La cauzione provvisoria ha natura differente da quella definitiva

12 Set 2014
12 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, nella stessa sentenza n. 1195/2014, si sofferma sulla diversa natura della cauzione provvisoria e  definitiva, statuendo che: “8.7. La citata formulazione di impegno è coerente con il dato normativo secondo cui le cauzioni prestate ex artt. 75 e 113 del codice dei contratti pubblici costituiscono negozi autonomi e distinti, fra loro non sovrapponibili, poiché volti a coprire rischi relativi a fasi diverse della medesima procedura: la cauzione provvisoria è infatti diretta a garantire l’affidabilità dell’offerta; quella definitiva, invece, l’adempimento di tutte le obbligazioni che l’aggiudicatario si assume con la sottoscrizione del contratto. Sicché l’efficacia della cauzione provvisoria cessa automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto di appalto.

8.8. Conseguentemente, la verifica dei poteri del garante che ha prestato la cauzione provvisoria impegnandosi a rendere quella definitiva subordinatamente all’avverarsi della condizione dell’aggiudicazione non può fondarsi sulla base del “cumulo” dei relativi importi, ma deve essere condotta in ragione della somma, di volta in volta considerata, oggetto di garanzia”.

dott. Matteo Acquasaliente

Project financing e requisiti tecnici

12 Set 2014
12 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 10 settembre 2014 n. 1195 si occupa della procedura del project financing (c.d. finanza di progetto), chiarendo la portata degli artt. 253, c. 2 e 263, c. 2 del D.P.R. n. 207/2010.

La ricorrente sostiene che: “la carenza dei requisiti tecnici minimi in capo ai progettisti indicati dal raggruppamento controinteressato deriverebbe dal fatto che in entrambe le procedure di project financing ci si troverebbe di fronte a servizi di progettazione mai approvati né tanto meno dichiarati di pubblico interesse e, pertanto, di fronte a servizi non “fatti propri” dalle stazioni appaltanti, così come invece richiesto dall’art. 263 del d.P.R. 207 del 2010.

9.2. La tesi della ricorrente troverebbe supporto in quanto affermato con la sentenza del T.A.R. del Lazio, sez. II-quater, n. 2180 del 2013, confermata dal Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. VI, n. 3663 del 2014).

9.3. In particolare, secondo la citata pronuncia del T.A.R. del Lazio, l’art. 263, comma 2, seconda parte, sarebbe finalizzato «ad equiparare le prestazioni rese a favore di soggetti pubblici a quelle rese a favore di soggetti privati, purché vi sia prova della realizzazione dei relativi lavori o almeno della loro concreta realizzabilità. Nel caso dell’impresa che usa il progetto solo per partecipare ad una gara pubblica, invece, tale omogeneità di situazioni non si ravvisa in quanto la progettazione ha in questo caso come vero destinatario il committente pubblico. In questo quadro è chiaro che qualunque attestazione di buona e regolare esecuzione da parte dell’impresa che ha dato l’incarico di progettazione ma che non è il vero destinatario di essa non può avere alcun rilievo, ai fini della comprova della validità e realizzabilità del progetto» (così TAR Lazio, Sez. II-quater, n. 2180 del 2013).

9.4. Il Consiglio di Stato ha confermato la citata pronuncia di primo grado suddetta, pervenendo tuttavia a conclusioni parzialmente difformi da quelle del giudice di primo grado, poiché ha ritenuto che, ai fini della loro valutabilità, i servizi di progettazione svolti a favore di un committente privato siano solo quelli in cui i lavori ad essi connessi siano stati anche “eseguiti” (non essendo quindi sufficiente la mera “concreta realizzabilità” di essi).

