La casetta in legno per gli attrezzi è un volume utile non sanabile con la compatibilità paesaggistica?

17 Dic 2013
17 Dicembre 2013

Secondo la Soprintendenza si, secondo il TAR Veneto (sentenza n. 1394 del 2013) no.

Scrive il TAR: "6. Con riferimento, invece, alla casetta in legno per gli attrezzi, la Soprintendenza, nel parere poi richiamato nel provvedimento impugnato del Parco Regionale dei Colli Euganei, ha rilevato come la stessa “di fatto costituisce di per se volume utile”. Sul punto, ritiene il Collegio che tale qualificazione non sia pertinente rispetto alle specifiche caratteristiche del manufatto in questione: trattandosi di una casetta prefabbricata che per le sue ridotte dimensioni (4.5 mq. di superficie per 2 mt. di altezza) non può essere utilizzata se non come deposito attrezzi. Pertanto, non sembra che la stessa possa configurare un volume utile. Peraltro, appare se non altro significativo il fatto che, come evidenziato dalla difesa della ricorrente, il Regolamento Edilizio del Comune di Este consideri tali manufatti (fino a 6 mq di superficie e 2 mt. di altezza) alla stregua di “elementi d’arredo”, privi di rilevanza urbanistica ed edilizia".

sentenza TAR Veneto 1394 del 2013

Questioni sui servizi di architettura ed ingegneria

17 Dic 2013
17 Dicembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 10 dicembre 2013 n. 1389, si occupa dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi che riguardano i servizi di architettura ed ingegneria. In particolare chiarisce che l’art. 261, c. 7, D.P.R. 207/2010 è una norma speciale che deroga quanto sancito dall’art. 37, c. 8, D. Lgs. 163/2006 secondo cui: “Il consorzio stabile si qualifica sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate. Per i lavori la qualificazione è acquisita con riferimento ad una determinata categoria di opere generali o specialistiche per la classifica corrispondente alla somma di quelle possedute dalle imprese consorziate. Per la qualificazione alla classifica di importo illimitato, è in ogni caso necessario che almeno una tra le imprese consorziate già possieda tale qualificazione ovvero che tra le imprese consorziate ve ne siano almeno una con qualificazione per classifica VII e almeno due con classifica V o superiore, ovvero che tra le imprese consorziate ve ne siano almeno tre con qualificazione per classifica VI. Per la qualificazione per prestazioni di progettazione e costruzione, nonché per la fruizione dei meccanismi premiali di cui all'articolo 40, comma 7, è in ogni caso sufficiente che i corrispondenti requisiti siano posseduti da almeno una delle imprese consorziate. Qualora la somma delle classifiche delle imprese consorziate non coincida con una delle classifiche di cui al regolamento, la qualificazione è acquisita nella classifica immediatamente inferiore o in quella immediatamente superiore alla somma delle classifiche possedute dalle imprese consorziate, a seconda che tale somma si collochi rispettivamente al di sotto, ovvero al di sopra o alla pari della metà dell'intervallo tra le due classifiche”.

