Da cosa si desume la natura precaria di un’opera?

27 Ago 2014
27 Agosto 2014

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, nella sentenza del 05 agosto 2014 n. 4477 conferma che la natura precaria di un’opera edilizia non si desume dai materiali di cui è costituita, ma dall’uso a cui è destinata: “Per quanto specificamente riguarda i possibili criteri d’identificazione della natura precaria di un’opera, l’uno strutturale (precario è ciò che non è stabilmente infisso al suolo), l’altro funzionale (precario è ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea), ancora di recente è stato ribadito che occorre seguire quello funzionale: «la giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un’opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie. Rientrano quindi nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia e che possono essere oggetto di domanda di condono in caso di realizzazione delle stesse in sua assenza, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato. Tanto premesso deve ritenersi che la natura “precaria” di un manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo» (cfr. C.d.S., sez. V, 27.3.2013 n. 1776)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Napoli n. 4477 del 2014

Solo nel raggruppamento verticale la mandataria deve possedere per intero i requisiti

26 Ago 2014
26 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 19 agosto 2014 n. 1172 chiarisce che solo nel raggruppamento verticale la mandataria deve possedere interamente i requisiti previsti nel bando; nel raggruppamento orizzontale, invece, è sufficiente che li possieda in misura maggiore: “che la stazione appaltante ha escluso il raggruppamento concorrente in quanto la mandataria T.H.E.M.A. srl “si qualifica nel RTI verticale per una percentuale corrispondente al 49,53%, non raggiungendo così i requisiti in misura maggioritaria percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti in violazione delle disposizioni di cui all’art. 261, comma 7, né il requisito minimo del 60% previsto per la capogruppo dal disciplinare di gara al punto 5.1.”

che le disposizioni contenute sia nell’art. 261, VII comma del regolamento di attuazione al codice dei contratti, sia nel § 5.1 del disciplinare di gara si riferiscono, in quanto prescrivono specifiche maggioranze percentuali, ai soli raggruppamenti orizzontali (ovvero, se misti, al solo sub-raggruppamento orizzontale): l’art. 37, II comma del DLgs n. 163/2006, infatti, stabilisce che nel caso di raggruppamento di tipo verticale il mandatario deve eseguire “le prestazioni di servizi….indicati come principali anche in termini economici”;

che, in altre parole, nel caso di raggruppamenti verticali la capogruppo deve possedere – e nel caso di specie T.H.E.L.M.A. srl li possiede – i requisiti nella percentuale del 100% di quanto previsto nel bando e con riferimento alla classe e categoria di maggiore importo, da considerarsi principale: mentre la prescrizione che impone il possesso, in capo alla mandataria, dei requisiti in misura maggioritaria si applica soltanto al raggruppamento (o al sub-raggruppamento) orizzontale (cfr. le determinazioni AVCP n.i 5/2010 e 4/2012 e, da ultimo, CdS, VI, 22.7.2014 n. 3900)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1172 del 2014

Quando vi è l’esenzione dal contributo di costruzione per un’opera pubblica?

26 Ago 2014
26 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 10 luglio 2014 n. 998 si sofferma sulla portata dell’art. 17, c. 3, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001, chiarendo come deve essere interpretata questa disposizione che esonera dal pagamento del contributo di costruzione la realizzazione di un’opera pubblica o di interesse pubblico.

Nello specifico si legge che: “Viene in discussione la tematica dell’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione ai sensi dell’art. 17, III comma, lett. c) D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale, il contributo di costruzione non è dovuto “per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.

L’esenzione è dunque prevista in due distinte ipotesi: per le opere pubbliche o d’ interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, e per le opere di urbanizzazione eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici.

In tale ultima ipotesi il privato realizza un'opera qualificabile d’interesse pubblico sulla base delle previsioni dello strumento urbanistico generale o dei piani attuativi. In tal caso, l'utilità per l'amministrazione deriva direttamente dalla realizzazione dell'opera e pertanto l'esenzione è automatica”.

