Il Piano Casa non deroga ai limiti sul cambio d’uso già esistenti nelle zone agricole

01 Set 2014
1 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 26 agosto 2014 n. 1179 conferma che, nelle zone agricole, neppure con il c.d. Piano Casa è sempre consentito il mutamento della destinazione d’uso. In queste zone, infatti, è necessaria una specifica previsione di piano che consenta espressamente tale mutamento.

Ecco il passo della sentenza: “Dispone l’art. 9 della l.r. 14/2009 ai commi 2 e 2 bis ( come modificati dall’art. 6, comma 2, L.R. 8 luglio 2011, n. 13 e prima dell’ulteriore modifica apportata dall’art. 10, comma 7, L.R. 29 novembre 2013, n. 32) che:

“2. Con gli interventi previsti dagli articoli 2, 3 e 4 può essere modificata la destinazione d’uso degli edifici, purché la nuova destinazione sia consentita dalla disciplina edilizia di zona e salvo quanto previsto dal comma 2-bis .

2-bis. Nel caso in cui gli interventi di cui agli articoli 2, 3 e 4 riguardino edifici situati in zona impropria, purché diversa dalla zona agricola, la destinazione d’uso degli edifici può essere modificata limitatamente al volume che sarebbe realizzabile ai sensi della specifica disciplina di zona, incrementato della percentuale di ampliamento consentita dalla presente legge. Sono fatti salvi eventuali accordi o convenzioni precedentemente sottoscritti.”

La situazione è quindi regolamentata dal comma 2 soprariportato che, al contrario di quanto argomentato in ricorso, non ammette una generale liberalizzazione del cambio di destinazione d’uso a residenziale anche in zona agricola, perché invece espressamente richiede che la nuova destinazione d’uso sia consentita dalla disciplina edilizia di zona.

La norma del piano casa quindi ricalca sostanzialmente la previsione dell’art. 44 c. 5 l.r. 11/2004 , secondo cui : “ Gli interventi di recupero dei fabbricati esistenti in zona agricola sono disciplinati dal PAT e dal PI ai sensi dell'articolo 43. Sono sempre consentiti, purché eseguiti nel rispetto integrale della tipologia originaria, gli interventi di cui alle lettere a), b), c) e d) dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia" e successive modificazioni, nonché l'ampliamento di edifici da destinarsi a case di abitazione, fino ad un limite massimo di 800 mc. comprensivi dell'esistente, purché la destinazione abitativa sia consentita dallo strumento urbanistico generale.”

Ritiene pertanto il Collegio che il legislatore regionale abbia inteso mantenere una peculiare e restrittiva disciplina delle aree agricole alle cui prescrizioni l’intervento progettato non risulta effettivamente conformarsi, non essendo in alcun modo messa in discussione la circostanza che lo strumento urbanistico non contempla l’attribuzione all’annesso rustico in questione di una diversa destinazione d’uso, che è cosa diversa dalla generale compatibilità della destinazione residenziale in zona agricola perché presuppone una specifica valutazione in relazione al singolo edificio ed alla sua funzione rispetto al territorio agricolo. E’ evidente pertanto che neppure la circostanza che si tratti di prima casa permette di prescindere dal puntuale rispetto dei requisiti di cui al comma 2 dell’art. 9”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1179 del 2014

Il superamento degli esami di maturità, dopo l’ammissione con riserva, comporta anche il riconoscimento dei crediti scolastici

01 Set 2014
1 Settembre 2014

Con la sentenza n. 1060/2014 la Terza Sezione del TAR Veneto si è pronunciata sul ricorso di uno studente, frequentante l’ultimo anno di un istituto professionale, il quale aveva impugnato il provvedimento che aveva sancito la sua mancata ammissione all’esame di Stato conclusivo del corso di studi dell’istruzione secondaria superiore.

Il ricorrente, affetto da diagnosticati disturbi specifici di apprendimento (D.S.A.), lamentava di non essere stato ammesso a sostenere la prova per il secondo anno consecutivo e, nello specifico, contestava all’istituto scolastico di non aver avere predisposto il Piano Didattico Personalizzato (P.D.P.), di non aver applicato nei propri confronti le necessarie misure compensative e dispensative, di aver agito in violazione delle norme in materia di D.S.A. in ambito scolastico e del Piano dell’Offerta Formativa (P.O.F.) ed infine di non aver motivato il giudizio di non ammissione con riferimento alla propria particolare situazione.