In particolare si legge che: “che è infondato, invero, il primo motivo con cui Sacaim denuncia la carenza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, con particolare riguardo al fatturato specifico di cui all’art. 263, I comma, lettera b) del DPR n. 207/2010, in capo alla mandante Tecné Engineering srl del Raggruppamento temporaneo di progettisti designato dall’ATI aggiudicataria e la conseguente violazione del principio di corrispondenza tra quote di qualificazione e quote di esecuzione dei servizi di progettazione (35%): l’art. 261, VII comma del DPR n. 207/2010 citato – norma quest’ultima che, espressamente richiamata nel disciplinare di gara oltre che nel modello “allegato 6” predisposto dalla stazione appaltante per rendere la relativa dichiarazione, riguarda specificatamente l’affidamento dei “servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria” e, come tale, è norma speciale che deroga la disposizione di carattere generale contenuta nell’art. 37, XIII comma del DLgs n. 163/2006 (relativo al noto parallelismo, articolato su tre livelli, che, nella formulazione vigente “ratione temporis”, si riferiva anche agli appalti di servizi) - stabilisce, invero, che “in caso di raggruppamenti temporanei di cui all'articolo 90, comma 1, lettera g), del codice, i requisiti finanziari e tecnici di cui all'articolo 263, comma 1, lettere a), b) e d), devono essere posseduti cumulativamente dal raggruppamento. Il bando di gara, la lettera di invito o l'avviso di gara possono prevedere, con opportuna motivazione, ai fini del computo complessivo dei requisiti del raggruppamento, che la mandataria debba possedere una percentuale minima degli stessi requisiti, che, comunque, non può essere stabilita in misura superiore al sessanta per cento; la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dal o dai mandanti, ai quali non possono essere richieste percentuali minime di possesso dei requisiti. La mandataria in ogni caso possiede i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuno dei mandanti. La mandataria, ove sia in possesso di requisiti superiori alla percentuale prevista dal bando di gara, dalla lettera di invito o dall'avviso di gara, partecipa alla gara per una percentuale di requisiti pari al limite massimo stabilito”. Coerentemente con tale disposizione, pertanto, la legge di gara ha preteso unicamente – fermo restando, è ovvio, che i requisiti richiesti fossero posseduti dal Raggruppamento nel suo complesso - che la mandataria li possedesse “in misura percentuale superiore rispetto a ciascuno dei mandanti, ai quali non è richiesto il possesso di alcuna percentuale minima dei medesimi requisiti”. Dunque, il principio di corrispondenza sancito anche per gli appalti di servizi (prima della novella introdotta con il DL n. 95/2012) dall’art. 37, XIII comma del codice dei contratti non si applicava ai servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria, dovendosi fare esclusivo riferimento all’art. 261, VII comma del DPR n. 207/2010 che consente la dimostrazione dei requisiti previsti dal successivo art. 263, I comma, lett. a), b) e d) da parte del raggruppamento di professionisti unitariamente considerato quale portatore di una capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa che la stazione appaltante deve valutari in termini globali”.

Nella stessa sentenza il Collegio si occupa anche dei requisiti ex art. 38 D. Lgs. 163/2006: “4.- che è analogamente infondata l’ulteriore censura con cui la ricorrente evidenzia l’asserita, omessa presentazione - da parte dell’arch. Lugato sia in qualità di socio di maggioranza di Tecné Engineering srl, sia in qualità di legale rappresentante di Tecné srl, società quest’ultima che aveva ceduto alla prima il ramo d’azienda concernente i servizi di ingegneria - della dichiarazione circa la sussistenza dei requisiti soggettivi di partecipazione di cui all’art. 38 DLgs n. 163/2006: ora, in disparte la (pur dirimente) considerazione che non pare che il raggruppamento di progettisti designato dalla concorrente per la realizzazione del progetto esecutivo dell’opera oggetto dell’appalto integrato debba rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38 del codice dei contratti (tale raggruppamento, infatti, non è concorrente in gara, né è solidarmente responsabile nei confronti della stazione appaltante alla stregua dell’impresa ausiliaria), deve osservarsi, quanto al primo profilo, che se è vero che CdS, Ap 6.11.2013 n. 24 ha definitivamente stabilito, ponendo fine alle oscillazioni della giurisprudenza sul punto, che "l’espressione <socio di maggioranza> di cui alle lettere b) e c) dell’art. 38, comma 1, del d.lgs n. 163 del 2006, e alla lettera m-ter) del medesimo comma, si intende riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale…”, è altresì vero che in presenza di oscillazioni della giurisprudenza (in merito alla doverosità di rendere la dichiarazione di cui all’art. 38 nel caso di due soci al 50%) e di clausola del bando che non prevede espressamente l’onere di rendere la dichiarazione relativamente ai due soci al 50%, pena l’esclusione dalla gara, “le stazioni appaltanti sono tenute ad esercitare un potere di soccorso nei confronti dei concorrenti, ammettendoli a fornire la dichiarazione mancante, sicché i concorrenti potranno essere esclusi solo se difetti il requisito sostanziale (nel senso che vi sia la prova che i soci amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali), ovvero se essi non rendano, nel termine indicato dalla stazione appaltante, la dichiarazione mancante” (cfr. CdS, Ap 7.6.2012 n. 21): potere di soccorso che, dunque, deve essere esercitato nell’ambito di tutte le procedure concorsuali relativamente alle dichiarazioni rese (dai due soci al 50%) fino alla pubblicazione della plenaria n. 24/2013, e l’esclusione disposta solo ove risulti che i soggetti tenuti alla dichiarazione abbiano pregiudizi penali ovvero si siano rifiutati di rendere la dichiarazione. Nel caso di specie la legge di gara, pubblicata (il 19.6.2012) in un contesto giurisprudenziale ondivago, non ha previsto la doverosità della dichiarazione ex art. 38, pena l’esclusione, in capo ai due soci detentori del 50% del capitale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1389 del 2013

Inserimento nel PAT di accordi art. 6 L.R. 11/2004 mediante atto unilaterale d’obbligo del privato e rapporti con il successivo P.I.