9.5. In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che l’art. 263 del d.P.R. 207 del 2010 «contiene due diversi precetti. Il primo precetto riguarda i servizi di progettazione che, inseriti nell’ambito di una procedura amministrativa, siano stati formalmente “approvati” dal committente pubblico che, ad esempio, si è determinato nel senso di aggiudicare la gara al soggetto cui quei servizi si riferiscono. In questo caso non rileva che successivamente all’approvazione i lavori relativi alla progettazione non siano stati realizzati. Il secondo precetto riguarda i servizi di progettazione svolti per conto di un committente privato. In questo caso i lavori connessi alla progettazione devono essere stati eseguiti. La differenza di trattamento normativo rinviene la sua giustificazione nella diversità soggettiva dei destinatari dei servizi di progettazione: da una parte, la pubblica amministrazione che, in qualità di committente pubblico, offre garanzie di certificazione anche in mancanza della concreta attuazione del progetto; dall’altra parte, il committente privato che assicura un livello analogo di garanzie soltanto nel caso in cui il progetto abbia ricevuto concreto svolgimento mediante l’esecuzione dei lavori. In definitiva, la stazione appaltante, al fine di accertare il possesso della capacità tecnica dell’operatore economico che partecipa alla gara, può valutare i servizi di progettazione “approvati” da un’altra stazione appaltante ovvero i servizi di progettazione “eseguiti” per conto di un committente privato» (così Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3663 del 2014)”.

Il Collegio, però, ritiene di non seguire tale ragionamento perché: “La disciplina della “valutabilità” del requisito in esame è contenuta nell’art. 263, comma 2, del d.P.R. 207 del 2010, che così prescrive: «I servizi di cui all’ articolo 252 valutabili sono quelli iniziati, ultimati e approvati nel decennio o nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando, ovvero la parte di essi ultimata e approvata nello stesso periodo per il caso di servizi iniziati in epoca precedente. Non rileva al riguardo la mancata realizzazione dei lavori ad essa relativi. Ai fini del presente comma, l'approvazione dei servizi di direzione lavori e di collaudo si intende riferita alla data della deliberazione di cui all’articolo 234, comma 2. Sono valutabili anche i servizi svolti per committenti privati documentati attraverso certificati di buona e regolare esecuzione rilasciati dai committenti privati o dichiarati dall'operatore economico che fornisce, su richiesta della stazione appaltante, prova dell'avvenuta esecuzione attraverso gli atti autorizzativi o concessori, ovvero il certificato di collaudo, inerenti il lavoro per il quale è stata svolta la prestazione, ovvero tramite copia del contratto e delle fatture relative alla prestazione medesima».

12.2. La prima parte della disposizione in esame fa espresso riferimento ai servizi di cui all’art. 252 del d.P.R. 207 del 2010, in cui il committente è direttamente la stazione appaltante: ossia alle progettazioni rese nei confronti di stazioni appaltanti o pubbliche amministrazioni (cfr. in senso conforme TAR del Lazio n. 2180 del 2013).

Per tali ipotesi è espressamente esclusa la rilevanza della mancata realizzazione dei lavori cui i servizi stessi si riferiscono.

12.3. L’applicabilità della prima parte della disposizione in esame ai soli servizi di progettazione resi a favore di un committente pubblico si ricava inequivocabilmente dal riferimento in essa contento ai servizi ultimati e approvati nell’arco del decennio (o quinquennio) precedente alla data di pubblicazione del bando: l’uso dell’espressione “approvati” ha infatti carattere tecnico e indica che il progetto deve essere accettato dalla stazione appaltante, conformemente a quanto previsto dall’art. 252 del d.P.R. 207 del 2010, disciplinante l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria da parte delle stazioni appaltanti.

12.4. La seconda parte della medesima disposizione stabilisce invece le condizioni alle quali sono valutabili anche i servizi svolti per un committente privato.

12.4.1. In particolare, secondo tale disciplina, i servizi di progettazione resi a favore di soggetti privati possono essere documentati mediante:

a) “certificati di buona e regolare esecuzione rilasciati dai committenti privati”;

b) dichiarazione dell'operatore economico che fornisca prova dell’esecuzione del servizio alternativamente attraverso: 1) “gli atti autorizzativi o concessori”, inerenti il lavoro per il quale la prestazione è stata svolta; ovvero 2) “il certificato di collaudo” inerente il medesimo lavoro;

ovvero ancora 3) “copia del contratto e delle fatture relative alla prestazione medesima”.

12.5. Le suddette modalità di prova dell’esecuzione del servizio svolto a favore di soggetti privati sono fra loro alternative.