E’ opportuno ricordare che gli studenti affetti da D.S.A., secondo le previsioni di cui all’art. 5 L. 8 ottobre 2010 n. 170, “hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari”; al contempo, gli istituti scolastici devono garantire “a) l'uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari dei soggetti, quali il bilinguismo, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate; b) l'introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere; c) per l'insegnamento delle lingue straniere, l'uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento, prevedendo anche, ove risulti utile, la possibilità dell'esonero”; tali misure, inoltre, “devono essere sottoposte periodicamente a monitoraggio per valutarne l'efficacia e il raggiungimento degli obiettivi”; infine, a tali studenti devono essere garantite “adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato e di ammissione all'università nonché gli esami universitari”.

Con decreto presidenziale pronunciato in sede cautelare il giorno antecedente l’inizio dello svolgimento degli scritti, l’alunno veniva ammesso con riserva a sostenere l’esame e, con l’ausilio delle opportune misure compensative e dispensative, superava tutte le prove. Il TAR Veneto, quindi, ha necessariamente dichiarato il ricorso inammissibile in rito “…ritenuto che, conformemente al consolidato orientamento giurisprudenziale, il superamento dell’esame di Stato, anche se a seguito di ammissione con riserva, comporta la sopravvenuta inammissibilità della causa per carenza di interesse…” (si confrontino, sul punto, Consiglio di Stato, sez. VI, 31/3/2009 n. 1892, in Foro amm. CDS 2009, 3, 866 e, nella giurisprudenza di merito, T.A.R. Catanzaro, sez. II, 6/3/2013 n. 258, in Foro amm. TAR 2013, 3, 1000; T.A.R.  Bologna, sez. I, 5/10/2012 n. 614, in Foro amm. TAR 2012, 10, 3097; T.A.R. Roma, sez. III, 21/4/2011 n. 3500, in Foro amm. TAR 2011, 4, 1284).

Il provvedimento in esame si segnala di particolare interesse laddove, pur nel dichiarare l’inammissibilità sopravvenuta del ricorso, ha al contempo statuito che all’alunno debba essere attribuito il punteggio relativo al credito scolastico necessario per la determinazione del voto finale.

Può non essere superfluo ricordare che il voto finale dell’esame di maturità è determinato dalla somma di diverse voci, alcune direttamente correlate all’esito delle prove d’esame e altre commisurate alla carriera scolastica dello studente. Tra queste, vi è appunto il punteggio relativo al c.d. “credito scolastico”, che viene attribuito dal Consiglio di Classe nel corso dello scrutinio finale di ciascuno degli ultimi tre anni di scuola secondaria superiore e che “esprime la valutazione del grado di preparazione complessiva raggiunta da ciascun alunno nell’anno scolastico in corso, con riguardo al profitto e tenendo in considerazione anche l’assiduità della frequenza scolastica, ivi compresa, per gli istituti ove è previsto, la frequenza dell’area di progetto, l’interesse e l’impegno nella partecipazione al dialogo educativo, alle attività complementari ed integrative ed eventuali crediti formativi” (cfr. art. 11, 2° comma D.P.R. 23 luglio 1998, n. 323).

L’attribuzione del credito scolastico per l’ultimo anno avviene contestualmente alla formulazione del giudizio di ammissione all’esame di Stato. Nella fattispecie in questione, tuttavia, il Consiglio di Classe aveva deliberato di non ammettere all’esame lo studente e pertanto non gli aveva nemmeno assegnato il punteggio corrispondente al credito scolastico. Il ricorrente, quindi, si sarebbe trovato nella condizione non soltanto di non poter conoscere la propria votazione definitiva, se non in seguito all’adempimento spontaneo dell’Istituto; ma anche nella situazione, paradossale, di non raggiungere il punteggio minimo di 60/100, necessario al superamento dell’esame di Stato, pur avendo superato le relative prove.

Per ovviare a tale paradosso, quindi, il TAR ha disposto che l’Istituto assegni allo studente il punteggio relativo al credito scolastico ed ha altresì indicato il parametro di riferimento per tale attribuzione.