16 Dic 2013
16 Dicembre 2013

Si segnala la sentenza del TAR Veneto  n. 1393 del 2013 sulla natura e sugli obblighi conseguenti all'inserimento nel PAT di accordi ex art. 6 L.R. 11/2004 mediante atto unilaterale d'obbligo del privato, anche perchè tali orientamenti potrebbero valere anche in tema di PI.

Il TAR Veneto esprime, in sintesi, i seguenti orientamenti:

a) Quando una proposta di accordo presentata dal privato, anche mediante atto unilaterale e/o accoglimento di un'osservazione che lo contenga, venga successivamente espressamente recepita nello strumento urbanistico, questa costituisce accordo ex art. 6 L.R. 11/2004;

 b) l’accordo in questione ha natura di accordo procedimentale, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990, richiamato dal comma 4 della L.R. n. 11/2004, ed in particolare di accordo integrativo di provvedimento, essendo finalizzato alla determinazione delle previsioni discrezionali dell’atto di pianificazione urbanistica, ed inserendosi nella serie procedimentale di adozione e di approvazione di tale atto senza concluderla. Tale tipo di accordo, a differenza degli accordi sostitutivi, esaurisce la sua funzione nel momento in cui viene recepito dallo strumento pianificatorio, nella fattispecie dal P.A.T.. Da tale momento in poi varrà la previsione programmatoria del P.A.T. recettiva e sostitutiva dell’accordo. Ne deriva anche che in caso di difformità tra tale previsione e accordo ex art. 6 L.R. n. 11/2004, il privato, se non condivide la previsione dello strumento urbanistico così come approvata, avrà l’onere d’impugnare il provvedimento difforme.

 c) In secondo luogo, da quanto prima detto ne deriva che al fine di stabilire la disciplina urbanistica da attribuire alla zona in questione valgono esclusivamente le previsioni del P.A.T. (e non quelle dell’atto d’obbligo), le quali, sia pure per taluni aspetti risultano precise e puntuali in quanto (parzialmente) recettive del contenuto dell’atto unilaterale d’obbligo, restano pur sempre previsioni di natura programmatica che lasciano integra la discrezionalità dell’amministrazione in ordine al come e al quando attuarle.

d) L'amministrazione, con l'approvazione del PI, facendo esercizio della propria estesa discrezionalità in materia di scelte urbanistiche, dando compiutamente conto delle ragioni per le quali non ritiene opportuno dar immediatamente seguito può non inserire previsioni del PAT nel primo Piano degli Interventi; in particolare può differire l'inserimento delle previsioni del PAT, qualora non sia ancora maturata, né da parte dell’amministrazione, né da parte del privato, una proposta progettuale attuativa che rispetti le direttive e le prescrizioni del P.A.T., derivanti soprattutto dall’inserimento dell’intera potenzialità edificatoria nell’ambito indicato dal P.A.T..

e) Non appare illegittima né irragionevole la scelta dell’amministrazione di considerare l’approvazione del P.I. e del P.U.A. come sviluppo di un'unica proposta progettuale, anticipando in tal modo l’esame anche di valutazioni di dettaglio al momento di approvazione del P.I.

TAR Veneto_01393-2013 PAT ed accordi art_6

La localizzazione dell’edificio completamente diversa costituisce variazione essenziale e non parziale difformità

