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Esiste il diritto di accesso ai pareri legali e ai materiali già pubblicati sul sito internet istituzionale del Comune?

12 Dic 2013
12 Dicembre 2013

La questione viene esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 1330 del 2013, che ha escluso nel caso esaminato la sussistenza del diritto di accesso.

Si legge nella sentenza: "Al fine di conoscere la propria posizione giuridica in ordine ad una convenzione urbanistica che la vedeva interessata specie per quanto riguarda l’attuazione delle opere di urbanizzazione e/o il pagamento dei relativi oneri, la società ricorrente, in data 23 maggio 2013, formulava al Comune ... richiesta di accesso ex art. 22 e ss. della L. n. 241/1990, avente ad oggetto: l. parere pro veritate reso dall'avv. ... e dall'avv. ... in merito alla convenzione relativa alla variante per l'attuazione delle opere di urbanizzazione del piano attuativo ..."; 2. tabelle parametriche regionali vigenti al momento del rilascio del titolo abilitativo (n. ...) e relativa delibera di approvazione del Consiglio comunale; 3. tabelle parametriche regionali oggi vigenti e relativa delibera di approvazione del Consiglio Comunale; 4. copia di ogni altro provvedimento, parere, documento, determinazione e/o comunicazione, comunque denominato, inerente il conteggio relativo agli oneri di urbanizzazione di cui all'oggetto. Con il presente ricorso la società ..., non avendo l’amministrazione provveduto nel termine di legge, chiede la condanna di quest’ultima a provvedere sulla predetta istanza di accesso. ... Si può prescindere dall’esame delle eccezioni pregiudiziali sollevate dall’amministrazione essendo il ricorso infondato nel merito. Ed infatti, per quanto riguarda le tabelle parametriche, si tratta di documenti consultabili facilmente sul sito internet istituzionale del Comune come rilevato e dimostrato dalla difesa di quest’ultimo, ovvero (quelle vigenti al momento del rilascio del titolo autorizzatorio del 1993) presumibilmente già in possesso della società lottizzante dante causa della ricorrente; in ogni caso, tali tabelle sono state tutte depositate in giudizio dalla difesa comunale. Per quanto riguarda invece l'accesso al parere legale, è evidente che, nella fattispecie in esame, il ricorso da parte del Comune alla consulenza legale esterna, non si va ad inserire nell'ambito di un'apposita istruttoria procedimentale (nel senso che il parere è richiesto al professionista con l'espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione dell'atto finale), ipotesi nella quale il parere sarebbe soggetto all’accesso perché oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo; risultando, invece, che la consulenza è stata richiesta dall’amministrazione dopo l'inizio di una fase precontenziosa, al fine di definire la propria strategia difensiva. Infatti è dimostrato che al momento dell’incarico al professionista vi erano tutti i presupposti per lo sviluppo di una potenziale lite giudiziaria tra le due odierne parti, posto che i lottizzanti contestavano la debenza degli oneri di urbanizzazione, mentre il Comune chiedeva il rispetto della convenzione, ed inoltre il legale dei primi già aveva prospettato  all’amministrazione la possibilità di addivenire ad una definizione bonaria della controversia anche mediante la sottoscrizione di una nuova convenzione. E tale è rimasta la situazione attuale, essendo le parti ancora alla ricerca di un accordo transattivo. Pertanto, è evidente che nel caso di specie il parere legale in questione non è affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all'Ente pubblico tutti gli elementi tecnicogiuridici utili per tutelare i propri interessi: in questo caso, per pacifica giurisprudenza, le consulenze legali restano caratterizzate dalla riservatezza, che mira a tutelare non solo l'opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione dell'amministrazione, la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento (Cons. Stato: n. 7237/2010, n. 6200/2003). Pertanto, il parere legale in questione non può essere soggetto all’accesso".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1330 del 2013

Il Comune deve sempre prevedere parcheggi liberi vicino a parcheggi regolamentati?

12 Dic 2013
12 Dicembre 2013

La risposta è negativa, come spiegato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 5768 del 2013, che riforma la sentenza del TAR Lazio n.  5218 del 2008

Si legge nella sentenza: "In primo luogo, non può condividersi il presupposto giuridico e fattuale posto a principale fondamento della decisione, in quanto, nel caso, non vi è stata alcuna violazione, da parte del Comune, delD.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 e s.m.i. (“Codice della strada”), secondo il quale, all’art. 7, ottavo comma, “Qualora il comune assuma l'esercizio diretto del parcheggio con custodia o lo dia in concessione ovvero disponga l'installazione dei dispositivi di controllo di durata della sosta di cui al comma 1, lettera f), su parte della stessa area o su altra parte nelle immediate vicinanze, deve riservare un’adeguata area destinata a parcheggio rispettivamente senza custodia o senza dispositivi di controllo di durata della sosta.”