Nella sentenza, in particolare, si rileva che la decisione di dichiarare il ricorso inammissibile per carenza sopravvenuta di interesse “non è inficiata dalla circostanza che l’Amministrazione scolastica non abbia attualmente provveduto in via definitiva, in quanto i crediti scolastici mancanti per il punteggio finale utile per la promozione devono comunque essere corrisposti, almeno nella misura dovuta a seguito dell’ammissione all’esame di Stato, essendo questa equipollente al caso, in esame, di superamento delle relative prove di esame”.

In altri termini, la Terza sezione ha ritenuto in primo luogo che, pur in assenza di una determinazione definitiva dell’Istituto in punto di attribuzione del credito scolastico, quest’ultimo è comunque dovuto al ricorrente in una misura almeno equipollente a quella che gli sarebbe spettata, secondo la media scolastica ed i crediti conseguiti nell’ultimo triennio di studi, in sede di ammissione all’esame. Pertanto, il superamento delle prove a seguito di ammissione con riserva è stato considerato, ai fini dell’attribuzione del credito scolastico, equivalente alla deliberazione che il Consiglio di Classe adotta durante lo scrutinio finale dell’ultimo anno, nel corso del quale si formula il giudizio di ammissione all’esame.

Secondariamente, il TAR ha espressamente disposto che l’Istituto debba operare in favore del ricorrente l’attribuzione dei crediti scolastici “mancanti al punteggio finale per la promozione”.

Tale affermazione appare coerente con quanto sostenuto dalla giurisprudenza sopra richiamata, secondo cui l’esito positivo delle prove d’esame a seguito dell’ammissione con riserva “supera” il giudizio negativo originariamente formulato dal Consiglio di Classe. Inoltre, e più specificamente, essa appare sottendere la necessità che lo studente, una volta sostenute con profitto le prove, ottenga effettivamente il bene della vita cui aspira e quindi sia effettivamente posto dall’Istituto in condizione di ottenere almeno il punteggio di 60/100, che sancisce il positivo e definitivo superamento dell’esame di maturità.

La pronuncia in commento, quindi, oltre ad aver implicitamente riconosciuto che le prove d’esame costituiscono il nucleo dell’esame di Stato conclusivo del ciclo d’istruzione superiore, in quanto consentono di saggiare l’effettiva preparazione dell’alunno, sembra avere altresì inteso evitare l’irrazionalità di una situazione, potenzialmente verificabile, in cui un candidato che abbia positivamente superato tali prove si trovi impossibilitato a raggiungere il punteggio minimo soltanto perché non ha un credito scolastico sufficiente.

La decisione, infine, deve essere analizzata alla luce della fattispecie concreta su cui il TAR Veneto è stato chiamato a pronunciarsi.

Il fatto che il Collegio abbia ordinato all’Istituto di attribuire al ricorrente il credito scolastico necessario al raggiungimento del punteggio minimo per il superamento dell’esame va a confermare, sostanzialmente, l’illegittimità dell’originaria deliberazione di non ammissione adottata dal Consiglio di Classe in sede di scrutinio. L’avvenuto superamento delle prove d’esame sostenute con l’ausilio degli strumenti compensativi e dispensativi, infatti, denota con ogni evidenza che se l’Istituto scolastico avesse predisposto tali misure durante l’anno scolastico lo studente avrebbe potuto superare o quantomeno limitare grandemente le proprie difficoltà di apprendimento, potendo così raggiungere una media dei voti tale da consentirgli l’immediata attribuzione del punteggio di credito scolastico adeguato ai risultati didattici raggiunti.