16 Dic 2013
16 Dicembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1383 del 2013.

Scrive il TAR: "ritiene il Collegio che per quanto attiene alla qualificazione dell’abuso riscontrato e la conseguente irrogazione della sanzione pecuniaria – sebbene si tratti di profili che esulano dai contenuti del diniego di sanatoria, ma che parte istante nuovamente ripropone in occasione dei motivi  aggiunti in quanto il provvedimento di diniego non ne avrebbe tenuto conto – le doglianze siano infondate e che correttamente l’abuso rilevato per quanto riguarda la realizzazione del fabbricato “G” sia riconducibile ad un’ipotesi di variazione essenziale, come tale sanzionabile con l’ordine di demolizione. Invero, come è dato rilevare dai riscontri effettuati dall’amministrazione e soprattutto dalla visione delle planimetrie, l’edificio realizzato sulla base della concessione n. 783/84 doveva essere localizzato in una posizione più arretrata rispetto a quella rilevata, mentre risulta sopravanzato in direzione nord di ben 60 ml. In tal modo, benché, come riportato testualmente nella concessione edilizia 783/84 (cfr. doc. 6 del Comune), la costruzione avrebbe dovuto interessare unicamente il mappale n. 27, nella realtà il suddetto mappale è stato coinvolto nell’intervento in minima parte, risultando la quasi totalità del fabbricato posizionata sui diversi mappali 300 e 25, entrambi proiettati in direzione nord verso il cimitero (cfr. doc. 5 Comune). Ne consegue che, anche tenendo conto delle diverse e maggiori dimensioni del fabbricato in termini di superficie e volumetria rispetto a quanto autorizzato (in tal senso le stesse misurazioni contenute nella domanda di sanatoria dimostrano tali incrementi), la diversa oggettiva localizzazione del fabbricato su una porzione dell’area di sedime diversa da quella individuata in occasione del rilascio del titolo autorizzatorio, non può, come auspicato da parte ricorrente, essere semplicemente ricondotta ad una difformità parziale, bensì deve essere qualificata come variazione essenziale, così come definita dall’art. 8 lettera c) della legge n.47/85 e dall’art. 92, comma 3 lettera c) della legge regionale 61/85. Va, quindi, condiviso e confermato l’orientamento interpretativo richiamato dalla difesa del Comune, già manifestato da questo Tribunale, per cui la modifica della localizzazione dell’edificio, tale da comportare lo spostamento del fabbricato in un’area – come nel caso in esame – pressoché diversa da quella prevista all’atto del rilascio del titolo edilizio, costituisce una variante essenziale, in quanto profilo che può condizionare la compatibilità dell’intervento con i parametri urbanistici e le connotazioni dell’area : ed il caso in esame è la prova della rilevanza del rispetto di tali parametri, proprio in considerazione della necessità di rispettare il vincolo cimiteriale, di modo che lo spostamento in avanti e verso nord, in direzione del cimitero, avrebbe evidentemente costituito, laddove correttamente rappresentato, una causa di impedimento al conseguimento della concessione edilizia. Invero, nonostante che nella planimetria allegata al permesso di costruire il fabbricato venisse posizionato al di fuori del limite della fascia di rispetto cimiteriale, in realtà questo è stato poi localizzato in un’area che all’epoca della sua realizzazione era pacificamente considerata rientrante nella fascia di inedificabilità per la presenza nelle vicinanze del cimitero".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1383 del 2013

Nei ricorsi in materia di silenzio i termini sono dimezzati

16 Dic 2013
16 Dicembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1416 del 2013.

Scrive il TAR: " Sul punto va, infatti, rilevato che per un costante orientamento (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 19-10-2012, n. 1888) si afferma che “L'art. 87, comma 3, del D.Lgs. n. 104 del 2010 (CPA) prevede che nei giudizi sul silenzio "tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti". Poiché tra i termini espressamente esclusi non figura quello inerente al deposito del ricorso, il termine per l'assolvimento di tale indefettibile adempimento propedeutico all'instaurazione del giudizio deve avvenire entro 15 giorni dalla materiale notifica del ricorso”. Va, altresì, considerato che, come peraltro ha avuto modo di ricordare anche questo Tribunale, seppur in una diversa fattispecie (T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, 04-03-2013 n. 319), che il termine per il deposito in giudizio del ricorso ha carattere perentorio, ne deriva che l'intempestività di esso dà luogo alla non valida instaurazione del rapporto processuale e, pertanto, alla irricevibilità del ricorso medesimo (art. 35, I comma, lett. a, CPA - d.lgs. 104/2010)".

sentenza TAR Veneto 1416 del 2013

Il lasso temporale che impone al Comune l’onere di una motivazione rafforzata è quello tra la conoscenza dell’illecito e il provvedimento sanzionatorio

13 Dic 2013
13 Dicembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1333 del 2013 contiene alcune interessanti precisazioni in materia di abusi edilizi. E' noto che la giurisprudenza afferma che di regola l'ordine di demolizione non richiede una motivazione sul pubblico interesse, a meno che non sia trascorso un notevole lasso di tempo, tale da generare nell'interessato un affidamento circa la possibilità di mantenere l'immobile così com'è. 

