Tag Archive for: Veneto

Consiglio di Stato: differenza tra atto di rettifica e variante ad uno strumento urbanistico approvato

07 Mar 2014
7 Marzo 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 1036 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "...ai fini dell’inquadramento di un atto amministrativo non assume rilievo dirimente l’autoqualificazione datane dall’amministrazione emanante, dovendosi invece aver riguardo al suo contenuto sostanziale ed alla funzione da esso perseguita, si osserva che l’istituto della rettifica consiste nella eliminazione di errori ostativi o di errori materiali in cui l’amministrazione sia incappata, di natura non invalidante ma che diano luogo a mere irregolarità. Affinché ricorra un’ipotesi di errore materiale in senso tecnico-giuridico, occorre che esso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità, senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo, valendo il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto. Né alla rettifica si può far luogo oltre un congruo limite temporale, onde non pregiudicare la certezza dei rapporti, specie in caso di incidenza pregiudizievole sulla situazione giuridica del destinatario dell’atto.

Con particolare riguardo alla materia urbanistica, una rettifica delle previsioni del piano urbanistico comunale adottato/approvato è ammissibile solo in presenza di un errore materiale nel senso sopra chiarito, il quale abbia inciso nella fase di redazione e/o assemblaggio dei diversi atti che formano lo strumento urbanistico, senza che lo stesso abbia influito sulla scelta urbanistica sottostante, dovendo la divergenza esistente tra previsioni solo apparentemente diverse dello strumento pianificatorio essere risolvibile per mezzo dell’individuazione, sulla base di un vincolato procedimento logico, di una soluzione univoca che s’imponga in modo manifesto ed immediato dalla lettura della documentazione del piano, senza dover ricorrere ad alcuna attività di interpretazione della volontà dell’amministrazione deliberante.

Si aggiunga che, per consolidato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato, il provvedimento di rettifica è espressione di una funzione amministrativa di contenuto identico, seppure di segno opposto, a quella esplicata in precedenza. Tale funzione deve, dunque, articolarsi secondo gli stessi moduli già adottati, senza i quali rischia di risultare monca o, comunque, difettosa rispetto all’identica causa del potere, sicché l’amministrazione è tenuta a porre in essere un procedimento omologo, anche per quel che concerne le formalità pubblicitarie, di quello a suo tempo seguito per l’adozione dell’atto modificato, richiedendosi una speculare, quanto pedissequa, identità dello svolgimento procedimentale (v. in tal senso, per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2306)...".

geom. Daniele Iselle

sentenza CDS 1036 del 2014

La bonifica impone di considerare l’apporto partecipativo dei privati

07 Mar 2014
7 Marzo 2014

Nella stessa sentenza n. 276/2014 il T.A.R. Veneto afferma che nelle procedure di bonifica di un’area inquinata è indispensabile l’apporto collaborativo e partecipativo dei privati: “Infatti nei procedimenti in materia di bonifica, anche dei siti di interesse nazionale, è necessario che i destinatari delle prescrizioni stabilite dall’Amministrazione siano messi nelle condizioni di partecipare al relativo procedimento, articolato in una o più conferenze di servizi istruttorie e decisorie, quantomeno con riferimento alle fasi procedimentali che hanno ad oggetto l’accertamento dei presupposti per l’emanazione di ordini e prescrizioni che riguardano lo specifico sito, mediante un completo contraddittorio procedimentale (cfr. Tar Toscana, Sez. II, 6 luglio 2010, n. 2316; id. 6 maggio 2009, n. 762; Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913; Tar Friuli Venezia Giulia, 27 luglio 2001, n. 488).

Nel caso di specie non è mai stato acquisito l’apporto procedimentale del ricorrente che è venuto a conoscenza dell’esistenza di un procedimento amministrativo avviato nei confronti della propria area solo a seguito della comunicazione del 7 gennaio 2008, con la quale gli sono state richiamate implicitamente una serie articolata di numerose prescrizioni definite in precedenti conferenze di servizi.

A fronte di tale censura l’Amministrazione non ha dedotto in giudizio alcun elemento dal quale si possa desumere l’inutilità dell’eventuale apporto procedimentale dell’interessato e le prescrizioni impartite non hanno carattere vincolato.

