Risarcimento danni da ritardato rilascio di permesso di costruire: il TAR applica il valore locatizio dell’area, pari al 5% del valore venale del bene

24 Giu 2013
24 Giugno 2013

Della questione si occupa la sentenza del TAR Veneto n. 820 del 2013.

Scrive il TAR: "Va quindi, innanzi tutto, rilevato che nella fattispecie sussistono i presupposti richiesti dall’art. 2043 c.c. per il riconoscimento del danno extracontrattuale, nella fattispecie identificabile come danno da ritardo, e precisamente : l’atto amministrativo illegittimo, per le ragioni sopra evidenziate; il necessario coefficiente psicologico da individuarsi - nella specie - nella colpa desumibile anche dall’atteggiamento tenuto nel corso della vicenda dall’amministrazione, anche a seguito delle determinazioni del Tribunale e degli orientamenti forniti dall’amministrazione regionale; il nesso causale; il danno. E’ quindi possibile ritenere che, riconoscendo alla ricorrente il diritto al risarcimento del pregiudizio patito per effetto dell’iniziale silenzio e del successivo provvedimento di diniego illegittimamente espresso dall’amministrazione per le ragioni sopra evidenziate, il periodo temporale di riferimento ai fini del calcolo del dovuto possa farsi risalire al mese di gennaio 2011, epoca in cui l’amministrazione poteva determinarsi, ottenute tutte le integrazioni documentali richieste ed alla luce del parere favorevole espresso dalla ULS sotto il profilo igienico, e concludersi nel mese di luglio con riferimento alla concessione della tutela cautelare da parte del Tribunale, giusta ordinanza n. 671/11, che ha disposto il rilascio del permesso di costruire. A tale riguardo va, peraltro, sottolineato come la mancata immediata realizzazione dell’intervento da parte della società non sia di per sé elemento capace di incidere sulla fondatezza della pretesa risarcitoria, in quanto è evidente che il titolo così conseguito risultava comunque subordinato all’esito del giudizio di merito e quindi ben possono essere comprese le ragioni per le quali la ricorrente non si è immediatamente avviata alla realizzazione del parcheggio, senza contare le parallele vicende relative all’autorizzazione dell’impianto di trattamento dei rifiuti. Per quanto riguarda la quantificazione della somma che l’amministrazione dovrà corrispondere alla ricorrente a titolo di risarcimento, ritiene il Collegio che, alla luce dello svolgimento dell’intera vicenda e tenuto conto anche delle iniziali giustificate perplessità insorte in capo all’amministrazione circa l’utilizzo della nuova area a parcheggio, possa essere utilizzato il criterio di computo (peraltro condiviso in parte da entrambe le difese) che fa riferimento al valore locatizio dell’area, pari al 5% del valore venale del bene. Per quanto riguarda poi il valore del terreno, ritiene il Collegio di poter seguire l’indicazione data dall’amministrazione comunale, non avendo parte istante comprovato in atti il diverso valore proposto (150 euro al mq contro 64 euro al mq indicati dal Comune). Di conseguenza, così come peraltro rappresentato dalla ricorrente nella memoria del 18 aprile 2013, la somma da corrispondere sarà così calcolata: euro 64 (valore al mq del fondo) x 1580 mq (estensione del fondo) = 101120 x 5% (valore locatizio al mq) = 5056 annui : 12 mesi = € 412,3 mensili, che quindi, per le considerazioni sopra espresse, vanno computati per sei mesi per un totale finale di € 2.528, 00, oltre alla rivalutazione monetaria su tale somma dal dì del dovuto fino alla data di deposito della presente sentenza, nonchè gli interessi legali, questi ultimi computati a decorrere dalla data di deposito della presente decisione e fino all'effettivo soddisfo. In accoglimento, pertanto, anche dell’istanza risarcitoria, parte soccombente dovrà corrispondere alla ricorrente, oltre alle spese di lite comprensive della refusione del contributo unificato nella misura di legge, anche la somma, così come sopra quantificata, a titolo di risarcimento danni".