Ma in relazione a quali riferimenti temporali si calcola il notevole lasso di tempo?

Si legge nella sentenza: "secondo i principi generali, l’abuso edilizio ha carattere permanente, di modo che sussiste l’obbligo per l’amministrazione di ordinare la rimozione delle opere abusive, a maggior ragione laddove realizzate in aree demaniali e soggette a vincolo, senza alcun particolare obbligo di motivazione circa la sussistenza del pubblico interesse alla loro rimozione; che detto principio risulta recentemente ribadito (cfr. C.d.S., Sez. V, 9.9.2013, n. 4470), ove è stato ritenuto che a fronte della motivazione in re ipsa che incontra l’ordine di demolizione dell’abuso edilizio all’esito dell’accertamento della sua esistenza, il lasso temporale che fa sorgere l’onere di una motivazione rafforzata in capo all’Amministrazione non è quello che intercorre tra il compimento dell’abuso e il provvedimento sanzionatorio, ma quello che intercorre tra la conoscenza dell’illecito e il provvedimento sanzionatorio adottato, con l’avvertenza che in mancanza della conoscenza della violazione non può consolidarsi in capo al privato alcun affidamento giuridicamente apprezzabile, il cui sacrificio meriti di essere adeguatamente apprezzato in sede motivazionale".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1333 del 2013

Il T.A.R. Veneto ribadisce la sua posizione rigorosa in materia di oneri specifici

13 Dic 2013
13 Dicembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 10 dicembre 2013 n. 1388, ribadisce la sua posizione “rigorosa” in materia di oneri specifici, sottolineando espressamente di non condividere la linea “morbida” del Consiglio di Stato: “che, come ha recentemente precisato anche questa sezione (cfr. sent. 8.8.2013 n. 1050: non si sconosce, peraltro, che tale decisione è stata riformata da CdS, V, 9.10.2013 n. 4964 che, tuttavia non si condivide. È ben vero, infatti, che l’art. 87, IV comma del codice degli appalti si riferisce solo ai servizi e alle forniture, ma non così il precedente art. 86, III comma bis el’art. 26, VI comma del DLgs n. 81/2008 che dispongono che “gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente….al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”. La quantificazione rimessa al piano di sicurezza e coordinamento di cui all’art. 100 del DLgs n. 81/2008, predisposto dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 131 del codice non può, invero, che riferirsi agli oneri di sicurezza per le interferenze, e ciò sia perché detti oneri sono necessariamente individuati dall’Amministrazione, sia perché essi soggiaciono – ferma la possibilità di integrazione migliorativa - al divieto di compressione), le imprese partecipanti ad una gara d’appalto di lavori devono necessariamente includere nell’offerta, opportunamente scorporati onde consentire l’esatta valutazione della congruità dell’offerta stessa, anche gli importi relativi agli oneri di sicurezza da rischio specifico (o aziendali), la cui misura può variare in relazione al contenuto dell’offerta economica: di tali oneri l’ordinamento prevede l’indicazione con norme immediatamente precettive (cfr. i citati artt. 86, III comma bis del DLgs n. 163/2006 e 26, VI comma del DLgs n. 81/2008) e tali da eterointegrare, in virtù del loro carattere imperativo (in ragione degli interessi di ordine pubblico che tutelano, in quanto poste a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori), l’eventuale omissione – peraltro inesistente nel caso di specie, atteso che l’art. 6 della lettera di invito precisava che “ai fini dell’attribuzione del punteggio relativo al prezzo offerto si farà riferimento all’importo complessivo delle opere proposto da ciascun concorrente al netto degli oneri per la sicurezza, come risultante dall’offerta” (grassetto e sottolineatura del testo), oneri che evidentemente, in mancanza di ulteriori specificazioni, non possono che riferirsi indistintamente ad entrambe le tipologie - o la diversa regolamentazione contenuta nella legge di gara;