Avv. Anna Roberta Cavazza

TAR Veneto n. 1060 del 2014

DPCM 23/04/2014: Approvazione del Piano di gestione dei bacini idrografici del distretto idrografico delle Alpi Orientali

01 Set 2014
1 Settembre 2014

Nella Gazzetta Ufficale n. 193 del 21 agosto 2014 è stato pubblicato il D.P.C.M. DEL 23 aprile 2014 relativo alla "Approvazione del Piano di gestione dei bacini idrografici del distretto idrografico delle Alpi Orientali.

http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2014-08-21&atto.codiceRedazionale=14A06547&elenco30giorni=true

Modifica al codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di professionisti dei beni culturali ed istituzione di elenchi nazionali dei suddetti professionisti

01 Set 2014
1 Settembre 2014

Nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 183 del 8-8-2014 è stata pubblicata la Legge 22 luglio 2014, n. 110 avente ad oggetto la "Modifica al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di professionisti dei beni culturali, e istituzione di elenchi nazionali dei suddetti professionisti" che è entrata in vigora il 23 agosto 2014.

http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2014-08-08&atto.codiceRedazionale=14G00124&elenco30giorni=true

Lo spunto del sabato: lo stampo delle mortadelle

30 Ago 2014
30 Agosto 2014

La burla più urticante che dalle mie parti nell'Alto Vicentino veniva talvolta fatta a un adolescente era quella del famigerato "stampo delle mortadelle".

Una persona che il giovane teneva in considerazione per la sua credibilità nella comunità lo convocava e gli diceva che aveva bisogno di un aiuto da parte sua: doveva recarsi a casa di qualcuno che gli veniva indicato e che notoriamente lavorarava la carne del maiale (cosa che in passato molte famiglie della zona facevano in proprio) a prendere lo "stampo delle mortadelle", che gli serviva appunto per fare le mortadelle con la carne del maiale.

E proprio inutile precisare che le mortadelle non si fanno con lo stampo?

Quando il giovane arrivava a casa del  destinatario indicato, questi, capita al volo l'antifona, anche se non si era accordato prima col mittente,  consegnava al malcapitato un sacco ben sigillato contenente un pesante sasso o un incudine. Il giovane tribolava parecchio a recapitare il pesante fardello, ottenendo all'arrivo lodi sperticate dal mittente, che lo elogiava per il meritorio impegno profuso.

Quando poi il giovane tutto fiero tornava a casa per vantarsi con i familiari per l'impresa compiuta, veniva gelato dal padre con la tipica stroncatura vicentina: "ma va là, merlo, sveiate fora, che ormai a te si vecio come il cuco" ("ma va, merlo, svegliati, che ormai sei grande").

La burla  veniva fatta non tanto per ferire il giovane, quanto piuttosto per farlo crescere, perchè si rendesse conto dei rischi che si corrono nella vita quando si è creduloni: il problema è che si veniva beffati proprio da persone nelle quali il giovane  riponeva grande fiducia.

A qualcuno da piccolo i genitori hanno insegnato che nella vita si deve avere fiducia dei giornalisti, dei magistrati e dei governanti.

Dario Meneguzzo - uno a cui (chissà perchè) è tornata in mente la storia dello stampo delle mortadelle

Quando si può parlare di ristrutturazione edilizia?

29 Ago 2014
29 Agosto 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 07 luglio 2014 n. 3417 definisce la ristrutturazione edilizia in questi termini: “In merito, basta richiamare consolidati principi per cui, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia, è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi ovvero l'ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d'uso esistente. Ciò determina il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ed un'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie (Cons. Stato Sez. V, 17-03-2014, n. 1326).

In questo ambito si pone senza ombra di dubbio il frazionamento di immobile (nella specie da sei a tredici unità) che, stante l’autonoma utilizzabilità, realizza anche un aumento dell’impatto sul territorio incompatibile con il semplice restauro (Cons. St. Sez. IV, 17-05-2012, n. 2838)”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3417 del 2014

Appalti pubblici ed aspetti problematici

29 Ago 2014
29 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 19 agosto 2014 n. 1173 affronta numerose questioni in materia di appalti pubblici.

Per quanto riguarda la sottoscrizione della polizza fideiussoria: “va sicuramente estromesso dalla gara un concorrente che abbia presentato una polizza fideiussoria che rechi una firma illegibile qualora dal documento non possa risalirsi in alcun modo alla qualifica del sottoscrittore: tale principio, tuttavia, conosce un'eccezione nelle ipotesi in cui il riferimento all’atto consenta di fugare ogni dubbio in ordine all'individuazione del sottoscrittore, ovverosia quando il nominativo dell’emittente possa essere desunto dallo stresso documento. Orbene, nel caso di specie non vi è alcuna incertezza sull’identità del sottoscrittore, atteso che, trattandosi di una polizza emessa da un Agenzia assicurativa, questa si presume rilasciata, in difetto di diverse indicazioni ivi evidenziate, dalla persona fisica titolare dell’Agenzia stessa, spettando a chi ne contesta la validità provare il contrario con specifici e documentati elementi da cui possa desumersi l'incertezza sulla persona del conferente”.