Assodato ciò, il Collegio ritiene che la realizzazione di un nuovo complesso universitario nel Comune di Padova rientri nella suddetta esenzione per una molteplicità di ragioni: “ritiene il Collegio che la ricorrente abbia diritto all’esenzione dalla corresponsione del costo di costruzione, ai sensi dell’ultimo periodo della lettera c) del comma 3, dell’art. 17, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, avendo essa realizzato un’opera di urbanizzazione secondaria in esecuzione di un piano attuativo.

Innanzitutto, sulla base della comune esperienza, non sembra possa dubitarsi del fatto che una struttura universitaria pubblica sia riconducibile ad un “complesso per l’istruzione superiore all’obbligo” di cui al sopra riportato elenco, integrando, dunque, un’opera di urbanizzazione secondaria.

Va peraltro osservato come l’elenco di cui all’art. 16 D.P.R. 380/2001 non sia tassativo e come non vi sia dubbio che l’Università di Padova sia una struttura aperta alla fruizione collettiva e svolga un ruolo di fondamentale importanza per la città dal punto di vista funzionale, sociale, aggregativo, identificativo e del prestigio della città, essendo peraltro diretta a soddisfare un bacino di utenza indifferenziato e decisamente più ampio di quello locale.

Va poi osservato che la struttura in questione, costituita da aule didattiche e laboratori, ha avuto, sin dal rilascio del permesso di costruire del 15 settembre 2009, tale originaria, univoca e non mutabile destinazione, non essendo questa utilizzabile in altro modo se non come struttura destinata a complesso universitario.

Infine, tale “fabbricato ad uso universitario” dopo essere stato oggetto del preliminare di compravendita del 3 giugno 2009, ed essere stato seguito nella progettazione e nella esecuzione da tecnici dell’Università, è stato definitivamente acquisito in proprietà pubblica con l’atto del 5 luglio 2013, intervenuto tra la Aedilmap e l’ Università degli studi di Padova.

Quanto invece all’ulteriore requisito dell’attuazione di un piano attuativo, la realizzazione del “Nuovo complesso universitario – Università di Biomedicina e Biologia di Padova” è stata espressamente prevista dalla variante al piano attuativo approvata dal Consiglio Comunale il 22 aprile 2009, e ciò in conformità al P.R.G. che qualifica tale zona come direzionale, ove ai sensi dell’art. 19, lett c) delle n.t.a. sono ammessi “servizi pubblici e d’interesse pubblico”.

Pertanto, la realizzazione del complesso universitario - opera di urbanizzazione - è avvenuta “in attuazione di strumenti urbanistici”.

Per altro verso, le argomentazioni svolte nelle difese dell'Ente circa gli eventuali guadagni che la società ricorrente possa aver ricavato dall'operazione immobiliare risultano irrilevanti, proprio perché per la tipologia di opere in questione la legge ha operato una precisa scelta, del tutto indifferente all'intento speculativo della società costruttrice, volta ad incentivare gli interventi che, pur rispondenti alle scelte della proprietà, consentano di realizzare quanto previsto dallo strumento urbanistico sotto il profilo delle destinazioni a strutture di urbanizzazione secondaria.

Ciò detto, in una vicenda dove gli aspetti pubblicistici dell’operazione erano molto meno evidenti (esenzione per la realizzazione di una struttura sanitaria privata) il Consiglio di Stato, sez. IV, 12 maggio 2011 n. 2870, ha avuto occasione di precisare che il concretarsi dell'ipotesi di esenzione dal contributo concessorio ex art. 17, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, si riscontra in presenza di opere classificabili come di urbanizzazione, purchè esse siano realizzate, anche da privati, "in attuazione di strumenti urbanistici". Rileva, dunque, ed è sufficiente, non ponendo la norma altre condizioni, che l'opera attui, ossia ponga in essere, quanto previsto dallo strumento, realizzando la configurazione di opere di urbanizzazione in esso contemplata.