12.6. Inoltre, secondo la lettera della disposizione da ultimo citata, anche nel caso di “committente privato”, la concreta realizzazione dei lavori oggetto di progettazione non assume rilievo indefettibile, poiché essa viene in considerazione solo nel caso in cui si produca a comprova il “certificato di collaudo” (attestante senz’altro l’esecuzione dei lavori per i quali vi è stata la progettazione), essendo evidente che quando la disposizione ammette la prova della prestazione svolta mediante “copia del contratto e delle fatture” si riferisce unicamente al contratto di progettazione e alla corrispondente prestazione progettuale resa, prescindendo dalla realizzazione/esecuzione così come dalla concreta realizzabilità del progetto stesso.

12.7. Infine, l’esistenza dell’autorizzazione o della concessione, pur riguardando senz’altro i lavori cui la progettazione si riferisce, non implica affatto che essi siano stati anche realizzati, richiedendo soltanto la loro concreta “realizzabilità”.

12.8. Applicando al caso in esame la disciplina suddetta, il fatto che la procedura di project financing alla quale ha partecipato l’ATI CCC e Gemmo Impianti s.p.a. (committente privato del servizio di progettazione reso da Veneto Progetto) non abbia avuto alcun concreto seguito, nemmeno in termini di “dichiarazione di pubblico interesse” della proposta, non incide sull’esistenza e sulla validità del rapporto contrattuale per la progettazione delle opere medesime intercorso esclusivamente fra il progettista e il committente privato e documentate in gara mediante la dichiarazione di quest’ultimo e le fatture concernenti le prestazioni dei servizi effettivamente resi.

12.9. Né può ritenersi che, ove il progetto commissionato dal privato sia utilizzato per partecipare ad una procedura pubblica, il reale “committente” sia la stazione appaltante, anziché il privato.

13. La natura del soggetto committente non può invero dipendere dalla destinazione “finale” del progetto, dovendosi ricavare la natura pubblica o privata di tale soggetto in base ai principi generali in materia di rapporti giuridici e dunque esclusivamente con riguardo a colui che in concreto ha commissionato il progetto di progettazione, stipulando il relativo contratto e retribuendo la specifica prestazione.

13.1. Ciò è ancora più evidente nelle operazioni di progetto di finanza in esame, in cui il progettista non è entrato mai in rapporto con l’ente pubblico e l’ “offerta” in concreto presentata all’amministrazione è frutto di valutazioni in ordine alla capacità di una determinata iniziativa economica, cui il progetto si riferisce, di generare flussi di cassa sufficienti per garantire la remunerazione del capitale investito e del rischio assunto sulla base dell’elaborazione di uno specifico piano economico-finanziario, che sono all’evidenza riferibili esclusivamente al soggetto proponente e del tutto estranee alla causa del contratto di progettazione.

13.2. Peraltro, oltre ad essere in contrasto con la lettera della disposizione, la premessa su cui poggia la pretesa indefettibilità della realizzazione dei lavori nel caso di committenza privata non appare convincente neanche sotto il profilo logico-sistematico.

13.3. In particolare l’affermazione secondo cui «il committente privato (…) – a differenza di quello pubblico che procede alla scelta del miglior progetto attraverso una gara – di norma non ha competenze tecniche che gli permettano di verificare la validità di un progetto se non dopo aver effettuato i relativi lavori» (così TAR Lazio n. 2180 del 2013, cit.) appare controvertibile sotto entrambi i profili.

13.4. Da un lato, infatti, deve osservarsi che l’eventuale aggiudicazione di una determinata commessa pubblica mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa non seleziona necessariamente il “miglior progetto” sul piano tecnico, poiché la scelta dipende da un confronto concorrenziale che è la risultante di valutazioni integrate delle componenti tecniche ed economiche delle offerte complessivamente considerate, sicché i progetti non selezionati non sono necessariamente qualitativamente inferiori a quello risultato vittorioso, ben potendo darsi l’ipotesi contraria.

13.5. Né può astrattamente escludersi che il progetto in concreto selezionato dal soggetto pubblico mediante l’aggiudicazione sia suscettibile di varianti in corso d’opera per «il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione» (art. 132 del d.lgs. n. 163 del 2006).

13.6. Dall’altro lato, è ipotizzabile che la mancata realizzazione dei lavori da parte del privato di un determinato progetto a suo tempo commissionato non dipenda da valutazione negative attinenti al profilo tecnico di quest’ultimo, ma da valutazioni relative alla concreta fattibilità/convenienza dell’iniziativa complessivamente considerata.