Con riferimento al giudizio sulla congruità tecnico-economica delle offerte asserisce che: “relativamente all’ulteriore censura, va osservato che il giudizio sulla qualità dell’offerta esposto dalla commissione, costituendo espressione paradigmatica di valutazioni tecniche, è suscettibile di sindacato giurisdizionale solo in caso di deviazione dai canoni di ragionevolezza o di logicità oltre che di vizi procedurali e deficienze motivazionali (CdS, IV, 29.4.2014 n. 2220). In ogni caso, il giudice non può verificare autonomamente la congruità dell'offerta presentata e delle sue singole voci, sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio, non erroneo né illogico, formulato dall'organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, invaderebbe la sfera propria dell'Amministrazione (cfr. CdS, V 17.1.2014 n. 162). Il giudizio sulle offerte tecniche si fonda su nozioni scientifico-economiche e su dati di esperienza di carattere tecnico discrezionale che in quanto tali – come si è detto - sono sottratti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvi i casi in cui si ravvisi irragionevolezza manifesta o palese travisamento dei fatti: profili di abnormità che non ricorrono nella fattispecie, in quanto le contestazioni del ricorrente, nella misura in cui investono le valutazioni della commissione, impingono pur sempre nel merito intrinseco della valutazione stessa. Né sussistono i presupposti per l'espletamento di una consulenza tecnica, tenuto conto dei limiti che, per costante giurisprudenza, l'utilizzo di questo mezzo istruttorio incontra nel processo amministrativo al cospetto di valutazioni, quali quelle relative alla qualità dell’offerta, che la legge riserva in via esclusiva all’Amministrazione: deve ribadirsi, a tal proposito, che nel processo amministrativo di legittimità la possibilità per il giudice di controllare la tenuta delle valutazioni tecniche formulate in sede amministrativa non comporta che egli possa sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'Amministrazione nemmeno avvalendosi della consulenza tecnica, dovendosi in sede giurisdizionale solo appurare, in base alle deduzioni di parte, se il criterio tecnico concretamente valorizzato in sede procedimentale risulti o meno attendibile”.

A proposito delle anomalie delle offerte: “quanto all'obbligo della motivazione relativamente al giudizio di insussistenza dell'anomalia dell'offerta, se è vero che il provvedimento con il quale l'amministrazione reputa seria l'offerta deve essere motivato come ogni atto dell'amministrazione, è altresì vero, tuttavia, che è sufficiente al riguardo una motivazione sintetica o addirittura – come nel caso di specie - per relationem, potendo quest'ultima avere ad oggetto, oltre che atti posti in essere dalla stessa amministrazione, anche atti dei privati, qualora si tratti, come nell’ipotesi delle giustificazioni offerte dai soggetti concorrenti, di documentazione scritta e depositata, che, nel momento in cui viene acquisita al procedimento, assume un valore giuridico che rende possibile la relatio”.

Infine, sulle competenze dei componenti della commissione di gara afferma che: “i componenti della commissione giudicatrice diversi dal presidente devono essere necessariamente muniti della qualificazione professionale nel particolare settore cui si riferisce l'oggetto dell'appalto (talchè in caso di accertata carenza nell’organico della stazione appaltante di adeguate professionalità, si deve far ricorso a funzionari statali o di altre amministrazioni pubbliche ovvero a professionisti appartenenti alle categorie da essa stessa indicate, e cioè ingegneri o professori universitari con determinati requisiti: cfr. l’art. 84 cit., VIII comma), il presidente, invece, dev’essere, “di regola” – è appena il caso di osservare che tale inciso si riferisce esclusivamente alla qualifica che il presidente della commissione deve rivestire all’interno dell’ente -, un dirigente della stazione appaltante e, in mancanza, un funzionario con posizione apicale, anche non appartenente a ruoli tecnici specificamente specializzato nel settore: in altre parole, il presidente della commissione – diversamente dagli altri componenti, che vanno invece individuati per la loro competenza - deve sempre essere un dipendente della stazione, ancorchè privo delle specifiche competenze”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1173 del 2014