che, dunque, i predetti oneri costituiscono un elemento essenziale dell’offerta, sicchè la loro omessa indicazione è vicenda ricompresa nell’elenco delle cause specifiche di esclusione previste dall’art. 46, I comma bis del Dlgs 163/2006: né l’indicazione effettuata dalla costituenda ATI prima graduata può ritenersi idonea a soddisfare il precetto legislativo, e ciò in quanto l’importo ivi specificato è unico, cumulativo e indifferenziato tra le (due) imprese costituende il raggruppamento, con conseguente impossibilità, per la stazione appaltante, di verificarne la congruità con riferimento ai settori di esecuzione dell’appalto demandati ai singoli componenti (giacchè il predetto importo è correlato non già con le quote di partecipazione all’ATI, ma con l’assetto organizzativo di ciascuna impresa)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1388 del 2013

Esiste il diritto di accesso ai pareri legali e ai materiali già pubblicati sul sito internet istituzionale del Comune?

12 Dic 2013
12 Dicembre 2013

La questione viene esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 1330 del 2013, che ha escluso nel caso esaminato la sussistenza del diritto di accesso.

Si legge nella sentenza: "Al fine di conoscere la propria posizione giuridica in ordine ad una convenzione urbanistica che la vedeva interessata specie per quanto riguarda l’attuazione delle opere di urbanizzazione e/o il pagamento dei relativi oneri, la società ricorrente, in data 23 maggio 2013, formulava al Comune ... richiesta di accesso ex art. 22 e ss. della L. n. 241/1990, avente ad oggetto: l. parere pro veritate reso dall'avv. ... e dall'avv. ... in merito alla convenzione relativa alla variante per l'attuazione delle opere di urbanizzazione del piano attuativo ..."; 2. tabelle parametriche regionali vigenti al momento del rilascio del titolo abilitativo (n. ...) e relativa delibera di approvazione del Consiglio comunale; 3. tabelle parametriche regionali oggi vigenti e relativa delibera di approvazione del Consiglio Comunale; 4. copia di ogni altro provvedimento, parere, documento, determinazione e/o comunicazione, comunque denominato, inerente il conteggio relativo agli oneri di urbanizzazione di cui all'oggetto. Con il presente ricorso la società ..., non avendo l’amministrazione provveduto nel termine di legge, chiede la condanna di quest’ultima a provvedere sulla predetta istanza di accesso. ... Si può prescindere dall’esame delle eccezioni pregiudiziali sollevate dall’amministrazione essendo il ricorso infondato nel merito. Ed infatti, per quanto riguarda le tabelle parametriche, si tratta di documenti consultabili facilmente sul sito internet istituzionale del Comune come rilevato e dimostrato dalla difesa di quest’ultimo, ovvero (quelle vigenti al momento del rilascio del titolo autorizzatorio del 1993) presumibilmente già in possesso della società lottizzante dante causa della ricorrente; in ogni caso, tali tabelle sono state tutte depositate in giudizio dalla difesa comunale. Per quanto riguarda invece l'accesso al parere legale, è evidente che, nella fattispecie in esame, il ricorso da parte del Comune alla consulenza legale esterna, non si va ad inserire nell'ambito di un'apposita istruttoria procedimentale (nel senso che il parere è richiesto al professionista con l'espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione dell'atto finale), ipotesi nella quale il parere sarebbe soggetto all’accesso perché oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo; risultando, invece, che la consulenza è stata richiesta dall’amministrazione dopo l'inizio di una fase precontenziosa, al fine di definire la propria strategia difensiva. Infatti è dimostrato che al momento dell’incarico al professionista vi erano tutti i presupposti per lo sviluppo di una potenziale lite giudiziaria tra le due odierne parti, posto che i lottizzanti contestavano la debenza degli oneri di urbanizzazione, mentre il Comune chiedeva il rispetto della convenzione, ed inoltre il legale dei primi già aveva prospettato  all’amministrazione la possibilità di addivenire ad una definizione bonaria della controversia anche mediante la sottoscrizione di una nuova convenzione. E tale è rimasta la situazione attuale, essendo le parti ancora alla ricerca di un accordo transattivo. Pertanto, è evidente che nel caso di specie il parere legale in questione non è affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all'Ente pubblico tutti gli elementi tecnicogiuridici utili per tutelare i propri interessi: in questo caso, per pacifica giurisprudenza, le consulenze legali restano caratterizzate dalla riservatezza, che mira a tutelare non solo l'opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione dell'amministrazione, la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento (Cons. Stato: n. 7237/2010, n. 6200/2003). Pertanto, il parere legale in questione non può essere soggetto all’accesso".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1330 del 2013

Il Comune deve sempre prevedere parcheggi liberi vicino a parcheggi regolamentati?