sentenza TAR veneto 820 del 2013

Un incremento volumetrico abusivo adibito a ripostiglio e servizio non è pertinenza e la sua demolizione non pregiudica la parte conforme

24 Giu 2013
24 Giugno 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 821 del 2013, già allegata al post che precede, decide un  ricorso contro i provvedimenti con i quali l’amministrazione comunale di Venezia, a seguito del diniego del condono per un abuso consistente in un incremento volumetrico adibito a ripostiglio e servizio, ha ritenuto di irrogare la sanzione demolitoria e ha denegato l’applicazione della sanzione pecuniaria in via alternativa.

Il ricorrente sosteneva che si trattava di opera pertinenziale e che, di conseguenza, doveva essere applicata una sanzione pecuniaria, ex art. 34 DPR 380, perchè la sua demolzione avrebbe arrecato pregiudizio all'edificio, ma il TAR è stato di opposto parere.

Scrive il TAR: "Parimenti infondata è la pretesa riconduzione dell’intervento de quo quale opera pertinenziale dell’edificio principale, atteso che – come costantemente ritenuto – il concetto di pertinenza urbanistica non coincide con quello di matrice civilistica: nella fattispecie trattasi di un incremento volumetrico, dotato di autonomia, che non costituisce elemento imprescindibile per la fruizione dell’immobile principale, di modo che non possono essere condivise le argomentazioni di parte ricorrente circa l’applicazione della diversa sanzione pecuniaria, propria degli interventi soggetti ad autorizzazione edilizia. È infatti pertinenza edilizia soltanto quella preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, in relazione alle caratteristiche di quest'ultimo, sfornita di un valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o, comunque, dotata di un volume minimo, sicché sono qualificabili come pertinenze in materia edilizia solo le opere che siano prive di autonoma destinazione, e che esauriscano la loro destinazione d'uso del rapporto funzionale con l'edificio principale così da non incidere sul carico urbanistico: e dette caratteristiche non sono rinvenibili per l’intervento di cui si controverte. Detta ultima considerazione consente anche di escludere l’illegittimità del successivo diniego di applicazione della sanzione alternativa, così come richiesta da parte ricorrente, in quanto esclusa la natura pertinenziale del volume realizzato, la sua eliminazione non è risultata pregiudizievole per la restante parte del’edificio, così come evidenziato dalla stessa amministrazione, dopo che la richiesta avanzata dal ricorrente è stata appositamente valutata dalla Sottocommissione edilizia".

Al’abuso edilizio deve essere applicata la disciplina vigente al momento in cui la sanzione viene irrogata e non quella vigente al momento dell’abuso

24 Giu 2013
24 Giugno 2013

Lo ricorda la sentenza del TAR Veneto n. 821 del 2013.

Scrive il TAR: "Quanto al secondo motivo, peraltro non coltivato dalla difesa istante nelle memorie conclusive, vale solo la pena di osservare che per quanto riguarda l’irrogazione della sanzione derivante dalla commissione di un abuso edilizio, deve essere applicata la disciplina vigente al momento in cui la sanzione viene irrogata e non con riferimento alla normativa vigente all’epoca in cui l’abuso è stato commesso, trattandosi di illecito permanente, che quindi impone la repressione secondo la disciplina vigente al momento in cui viene sanzionato Nel caso in esame, diversamente da quanto rilevato con il terzo motivo di ricorso, l’abuso è stato accertato e la sanatoria non è stata concessa proprio in ragione del contrasto dell’intervento con la disciplina".

sentenza TAR Veneto 821 del 2013

Cortina d’Ampezzo 5 e 6 luglio 2013: convegno Amministrativisti veneti su enti locali e gestione del territorio

21 Giu 2013
21 Giugno 2013

Si terrà a Cortina d'Ampezzo il 5 e il 6 luglio 2013 il tradizione convegno di studi della Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti, che quest'anno avrà per tema: "Gli enti locali e la gestione del territorio:le regole dell’urbanistica ai tempi della crisi".