Ne consegue che la mancata acquisizione dell’apporto procedimentale del ricorrente, non potendo trovare applicazione la c.d. sanatoria procedimentale di cui all’art. 21 octies, comma 2, ultimo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, comporta l’annullamento degli atti impugnati”. 

dott. Matteo Acquasaliente

L’obbligo di bonifica prescinde dai siti di interesse nazionale

07 Mar 2014
7 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 04.03.2014 n. 276, dichiara che l’obbligo di bonifica di un’area inquinata prescinde dall’inserimento o meno dell’area contaminata nel perimetro dei siti di interesse nazionale. Correttamente il Collegio ritiene incompatibile la salvaguardia ambientale, che è un diritto ed un interesse diffuso e generalizzato, con quelle delimitazioni che, seppur valevoli in astratto, non possono trovare in concreto applicazione poiché ciò comprometterebbe la stessa tutela ambientale.

A riguardo si legge che: “la parte ricorrente ha eccepito la cessazione della materia de contendere in quanto nelle more della definizione del ricorso la propria area è stata esclusa dal perimetro del sito di bonifica di interesse nazionale, in quanto è sopravvenuto l’art. 36 bis, comma 3, della legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale ha stabilito la possibile revisione del perimetro dei siti di interesse nazionale su iniziativa delle Regioni, e la Regione Veneto con deliberazione n. 58 del 21 gennaio 2013 ha proposto la predetta revisione che è stata infine disposta con Decreto ministeriale n. 68267 del 24 aprile 2013.

Alla dichiarazione di cessata materia del contendere, nel corso della trattazione orale, si è opposto il Ministero.

L’eccezione di cessata materia del contendere non può essere accolta, in quanto questa presuppone una piena soddisfazione della pretesa avanza dal ricorrente che non è ravvisabile nella fattispecie all’esame.

Infatti non è vero che la sopravvenuta esclusione dell’area della parte ricorrente dal perimetro del sito di interesse nazionale abbia fatto venir meno i presupposti normativi per l’effettuazione della bonifica, dato che la necessità o meno della bonifica prescinde dall’inclusione nel perimetro di interesse nazionale.

Infatti così come l’inclusione di un’area nel perimetro dei siti di interesse nazionale non comporta una presunzione assoluta di inquinamento tale da comportare l’obbligo di eseguire la bonifica dei terreni (come si evince dallo stesso DM 23 febbraio 2000, con il quale è stata effettuata la perimetrazione, e che ha precisato che all'interno dell'area perimetrata deve essere eseguita l'attività di caratterizzazione al fine di accertare le effettive condizioni di inquinamento), allo stesso modo la sua esclusione dal perimetro del sito di interesse nazionale non comporta di per sé all’esclusione degli obblighi di bonifica.

Infatti l’obbligo della bonifica è determinato solamente dal superamento o meno di determinate soglie di sostanze contaminanti, e l’unico effetto ricollegabile dall’inclusione nella perimetrazione del sito di interesse nazionale, è il radicamento della competenza in materia, in deroga alle regole ordinarie, in capo al Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 17, comma 14, del Dlgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

Ne consegue che, contrariamente a quanto dedotto dalla parte ricorrente, le circostanze sopravvenute non hanno inciso sui termini della controversia che non aveva ad oggetto l’inclusione o meno dell’area della parte ricorrente nel sito di interesse nazionale, e l’eccezione di cessazione della materia del contendere deve pertanto essere respinta”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 276 del 2014

Circolare mensile per l’impresa n. 3 / 2014

07 Mar 2014
7 Marzo 2014

Per gentile concessione della SocietĂ  & Professionisti srl di Malo (VI) pubblichiamo la circolare mensile per l'impresa n. 3 / 2014, contenente l'aggiornamento in materia tributaria.

Circolare n. 3 del 06-03-2014

Il TAR decide alcune questioni relative al piano casa (ristrutturazione e distanze nel caso di demolizione e ricostruzione)

06 Mar 2014
6 Marzo 2014

Segnaliamo che la sentenza del TAR Veneto n. 262 del 2014 decide alcune questioni relative al piano casa.