D.I.A. e sopravvenuta carenza di interesse

28 Ago 2014
28 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1041 chiarisce che il ricorso deve considerarsi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse laddove il privato, dolosamente, presenti una D.I.A. per realizzare delle opere che, in realtà, erano già state edificate: “Ed infatti, risulta dall’accertamento effettuato dai tecnici comunali il 26 giugno 2014 e dal confronto con i rilievi fotografici presentati con la D.I.A., che le opere progettate erano state già realizzate al momento della presentazione della D.I.A. del 29 aprile 2014 o, comunque, lo sono state in costanza del provvedimento comunale di inibizione dei lavori n. 3032/2014.

Tali opere risultano, allo stato, abusive sia sotto il profilo edilizio che paesaggistico-ambientale non essendo mai intervenuto un titolo efficace che ne consentisse l’esecuzione.

Ne consegue, pertanto, come correttamente osservato dalla difesa comunale, che dall’annullamento degli atti impugnati la società ricorrente non otterrebbe comunque alcun vantaggio, venendo attualmente in questione, non più l’esistenza dei presupposti per l’applicabilità ad un intervento in fieri dei bonus volumetrici previsti dalla legge sul piano casa, bensì l’abusività di opere edilizie realizzate in zona vincolata, prima dell’ottenimento e dunque in assenza dei necessari titoli abilitativi. Con la conseguenza che l’interesse del ricorrente, attualmente, non può più essere quello al conseguimento di un titolo edilizio per la futura realizzazione di ampliamenti volumetrici sulla base della legge sul piano casa, ma semmai quello all’ottenimento di titoli (edilizio e paesaggistico) in sanatoria, sulla base di diversi presupposti normativi”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 1041 del 2014

Le controversie in materia di concorsi interni spettano al G.O.

28 Ago 2014
28 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1129 si occupa degli atti di micro-organizzazione interna della P.A. per i quali, a differenza dei concorsi pubblici, sussiste la giurisdizione del Giudice Ordinario: “1.1 La ricorrente ha, infatti, impugnato un provvedimento con il quale, a seguito di una selezione interna, è stata conferita una posizione organizzativa al soggetto controinteressato.

1.2 Tale atto rientra, effettivamente, negli atti di micro organizzazione assunti “dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” la cui giurisdizione è devoluta al Giudice Ordinario ai sensi di quanto previsto dagli artt. 5 e 63 del D. Lgs. n. 165/2001 nella parte in cui devolve a detto Giudice tutte le controversie relative al conferimento di incarichi di posizione organizzativa.

1.3 Si consideri, ancora, che la selezione attivata con Decreto n. 51 del 31 Dicembre 2013 aveva ad oggetto l’individuazione di responsabili di unità operative e, quindi, l’assegnazione di incarichi implicanti una progressione verticale all’interno della stessa Regione.

1.4 Sul punto è possibile applicare un costante orientamento giurisprudenziale che, ha rilevato come il concorso o la selezione interna si sostanzia in un procedimento finalizzato alla gestione della "progressione verticale", cioè di quel peculiare istituto incentivante che permette il transito dei dipendenti dell'ente in possesso di specifici requisiti culturali e professionali ad una qualifica superiore, selezione quest’ultima la cui finalità è da ricondurre al generale sistema di gestione delle risorse umane sulla base del rapporto di lavoro privatizzato, in quell'ottica di valorizzazione dei lavoratori ritenuti meritevoli di ricoprire incarichi di maggior rilievo nell'organizzazione interna dell'ente (T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 05-02-2013, n. 121).

1.5 Si è, infatti, affermato, con pronunce anche recenti (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 31-03-2014, n. 1520) che sussiste, la giurisdizione del Giudice Ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per soli dipendenti interni che comportino il passaggio da una qualifica all'altra, ma nell'ambito della stessa area (o categoria), sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive sia con il conferimento di qualifiche superiori, in base a procedure che l'amministrazione pone in essere con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro (in tal senso: Cass., SS.UU.., 5 maggio 2011, n. 9844; id., 25 maggio 2010, n. 12764; id., 9 aprile 2010, n. 8424).