Alleghiamo la locandina dell'evento

locandina

 

Commissario straordinario del Comune o Ponzio Pilato?

21 Giu 2013
21 Giugno 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 741 del 2013 è interessante, perchè giustamente censura le tentazioni al rinvio a futura memoria di alcuni Commissari Straordinari dei comuni, nominati a seguito dello scioglimento dei consigli comunali.

Nel caso in esame è stata impugnata la determinazione con quale con la quale il Commissario Straordinario del Comune ha comunicato di omettere ogni decisione in merito all'istanza di permesso di costruire in deroga ai sensi dell'art. 5, commi 9 e 11 della L. 106/2011, presentata dalla Società ricorrente, rinviando ogni decisione all'organo politico che verrà eletto in occasione delle prossime consultazioni elettorali.

Scrive il TAR: "Considerato che la nota impugnata, pur avendo contenuto soprassessorio, tuttavia, costituisce comunque un arresto procedimentale, come tale immediatamente lesivo degli interessi facenti capo alla ricorrente; premesso, altresì, che il punto della questione controversa non è la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per il rilascio del permesso di costruire in deroga, questione che, infatti, sarà esaminata in sede di esame della domanda presentata dalla ricorrente, bensì la legittimità della nota con la quale il Commissario Straordinario non ha ritenuto di dover provvedere, rimandando la decisione agli organi consiliari di imminente elezione; impregiudicata quindi ogni determinazione circa la fondatezza della pretesa di parte ricorrente di ottenere il rilascio del permesso in deroga, il ricorso è fondato per quanto riguarda l’illegittimità delle motivazioni addotte da Commissario Straordinario a fondamento del non luogo a provvedere ivi manifestato. Invero, in base al dettato normativo ed ai principi generalmente riconosciuti (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, n,.3934/09; T.A.R. Catanzaro, n. 851/2001), il commissario straordinario nominato ai sensi dell'art. 141 T.U. 18 agosto 2000 n. 267 è l'organo chiamato a reggere l'Ente locale a seguito dello scioglimento del Consiglio comunale in sostituzione degli organi ordinari e adotta tutti i provvedimenti di competenza degli organi di governo dell'Ente fino alla ricostituzione degli organi elettivi (salvo eventuali limitazioni dettate, caso per caso, dal provvedimento di nomina): pertanto, i poteri del predetto organo si estendono a tutti gli atti di gestione dell'Ente stesso, siano essi di ordinaria o di straordinaria amministrazione; con la conseguenza che non è soggetto alla limitazione, prevista per i Consigli comunali dall'art. 31 L. 8 giugno 1990 n. 142, ai soli atti di carattere urgente, nel periodo prossimo al rinnovo dell'organo, trattandosi di limitazione che trova la propria ratio nella necessità di evitare che l'organo elettivo incida sulla formazione della volontà degli elettori. Per detti motivi, quindi, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato".

sentenza TAR Veneto 741 del 2013

Il segretario comunale accoglie in municipio il commissario
straordinario appena nominato dal Prefetto

Quando i camini necessitano del permesso di costruire?

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 13 giugno 2013 n. 825, si occupa dei titoli edilizi necessari per realizzare i camini evidenziando che, laddove gli stessi comportino una modifica del prospetto e della sagoma dell’edificio, occorre il permesso di costruire e non la semplice D.I.A.: “E’, allora, applicabile quell’orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 01-10-2012, n. 4005) nell’ambito del quale si è sancito che “non può configurarsi come elemento meramente accessorio dell'edificio, la realizzazione di una canna fumaria, che, pur non consistendo in opere murarie, in quanto realizzata in metallo od altro materiale, vada a soddisfare esigenze non precarie del costruttore, ciò comportando una modifica del prospetto e della sagoma del fabbricato cui inerisce, riconducendosi tale intervento nell'ambito delle opere di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), realizzate mediante inserimento di nuovi elementi ed impianti, assoggettato al regime del permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R”..

