cui necessità di tutela è reale ed effettiva e non semplicemente ipotizzata.

L’Agenzia delle Entrate, unitamente al Garante per la protezione dei dati personali, ha quindi impugnato tale sentenza.

Si sottolinea, in particolare, il passaggio della sentenza in cui il Consiglio di Stato ha ritenuto fondata la richiesta di accesso rispetto ai dati del coniuge detenuti dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 7 del Decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973 n. 605 sull’Anagrafe tributaria.

(…) la normativa a cui fanno riferimento le Amministrazioni odierne appellanti (art. 7 del d.P.R. nr. 605 del 1973, come modificato dal d.l. 4 luglio 2006, nr. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, nr. 248) ha previsto l’obbligo per ogni operatore finanziario di comunicazione, in un’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria, denominata Archivio dei rapporti finanziari, dell’esistenza e relativa natura dei rapporti finanziari intrattenuti con qualsiasi soggetto.

Tali norme però, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale a sostegno della pretesa sottrazione all’accesso delle comunicazioni in questione, non contemplano affatto che queste, una volta riversate nell’Archivio dei rapporti finanziari da parte delle banche e degli operatori finanziari, possano essere utilizzate “unicamente” dall’Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza, limitandosi a precisare che si tratta di atti certamente utilizzabili da tali soggetti per l’azione di contrasto all’evasione fiscale, senza affrontare per nulla il tema della loro ostensibilità e dell’eventuale conflitto con il diritto alla riservatezza del soggetto cui gli atti afferiscono.

Sotto quest’ultimo profilo, occorre verificare secondo i comuni principi se l’Amministrazione delle finanze abbia ritenuto di sottrarre all’accesso le comunicazioni de quibus con specifico atto, come previsto dall’art. 24 comma 2, della citata legge nr. 241 del 1990.

Al riguardo, la disciplina di riferimento si rinviene nel d.m. 29 ottobre 1996, nr. 603 (recante “Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell’art. 24, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241” ), laddove alcuna previsione si rinviene nel senso sostenuto dalle Amministrazioni odierne appellanti: e, anzi, i documenti per cui è causa appaiono riconducibili alla previsione dell’art. 5 di tale norma (lettera a) : “documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisita ai fini dell’attività amministrativa”), il quale precisa che, pur trattandosi di documenti sottratti all’accesso, va però garantita “la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta”.

Tale ultima precisazione rinvia immediatamente alla previsione del comma 7 dell’art. 24 della legge nr. 241 del 1990 (“…Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”), da cui emerge la necessità di effettuare un attento bilanciamento di interessi tra il diritto che si intende tutelare con la visione o l’accesso al documento amministrativo e il diritto alla riservatezza dei terzi.

In dottrina e giurisprudenza è ormai pacifico che, con la modifica della legge n. 241 del 1990, operata dalla legge 11 febbraio 2005, nr. 15, è stata codificata la prevalenza del diritto di accesso agli atti amministrativi e considerato recessivo l’interesse alla riservatezza dei terzi, quando l’accesso sia esercitato prospettando l’esigenza della difesa di un interesse giuridicamente rilevante.

(…) Nel caso di specie la cura e la tutela degli interessi economici e della serenità dell’assetto familiare, soprattutto nei riguardi dei figli minori delle parti in causa, prevale o quantomeno deve essere contemperata con il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso a tali documenti “sensibili” del coniuge.

Va considerato dirimente, al riguardo, il fatto che nella specie la richiesta di accesso sia provenuta dal marito della controinteressata, e non da un quisque de populo, e che l’interesse dello stesso, attuale e concreto, alla cura dei propri interessi in giudizio si presentasse sicuramente qualificato: donde la condivisibilità, in via di principio, delle conclusioni del primo giudice laddove ha ritenuto meritevole di accoglimento l’istanza di accesso anche con riferimento alle comunicazioni suindicate.”.

La sentenza del TAR Lazio viene riformata limitatamente alla parte in cui autorizzava anche il rilascio di copia delle comunicazioni ex art. 7 comma 6, del d.P.R. nr. 605 del 1973, mentre secondo il Consiglio di Stato l’accesso agli atti de quibus va autorizzato nella sola forma della “visione”.  