13.7. Così ad esempio la mancata realizzazione di un importante progetto di opere di urbanizzazione primaria (di valore inferiore alla soglia comunitaria di cui all’art. 16, comma 2-bis, del d.P.R. 380 del 2011) potrebbe dipendere dalla rinuncia del privato di richiedere il permesso di costruire in quanto troppo oneroso e, dunque, da ragioni che esulano totalmente dalla prestazione intellettuale resa.

14. Pertanto, alla stregua del dato normativo vigente, non può ritenersi che, ai fini della loro valutabilità in termini di requisiti tecnici per la partecipazione a gare pubbliche, i servizi di progettazione resi al committente privato debbano necessariamente riferirsi a progetti in cui il lavoro cui stato anche “realizzato” o comunque “approvato” dalla pubblica amministrazione poiché una siffatta interpretazione introdurrebbe condizioni in contrasto con la lettera dell’art. 253, comma 2, del d.P.R. n. 207 del 2010, in quanto tali non comprese nelle possibilità ermeneutiche della norma.

15. Conseguentemente, il lamentato difetto della documentazione prodotta per la prova del possesso dei requisiti tecnici minimi di partecipazione alla gara de qua, da parte della controinteressata, deve ritenersi insussistente”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1195 del 2014

Ordinanza di demolizione di abusi edilizi: vi è l’obbligo di indicare i mappali?

11 Set 2014
11 Settembre 2014

Secondo il T.A.R. Basilicata sembrerebbe proprio di no.

Nella sentenza del 04 settembre 2014 n. 590 il Collegio, dopo aver ricordato la natura vincolata sia del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio sia di quello di acquisizione gratuita dell’area, condivide il pensiero di parte della giurisprudenza secondo cui la legittimità di questi atti non è inficiata dalla mancanza della indicazione catastale degli immobili abusivi: “5.1. Infine, è infondata la censura concernente la pretesa indeterminatezza e genericità, sul versante dell’esatta individuazione dell’area da acquisire al patrimonio comunale, tanto dell’ordinanza di demolizione quanto del provvedimento di accertamento di inottemperanza. In tal senso, si richiama il condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui, sia l’ordinanza di ingiunzione alla demolizione, sia quella di acquisizione al patrimonio comunale, possono essere adottate senza la specifica indicazione delle aree oggetto di acquisizione, giacché a tale individuazione può procedersi, ai sensi dell’art. 31 d.P.R. n. 380/2001, con successivo e separato atto (cfr. C.d.S., sez. VI, 8 aprile 2004, n. 1998; T.A.R. Sicilia, sez. III, 23 luglio 2014, n. 2012; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 8 marzo 2007, n. 161; T.A.R. Sardegna, sez. II, 27 settembre 2006, n. 2013).

5.2. Del pari, è errata in punto di fatto la tesi per cui il Comune resistente, mediante gli atti impugnati, avrebbe inteso acquisire l’intera particella di proprietà del ricorrente, di consistenza ben oltre superiore al decuplo della superficie delle opere abusive. Infatti, nel provvedimento di accertamento di inottemperanza n. 223/2009 si legge che esso costituisce titolo per l’acquisizione al patrimonio comunale dei soli beni abusivamente realizzati, dell’area di sedime e di quella pertinenziale, necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Basilicata n. 590 del 2014

Un albergo è un edificio di interesse pubblico ai fini del rilascio del titolo edilizio in deroga

11 Set 2014
11 Settembre 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 4518 del 2014.

Si legge nella sentenza: "la Sezione osserva che i tre motivi di gravame, imperniati sulla asserita violazione dell’articolo 80 della L.R. 25 giugno 1985, n. 61, e sull’eccesso di potere per carenza di motivazione e contraddittorietà, oltre che sulla violazione dell’art. 8, comma 1, del D.M. 2 aprile 1968, devono essere respinti.