La sentenza del Consiglio si Stato che riconduce al novero delle urbanizzazioni secondarie le strutture sanitarie private, precisa anche che "del resto l'ipotesi di esonero considerata nella seconda parte dell'art. 17, co 3, lett c) D.P.R. n. 380 del 2001 è testualmente riferita ad opere di urbanizzazione eseguite anche da privati, coerentemente con l'intento di agevolare la realizzazione di opere di urbanizzazione e di evitare un illogico addebito al privato realizzatore di queste di contributi per opere di urbanizzazione che, in parte, egli stesso contribuisce a creare".

Non rileva, dunque, che il piano attuativo sia d’iniziativa privata, né la mancata espressa qualificazione, da parte del piano attuativo, del complesso universitario quale opera di urbanizzazione secondaria, essendo sufficiente che questo costituisca la traduzione in opera di quanto previsto dallo strumento urbanistico in punto di destinazione di una certa area a strutture qualificabili come di urbanizzazione secondaria (negli stessi termini, oltre al citato Cons St., anche: T.A.R. Veneto, Sez. II, Sent., 21-08-2013, n. 1086; T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, Sent., 28-06-2013, n. 1921).

Nel caso di specie, il piano attuativo ha previsto la realizzazione, in una determinata area, di quella specifica opera che, alla luce di quanto sopra detto, costituisce indubitabilmente un’opera di urbanizzazione”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 998 del 2014

Condono edilizio: dichiarazione dolosamente infedele e onere probatorio

25 Ago 2014
25 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1127 conferma che, in materia di condono edilizio, la dichiarazione dolosamente infedele impedisce la formazione del silenzio-assenso perché: “Le circostanze sopra citate consentono di ritenere come la domanda di sanatoria integrasse la fattispecie della “domanda dolosamente infedele”, di cui all’art. 40 della L. n. 47/1985, disposizione quest’ultima che consente di escludere la formazione del silenzio assenso e, ciò, in applicazione di un costante orientamento giurisprudenziale nella parte in cui ha sancito che “in tema di concessione in sanatoria, la dolosa infedeltà della domanda di condono che, ai sensi degli artt. 35 e 40 della legge n. 47/1985, preclude la formazione del silenzio assenso della P.A. sulla medesima, è configurabile ove siano riscontrate omissioni ed inesattezze rilevanti – nel caso di specie, l’inesattezza attiene al tempo della commissione dell’abuso - preordinate a trarre in inganno il Comune sugli elementi essenziali dell’abuso che, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda Consiglio di Stato Sez. IV, Sent. n. 7491 del 30-11-2009)”.

Per quanto concerne le foto aree prodotte dal Comune, è onere della parte privata dimostrare la loro inconferenza e/o la loro erroneità: “1 Con il primo motivo parte ricorrente rileva la violazione dell’art. 32 comma 25 del D.L. n. 269/2003 in quanto dalla foto area, esibita dal Comune di Padova, non sarebbe possibile evincere con certezza che alla data del 31/03/2003 il manufatto di cui si tratta non risultava esistente.

2. Le argomentazioni della ricorrente non convincono e vanno respinte.

2.1 Pur convenendo che l’esame della documentazione fotografica non risulti risolutivo al fine di accertare l’esistenza o meno dell’abuso in questione, sul punto risulta dirimente rilevare che il Comune, nel corso dell’accesso posto in essere in data 07/04/2004, aveva accertato che la realizzazione del manufatto abusivo, a quella data, era ancora in corso.

2.2 Ne consegue che l’accertamento dello stato dei lavori, così posto in essere, risulta in contrasto con quanto dichiarato dal ricorrente nella dichiarazione sostitutiva presentata in sede di deposito della domanda di sanatoria, nella parte in cui si era affermato come i lavori erano stati ultimati alla data del 31/03/2003.

2.3 Nel corso del procedimento l’Amministrazione, dopo aver constatato l’esistenza di ulteriori dichiarazioni contrastanti con quella della ricorrente, si era determinata nel procedere a disporre successivi approfondimenti e, quindi, ad acquisire le riprese fotogrammetriche realizzate nel periodo maggio – novembre 2003.

2.4 L’esistenza di dette dichiarazioni contrastanti avevano poi determinato lo svolgimento di un procedimento penale conclusosi con un indulto, circostanza quest’ultima confermata dalla stessa ricorrente.