Segnalo, infine, la sentenza del Consiglio di Stato sez. IV 20/09/2012 n. 5047 che afferma lo stesso principio, addirittura estendendolo alle dichiarazioni dei redditi del convivente more uxorio dell’ex coniuge:  “Il diritto di accesso deve prevalere sull'esigenza di riservatezza di terzi, ove sia esercitato per consentire la cura o la difesa processuale di interessi giuridicamente protetti e concerna un documento amministrativo indispensabile a tali fini, la cui esigenza non possa essere altrimenti soddisfatta: di conseguenza, in capo al coniuge separato sussiste, nei confronti dell'Agenzia delle entrate, il diritto di accesso alle dichiarazioni dei redditi del convivente "more uxorio" dell'altro coniuge. Tale istanza di accesso documentale, infatti, essendo rivolta a dimostrare la capacità di reddito del convivente del coniuge separato, è funzionale ad esonerare il richiedente dall'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento. Né il diritto di accesso viene meno per aver il medesimo richiedente sollecitato il giudice civile ad acquisire le dichiarazioni dei redditi in questione, atteso che l'art. 210 c.p.c. prevede la facoltà dell'ordine istruttorio e non anche la sua obbligatorietà.”

avv. Marta Bassanese

sentenza CDS 2472 del 2014

Chi è il proprietario della cappella gentilizia dedicata alla famiglia del santo papa Pio X?

13 Ago 2014
13 Agosto 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 1002 del 2014 esamina la questione circa la proprietà di tale cappella, giungendo alla conclusione che spetta al giudice ordinario la decisione in materia.

L'occasione della controversia è rappresentata da una deliberazione della giunta comune di Riese Pio X che afferma che la cappella rientra nel patrimonio indisponibile del Comune, mentre la famiglia Sarto (parenti del Sommo pontefice e santo Pio X) ritiene di esserne la proprietaria superficiaria.

Scrive il TAR: "appare palese come tale delibera non comporti alcuna determinazione autoritativa di tipo espropriativo od acquisitivo con riferimento alla cappella gentilizia della famiglia Sarto, trattandosi, invece, di un atto meramente ricognitivo o interpretativo degli effetti della concessione, rilasciata dal Comune di Riese alla famiglia Sarto, nel lontano 1913, al fine di costruire all’interno del cimitero una tomba di famiglia. E, d’altra parte, dalle premesse della delibera comunale impugnata si ricava come essa non trovi la propria causa giustificativa in una legge attributiva di un potere, ma sia occasionata dalla volontà di fornire una risposta alla richiesta di chiarimenti rivolta al Comune da Battista Parolin, e ciò al fine di dissipare “quei dubbi che mi risultano essere di recente sorti in relazione alla disponibilità e alla proprietà dell’immobile”. Per l’appunto, il Comune, con la delibera impugnata, ha dichiarato che l’area cimiteriale interessata dalla costruzione, e la tomba ivi eretta come monumento alla memoria di Pio X, sono sempre rimasti nella piena titolarità del Comune come beni del patrimonio indisponibile. Viceversa, Battista Parolin, con il presente ricorso, sostiene che la famiglia Sarto, dalla quale egli discenderebbe, godrebbe, in virtù della concessione del 1913, di una proprietà superficiaria sulla cappella gentilizia in questione, il cui accertamento dovrebbe costituire la vera sostanza del presente giudizio. E’allora evidente come il ricorrente non riceverebbe alcun vantaggio immediato e concreto dall’annullamento della delibera in questione, e come, d’altro canto, l’esame della consistenza effettiva delle posizioni giuridiche delle parti porti ad individuare una situazione di natura prettamente civilistica, che vede le parti in posizione del tutto paritaria nonostante la qualità di ente pubblico di una di loro, essendo oggetto di controversia, non l’esercizio del potere amministrativo, ma lo status proprietario di un determinato bene immobile. Ne consegue che le pretese del ricorrente potranno eventualmente trovare adeguata soddisfazione attraverso l’esperimento, dinanzi al giudice civile, di un’azione di accertamento o di altra azione a tutela del diritto di proprietà".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 1002 del 2014

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