7.1.1. E’ innanzitutto destituita di fondamento la tesi degli appellanti circa l’inammissibilità del rilascio della concessione edilizia in deroga per un albergo, in quanto quest’ultimo non potrebbe essere considerato un edificio o impianto pubblico o di interesse pubblico, mancando in tal senso qualsiasi adeguata motivazione. La giurisprudenza ha invero avuto modo di evidenziare che per “edificio di interesse pubblico”, proprio ai fini del rilascio del titolo edilizio in deroga, deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di rilevanza pubblica (Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6136), potendo in tale categoria ricomprendersi anche una struttura alberghiera ed il suo ampliamento (Cons. St., sez. IV, 29 ottobre 2002, n. 5913; 28 ottobre 1999, n. 1641; 15 luglio 1998, n. 1044).  D’altra parte, se è vero che la concessione edilizia in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici, quale espressione di un potere di natura eccezionale, necessita di un’adeguata e congrua motivazione (Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6136; sez. IV, 23 luglio 1999, n. 4664; 3 febbraio 1981, n. 128), è altrettanto vero che nel caso di specie la lettura della impugnata delibera consiliare (ed in particolare il contenuto degli interventi svolti dai consiglieri comunali sullo specifico argomento all’ordine del giorno) esclude, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza del dedotto vizio di motivazione del predetto provvedimento, emergendo in modo chiaro ed in equivoco l’iter logico – giuridico che determinato la scelta dell’organo consiliare; tanto meno poi sono ictu oculi apprezzabili macroscopiche contraddittorietà della delibera in questione, esse non potendo coincidere con il soggettivo dissenso degli appellanti alla deroga concessa dall’amministrazione".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4518 del 2014

Il titolo edilizio in deroga può derogare sia al PRG sia al piano attuativo

11 Set 2014
11 Settembre 2014

Lo precisa la sentenza del Consiglio di Stato n.  4518 del 2014: "7.1.2. Neppure, sotto altro concorrente profilo, può condividersi l’assunto secondo cui la deroga non avrebbe riguardato le previsioni urbanistiche generali, bensì quelle contenute nel piano di recupero edilizio di iniziativa privata che disponeva l’obbligo di aderenza tra edifici ad una minore altezza, con sua conseguente illegittimità, manifestamente erronea essendo, sempre secondo gli appellanti, anche l’affermazione circa l’intervenuta scadenza del piano attuativo per decorso del termine decennale, tale scadenza riguardando esclusivamente gli interventi dichiarati di pubblica utilità. Al riguardo va richiamata la giurisprudenza consolidata secondo cui il piano di recupero costituisce uno strumento attuativo delle previsioni urbanistiche contenute nel piano regolatore generale, equivalente ad un  piano particolareggiato e di livello gerarchicamente subordinato (ex multis, sez. IV, 29 dicembre 2010, n. 9537; 29 luglio 2009, n. 4756; 5 marzo 2008, n. 922). E’ pertanto inconciliabile, dal punto di vista logico – giuridico, ammettere la derogabilità del piano regolatore generale e l’inderogabilità di quello attuativo, per sua natura subordinato al primo, ciò senza contare che nel caso di specie, come correttamente rilevato dai primi giudici, le deroghe (che concernono il distacco dai fabbricati contermini, indicato in ml. 3,80, anziché in aderenza, e l’altezza massima, prevista in ml. 13, come peraltro già disciplinato dalle N.T.A., indipendentemente dalla sagoma dei fabbricati contermini) non attengono affatto al piano di recupero (attuativo), ma alle stesse previsioni del piano regolatore generale ed alla sua concreta e particolare attuazione quanto alla specifica area interessata dalla concessione edilizia in deroga. Sul punto deve aggiungersi che risultano condivisibili le deduzioni difensive formulate dal Comune di Conegliano circa il sostanziale venir meno del piano di recupero Canon d’Oro (non tanto o non solo del termine decennale di efficacia, quanto piuttosto) perché approvato sull’erroneo presupposto della piena proprietà e disponibilità delle aree interessate al piano stesso da parte della I.T.A.V. s.n.c. (il che ha già reso impossibile l’esecuzione degli interventi ivi previsti), con conseguente inadempimento agli obblighi derivanti dalla relativa convenzione, e sull’entrata in vigore nel 1988 della variante al piano regolatore generale della zona “A Centro Storico” e della zona “B – Vecchio Centro”, variante in cui sono state inserite le disposizione derogate dalla deliberazione impugnata.  Quanto alla decadenza del piano di recupero, essa è stata poi espressamente dichiarata all’atto dell’effettivo rilascio della concessione edilizia in deroga (art. 1), oggetto di impugnativa del ricorso NRG. 845/1999 (su cui vedi infra sub. 7.3.): tale pronuncia di decadenza non risulta neppure essere stata ritualmente impugnata".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4518 del 2014