In primo luogo, il TAR si occupa della nozione di ristrutturazione di cui alla lettera b) dell'articolo del piano casa del Veneto, scrivendo: "Premesso che parte istante denuncia con due ordini di motivi l’illegittimità del permesso di costruire rilasciato al controinteressato, permesso con il quale è stata autorizzata la demolizione e successiva ricostruzione di un edificio preesistente, con soprelevazione dello stesso ai sensi della L.r. 14/09 e successive modificazioni; dato atto che il titolo edilizio parimenti conseguito dal ricorrente, pur non presupponendo la demolizione e ricostruzione dell’esistente, ha  beneficiato a sua volta della possibilità di ampliamento dell’esistente, mediante sopraelevazione, in applicazione della richiamata normativa regionale; dato atto altresì che i due edifici, quello del ricorrente e del controinteressato, già si fronteggiavano, risultando fra di essi una distanza inferiore ai tre metri e non risultando applicabile ratione temporis il disposto di cui all’art. 9 del D.M. 1444/68, in quanto edifici realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore della norma che impone il distacco di almeno 10 fra pareti finestrate frontistanti; considerato che per effetto degli interventi assentiti al ricorrente ed al controinteressato, stanti le sopraelevazioni reciproche, le pareti frontistanti saranno comunque cieche; ritenuto che, per quanto riguarda il primo motivo, pur osservando - sotto il profilo dell’interesse - che della medesima disposizione ha usufruito nche il ricorrente nel realizzare l’ampliamento in altezza del proprio immobile, non sono condivisibili i dubbi di legittimità costituzionale della disposizione di cui alla lettera b) dell’art. 10 della Legge regionale sul “Piano Casa”, in quanto, come già osservato dal Tribunale e confermato dal giudice di seconda istanza (cfr. T.A.R.Veneto, II, n. 1359/11 e C.d.S., IV, 2732/12), privilegiando un’interpretazione costituzionalmente orientata che consenta di attribuire alla norma una portata tale da non porsi in contrasto con il dettato della Costituzione, si è escluso che il legislatore regionale abbia voluto introdurre una definizione del concetto di “intervento di ristrutturazione edilizia”, diversa da quella dettata dall’art. 3 del D.P.R.  380/01, che come noto costituisce normativa vincolante per il legislatore regionale, contenendo i principi fondamentali della materia; che conseguentemente, non risulta esorbitare dai principi dettati dalla normativa nazionale la previsione di ricondurre alla ristrutturazione edilizia anche gli interventi di demolizione e ricostruzione; che, inoltre, a tale specifico riguardo, in termini più generali, è costantemente affermata la riconducibilità degli interventi di demolizione/ricostruzione, con mantenimento delle medesime caratteristiche dell’edificio demolito, alla tipologia della ristrutturazione edilizia".

In secondo luogo il TAR si occupa della demolizione e ricostruzione con sopraelevazione di edifici già in origine posti a una distanza inferiore a 10 metri e scrive: "esaminate le ulteriori censure, ritiene il Collegio che il ricorso sia destituito di fondamento; ciò in considerazione di quanto controdedotto dalla difesa del Comune, corredata della relativa documentazione prodotta in giudizio, confermato sul punto anche dalla difesa del controinteressato, dalla quale è chiaramente desumibile che per quanto riguarda le porzioni di edifici frontistanti preesistenti è stata prescritta la distanza di tre metri ex art. 873 c.c., risultando derogabili proprio in applicazione del Piano Casa le prescrizioni dei regolamenti comunali, mentre, così come in origine, non è stata richiesta l’osservanza delle distanze prescritte dal D.M. 1444/68; che diversamente, per le porzioni sopraelevate, è stata accertata, anche a seguito aggiustamenti dei progetti, l’osservanza delle disposizioni in materia di distanze, rilevando tuttavia che per le pareti frontistanti delle  nuove costruzioni in sopraelevazione non esistono pareti finestrate poste in linea perpendicolare l’una rispetto all’altra".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 262 del 2014