12 Dic 2013
12 Dicembre 2013

La risposta è negativa, come spiegato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 5768 del 2013, che riforma la sentenza del TAR Lazio n.  5218 del 2008

Si legge nella sentenza: "In primo luogo, non può condividersi il presupposto giuridico e fattuale posto a principale fondamento della decisione, in quanto, nel caso, non vi è stata alcuna violazione, da parte del Comune, delD.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 e s.m.i. (“Codice della strada”), secondo il quale, all’art. 7, ottavo comma, “Qualora il comune assuma l'esercizio diretto del parcheggio con custodia o lo dia in concessione ovvero disponga l'installazione dei dispositivi di controllo di durata della sosta di cui al comma 1, lettera f), su parte della stessa area o su altra parte nelle immediate vicinanze, deve riservare un’adeguata area destinata a parcheggio rispettivamente senza custodia o senza dispositivi di controllo di durata della sosta.”

Il predetto art. 7 del “Codice della strada”, nel disciplinare in generale la regolamentazione della circolazione nei centri abitati, prevede, infatti, una specifica e significativa eccezione, prescrivendo che: “Tale obbligo non sussiste per le zone definite a norma dell'art. 3 "area pedonale" e "zona a traffico limitato", nonché per quelle definite "A" dall'art. 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, e in altre zone di particolare rilevanza urbanistica, opportunamente individuate e delimitate dalla Giunta nelle quali sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico” .

Per questo appare inconferente l’autorevole precedente giurisprudenziale ricordato, riferito, però, alla realtà del tutto differente di un Comune medio-piccolo dell’hinterland di Cagliari, le cui problematiche sono differenti da quelle di un quartiere semicentrale di una città metropolitana.

Il Comune di Roma aveva, dunque, legittimamente applicato un’espressa disposizione, derogatoria dell’obbligo del primo periodo; e, tra l’altro, l’aveva specificamente richiamata in tutti i provvedimenti impugnati, i quali davano puntualmente atto “..che tale individuazione consente, ai sensi del citato art. 7 comma 8, il venir meno dell’obbligo di riservare su parte delle aree soggette a tariffazione della sosta o su area limitrofa, parcheggi senza custodia o dispositivi di controllo di durata della sosta”.

La realizzazione di parcheggi a pagamento nel quartiere Ostiense non era quindi in alcun modo sottoposta alla condizione che venissero realizzati contemporaneamente parcheggi gratuiti nelle immediate vicinanze".

sentenza CDS 5768 del 2013

Le distanze del D.M. 1444 del 1968 vanno misurate in modo lineare e perpendicolare alle pareti da considerare

11 Dic 2013
11 Dicembre 2013

Lo specifica la sentenza del TAR Veneto n. 1332 del 2013.

Scrive il TAR: "Premesso che la previsione dettata dall’art. 53 del Regolamento edilizio non si presta all’interpretazione paventata da parte ricorrente, avendo lo stesso previsto, con disposizione che non ha motivo di non intendersi estesa anche all’ipotesi di cui alla seconda parte, il rispetto dei limiti di distanza dettati dal D.M. 1444/68 e dal Codice Civile, non è rinvenibile nella specie la violazione di detti limiti, in particolare di quelli di cui all’art.9 del D.M. e quindi, così come prospettato in ricorso, la creazione di insalubri e pericolose intercapedini. Invero, come correttamente osservato dalla difesa resistente, la nuova costruzione non si pone in posizione frontistante quella dei ricorrenti, essendo prevista la sua realizzazione in parallelo ed in laterale, sopravanzando in avanti rispetto all’edificio dei ricorrenti, senza quindi porsi, così come presupposto dalla normativa invocata, in posizione frontale rispetto all’altra. Poiché, come confermato dalla giurisprudenza sul punto, l’applicazione delle disposizioni in materia di distanze fra pareti finestrate implica una misurazione delle distanze in modo lineare e perpendicolare alle pareti da considerare, ne consegue che, non essendo questa la situazione di fatto, dette prescrizioni non risultano applicabili nella fattispecie".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1332 del 2013

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