Il titolo edilizio in deroga può derogare al D.M. 1444 del 1968

11 Set 2014
11 Settembre 2014

Lo afferma la sentenza del Consiglio di Stato n. 4518 del 2014: "7.1.3. Quanto poi alla pretesa illegittimità della concessione edilizia in deroga per la violazione dell’art. 8, comma 1, punto 1, del D.M. 2 aprile 1968, va rilevato che la giurisprudenza (Cons. St., sez. V, 5 novembre 1999, n. 1841) ha affermato che, ferma restando l'inderogabilità, da parte della concessione edilizia, delle norme della l. 17 agosto 1942, n. 1150, l'art. 1 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, esclude espressamente che le disposizioni contenute nei successivi articoli si applichino direttamente e con immediata forza precettiva in assenza della necessaria mediazione rappresentata dal loro recepimento in uno strumento urbanistico o in un regolamento edilizio, cosa che implica la novazione della fonte regolatrice dei rapporti esterni tra pubblica amministrazione e privati o tra privati, che s'identifica nelle specifiche norme d'attuazione del piano regolatore, con la conseguenza che queste ultime, per la tipica natura di dettaglio (tale, cioè, da non involgere i criteri generali e le linee direttrici su cui il piano regolatore si basa), rientrano pacificamente tra le previsioni derogabili, ai sensi dell'art. 41 quater, l. n. 1150 del 1942 e dell'art. 3 l. 21 dicembre 1955, n. 1357, dalla pubblica amministrazione per assentire un intervento edilizio destinato al preminente soddisfacimento di un interesse pubblico o generale".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4518 del 2014

Il TAR ribadisce che la misura minima del costo di costruzione è il 5%

10 Set 2014
10 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1035 conferma quanto già sostenuto dal Collegio nelle sentenze n.n. 181 e 189 del 2011, ovvero che l’art. 16, c. 9 del D.P.R. n. 380/2001, in assenza di un intervento della Regione Veneto, deve essere interpretato nel senso di fissare la misura minima del costo di costruzione al 5%.

Alla luce di ciò “il Collegio ritiene di poter condividere e confermare quanto già ritenuto in occasione delle pronunce citate negli atti dell’amministrazione e che sono state poste alla base della stessa delibera di Giunta che ha ritenuto di dover adeguare la percentuale per il costo di costruzione, portandola al 5%.

Tale interpretazione della norma di cui all’art. 16, comma 9, trova infatti la sua giustificazione nella necessità di assicurare l’uniformità di trattamento, a prescindere dall’avvenuto intervento regionale, onde omogeneizzare in ambito nazionale i parametri in base ai quali computare le somme dovute per il costo di costruzione, per cui legittimamente il Comune è intervenuto in autotutela, senza necessità di una previa comunicazione, trattandosi di atto dovuto e trovando quindi applicazione il disposto di cui all’art. 21-octies della legge 241/90;

Non risulta neppure invocabile il principio dell’affidamento, tenuto conto del fatto che in materia vige il termine prescrizionale di dieci anni, che vale non soltanto a favore del titolare del permesso di costruire – come termine entro cui le pretese dell’amministrazione devono essere fatte valere – ma anche a favore dell’amministrazione – come termine per agire anche in autotutela, onde porre rimedio ad eventuali errori, come quello riscontrato nel caso di specie”.

Dott. Matteo Acquasaliente

TAR_Veneto_II_1035-2014

Come non si progetta una strada

10 Set 2014
10 Settembre 2014

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 1124 del 2014: "3. Ciò premesso è possibile accogliere proprio il motivo di cui al sub “B”di cui ai primi e secondi motivi aggiunti, ritenendo fondate le relative censure.