Il ricorso notificato alla Soprintendenza presso la sua sede è inammissibile

06 Mar 2014
6 Marzo 2014

L'art. 138 c.p.c. del 1865 stabiliva che la citazione dovesse essere notificata per le amministrazioni dello Stato, a chi le rappresenta nel luogo in cui risiede l'autorità giudiziaria, davanti cui è portata la causa, osservate le norme stabilite nel regolamento. L'art. 25 R.D. 30 dicembre 1923, n. 2828, con disciplina poi trasfusa negli originari artt. 11 e 12 R.D. n. 1611/33, modificò il sistema stabilendo che le citazioni, le sentenze ed ogni altro atto giudiziale dovevano essere notificati, a pena di nullità da pronunziarsi anche d'ufficio, alle amministrazioni interessate presso l'ufficio della regia Avvocatura erariale, nel cui distretto aveva sede l'autorità adita o che aveva pronunciato la sentenza. Dopo la pronuncia di incostituzionalità di Corte Cost., sentenza 8 luglio 1967, n. 27 Rass. Avv. St., 1967, I, 521 ss., si è di seguito pervenuti alla formulazione attuale dell'art. 11 R.D. n. 1611/33, ed all'abrogazione dell'art. 12 R.D. ult. cit. con gli artt. 1 e 2 l. 25 marzo 1958, n. 260.

Cosa dispone l'art. 11 R.D. n. 1611/33?

"Art. 11. 1. Tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente.[5]

2. Ogni altro atto giudiziale e le sentenze devono essere notificati presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'AutoritĂ  giudiziaria presso cui pende la causa o che ha pronunciato la sentenza.

3. Le notificazioni di cui ai comma precedenti devono essere fatte presso la competente Avvocatura dello Stato a pena di nullitĂ  da pronunciarsi anche d'ufficio".

Il TAR Veneto, con la sentenza n. 263 del 2014, ha disposto quanto segue circda la eccezione di inammissibilità del ricorso per l'errore di notificazione: "Ritenuta l’eccezione fondata, essendo stato il ricorso - proposto anche avverso il parere vincolante reso dalla Soprintendenza - notificato presso la sede della Soprintendenza B.A.P. di Venezia e Laguna e non già presso l’avvocatura distrettuale che ne è domiciliataria ex lege; Ritenuto che non sussistono i presupposti per la rimessione in termini richiesta dalla difesa della ricorrente, non ricorrendo le ipotesi di scusabilità dell’errore descritte dall’art. 37 c.p.a.; Ritenuto pertanto il ricorso inammissibile per mancata notificazione dello stesso all’amministrazione statale che ha emesso il parere paesaggistico vincolante, posto a fondamento del provvedimento di diniego".

sentenza TAR Veneto n. 263 del 2014

La tipologia dell’intervento di bonifica dipende dalla destinazione d’uso

05 Mar 2014
5 Marzo 2014

Nella medesima sentenza n. 255/2014 il T.A.R. Veneto afferma che la tipologia di bonifica di un sito inquinato non dipende dalla destinazione d’uso di fatto dell’immobile su cui si dovrà intervenire, ma dalla destinazione urbanistica dell’area: “Con una seconda censura la parte ricorrente afferma che dovrebbe essere valorizzata la destinazione d’uso di fatto dell’immobile, e cita in proposito della giurisprudenza (cfr. Tar Umbria, 8 aprile 2004, n. 168) che ha affermato che la tipologia di bonifica da effettuare va individuata non con riferimento alla destinazione urbanistica, ma con riferimento alle caratteristiche dell’utilizzazione che delle aree verrà fatta in concreto.

Tali doglianze si rivelano infondate, in quanto la nozione di “destinazione d’uso” alla quale si richiama anche l’art. 17 del Dlgs. 5 febbraio 1997, n. 22, è quella tipicamente impressa, quale effetto conformativo, dalle previsioni dello strumento urbanistico (cfr. l’art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150), e la normativa è chiara nell’imporre il rispetto dei limiti previsti dalla destinazione d’uso prevista dagli strumenti urbanistici vigenti, come si evince indirettamente dalla circostanza che viene prevista la necessità di variare gli strumenti urbanistici qualora la destinazione da questi prevista imponga il rispetto di limiti di accettabilità che non possono essere raggiunti neppure con l’applicazione delle migliori tecnologie (infatti l’art. 17, comma 6, del Dlgs. 5 febbraio 2006, n. 22, prevede che “qualora la destinazione d'uso prevista dagli strumenti urbanistici in vigore imponga il rispetto di limiti di accettabilità di contaminazione che non possono essere raggiunti neppure con l'applicazione delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, l'autorizzazione di cui al comma 4 può prescrivere l'adozione di misure di sicurezza volte ad impedire danni derivanti dall'inquinamento residuo, da attuarsi in via prioritaria con l'impiego di tecniche e di ingegneria ambientale, nonché limitazioni temporanee o permanenti all'utilizzo dell'area bonificata rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, ovvero particolari modalità per l'utilizzo dell'area medesima. Tali prescrizioni comportano, ove occorra, variazione degli strumenti urbanistici e dei piani territoriali”).