Il predetto art. 7 del “Codice della strada”, nel disciplinare in generale la regolamentazione della circolazione nei centri abitati, prevede, infatti, una specifica e significativa eccezione, prescrivendo che: “Tale obbligo non sussiste per le zone definite a norma dell'art. 3 "area pedonale" e "zona a traffico limitato", nonché per quelle definite "A" dall'art. 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, e in altre zone di particolare rilevanza urbanistica, opportunamente individuate e delimitate dalla Giunta nelle quali sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico” .

Per questo appare inconferente l’autorevole precedente giurisprudenziale ricordato, riferito, però, alla realtà del tutto differente di un Comune medio-piccolo dell’hinterland di Cagliari, le cui problematiche sono differenti da quelle di un quartiere semicentrale di una città metropolitana.

Il Comune di Roma aveva, dunque, legittimamente applicato un’espressa disposizione, derogatoria dell’obbligo del primo periodo; e, tra l’altro, l’aveva specificamente richiamata in tutti i provvedimenti impugnati, i quali davano puntualmente atto “..che tale individuazione consente, ai sensi del citato art. 7 comma 8, il venir meno dell’obbligo di riservare su parte delle aree soggette a tariffazione della sosta o su area limitrofa, parcheggi senza custodia o dispositivi di controllo di durata della sosta”.

La realizzazione di parcheggi a pagamento nel quartiere Ostiense non era quindi in alcun modo sottoposta alla condizione che venissero realizzati contemporaneamente parcheggi gratuiti nelle immediate vicinanze".

sentenza CDS 5768 del 2013

Le distanze del D.M. 1444 del 1968 vanno misurate in modo lineare e perpendicolare alle pareti da considerare

11 Dic 2013
11 Dicembre 2013

Lo specifica la sentenza del TAR Veneto n. 1332 del 2013.

Scrive il TAR: "Premesso che la previsione dettata dall’art. 53 del Regolamento edilizio non si presta all’interpretazione paventata da parte ricorrente, avendo lo stesso previsto, con disposizione che non ha motivo di non intendersi estesa anche all’ipotesi di cui alla seconda parte, il rispetto dei limiti di distanza dettati dal D.M. 1444/68 e dal Codice Civile, non è rinvenibile nella specie la violazione di detti limiti, in particolare di quelli di cui all’art.9 del D.M. e quindi, così come prospettato in ricorso, la creazione di insalubri e pericolose intercapedini. Invero, come correttamente osservato dalla difesa resistente, la nuova costruzione non si pone in posizione frontistante quella dei ricorrenti, essendo prevista la sua realizzazione in parallelo ed in laterale, sopravanzando in avanti rispetto all’edificio dei ricorrenti, senza quindi porsi, così come presupposto dalla normativa invocata, in posizione frontale rispetto all’altra. Poiché, come confermato dalla giurisprudenza sul punto, l’applicazione delle disposizioni in materia di distanze fra pareti finestrate implica una misurazione delle distanze in modo lineare e perpendicolare alle pareti da considerare, ne consegue che, non essendo questa la situazione di fatto, dette prescrizioni non risultano applicabili nella fattispecie".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1332 del 2013

Chi deve dimostrare la mancata conservazione dei plichi contenenti le offerte?

11 Dic 2013
11 Dicembre 2013

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, nella sentenza del 04 dicembre 2013 n. 5549, afferma che, laddove la ditta partecipante ad una gara pubblica lamenti la mancanza di correttezza nella custodia dei plichi contenenti le offerte, è onere della stessa provare e dimostrare adeguatamente ciò: “Sul punto vale osservare, in punto di diritto, che il dovere di custodire i plichi delle offerte (con contestuale indicazione delle relative modalità nei verbali di gara) discende dai principi comunitari e di diritto interno in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti, in quanto tale operazione costituisce un passaggio essenziale e determinante dell’esito della procedura concorsuale, e quindi richiede di essere presidiata da rigorose garanzie, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento.

La verifica della integrità dei plichi non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non hanno subito manomissioni o alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post, una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato.

Ciò posto va condiviso l'orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. III, 25 novembre 2011 n.6266; III, 13 maggio 2011 n.2908; V, 7 luglio 2011 n.4055; V, 5 ottobre 2011 n.5456) secondo il quale, ove si lamenti la mancata, idonea custodia delle buste contenenti la documentazione di gara e delle offerte, spetta al deducente suffragare l'assunto con elementi circostanziati o quantomeno sintomatici, tali da far ritenere verosimile o altamente probabile che la condotta dell'amministrazione possa avere dato adito a manomissioni e che in mancanza di deduzioni specifiche ogni censura avanzata in proposito è affetta da assoluta genericità.