2.5 Va, inoltre, rilevato come non possano essere considerati elementi idonei a contrastare i rilievi del Comune di Padova le dichiarazioni rese nel giudizio da soggetti terzi e ulteriori – sempre in merito alla data di ultimazione dei lavori - e, ciò, considerando come dette dichiarazioni facciano riferimento ad un manufatto diverso rispetto a quello in causa (il numero civico è differente) e, comunque, non costituiscano dichiarazioni idonee a smentire l’accertamento posto in essere dall’Amministrazione nella parte in cui ha rilevato come i lavori fossero ancora in corso alla data del 07/04/2004.

2.5 Ciò premesso risulta evidente che in presenza del quadro di incertezza sopra rilevato costituisse onere del ricorrente dimostrare l’esistenza di un presupposto, quello dell’esistenza dell’opera al 31/03/2003, indispensabile ai fini dell’ottenimento del provvedimento di sanatoria ( in questo senso si veda T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 14-02-2014, n. 133).

2.6 Malgrado ciò il ricorrente non ha fornito, sia nel corso del procedimento quanto a tutto l’esplicarsi del presente giudizio, elementi utili per dimostrare come l’ultimazione dei lavori sia sicuramente avvenuta ad una data antecedente a quella accertata dall’Amministrazione comunale.

2.7 Al contrario ci si è limitati a contestare l’idoneità della documentazione fotografica e, nel contempo, a ritenere infondati gli ulteriori riscontri posti in essere.

3. Ne consegue che in mancanza di elementi certi a sostegno delle tesi della parte istante il Comune di Padova non poteva che ritenere mancante un presupposto indispensabile per integrare la fattispecie di cui all’art. 32 comma 25 del D.Lgs. 269/2003 e, quindi, per accogliere l’istanza di sanatoria presentata.

La censura è, pertanto, infondata e va respinta”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1127 del 2014

Si deve impugnare anche l’esclusione dalla prove orale

25 Ago 2014
25 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1138 dichiara che, in materia di concorsi pubblici, vi è l’onere di impugnare, a pena di decadenza, anche l’esclusione dalla prove orali essendo già questa esclusione  lesiva delle pretese dell’interessato: “Invero, come da costante orientamento, “nel caso di mancato superamento delle prove scritte e conseguente non ammissione alle prove orali si verifica, nei confronti del candidato, un arresto del procedimento concorsuale e la sua definitiva esclusione, la lesione è immediata e lo svolgimento ulteriore del concorso rimane indifferente per il candidato stesso che non si opponga alla determinazione negativa con l'impugnazione in sede giurisdizionale nei termini di decadenza. La soluzione così prescelta consente di evitare, secondo un principio generale di economia delle attività degli Enti Pubblici, che procedure complesse e laboriose siano condotte a termine con l'incertezza derivante dalla eventuale proposizione di impugnazioni tardive e potenzialmente idonee a porre nel nulla le attività svolte.” (C.d.S. , VI, 4623/2007).

Nel caso di specie, ai fini dell’individuazione del termine per la proposizione del ricorso a seguito dell’avvenuta conoscenza del mancato superamento della prova scritta con un punteggio pari a quello minimo richiesto dal bando, non può farsi riferimento all’accesso successivamente effettuato dall’interessato in data 26.5.2014, atteso che di per sé la mancata partecipazione alle prove orali (tenutesi, per espressa disposizione del bando, nelle giornate del 14 e 15 aprile 2014) doveva già rendere edotto il concorrente del mancato superamento della prova scritta e della mancata ammissione alle prove orali;

ne consegue che, quanto meno a partire dalla data del 15 aprile (secondo giorno delle prove orali, come da bando), il ricorrente doveva considerarsi escluso dall’ulteriore partecipazione alla selezione e quindi era suo onere impugnare l’atto che ha comportato, per lui, l’arresto della procedura e non la graduatoria finale di tutta la procedura”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1138 del 2014

Lo spunto del sabato: siamo tutti coinvolti

23 Ago 2014
23 Agosto 2014

Da Don Andrea Gallo “Sopra ogni cosa. Il Vangelo laico secondo Fabrizio De Andrè nel testamento di un profeta”:

Tutti siamo coinvolti. E tutti possiamo fare qualcosa, pur nel nostro piccolo, per cambiare questo nostro sistema che il più delle volte ci fa schifo. Come? Riconquistando i territori, le città, le campagne, la solidarietà, gli affetti, il dialogo, i linguaggi, curando la qualità delle relazioni tra le persone. Non possiamo solo e sempre parlare di Pil, disoccupazione e Imu. Bisogna che ci diamo dentro con tutto il nostro sentimento sempre non violento.

La democrazia non sta in piedi senza veri partiti e leader affidabili. Non sta in piedi nemmeno se manca una società civile attenta, sveglia e consapevole. A chi spetta il compito di cambiare corsia con una marcia in più? Spetta alle cittadine e ai cittadini responsabili di una città che deve sempre augescens, perennemente in crescita, a piccoli passi, nonostante la campagna inesorabile dei “tagli”. Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi ogni giorno è un genocidio economico, culturale, barbarico. A noi spetta il compito di contrastare il vergognoso declino e, con forza, ristabilire la dignità della politica.

In questo momento occorre recuperare immensamente credibilità, competenza, serietà e soprattutto trasparenza. C’è tanta gente della politica che è “fuori rotta”. Chiediamoci: “non sarà la società interna che sbaglia paurosamente?”. Ci sono episodi di corruzione che vanno colpiti e sanati per restituire al più presto la normalità dell’intero sistema. C’è una politica economica di stampo neoliberista che se ne frega se la gente non arriva alla fine del mese. C’è un sistema fiscale che fa acqua da tutte le parti e che premia solo i furbi, chi ruba di natura, addebitando la sua gestione fallimentare ai poveri “cristi” che magari hanno sbagliato un calcolo dal commercialista. C’è un welfare state annichilito e spaventato da tagli ingiusti ed antieconomici. C’è una legge elettorale, che, giustamente, è stata definita da parte degli stessi estensori, una “porcata”.

C’è tanto che non va in questa Italia di oggi dove abbiamo messo da parte anche i sentimenti che avevano fondato la nostra storia migliore: la tolleranza, la solidarietà, la sobrietà. Però, guai dai facili piagnistei, dalle autoassoluzioni. Con il mio amico Faber, mi verrebbe da dire: “Avete votato ancora / la sicurezza, la disciplina, / convinti di allontanare / la paura di cambiare / verremo ancora alle vostre porte / e grideremo ancora più forte / per quanto voi vi crediate assolti / siete per sempre coinvolti”. Però non credo alla separazione tra società civile buona, contrapposta ad una società politica marcia. Siamo, da molti anni, tutti responsabili ed inadempienti.

In questo senso la seconda Repubblica non è mai nata”.

Dario Meneguzzo

La distanza tra pareti finestrate si applica anche se i due edifici costituiscono un’unica costruzione

22 Ago 2014
22 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1137 chiarisce che l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 si applica anche se i due corpi edilizi aventi pareti finestrate costituiscono un’unica proprietà: “Assume, invero, preliminare e dirimente rilevanza il profilo, evidenziato nel provvedimento impugnato, interessante la mancata osservanza delle distanze dettate, in termini inderogabili, dalla normativa statale (D.M. 1444/68, artt. 8 e 9) onde assicurare il rispetto delle distanze tra pareti finestrate, nella specie in rapporto all’altezza di edifici frontistanti.

A tale proposito, va sottolineato, come comprovato dall’amministrazione, che trattasi di due edifici che sono stati realizzati, sebbene dall’allora unica proprietà, sulla base di due diversi titoli rilasciati in epoche diverse (per quanto riguarda l’edificio ora di proprietà della ricorrente, il titolo risale al 1968, per quello frontistante al 1969).

In ogni caso, anche a voler prescindere da tale dato di fatto, si osserva che il rispetto delle distanze imposte dal D.M. 1444/68, art. 9, è norma che trova comunque applicazione, senza che assuma alcuna rilevanza l’eventuale unica proprietà dei due edifici (“..è assorbente la contestazione…che l’art. 9 del D.M. 1444/68, laddove impone l’anzidetta distanza di 10 metri tra pareti finestrate, prevale anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme e va pertanto applicata anche a corpi distinti di un’unica costruzione, ivi dunque compresa l’ipotesi di sopraelevazione (cfr. sul punto, Cass. Civ., Sez. II, 27.3.2001, n. 4413)”, così, C.d.S, IV, 2483/2013).

Né, infine, è consentito, neppure in occasione dell’applicazione della normativa sul “Piano Casa”, derogare a tali parametri, essendo questi imposti al fine di assicurare le condizioni di salubrità ed evitare la creazione di dannose intercapedini”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1137 del 2014

I presupposti del diritto di accesso

22 Ago 2014
22 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1042 enuclea i presupposti del c.d. diritto di accesso ai documenti amministrativi ex artt. 22 e ss della L. n. 241/1990: “la tutela del diritto di accesso, come previsto dall'art. 22, comma 2, della L. n. 241 del 1990 (come modificata dalla L. n. 69 del 2009), è preordinata al perseguimento di rilevanti finalità di pubblico interesse al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'attività amministrativa (ex multis Cons. St., sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2093).

La giurisprudenza amministrativa (ex multis Cons.St., sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 555) ha ritenuto che la domanda di accesso: a) deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile, e non può essere generica; b) deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta (Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3271; sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4216); c) deve essere finalizzata alla tutela di uno specifico interesse giuridico di cui il richiedente è portatore; d) non può essere uno strumento di controllo generalizzato dell'operato della P.A. (ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 12 gennaio 2011, n. 116; id., sez. IV, n. 2283/2002; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 02 febbraio 2011, n. 187); e) non può assumere il carattere di una indagine o un controllo ispettivo, cui sono ordinariamente preposti organi pubblici (Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2283; T.a.r. Lazio, sez. II, 22 luglio 1998, n. 1201)”.

Chiarito ciò, il Collegio si sofferma anche sul c.d. diritto di accesso defensionale, previsto dall’art. 24, c. 7 della L. n. 241/1990, il quale prevale anche sugli altri contrapposti interessi: “è stato affermato che l'accesso c.d. defensionale, cioè propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni in giudizio (già pendente o da introdurre), ovvero nell'ambito di un procedimento amministrativo, riceve protezione preminente dall'ordinamento atteso che, per espressa previsione normativa (art. 24, u.c., L. n. 241 del 1990), prevale su eventuali interessi contrapposti (in particolare sull'interesse alla riservatezza dei terzi, financo quando sono in gioco dati personali sensibili e, in alcuni casi, anche dati ultrasensibili (Cfr. C.S., Sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 783).

Ebbene, nella fattispecie, la ricorrente ha dimostrato di essere titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti ai quali è chiesto l' accesso, stante la necessità di conoscere tali atti alla cui stregua poter dimostrare la regolarità edilizia dei propri immobili e poter compiutamente esercitare il proprio diritto di difesa nei confronti del Comune e/o di terze società che ciò hanno posto in contestazione”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1042 del 2014

 

Espropriazione: rapporto tra interessi pubblici e privati

21 Ago 2014
21 Agosto 2014

Il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 07 agosto 2014 n. 3439 si sofferma su alcune questioni in materia di esproprio concernenti il rapporto tra gli interessi pubblici e privati coinvolti nella procedura de qua.

Innanzitutto conferma che la possibile lesione degli interessi dei privati deriva soltanto dall’approvazione del progetto definitivo e non dall’approvazione di quello preliminare: “Osserva la Sezione che la giurisprudenza, con orientamento consolidato, ha chiarito che la comunicazione dell'avvio del procedimento prevista dall'art. 7 L. 7 agosto 1990, n. 241, non è necessaria nel caso di approvazione del progetto soltanto preliminare di un'opera pubblica: tale comunicazione occorre solo nel caso in cui debba approvarsi il progetto definitivo dell’opera, al quale è riconnessa per implicito anche la dichiarazione di pubblica utilità, come previsto dall'art. 14, comma 13, L. 11 febbraio 1994 n. 109 (C.d.S., V, 3 maggio 2012, n. 2535; IV, 11 aprile 2007, n. 1668; 29 maggio 2009, n. 3364; 14 dicembre 2002, n. 6917; 26 settembre 2001, n. 5070). In via di principio, quindi, non sussiste alcun obbligo dell'Amministrazione di comunicare l'avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990 relativamente all'approvazione di un progetto preliminare (IV, 3 agosto 2010, n. 5155), il quale non è nemmeno un atto di per sé autonomamente impugnabile, in quanto solo endoprocedimentale, diversamente da quelli che approvano il progetto definitivo e quello esecutivo, che sono invece impugnabili in quanto suscettibili di ledere la posizione giuridica soggettiva individuale (IV, 22 giugno 2006, n. 3949)” ed ancora: “la giurisprudenza ha precisato che, poiché la volontà di realizzare un'opera pubblica deve esplicitarsi attraverso provvedimenti tipici, come chiarito dall'art. 12, d.P.R. n. 327 del 2001 in continuità con quanto in precedenza previsto dall'art. 14, comma 13, legge n. 109 del 1994, all'approvazione del progetto preliminare non può essere connesso il significato di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera: C.d.S., VI, 24 novembre 2011, n. 6207”.

Successivamente i Giudici confermano che la dichiarazione dell’occupazione d’urgenza non necessita della comunicazione di avvio del procedimento: “La doglianza risulta infondata in considerazione del principio, più volte enunciato dalla giurisprudenza, per la quale non è necessaria la comunicazione dell'avvio del procedimento per l'emanazione del decreto di occupazione d’urgenza, dal momento che questo è atto di mera attuazione del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori: di conseguenza, le garanzie procedimentali relative alla partecipazione sono proprie solo di quest'ultimo (C.d.S., Ad.Pl., 15 settembre 1999, n. 14; IV, 8 giugno 2007, n. 2999; 5 febbraio 2009, n. 676; V, 26 settembre 2013, n. 4766; VI, 2 marzo 2011, n. 1312).

Peraltro, comunque la previa comunicazione dell'avvio del procedimento non è richiesta, dall'art. 7, comma 1, della legge n. 241/1990, ove “sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento” (C.d.S., IV, 15 luglio 2013, n. 3861), come avviene in re ipsa nel caso della occupazione d’urgenza”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3439 del 2014

Le c.d. clausole escludenti vanno impugnate immediatamente

21 Ago 2014
21 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 17 luglio 2014 n. 1039 si sofferma sulle c.d. clausole escludenti dei bandi di gara/concorso, chiarendo che le stesse devono venire impugnate nel termine di trenta/sessanta giorni decorrenti dal momento della pubblicazione del bando/concorso e non dall’adozione del provvedimento di esclusione: “il prevalente indirizzo giurisprudenziale, recepito dalla decisione del Cons. Stato, Ad. Plen., 29/1/2003, n. 1, ritenga immediatamente impugnabile il bando di gara o di concorso allorché contenga clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione, come quelle che prescrivono requisiti soggettivi di partecipazione, ex se lesive.

Ebbene, nel caso in esame, la disposizione del bando sul limite di età, in sé assolutamente chiara ed univoca nel suo contenuto precettivo e tale da non richiedere alcun apporto interpretativo, costituisce indubbiamente un requisito soggettivo di partecipazione alla gara, per cui, avendo immediata attitudine lesiva, andava subito fatta oggetto di gravame.

Ciò premesso, poiché il bando è stato pubblicato nell’albo pretorio on line del Comune dal 31 gennaio 2014 al 13 marzo 2014, e l’odierno ricorso è stato notificato all’amministrazione solo in data 4 giugno 2014, l’odierna impugnazione del bando deve essere giudicata irricevibile per tardività.

Ne consegue l’inammissibilità dell’impugnazione del provvedimento di esclusione applicativo della suddetta prescrizione”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1039 del 2014

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