Va soggiunto che la giurisprudenza citata dalla ricorrente (cfr. Tar Umbria, 8 aprile 2004, n. 168) è del tutto inconferente, perché riguarda la diversa e specifica questione dell’individuazione dei limiti di accettabilità dei terreni ad uso agricolo che, in assenza di una definizione normativa, è affidata all’interprete, e che la giurisprudenza ha inteso risolvere facendo riferimento alle caratteristiche dell’utilizzazione che delle aree verrà fatta in concreto, concludendo per l’applicabilità alle aree agricole dei limiti più cautelativi riferiti alle destinazioni a verde urbano, pubblico o privato”. 

dott. Matteo Acquasaliente 

L’effetto conformativo deriva già dal Piano Regolatore e non dal piano attuativo

05 Mar 2014
5 Marzo 2014

Ancora, nella stessa sentenza n. 255/2014, il T.A.R. Veneto chiarisce la portata delle norme contenute nel P.R.G. rispetto a quelle del Piano Attuativo chiarendo che: “3.2 La ricorrente prosegue sostenendo che non può farsi riferimento ai limiti di accettabilità previsti per le aree ad uso verde pubblico, privato e residenziale previsto dalla colonna A della tabella 1 dell’allegato 1 del DM 25 ottobre 1999, n. 471, perché tale destinazione pur essendo prevista dal piano regolatore vigente, non è ancora attuale essendo subordinata alla formazione di un piano urbanistico attuativo di iniziativa privata.

Anche tale doglianza deve essere respinta, perché la normativa del Dlgs. 5 febbraio 1997, n. 22, sopra citata fa riferimento alla destinazione d’uso prevista dal piano regolatore, al quale va direttamente ascritto l’effetto conformativo nell’uso dei suoli, mentre il piano attuativo ha solamente lo scopo di determinare nel dettaglio e in concreto l'organizzazione urbanistica, infrastrutturale ed architettonica degli insediamenti quale è prevista dal piano regolatore, senza poter modificare quest’ultimo.

Le previsioni del piano regolatore hanno pertanto valore prescrittivo immediatamente efficace, anche se per la realizzazione degli interventi è prevista la necessità della previa formazione di un piano attuativo, che ha il solo effetto di subordinare alla sua approvazione l’ottenimento dei titoli abilitativi necessari”.

dott. Matteo Acquasaliente

Anche le acque contaminate devono essere considerate rifiuti

05 Mar 2014
5 Marzo 2014

Infine, nella medesima sentenza n. 255/2014, il Collegio afferma che le acque contaminate presenti nella falda devono essere considerate alla stregua di rifiuti liquidi e, quindi, devono essere soggette alla relativa disciplina. Di conseguenza non possono essere assoggettate alla disciplina prevista per gli scarichi industriali: “7. Con le censure sopra rubricate come quindicesimo e venticinquesimo motivo la ricorrente lamenta il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione relativamente alla prescrizione di gestire come rifiuti liquidi le acque contaminate di falda, anziché consentire il loro scarico in acque superficiali assoggettandole alla disciplina degli scarichi industriali, come prevede espressamente l’art. 243 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152.

La doglianza deve essere respinta

La norma da ultimo citata nel testo vigente al momento dell’adozione degli atti impugnati, prevedeva che “le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto”.

Il Collegio non ignora che, basandosi su tale disposizione, sono state emesse alcune pronunce, sul cui richiamo sono imperniate le difese della parte ricorrente, secondo le quali la ratio legis è nel senso di porre una disciplina speciale per la gestione delle acque di falda emunte nelle operazioni di messa in sicurezza e di bonifica, riconducibile alla normativa sugli scarichi idrici e non a quella sui rifiuti, con la conseguente non applicabilità, per tali acque, della disciplina sui rifiuti (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. V, 21 marzo 2012, n. 1398; Tar Sicilia, Catania, 29 gennaio 2008, n. 207; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. I, 23 luglio 2008, n. 1068; Tar Friuli Venezia Giulia, 26 maggio 2008, n. 301).