3.1 Dall’esame della documentazione in atti risulta evidente il difetto di istruttoria in cui è incorsa l’Amministrazione costituita e, ciò, laddove si consideri che con la delibera del 2012 l’Amministrazione comunale ha addirittura ridotto le misure della carreggiata in origine previste e, ciò, malgrado le osservazioni poste in essere che avevano rilevato come il tracciato incidesse sui fondi dei ricorrenti e a distanza di pochi centimetri dall’abitazione di questi ultimi, circostanze queste ultime peraltro facilmente evincibili dal materiale fotografico allegato al ricorso.

3.2 Non solo è del tutto evidente l’inutilizzabilità di una strada larga 4,70 metri quale circonvallazione, o come alternativa al traffico turistico e, in ultimo come supporto alla viabilità ordinaria, ma va rilevato come la stessa destinazione prevista dall’Amministrazione comunale, così come modificata di volta in volta negli atti allegati al ricorso, conferma l’esistenza di un vizio di istruttoria e di motivazione delle delibere impugnate.

3.3 Ma anche a prescindere da detti rilievi risulta dirimente constatare la violazione delle disposizioni contenute nel DM del 05/11/2001 “norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade”e, ciò, laddove si consideri che la strada in questione presenta una larghezza pari a 4,00 più il cordolo, per una larghezza minima prevista dalle disposizioni sopra citati pari a ml. 6,50 di sola piattaforma e per un totale di 9,50 metri. 

3.4 Si è, inoltre, dimostrato come la larghezza della strada non sia sufficiente neppure per un senso unico, perché per questo tipo di modalità la normativa richiede una larghezza di almeno ml. 5,50, circostanza quest’ultima anch’essa insussistente.

3.5 Nemmeno può risultare applicabile l’art. 13 del D. Lgs. n. 285 del 1992 e, ciò considerando come detta disposizione subordina la derogabilità delle disposizioni sopra previste a casi eccezionali e previa l’adozione di un’idonea motivazione del tutto insussistente nel caso di specie.

3.6 Risultano altresì, violate le disposizioni di cui al DM del 19/04/2006 “norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni”
e, ciò, considerando come l’art. 2 prevede che “1. le norme approvate con il presente decreto si applicano alla costruzione di nuove intersezioni sulle strade ad uso pubblico, fatta salva la deroga di cui all'art. 13, comma 2 del decreto legislativo n. 285/1992. 2. La deroga di cui al comma 1, supportata da specifiche analisi di sicurezza, è ammessa previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, per le intersezioni che interessano le autostrade, le strade extraurbane principali e le strade urbane di scorrimento, …”.

3.7 Nel caso di specie la perizia di parte ha evidenziato, non solo la violazione delle disposizioni sopra citate circa nella parte in cui non risulta presente una valutazione della sicurezza del tracciato, ma come nel contempo l’incrocio, tra la strada di progetto e via Calvi, risulti difficilmente praticabile per mezzi di grosse dimensioni e, nel contempo, ponga pericoli alla sicurezza stradale".

Dario Meneguzzo - avvocato

TAR Veneto 1124 del 2014

 

La natura ibrida del centro abitato

09 Set 2014
9 Settembre 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 03 settembre 2014 n. 4469 chiarisce che il concetto di centro abitato delineato dal Codice della Strada non rileva affatto ai fini edilizio-urbanistici: “Sul versante della nozione di centro abitato emergente dal codice della strada, fermo restando che la sua perimetrazione avviene mediante lo specifico procedimento indicato dal codice della strada, il Collegio ritiene che la mancata osservanza di tale indicazione normativa non prelude che, ai differenti fini urbanistici, la definizione in questione possa essere individuata sulla base delle norme del PRG; ciò anche considerato che, come ricorda la stessa decisione impugnata, la perimetrazione del centro abitato ai sensi dell'art. 4 del Codice della strada (che si realizza attraverso uno specifico procedimento amministrativo) avviene, per espressa previsione della medesima disposizione, “ai fini dell'attuazione della disciplina della circolazione stradale”, fornendosi inoltre (art. 3, n. 8 del D.lgs n. 285/1982) una nozione di centro abitato affatto diversa da quella prevista dall'art. 4 della legge reg. n. 17/1982 e dell’art. 18 della legge n. 865/1971.