10.1 I camini di cui si tratta non sono suscettibili nemmeno di rientrare nella disciplina della c.d. DIA e, ciò, considerando come con gli stessi si sia posta in essere una modifica dei prospetti dell’edificio e delle parti comuni”.

 L’intervento de quo, consistente (anche) nell’innalzamento e nel parziale differente riposizionamento di alcune canne fumarie da parte di taluni condomini, avveniva in assenza del relativo titolo edilizio. Di conseguenza tali condomini, in seguito all’ordinanza di demolizione, presentavano all’ente una istanza di sanatoria edilizia la quale veniva però negata dal Comune - che confermava la rimessione in pristino - per contrasto con la normativa dettata dal Regolamento Edilizio. Proprio con riferimento alla richiesta di sanatoria il T.A.R. asserisce: “Sul punto va ricordato che il formarsi del silenzio assenso è ora strettamente correlato alla presentazione di una corretta documentazione e, soprattutto, di un’idonea relazione asseverativa che attesti il rispetto delle disposizioni urbanistiche vigenti nel Comune di riferimento, circostanze queste ultime inesistenti nel caso di specie” ed ancora laddove afferma che: “Non risulta condivisibile nemmeno la ricostruzione giuridica che vorrebbe operante il silenzio assenso in materia di permesso di costruire.  Sul punto, infatti, al di là della generale previsione di cui all’art. 20 del Dpr 380/2001, risulta applicabile la disciplina del silenzio rigetto così come disposta, in materia di sanatoria, dall’art. 36 comma 3 della stessa norma, conseguente al decorrere di 60 giorni dalla presentazione dell’istanza”.

 Nella medesima sentenza, inoltre, il Collegio affronta anche la tematica delle c.d. indagini civilistiche che l’ente può/deve esperire laddove siano connesse con una richiesta urbanistica: nel caso di specie si ricorda che, ex art. 1117, n. 3, c.c., le canne fumarie si presumevano comuni cosicché: “E’ del tutto evidente come non si possa condividere l’ulteriore argomentazione diretta ad evidenziare che il Comune non avrebbe dovuto richiedere alcuna autorizzazione in considerazione del fatto che l’utilizzo delle parti comuni rientrerebbe nell’ambito dei rapporti civilistici, non di competenza dell’Amministrazione comunale.

4.1 Sul punto è la stessa parte ricorrente che ricorda quanto previsto da un costante insegnamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. IV, 11-04-2007, n. 1654) laddove si precisa che “In materia di concessione edilizia, l'Amministrazione ha il potere - dovere di subordinare il rilascio della concessione al consenso di tutti i proprietari per la parte di intervento che interessa le parti comuni, avendo questi, nei confronti dell'atto concessorio, non la posizione di terzo, ma quella di contitolare di un diritto, che, per la parte idealmente spettante, non può, invito domino, essere modificata o compressa dall'Amministrazione”.

4.2 Costituisce, altresì, applicazione di un ulteriore orientamento consolidato (per tutti si veda T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, 31-03-2009, n. 196) che la formula di stile "salvi i diritti dei terzi", utilizzata con riferimento al provvedimento di sanatoria, indica semplicemente che il provvedimento autoritativo, non comporta la modifica unilaterale dei diritti soggettivi propri dei soggetti terzi.

4.3 Questi ultimi conservano, pertanto, tutta la loro estensione, potendo continuare a ricevere tutela anche in sede civile, sia sotto forma di risarcimento che di riduzione in pristino, accedendo (ad esempio in materia di violazione delle distanze codicistiche) alla cd. doppia tutela, davanti al giudice ordinario e a quello amministrativo (si veda anche Consiglio di Stato sentenza 24 ottobre 1996, n. 1273).