1.6 La finalità della procedura selettiva interna non è, dunque, assimilabile a quella del concorso pubblico per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che resta devoluta alla giurisdizione amministrativa per il disposto dell'art. 63, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001 e che consiste nel reclutamento dall'esterno dei pubblici dipendenti.

1.7 Nel caso di specie la devoluzione alla Giurisdizione del Giudice Ordinario, e non a quello Amministrativo, è disposta in considerazione del fatto che le disposizioni assunte fanno riferimento a misure inerenti alla gestione del rapporto lavorativo con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art. 4 del D.Lgs. n. 29 del 1993 ora art. 5 del D.Lgs. n. 165 del 2001), fra i quali assumono rilevanza il potere gerarchico e le sue manifestazioni di carattere unilaterale (cfr. T.A.R. Brescia, 26.2.2003, n. 300).

2. Il concetto di procedura concorsuale - riservata, ai sensi dell'art. 63, comma 4, d. lgs. n. 165/2001, alla giurisdizione del Giudice Amministrativo – evoca, al contrario, una procedura caratterizzata dalla valutazione dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria.

2.1 Ne sono escluse, non solo le assunzioni che non sono basate su di una logica selettiva, ma soprattutto le procedure (come quella in esame) che si sostanziano in una mera verifica di idoneità di determinati soggetti, già inseriti nell’ambito dell’Amministrazione di riferimento.

2.2 E’ del tutto evidente, infatti, che in dette ipotesi la valutazione di idoneità mira solo alla verifica della capacità in termini assoluti del soggetto e non è caratterizzata dalla comparazione finalizzata alla compilazione di una graduatoria, che rappresenta la nota caratterizzante del concorso per l'accesso all'impiego”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 1129 del 2014

Chi deve valutare l’analogia di un servizio?

27 Ago 2014
27 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 19 agosto 2014 n. 1175 stabilisce che il giudizio sull’analogia di un servizio posto a base di gara spetti unicamente alla stazione appaltante. Il Giudice, invero, può sindacare tale valutazione solo se manifestamente irrazionale o illogica: “che la prima censura, con cui la ricorrente contesta l’ammissione dell’aggiudicataria alla fase di presentazione dell’offerta della procedura selettiva per mancato svolgimento di “servizi analoghi”, risulta infondata sotto un duplice profilo: in primo luogo per aver valutato la previsione del bando di gara richiedente lo svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto dell'appalto come equivalente a una richiesta di preventivo svolgimento degli “stessi servizi” da appaltare; e secondariamente - una volta chiarito, in questa sede, che l'analogia di un servizio rispetto a un altro è concetto intrinsecamente diverso da quello dell'identità tra i due servizi – perché il giudice non può comunque sovrapporre una propria valutazione tecnico-discrezionale a quella esercitata dalla stazione appaltante. Si vuol dire, in altri termini, che proprio perché la valutazione dell'analogia, o meno, tra servizi diversi attiene essenzialmente a profili "di merito", non v'è ragione di far prevalere l'opinione maturata dal giudice su quella dell'Amministrazione, purchè, naturalmente, la valutazione da essa compiuta non sia palesemente illogica, irrazionale o contraddittoria, come in effetti nel caso di specie non sembra essere. Deve osservarsi, a tal proposito, che il concetto di servizio analogo va inteso non già come identità, bensì come mera similitudine tra le prestazioni richieste. Invero, in vista dell'ampia partecipazione, l'interesse pubblico sottostante non è quello di creare o rafforzare una riserva di mercato in favore degli imprenditori già operanti nel mercato, quanto quello di ampliare detto mercato mediante l'ammissione di quei concorrenti per i quali è possibile pervenire a un giudizio di affidabilità. Non può dunque dubitarsi che il relativo giudizio debba essere riservato al prudente apprezzamento della commissione di gara, censurabile da parte del giudice amministrativo soltanto nei casi in cui esso sia stato palesemente illogico, irrazionale o contraddittorio: ma, come già osservato, ciò non pare potersi affermare con riferimento al caso di specie (cfr., da ultimo, CdS, V, 25.6.2014 n. 3220)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1175 del 2014

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