Sul punto, dell’esame della giurisprudenza in materia , dopo un iniziale e datato orientamento generale per cui la perimetrazione del centro abitato può risultare anche dallo strumento urbanistico (Cons. di Stato n. 167/1973), emerge la tesi (peraltro citata dalla stessa decisione gravata) per cui “la delimitazione del centro abitato eventualmente disposta ai fini del codice della strada o del piano del traffico è del tutto irrilevante ai fini urbanistici (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 5 aprile 2005, n. 1560; idem, Sez. V, 7.3.1997, n. 211)” ; in particolare secondo l’orientamento sopra citato (v. anche Cons. di Stato n.1560/2005) “non sussiste la necessità di un apposito atto di perimetrazione allorchè l’insistenza dell’immobile in centro abitato emerge “ictu oculi” dalla semplice postazione dello stato dei luoghi”. Anche recentissimamente è stato osservato (Cons. di Stato, sez.IV, n.1118/2014) che: “ l'art. 1 del D.M. n. 1404 del 1968 afferma che le disposizioni contenute in tale testo normativo "relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione", e che l'art. 9 della L. n. 729 del 1961, a sua volta, dispone al suo primo comma, ……….. che "lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa";

In sintesi, ai fini della normativa edilizia sul condono edilizio, ad avviso del Collegio va confermato che la previsione da parte dello strumento urbanistico di una zona residenziale di completamento e la sua realizzazione mediante i relativi insediamenti abitativi, costituiscono elementi sufficienti ad integrare il concetto di centro abitato (differente da quello accolto dal codice della strada) e pertanto a rendere inapplicabili i limiti di distanza di rispetto autostradale previsti dal DM del 1968, perchè questi operano espressamente al di fuori del centro abitato. Di conseguenza, la fattispecie di sanatoria in esame non poteva trovare ostacolo nella disciplina di cui all’art. 33 della legge n. 47/1985, essendo costituita da un abuso realizzato in vigenza dell’art.9 della legge n.729/1961, in zona urbanizzata ai sensi del PRG e situato a distanza superiore ai 25 metri dalla proprietà autostradale”.

dott. Matteo Acquasaliente

 CdS n. 4469 del 2014

Quale normativa disciplina la larghezza delle strade?

09 Set 2014
9 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1124 ricorda la normativa che regolamenta - ed in alcuni casi permette di derogare - la larghezza delle strade: “3.3 Ma anche a prescindere da detti rilievi risulta dirimente constatare la violazione delle disposizioni contenute nel DM del 05/11/2001 “norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade”e, ciò, laddove si consideri che la strada in questione presenta una larghezza pari a 4,00 più il cordolo, per una larghezza minima prevista dalle disposizioni sopra citati pari a ml. 6,50 di sola piattaforma e per un totale di 9,50 metri.

3.4 Si è, inoltre, dimostrato come la larghezza della strada non sia sufficiente neppure per un senso unico, perché per questo tipo di modalità la normativa richiede una larghezza di almeno ml. 5,50, circostanza quest’ultima anch’essa insussistente.

3.5 Nemmeno può risultare applicabile l’art. 13 del D. Lgs. n. 285 del 1992 e, ciò considerando come detta disposizione subordina la derogabilità delle disposizioni sopra previste a casi eccezionali e previa l’adozione di un’idonea motivazione del tutto insussistente nel caso di specie.

3.6 Risultano altresì, violate le disposizioni di cui al DM del 19/04/2006 “norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni” e, ciò, considerando come l’art. 2 prevede che “1. le norme approvate con il presente decreto si applicano alla costruzione di nuove intersezioni sulle strade ad uso pubblico, fatta salva la deroga di cui all'art. 13, comma 2 del decreto legislativo n. 285/1992. 2. La deroga di cui al comma 1, supportata da specifiche analisi di sicurezza, è ammessa previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, per le intersezioni che interessano le autostrade, le strade extraurbane principali e le strade urbane di scorrimento, …”.

3.7 Nel caso di specie la perizia di parte ha evidenziato, non solo la violazione delle disposizioni sopra citate circa nella parte in cui non risulta presente una valutazione della sicurezza del tracciato, ma come nel contempo l’incrocio, tra la strada di progetto e via Calvi, risulti difficilmente praticabile per mezzi di grosse dimensioni e, nel contempo, ponga pericoli alla sicurezza stradale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 1124 del 2014

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