5. Nel caso di specie l’Amministrazione nel corso dell’istruttoria, senza svolgere un’indagine attinente al piano civilistico, si è limitata a constatare la mancanza di una situazione di certezza circa la titolarità dei manufatti di cui si tratta, richiedendo una documentazione integrativa che fosse idonea ad assentire le modifiche autonomamente poste in essere dal ricorrente.

Come ha confermato un ulteriore e recente pronuncia (Cons. Stato Sez. IV, 25-02-2013, n. 1144) “l’'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (riprodotto dall'art. 11 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - T.U. Edilizia), nel prevedere che la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo", prevede anche che, in sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi.

5.1 Detto orientamento ha sancito il principio che l’Amministrazione non può limitarsi alla verifica dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente del potere sulla cosa) tutte le volte che insorgano dubbi circa la titolarità della domanda.

Ne consegue l’infondatezza della censura dedotta”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 825 del 2013

Inottemperanza all’ordine di demolizione e individuazione dell’area di pertinenza

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 681 del 2013.

Scrive il TAR: "7.4 Come correttamente ricorda parte resistente l’atto con il quale si accerta l’inottemperanza dell’ordine di demolizione di un’opera edilizia abusiva ha un’efficacia meramente dichiarativa, limitandosi ad esternare e formalizzare effetti già verificatisi in base allo stesso ordine e, ciò, considerando che ai sensi dell’art. 7 comma 3 L. n.47/85 gli effetti costitutivi vanno ricondotti al semplice decorso del termine fissato nell’Ordinanza di demolizione (per tutti si veda Tar Puglia, Bari sez.III 16/02/2006).
7.5 Deve infatti essere ricordato che per un costante orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, 08-02-2012, n. 48) “Il provvedimento di acquisizione al patrimonio del comune di un'opera edilizia abusivamente realizzata (art. 31 d.p.r. n. 380 del 2001 - T.U. Edilizia) ha come unico presupposto l'accertamento dell' inottemperanza ad un ordine di demolizione di opere abusive. Si tratta di un atto dovuto avente natura dichiarativa e meramente consequenziale all'inottemperanza all'ordine di demolizione, che trova il suo diretto fondamento nella legge che indica le conseguenze dell'inottemperanza alla disposta ingiunzione. Pertanto, la mancata indicazione delle conseguenze derivanti dall'inottemperanza all'ordine di demolizione, non infirma il procedimento preordinato alla demolizione delle opere abusive, in quanto concernente effetti automatici ex lege (ossia ex art. 31, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 - T.U. Edilizia), come tali presuntivamente conosciuti dai destinatari”.
7.6 Sempre nel caso di specie va, altresì, ritenuto applicabile quelle pronunce che hanno sancito il principio in base al quale l’individuazione dell’area di pertinenza della res abusiva non deve realizzarsi al momento dell’emanazione dell’ingiunzione di demolizione, bensì in un provvedimento successivo con il quale viene accertata l’inottemperanza e si procede all’acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune ai sensi dell’art. 7 della L. n.  47/1985. Si è infatti, precisato (per tutti T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, 21-02-2011, n. 291) che “l'ordinanza di ingiunzione alla demolizione di un immobile abusivo, e quella di acquisizione al patrimonio comunale, possono essere adottate senza la specifica indicazione delle aree oggetto di acquisizione, giacché a tale individuazione può procedersi, sulla base dell'art. 31 D.P.R. n. 380/2001, con successivo e separato atto”. Ne consegue che preso atto della difformità sostanziale del manufatto esistente rispetto a quello assentito e, considerato come il provvedimento di acquisizione abbia un’efficacia dichiarativa, il Comune avrebbe potuto con un successivo atto – di competenza della Direzione Patrimonio – far luogo agli adempimenti (es. la trascrizione sui registri immobiliari) idonei ad attestare un trasferimento della proprietà già di fatto avvenuto".

sentenza TAR Veneto 681 del 2013
 

Legge regionale n. 11 del 14 giugno 2013 – Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto.‏

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Sul Bur n. 51 del 18 giugno 2013 è stata pubblicata la legge regionale n. 11 del 14 giugno 2013, recante "Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto".

Art. 50
Disposizioni finali e transitorie

 4. Restano confermate e conservano validità:

 a) le autorizzazioni all’esercizio di strutture ricettive alberghiere e di strutture ricettive all’aperto, già rilasciate o rinnovate prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 b) le dichiarazioni o segnalazioni certificate di inizio attività relative a strutture ricettive extralberghiere presentate prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

c) autorizzazioni all’apertura di agenzie di viaggi, già rilasciate o rinnovate prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 38;

 d) l’elenco provinciale delle agenzie di viaggio e turismo e l’albo provinciale dei direttori tecnici, già disciplinati, rispettivamente, dagli articoli 74 e 78 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni;

 e) i provvedimenti di classificazione a residenza d’epoca, già rilasciati prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 f) limitatamente all’esclusivo ambito della disciplina turistica, la destinazione d’uso edilizia, la capacità ricettiva ed i requisiti dimensionali e strutturali delle strutture ricettive già autorizzati prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 g) limitatamente all’esclusivo ambito della disciplina turistica, la destinazione d’uso edilizia, i requisiti dimensionali e strutturali delle strutture ricettive con progetti di nuova costruzione o ristrutturazione edilizia presentati in comune prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 h) l’albo provinciale delle associazioni Pro Loco, già disciplinato dall’articolo 10 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33.

 5. Nel caso di progetti di nuova costruzione o ristrutturazione edilizia di strutture ricettive, presentati in comune a partire dalla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31, i requisiti dimensionali e strutturali previsti dal provvedimento si applicano limitatamente ai nuovi volumi delle strutture ricettive.

 6. Le strutture ricettive già classificate alla data di entrata in vigore della presente legge e le sedi congressuali già esistenti alla stessa data, devono ottenere la nuova classificazione, su domanda, ai sensi della presente legge, entro il termine di dodici mesi, prorogabile di sei mesi con motivata richiesta, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31; decorso inutilmente tale termine, il comune competente, su segnalazione della provincia, procede alla chiusura delle strutture ricettive o sedi congressuali non classificate ai sensi della presente legge.

 7. I bed & breakfast, le foresterie per turisti e le unità abitative ammobiliate ad uso turistico non classificate, già regolarmente esercitate prima dell’entrata in vigore della presente legge regionale, devono ottenere la classificazione, su domanda, ai sensi della presente legge, entro il termine di dodici mesi, prorogabile di sei mesi con motivata richiesta, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31; decorso inutilmente tale termine, il comune competente, su segnalazione della provincia, procede alla chiusura della struttura non classificata.

 8. I rifugi escursionistici, già classificati in vigenza della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni, devono ottenere la denominazione e la corrispondente classificazione, su domanda, di rifugio alpino, ai sensi della presente legge, entro il termine di dodici mesi, prorogabile di sei mesi con motivata richiesta, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31; decorso inutilmente tale termine, il comune competente, su segnalazione della provincia, procede alla chiusura del rifugio escursionistico.

 9. Ai procedimenti amministrativi e di spesa in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e fino alla loro conclusione, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni".

E’ entrata in vigore la riforma del condominio

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Il giorno 18 giugno 2013 è entrata in vigore la legge 11 dicembre 2012, n. 22, recante "Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici".