Tuttavia appare più persuasivo e meritevole di condivisione il diverso e più recente orientamento giurisprudenziale (cfr. Tar Sicilia, Catania, sez. I, 11 settembre 2012, n. 2117; Tar Toscana, Sez. II, 6 ottobre 2011, n. 1452; id. 19 maggio 2010, n. 1523; Tar Sardegna Sez. II, 21 aprile 2009, n. 549; TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 20 marzo 2009, n. 540) che ha chiarito che le acque emunte di regola devono essere ricondotte all’interno della categoria dei rifiuti liquidi, non potendosi in linea di principio ritenere che la norma di cui all’art 243 citato consenta una equiparazione tout court tra le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati e le acque reflue industriali.

Infatti il predetto art. 243, limitandosi a consentire la possibilità di autorizzare lo scarico nelle acque di superficie delle acque emunte dalle falde sotterranee, nell'ambito degli interventi di bonifica o messa in sicurezza di un sito, a condizione che siano rispettati gli stessi limiti di emissione delle acque reflue industriali, non è idoneo ad incidere sulla specialità e tassatività della disciplina, di diretta derivazione comunitaria, sui rifiuti, che esclude espressamente l'assimilabilità delle acque emunte in falda a quelle reflue industriali, alla luce dei codici CER contenuti nella decisione della Commissione Europea 3 maggio 2000, n. 532 - 00/532/CE ( codici CER 19.03.07 e 19.03.08, che individuano le acque di falda emunte nell'ambito di attività di disinquinamento quali rifiuti liquidi ).

In proposito va sottolineato che in tal senso si è espressa anche la recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 dicembre 2013, n. 5857, la quale ha affermato che “è quindi da disattendere l'assunto della società appellante tendente ad escludere a priori, ai sensi dell'art. 243 d.lgs. 152/06, la riconduzione delle acque emunte in attività di disinquinamento della falda dal regime dei proprio dei rifiuti liquidi: al contrario, l’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell'oggetto dell'attività posta in essere, siccome individuati dal legislatore quali rifiuti liquidi, come emerge dalla classificazione attraverso i codici CER allegati al decreto.

L’allegato D alla parte quarta del medesima d.lgs, nell’elencare i rifiuti conformemente all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE e all'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi di cui alla decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000 e alla direttiva del Ministero dell'ambiente 9 aprile 2002, ha infatti espressamente previsto, sub 19.13.07 e 19.13.08, i <<rifiuti liquidi acquosi e concentrati acquosi prodotti dalle operazioni di risanamento delle acque di falda>>.

Anche per tale ragione, quindi, risulta smentita l’aprioristica omologazione, dedotta dalla società appellante, dei reflui derivanti da operazioni di bonifica alle acque reflue industriali, come definite chiaramente dall’art. 74, comma 1 lett. h) del d.lgs. citato (con ciò dovendosi discostare dalle conclusioni alle quali era pervenuto questo Consiglio di Stato nella sentenza di questa stessa sezione 8 settembre 2009, n. 5256)””. 

Per annullare un provvedimento di sanatoria illegittimo occorre dimostrare un interesse pubblico all’annullamento

04 Mar 2014
4 Marzo 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 261 del 2014.

Scrive il TAR: "Risulta invece fondato e meritevole di accoglimento il secondo motivo di ricorso per la riscontrata violazione dell'art. 21 novies della I. 241/1990 e la totale mancanza di menzione dell’esistenza di uno specifico interesse pubblico all'annullamento del titolo edilizio in sanatoria, che deve sussistere e non può essere ritenuto implicito e di per sé evidente nel mero ripristino della legalità violata. In particolare, va detto che, proprio dall’asserzione della difesa comunale, che afferma che tale interesse risulterebbe evidente dall'esame della complessa vicenda e dal complesso di atti e accertamenti che hanno riscontrato ulteriori abusi edilizi fin dal 2009, si rileva che, invece, tale interesse non è stato esplicitato e nemmeno considerato, dal momento che tutti gli ulteriori abusi dovevano e debbono portare all’adozione delle specifiche misure dettate dalle norme per l’eliminazione ed il ripristino degli stessi, indipendentemente e a prescindere dall’ eliminazione del foro porta e quindi dall’annullamento o meno del già rilasciato condono. Per le considerazioni che precedono il ricorso è fondato e deve essere accolto".

sentenza TAR Veneto n. 261 del 2014

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC