Provincia di Verona: nuovo PTCP 2013 – adottato con DCP n. 52 del 27/06/2013 – misure di salvaguardia

30 Lug 2013
30 Luglio 2013
Il Nuovo Piano Territoriale Coordinamento Provinciale è stato adottato con deliberazione di Consiglio Provinciale n. 52 del 27 giugno 2013.
Dell'avvenuto deposito presso la Provincia di Verona è stata data notizia nel BURV n. 61 del 2013

Tutti gli elaborati del nuovo PTCP adottato sono consultabili al seguente link

Per quanto riguarda il PTCP, il Rapporto Ambientale e la Sintesi non tecnica del PTCP chiunque potrà far pervenire le proprie osservazioni, preferibilmente utilizzando la modulistica disponibile sul sito della Provincia di Verona, entro venerdì 20 settembre 2013.

Art. 2 – Normativa tecnica

1. Ai sensi dell’art. 22, comma 3, lett. c), della L.R. 11/2004 la presente normativa tecnica di PTCP è costituita da:

a. direttive, ovvero il complesso di disposizioni volte a fissare obiettivi di trasformazione, tutela e valorizzazione del territorio necessari per la redazione degli strumenti di pianificazione di livello inferiore, dei piani settoriali del medesimo livello di pianificazione o di altri atti di pianificazione o programmazione degli enti pubblici;

alle disposizioni incompatibili dei vigenti strumenti di pianificazione – gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite;

b. prescrizioni, ovvero il complesso di norme che incidono direttamente sul regime urbanistico dei beni disciplinati e regolano – in via immediata e prevalente rispetto  alle disposizioni incompatibili dei vigenti strumenti di pianificazione – gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite;

c. vincoli, ovvero l’indicazione degli effetti prodotti da fonti giuridiche diverse dal PTCP che incidono direttamente sul regime giuridico dei beni disciplinati, regolando gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite secondo le modalità previste dalle singole normative istitutive dei vincoli stessi.

2. Negli articoli che seguono, all’inizio di ciascun comma, e, ove occorra, all’inizio di ciascun paragrafo, viene esplicitato fra parentesi se la norma costituisce una prescrizione

(P). In mancanza di diversa indicazione, la norma deve intendersi come direttiva da attuare nella redazione dei piani di competenza comunale.

3. Il PTCP, nella parte in cui descrive vincoli giuridici preesistenti e derivanti da fonti giuridiche diverse, svolge una funzione meramente ricognitiva della condizione giuridica delle aree già determinatasi in forza di norme giuridiche comunitarie, statali o regionali vigenti. Ciascun tipo di vincolo resta individuato e disciplinato integralmente ed esclusivamente dalle norme e dai provvedimenti istitutivi; rimane pertanto priva di autonomi effetti giuridici la riproduzione cartografica di detti vincoli nel PTCP nel caso in cui quest’ultima, per eventuali errori o imprecisioni, differisca nella esatta localizzazione o estensione dell’ambito individuato dalle norme e dai provvedimenti istitutivi del vincolo.

 Ai sensi e per gli effetti dell'art. 29, comma 2, della L.R. 11/2004: " 2. Dall'adozione del piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e del piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), o di loro eventuali varianti e fino alla loro entrata in vigore, e comunque non oltre cinque anni dalla data di adozione, il comune è tenuto a sospendere ogni determinazione sulle domande relative ad interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio che risultino in contrasto con le prescrizioni e i vincoli contenuti nei piani."

 Elenco delle prescrizioni del PTCP adottato che fanno salvaguardia:

  Art. 49 - Area nucleo, isola ad elevata naturalità e corridoio ecologico

Art. 73 - Poli scolastici5. (P) Fino all’approvazione degli accordi di cui ai commi precedenti sono ammessi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria su tutti gli edifici esistenti adibiti ad

1. (P) Nelle more dell’adeguamento dei piani di competenza comunale al PTCP all’interno delle aree nucleo, delle isole ad elevata naturalità e corridoi ecologici è comunque ammessa:

a. la realizzazione di edificazioni private, secondo le previsioni degli strumenti urbanistici comunali vigenti e secondo le norme che derogano agli stessi, qualora i soggetti attuatori degli interventi utilizzino accorgimenti costruttivi atti a minimizzare l'impatto ambientale, paesaggistico, il consumo energetico e gli effetti da inquinamento acustico e luminoso, adottando tecniche di bioingegneria e ingegneria ambientale;

b. la realizzazione di infrastrutture di interesse pubblico strade, ferrovie, edifici, impianti, ecc , adottando tecniche di bioingegneria e ingegneria ambientale.

2. (P) I progetti di nuova costruzione di infrastrutture di interesse pubblico (strade, ferrovie, edifici, impianti, ecc) dovranno prevedere interventi di compensazione ambientale idonea a mantenere costante o migliorare l’indice di equilibrio ecologico esistente, quantificati con metodi analitici.

Art. 50 - Area di connessione naturalistica

1. (P) I progetti di nuova costruzione di infrastrutture di interesse pubblico (strade, ferrovie, edifici, impianti, ecc) dovranno prevedere interventi di compensazione ambientale idonea a mantenere costante o migliorare l’indice di equilibrio ecologico esistente, quantificati con metodi analitici.

 Art. 73 - Poli scolastici

5. (P) Fino all’approvazione degli accordi di cui ai commi precedenti sono ammessi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria su tutti gli edifici esistenti adibiti ad istruzione superiore.
Art. 74 - Infrastrutture scolastiche non connesse

1. (P) Per le infrastrutture esistenti non connesse è prevista la manutenzione ordinaria e straordinaria nonché gli ampliamenti necessari per la funzionalità dell’immobile esistente finalizzati agli indirizzi scolastici presenti all’adozione del presente piano e di quelli strettamente connessi e subordinatamente all’accertamento da parte della Provincia dell’inopportunità del trasferimento in uno dei poli scolastici individuati.

Art. 78 – Rete viaria principale.

1. (P) L'accesso a questa rete viaria potrĂ  avvenire solamente attraverso svincoli con viabilitĂ  pubblica di vario rango, escludendo accessi privati, eventualmente da servirsi attraverso controstrade da ricondurre agli svincoli regolamentari.

2. (P) Sulle strade ad una corsia per ogni senso di marcia sarĂ  possibile la realizzazione di impianti di rifornimento carburanti solamente se rispondenti alle norme vigenti in materia prevedendo necessariamente, salva impossibilitĂ  tecnica, la predisposizione di impianti fronteggianti, anche se sfalsati, e visibili nei due sensi di marcia in modo da evitare l'attraversamento dei flussi di traffico.

La proroga dell’autorizzazione di una media struttura di vendita

29 Lug 2013
29 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 24 luglio 2013 n. 981, si occupa della proroga per l’attivazione di alcune medie strutture di vendita, materia attualmente regolata dalla Legge Regionale Veneto n. 50/2012: “La legge regionale n° 42 del 2012 è stata pubblicata sul BUR del 2 Novembre 2012, è entrata in vigore il 17 Novembre 2012 ed è stata abrogata dall’art. 30 comma 1 lettera g) della legge regionale n° 50 del 2012 con effetto dal 1 Gennaio 2013.

L’art. 5 della legge regionale n° 42 del 2012 stabilisce che i procedimenti amministrativi aventi ad oggetto l’autorizzazione commerciale relativa alle fattispecie di cui agli articoli 1, 2 e 3 della legge regionale n° 42 del 2012, attivati precedentemente all’entrata in vigore della legge stessa, sono riesaminati ad istanza di parte, tenuto conto degli articoli 1, 2 e 3 della legge stessa.

L’art. 2 della legge regionale n° 42 del 2012 stabilisce che l’articolo 10 della legge regionale n° 15 del 2004 si interpreta nel senso che agli esercizi di vicinato ed alle medie strutture di vendita, ubicate all’interno dei parchi commerciali oggetto di ricognizione ai sensi del comma 7 dell’art. 10 della legge regionale n° 15 del 2004, si applicano le disposizioni di cui all’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998.

Dunque, per effetto dell’art. 2 della legge regionale n° 42 del 2012, l’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 si applica anche alle medie strutture di vendita comprese in un parco commerciale.

In tal caso non si applica più l’art. 23 della legge regionale n° 15 del 2004, che prevede una disciplina della proroga più restrittiva rispetto all’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998, nel senso di richiedere una sola proroga fino ad un massimo di un anno.

Invece l’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 si limita ad ammettere la proroga in caso di comprovata necessità, senza porre limiti espressi con riferimento al numero delle proroghe ed alla determinazione del periodo di proroga.

La ratio della legge n° 42 del 2004 è quella di evitare una disparità di disciplina tra medie strutture di vendita ubicate all’interno di parchi commerciali e le medie strutture di vendita non ubicate all’interno di parchi commerciali.

La ratio non è invece quella di offrire maggiori libertà di prorogare i termini di attivazione degli esercizi commerciali connessi al rilascio dei provvedimenti autorizzativi.

Quanto sopra risulta evidente, considerando che il settimo comma dell’art. 18 della legge regionale n° 50 del 2012 (in vigore dal 1 Gennaio 2013) stabilisce che le medie strutture di vendita sono attivate nel termine di decadenza di due anni dal rilascio dell’autorizzazione commerciale o dalla presentazione della SCIA, salva la potestà del comune di prorogare per una sola volta il termine in caso di comprovata necessità, su motivata richiesta dell’interessato da presentarsi entro il predetto termine.

Dunque con la legge regionale n° 50 del 2012 è stata posta una disciplina più restrittiva (in relazione alla determinazione del periodo massimo di proroga ed alla possibilità di prorogare per una sola volta) alle proroghe rispetto a quella posta dall’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998, confermando con ciò che l’intento della legge n° 42 del 2012 non era quello di andare nella direzione di una maggiore possibilità di concessione delle proroghe, ma invece quello di evitare la sopra richiamata disparità di disciplina tra medie strutture di vendita ubicate all’interno di parchi commerciali e le medie strutture di vendita non ubicate all’interno di parchi commerciali.

In ogni caso il procedimento avviato ai sensi dell’art. 5 della legge regionale n° 42 del 2012 consente ulteriori proroghe senza una rigida predeterminazione del periodo di proroga purché sia fornita una rigorosa dimostrazione della necessità della proroga”.

 

Per quanto concerne il momento in cui richiedere la proroga il Collegio afferma: “Gli artt. 2 e 5 della legge regionale n° 42 del 2012 consentono all’amministrazione di riesaminare i procedimenti amministrativi “attivati” che riguardano la proroga delle autorizzazioni commerciali, ma non introducono una deroga al principio, riconosciuto dalla costante giurisprudenza per quanto attiene alla disciplina del termine di attivazione di un’iniziativa commerciale od edilizia autorizzata, secondo cui la richiesta di proroga del termine deve essere presentata prima della scadenza del termine originario (così Consiglio di Stato IV n° 360 del 2013).

Tale principio non è derogato né dall’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 né dalla legge regionale n° 42 del 2012.

Infatti la possibilità di prorogare i termini di attivazione degli interventi edilizi e commerciali autorizzati, successivamente alla loro scadenza, metterebbe in pericolo l’attuazione della programmazione commerciale ed urbanistica e pregiudicherebbe il necessario ordine disciplinatorio degli interventi”.

 

Infine il Collegio, dopo aver ribadito che la proroga dell’autorizzazione richiede una motivazione specifica che dia contezza delle ragioni che la giustificano, si sofferma sulla comunicazione di avvio del procedimento chiarendo che: “Risulta pertanto evidente che l’amministrazione non ha nei fatti consentito la partecipazione al procedimento di parte ricorrente perché la decisione dell’amministrazione è stata adottata prima che fosse decorso un termine congruo, tale da permettere in concreto la partecipazione procedimentale.

Sotto tale profilo il collegio evidenzia che la comunicazione di avvio del procedimento, adottata in data 19 Dicembre 2012, non conteneva il termine entro cui i controinteressati nel procedimento amministrativo avrebbero potuto fornire le proprie valutazioni, né evidenziava motivi di urgenza che avrebbero richiesto una partecipazione da parte dei controinteressati entro termini stringenti.

In difetto di tale specifica indicazione del termine a controdedurre, il collegio reputa che di norma il termine congruo può essere definito quello avente la durata di quindici giorni (un’indicazione normativa può trarsi sotto tale profilo dall’art. 7 comma 1 del D.P.R. n° 184 del 2006), termine che nel caso di specie non è stato rispettato.

Al riguardo si deve considerare che il termine di quindici giorni per controdedurre deve decorrere dal ricevimento della comunicazione di avvio del procedimento perché, prima del ricevimento, il soggetto interessato non è nelle condizioni di controdedurre.

Tuttavia, anche considerando, in ipotesi astratta, come termine iniziale non la data di ricevimento della comunicazione di avvio del procedimento, ma la data di adozione della comunicazione di avvio del procedimento, l’amministrazione non ha comunque rispettato il termine.

Il collegio evidenzia che il rispetto delle regole partecipative cristallizzate dalla legge n° 241 del 1990 impone che la comunicazione di avvio del procedimento venga effettuata in tempo e con modalità tali da consentire la partecipazione influente ed efficace dei soggetti interessati al processo decisionale destinato a sfociare nella determinazione finale potenzialmente lesiva. Ne deriva che il rispetto formale della disciplina di legge non esclude l'effetto invalidante sortito da una condotta amministrativa che, nel suo complesso, finisca per impedire una partecipazione utile da parte del soggetto portatore di un interesse giuridicamente qualificato e differenziato (così Consiglio di Stato V n° 3470 del 2012)”.

 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 981 del 2013

La nuova definizione di bosco

29 Lug 2013
29 Luglio 2013

La Giunta Regionale, con DGRV n. 1319/2013 ha approvato, in attesa di pubblicazione sul BURV, le "Norme di attuazione dell’art. 14 della L.R. n. 52/1978 come modificato con l’art. 31 della L.R. n. 3/2013 relativamente alla nuova definizione di bosco."

DGRV bosco

DGRV bosco AllegatoA

NovitĂ  in materia di energia

29 Lug 2013
29 Luglio 2013

Si comunica che è disponibile la procedura aggiornata per l'esportazione di "APE" mediante la metodologia di calcolo semplificato DOCET, in conformità al Decreto Legge 63 del 05 giugno 2013 e alla successiva Circolare n. 12976 del 25 giugno 2013 del Ministero dello Sviluppo Economico.

Si ricorda che sul sito www.xclima.it è disponibile il software DOCETpro per la certificazione energetica degli edifici di nuova costruzione ed esistenti, residenziali e non residenziali.

Disposizioni regionali di indirizzo e di coordinamento in materia di turismo

26 Lug 2013
26 Luglio 2013

La Regione Veneto, con la DGRV in attesa di pubblicazione sul BURV, provvede a fornire le prime indicazioni operative e gestionali di applicazione della nuova legge nel settore del turismo (l.r.Veneto 14 giugno 2013 n. 11) che interessano sia gli operatori turistici che le province e gli enti locali.

Si sottolinea che nell'Allegato A si definiscono altresì le disposizioni per la semplificazione dei procedimenti amministrativi che si vengono a determinare con l’entrata in vigore della legge regionale n. 11/2013, rispetto alla previgente legge regionale n. 33/2002.

DGRV turismo

DGRV AllegatoA

Il muro di contenimento non è una costruzione

25 Lug 2013
25 Luglio 2013

La Corte d’Appello di Venezia, sez. II civile, nella sentenza del 23 aprile 2013 n. 969, chiarisce che il muro di contenimento e la sua (eventuale) sopraelevazione non costituiscono una costruzione atteso che il concetto di costruzione non si identifica con quella di edificio poiché “si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa (cass. Sentenza n. 15972 del 27/07/2011); in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 cod. civ. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parte naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento (Sentenza n. 14 del 10/01/2006); la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche (Sentenza n. 145 del 10/01/2006); rappresentano, invece, certamente costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cass. Sentenza n. 1345 del 10/01/2006; cass. Sentenza n. 1217 del 22/01/2010)”.

Di conseguenza: “ritiene questa Corte che per la parte in cui il muro costituisce contenimento della parete naturale o scarpata lo stesso non è qualificabile come costruzione, mentre la parte in sopraelevazione rappresenta “muro di cinta” ex art. 878 c.c. che non costituisce costruzione ai fini delle distanze legali perché di altezza inferiore a tre metri (la sopraelevazione è di circa 83 cm)”.

 

La sentenza in commento, per la parte che ivi interessa, riforma quanto sancito dal Tribunale di Vicenza, sez. II civile, con la sentenza del 21 novembre 2008 n. 1834, che aveva considerato come costruzione la parte del muro di contenimento costruita in sopraelevazione: “tale distanza nella fattispecie non risulta osservata, come con divisibilmente affermato dal consulente tecnico d’ufficio, posto che il c.d. muro di contenimento, per le illustrate caratteristiche costruttive, costituisce, quanto meno per la parte superiore, una vera e propria costruzione. Dal punto di vista edilizio e civilistico, per integrare il concetto normativo di costruzione, come più volte affermato dalla Cassazione, vengono in rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della stabilità e dell’immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti ed oggetti di modeste dimensioni con funzioni meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabili. Anche la migliore dottrina include nella nozione di “costruzione” non solo l’opera che abbia le caratteristiche di un edificio o di altra fabbrica in muratura, ma anche qualsiasi altra opera edilizia che presenti carattere di solidità, stabilità e di immobilizzazione rispetto al suolo, ancorché manchi di propria individualità ed autonomia in quanto costituente un semplice accessorio del fabbricato. Per quanto più specificamente concerne la problematica del muro c.d. di contenimento, la giurisprudenza di legittimità afferma che “in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte di muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati dall’opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente” (Cassazione civ., sez. II, 10 gennaio 2006 n. 145; in senso sostanzialmente conforme Cassazione n. 8144/2005)”.

dott. Matteo Acquasaliente

C. Appello Venenzia n. 969 del 2013

Trib. Vicenza n. 1834 del 2008

Ancora sul vincolo cimiteriale

25 Lug 2013
25 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 08 luglio 2013 n. 932, torna ad occuparsi del vincolo cimiteriale chiarendo che l’inedificabilità assoluta concerne gli edifici che sono incompatibili con tale vincolo, come un impianto di autolavaggio self-service.

 

Si legge infatti che: “L’art.338 del Testo unico delle leggi sanitarie di cui al r.d. n.1265 del 27 luglio 1934 nonché l’art.57 del Dpr 10 settembre 1990 n.285 vietano l’edificazione nelle aree ricadenti in fascia di rispetto cimiteriale dei manufatti che, per durata, inamovibilità ed incorporazione al suolo possano qualificarsi come costruzioni edilizie, come tali, incompatibili con la natura dei luoghi e con l’eventuale espansione del cimitero.

Ora, la giurisprudenza ha affermato che in materia di vincolo cimiteriale, la salvaguardia del rispetto dei 200 metri prevista dal citato art.338 del T.U. del 1934 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità, valevole per qualsiasi manufatto edilizio anche ad uso diverso da quello di abitazione, che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici, che di opere incompatibili col vincolo medesimo, e tanto in ragione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico-sanitarie, nella salvaguardia della peculiare sacralità dei luoghi destinati alla sepoltura e nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons Stato Sezione IV, 20 luglio 2011, n. 4403, Cons Stato Sez. V 3 maggio 2007 n.1933; TAR Toscana, Sez. III, 2 luglio 2008 n. 1712)”.

Corollario di quanto esposto è che: “non sembra dubbio che l’impianto di autolavaggio in questione rientri tra le costruzioni edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui all’art.338 citato e tale circostanza, puntualmente rilevata dall’Amministrazione, costituisce valido motivo giustificativo dell’opposto diniego”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 932 del 2013

Le caratteristiche dei parcheggi pubblici e privati

24 Lug 2013
24 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 08 luglio 2013 n. 935, si occupa della distinzione tra parcheggi pubblici (di standard) realizzati in attuazione del piano particolareggiato e quelli privati considerati di pertinenza delle singole unitĂ  immobiliari come previsto dalla legge n. 122/1989.

 

A tal proposito: “i primi sono contemplati dall’art. 41 quinquies della L. n. 1150/1942, insieme agli spazi pubblici e al verde pubblico, e sono regolati dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444; tale regolamento, al fine di garantire un ordinato sviluppo del territorio ed alleviare il carico urbanistico, in particolare, definisce lo standard pubblico relativo ai parcheggi in quanto opere di urbanizzazione primaria e lo individua (all’art. 5, comma 2, per i nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, in 80 mq per ogni 100 mq di superficie lorda di pavimento), in aggiunta alle superfici a parcheggio previste dall'art. 18 L. n. 765/1967 (che ha introdotto l’art. 41 sexies nella L. n. 1150/1942). Viceversa, i parcheggi privati sono disciplinati da quest’ultimo articolo 41 sexies e dall’articolo 9 della L. 122/1989. Essi sono riservati agli abitanti delle unità residenziali o agli addetti delle unità non residenziali, e sono asserviti all’unità edilizia o immobiliare con vincolo di pertinenzialità. In tal caso la legge (al fine, più specifico, di decongestionare la viabilità pubblica, attraverso la previsione, in sede di nuove costruzioni, d’idonei spazi di ricovero degli autoveicoli dei proprietari dei appartamenti), prevede una diversa proporzionalità (un metro quadrato di parcheggio per ogni 10 metri cubi di costruzione) ed un rapporto pertinenziale d’uso inscindibile con l’unità immobiliare principale”.

 

Il Collegio altresì prosegue dichiarando che i parcheggi (pubblici) realizzati su suolo demaniale concesso in superficie o sopra il suolo privato, ma serventi ad uso pubblico, sono da considerarsi opere di urbanizzazione, ed ancora che i parcheggi ad suo pubblico sono “normalmente destinati, non solo, ai visitatori degli insediamenti residenziali e ai clienti o utenti degli insediamenti non residenziali, ma anche, in assenza di specifici divieti, alla più generica fruizione, ai fini di stazionamento e sosta degli autoveicoli, da parte della generalità dei cittadini.

13. Pertanto, i condomini ricorrenti non possono vantare alcun diritto all’uso esclusivo di tali spazi, essendo la loro posizione di vantaggio nei confronti di tali posti auto, parificabile a quella di un qualsiasi cittadino nei confronti di uno spazio a standard pubblico”.

Infine i Giudici riconoscono che: “in caso di mancanza di aree disponibili all’interno di un PUA, è ammessa la monetizzazione degli standard al fine di reperire altrove aree disponibili. Tale possibilità, già ammessa dalla giurisprudenza consolidata, è espressamente prevista dall’art. 32 della L.R. n. 11/2004 (e prima ancora lo era dall’art. 26 comma 7 della L.R. n. 61/1985)” e che: “Quanto alla prevista alienazione previa gara pubblica degli spazi di sosta realizzati su proprietà demaniale, essa è stata disposta in conformità all’art. 58 del D.L. n. 112/08, che facoltizza espressamente gli enti pubblici a dismettere la proprietà di beni non strumentali all’uso pubblico, previo inserimento di tali beni nel piano delle alienazioni immobiliari; inserimento che ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 935 del 2013

Il difetto di rappresentanza ex art. 182 c.p.c.

24 Lug 2013
24 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 08 luglio 2013 n. 934, si occupa del difetto di rappresentanza ex art. 182 c.p.c. secondo cui: “Il giudice istruttore verifica d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi .

Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza , o l'assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”.

Il T.A.R., in particolare, compie un excursus normativo circa la portata di tale articolo sottolineando che: “secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (v. da ultimo, l’ordinanza n. 26465 del 09/12/2011) “il nuovo testo dell'art. 182, secondo comma, cod. proc. civ. (introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69), secondo cui il giudice, che rilevi la nullità della procura, assegna un termine per il rilascio della procura o per la rinnovazione della stessa, non ha portata meramente interpretativa e non si applica, perciò, retroattivamente, atteso il tenore testuale fortemente innovativo della norma”.

Sicché non è sostenibile la tesi del carattere meramente interpretativo e della conseguente applicabilità retroattiva della norma dell'art. 182 c.p.c., secondo comma, come modificata dalla L. n. 69 del 2009.

Invece, secondo l’art. 182 c.p.c., secondo comma, nel testo ante riforma applicabile al caso in esame, può essere ammessa la sanatoria del vizio di rappresentanza processuale, nel caso in cui la società si costituisca a mezzo dell’organo al quale spettano effettivamente i poteri, ma naturalmente, se ed in quanto non si siano nel frattempo verificate decadenze; così non si sana l’impugnazione proposta dall’organo privo di poteri se la società o l’ente si costituisce con l’organo munito di poteri e ratifica dopo la decorrenza del termine per impugnare (cfr. Cass. n. 229/1980).

In proposito la Cassazione ha sempre affermato il principio per cui la sanatoria retroattiva della carenza di legittimazione processuale incontra l'insuperabile limite delle decadenze verificatesi a causa dello spirare del termine per proporre appello o ricorso per Cassazione (cfr., da ultimo, la sent. n. 3700/2012), con conseguente formazione del giudicato per difetto di tempestiva impugnazione”.

Tali principi - prosegue il T.A.R. - risultano applicabili anche al processo amministrativo con riferimento al termine per proporre il ricorso “con la conseguenza che (non trovando applicazione ratione temporis la previsione dell’efficacia totalmente retroattiva della ratifica di cui al nuovo testo dell’art. 182, 2° comma c.p.c.) la ratifica degli atti processuali del falsus procurator ad opera dell’organo societario effettivamente legittimato, non è efficace dopo la scadenza del termine per proporre ricorso.

Ciò in quanto gli effetti del ricorso non assistito da una valida procura ad litem non sono soggettivamente imputabili alla parte che il procuratore costituito dichiari di rappresentare, bensì o allo stesso procuratore in proprio (nel caso limite di inesistenza della procura) ovvero (in caso di procura rilasciata da soggetto privo dei poteri di rappresentanza processuale dell'ente per cui dichiara di agire) al sedicente rappresentante: sicché è palese che, nell'uno come nell'altro caso, né in capo al difensore né al procuratore processuale senza poteri è ravvisabile alcuna propria legittimazione rispetto alla causa che dichiarano di proporre in nome altrui, e di ciò il giudice deve dar atto dichiarando in capo a costoro (cioè al soggetto che è effettivamente costituito in giudizio) il difetto di legittimazione e, conseguentemente, l'inammissibilità della domanda. Né la ratifica, da parte del rappresentante, della procura al difensore per difendere la società in giudizio, conferita dal predetto soggetto sprovvisto di potere di rappresentanza, costituisce atto idoneo a conferire la legittimazione processuale a chi ne è privo (cfr. Cons. Giust. amm. sic. n. 191/2006)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 934 del 2013

Ecco la sentenza che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la riforma delle Province

24 Lug 2013
24 Luglio 2013

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 19 luglio 2013 n. 220, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, del d.l n. 201 del 2011, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011 e degli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012, con i quali si è realizzata una riforma organica delle Province tramite la decretazione d’urgenza violando l’art. 77 Cost.

Ecco le motivazioni in diritto: “Da quanto detto si ricava una prima conseguenza sul piano della legittimità costituzionale: ben potrebbe essere adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di governo, secondo valutazioni di opportunità politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento. Si ricava altresì, in senso contrario, che la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell’intero sistema, su cui da tempo è aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d’urgenza».

I decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità. Per questo motivo, il legislatore ordinario, con una norma di portata generale, ha previsto che il decreto-legge debba contenere «misure di immediata applicazione» (art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri»). La norma citata, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012), che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo, in quanto recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla costruzione di nuove strutture istituzionali, senza peraltro che i perseguiti risparmi di spesa siano, allo stato, concretamente valutabili né quantificabili, seppur in via approssimativa”.

Di conseguenza, atteso che: “Sin dal dibattito in Assemblea costituente è emersa l’esigenza che l’iniziativa di modificare le circoscrizioni provinciali – con introduzione di nuovi enti, soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini dei rispettivi territori – fosse il frutto di iniziative nascenti dalle popolazioni interessate, tramite i loro più immediati enti esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte dall’alto.

Emerge dalle precedenti considerazioni che esiste una incompatibilità logica e giuridica – che va al di là dello specifico oggetto dell’odierno scrutinio di costituzionalità – tra il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità e urgenza, e la necessaria iniziativa dei Comuni, che certamente non può identificarsi con le suddette situazioni di fatto, se non altro perché l’iniziativa non può che essere frutto di una maturazione e di una concertazione tra enti non suscettibile di assumere la veste della straordinarietà, ma piuttosto quella dell’esercizio ordinario di una facoltà prevista dalla Costituzione, in relazione a bisogni e interessi già manifestatisi nelle popolazioni locali”, i Giudici del Palazzo della Consulta ritengono che: “A prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza nel merito di tale argomentazione con riferimento alla legge ordinaria, occorre ribadire che a fortiori si deve ritenere non utilizzabile lo strumento del decreto-legge quando si intende procedere ad un riordino circoscrizionale globale, giacché all’incompatibilità dell’atto normativo urgente con la prescritta iniziativa dei Comuni si aggiunge la natura di riforma ordinamentale delle disposizioni censurate, che introducono una disciplina a carattere generale dei criteri che devono presiedere alla formazione delle Province. Per quest’ultimo profilo valgono le considerazioni già sviluppate nel paragrafo 12.1”.

C. Cost. n. 220 del 2013

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