Legge 220 del 2012

Il CdS ritiene non più ammessa dall’ordinamento la c.d. “sanatoria giurisprudenziale” edilizia (occorre la doppia conformità)

19 Giu 2013
19 Giugno 2013

Lo dice nella sentenza n. 3220 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "1.1. Infatti, è pur vero che il principio della cd. “doppia conformità” ex art. 13 1. n. 47 del 1985 può manifestarsi nelle forme, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, definite “sanatoria giurisprudenziale”, e può essere riferibile all'ipotesi di specie, in modo da risultare conforme al principio di proporzionalità e ragionevolezza nel contemperamento dell'interesse pubblico e privato, poiché imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente conforme, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lederebbe lo stesso interesse pubblico tutelato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 maggio 2009, n. 2835; sez. V, 29 maggio 2006, n. 3267).

Infatti, sulla base della succitata considerazione, è stato ammesso che la sanatoria edilizia possa intervenire anche a seguito di conformità sopraggiunta dell'intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell'interessato, posto che questa si profila come del tutto autonoma rispetto all'originaria istanza che aveva condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia edilizia; all’opposto, si è ritenuto irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza.

Tale principio, tuttavia, è stato disatteso da un diverso e più consolidato orientamento, secondo cui la “sanatoria giurisprudenziale”, in quanto introduce un atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa, non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, secondo il principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e pena l’invasione nelle sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione.

Alla luce di tali argomenti, è altresì evidente che l’eccezione di incostituzionalità della norma di cui all'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, così come dedotta dall’appellante, è manifestamente infondata, poiché sarebbe, semmai, l’eventuale istituto della sanatoria giurisprudenziale ad essere sospetto di compatibilità con il nostro sistema costituzionale.

Peraltro, la norma in esame, richiedente per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l'opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell'opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, è una disposizione la cui ratio è legata al contrasto all'inerzia dell'Amministrazione; ciò significa che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda; tale ratio della norma è del tutto comprensibile, quindi, e compatibile con i precetti costituzionali di cui all’art. 97 Cost.

Pertanto, in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, contenente l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, l'Autorità amministrativa, che non è chiamata a compiere scelte discrezionali, deve esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4838; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126).

Peraltro, giova osservare che l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 20012, n. 380 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, norma attualmente vigente sul medesimo tema, e non innovativa rispetto alla norma anteriormente vigente (l’art. 13 1. n. 47 del 1985), e che disciplina l’accertamento di conformità richiesto dalla ricorrente, recita: “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire…il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda” (cfr. Consiglio di Stato, sez. I, parere 24 giugno 2011, n. 4162/09; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306).

Pertanto, è la stessa norma, che come si ribadisce non ha carattere innovativo, trattandosi di norma raccolta nel predetto T.U. ai fini del coordinamento normativo ex art. 7 Legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998 – Bassanini Quater), che attualmente conferma l’insussistenza dell’istituto sopra sunteggiato, denominato “sanatoria giurisprudenziale”.

Conclusivamente, dall’art. 13 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 non è ricavabile alcun diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria.

Nel caso di specie (come si evince dalla relazione depositata dal comune intimato in primo grado) risulta che le opere in assenza di concessione, ovvero la sopraelevazione di porzione di edificio fino a mt. 9.50, sono state realizzate nell’agosto 1999 mentre era vigente l’art. 33.3.4. delle N.T.A del P.R.G. che permetteva un’altezza massima di mt. 8.50; solo al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria il suddetto articolo, nel frattempo modificato, autorizzava un’altezza massima di mt. 10.50, così consentendo tale intervento, non però anche l’eventuale sanatoria, che richiedeva la doppia conformità e che è stata dunque legittimamente negata, mancando la conformità originaria dell’opera.

1.2. Anche la censura d’appello relativa all’illegittimità del diniego di sanatoria per omessa acquisizione del parere della commissione edilizia è infondata, atteso che, come detto, nell'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, l'Autorità amministrativa non è chiamata a compiere scelte discrezionali, bensì deve esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4838; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 772), rendendo pertanto irrilevante e superflua una fase istruttoria specificamente destinata all’esame di questioni che necessitano di valutazioni tecnico-discrezionali, quali caratterizzano l’attività delle commissioni edilizie".

sentenza CDS 3220 del 2013

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