Per queste ragioni, la completa mancanza di alcuna indicazione in ordine alle modalità di conservazione delle offerte, unitamente alla presenza di uno specifico ed assai sintomatico elemento di singolarità dello svolgimento della procedura (assenza delle dichiarazioni ex art. 38 codice dei contratti dell’ausiliaria della Coedi, con conseguente esclusione, e rinvenimento di tali dichiarazioni solo in una seduta successiva, con conseguente riammissione in gara), rende l’intera procedura illegittima per contrasto con gli evocati principi di pubblicità e trasparenza, e quindi, con essa, i successivi atti di gara, ivi compresa l’aggiudicazione.

Il ricorso va conseguentemente accolto in questi sensi, con annullamento, per l’effetto, degli atti impugnati”.

Nella stessa sentenza il Collegio ribadisce l’orientamento condiviso anche da altri T.A.R. nazionali in materia di mancata indicazione degli oneri per la sicurezza: “Il ricorso è infondato in ordine alla prima censura, in adesione all’orientamento espresso dalla Sezione (cfr. da ultimo Tar Napoli, I, ord. 1377 del 2013) da cui non vi sono ragioni per discostarsi, nonostante il variegato panorama degli orientamenti espressi in materia dal Consiglio di Stato.

Ed invero, a giudizio del Collegio, negli appalti di lavori, ancor più che in caso di servizi e fornitura, l’indicazione degli oneri di sicurezza (cd. aziendali) deve essere imprescindibilmente presente all’interno dell’offerta presentata da ciascun candidato, tenuto conto che il piano della sicurezza (PSC - di spettanza della stazione appaltante) deve indicare i costi da interferenza, mentre è onere dell’impresa (mediante redazione del proprio piano – PSS o POS) ai sensi dell’articolo 131 del codice dei contratti pubblici specificare la parte dell’offerta economica destinata a coprire i rischi per la sicurezza (non soggetta a ribasso).

Ne consegue la legittimità dell’esclusione della ricorrente dalla gara (essendo pacifica la circostanza relativa alla mancata indicazione degli oneri per la sicurezza) con conseguente inammissibilità delle censure rivolte avverso il provvedimento di aggiudicazione alla controinteressata”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Napoli n. 5549 del 2013

Certificazione di qualità ed avvalimento

11 Dic 2013
11 Dicembre 2013

Il TAR Veneto, sez. I, nella sentenza dl 02 dicembre 2013 n. 1335, si occupa di A.T.I. ed avvalimento sottolineando che: “Come affermato dal Consiglio di Stato proprio in riferimento alla disposizioni evocate dalla ricorrente a parametro di legittimità della censura (cfr. sentenza n. 9677 del 2010), «la legislazione vigente (art. 37, Codice; art. 95, d.P.R. n 554 del 1999; …) fissa in tema di a.t.i. i requisiti minimi percentuali di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale che deve essere posseduta da ciascun componente dell’a.t.i.; ma tale disciplina non può essere intesa come limite all’avvalimento, perché così interpretata essa sarebbe contraria al diritto comunitario che non pone limitazioni quantitative né qualitative all’avvalimento, e che lo consente espressamente anche nell’ambito dei raggruppamenti di imprese, e in tal caso sia mediante avvalimento interno che mediante avvalimento esterno».

3.4. Pertanto la disciplina nazionale va intesa non solo nel senso che anche nell’ambito di un’a.t.i. è ammesso l’utilizzo dell’avvalimento, ma anche nel senso che persino la quota minima di requisiti che ciascun componente di un’a.t.i. deve possedere può essere dimostrata mediante ricorso all’avvalimento. Nell’ambito di un’a.t.i. non vi sono, quindi, limiti legali di tipo “quantitativo” al ricorso all’avvalimento, potendo lo stesso essere utilizzato anche per le percentuali di capacità minima richiesti dalla legge per ciascun singolo mandante. Né sono ipotizzabili limiti di tipo “soggettivo”, dipendenti cioè dalla natura dei legami intercorrenti tra l’impresa ausiliaria e l’impresa ausiliata o altra impresa facente parte del medesimo raggruppamento con l’impresa ausiliata”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1335 del 2013

La Regione Toscana ha unificato i parametri urbanistici ed edilizi per il governo del territorio

10 Dic 2013
10 Dicembre 2013

Pubblichiamo il decreto del Presidente della Giunta Regionale della Toscana 11 novembr e 2013, n. 64/R, recante il "Regolamento di attuazione dell’artico o 144 della legg e regionale 3 gennaio 200 5 , n. 1 (Norme per il governo del territorio) in materia di unificazione dei parametri urbanistici ed edilizi per il governo del territorio" e le3 relazioni accompagnatorie. (Bollettino Ufficiale n. 54, parte prima, del 15.11.2013 )

Regione_Toscana_Regolamento_Giunta_64-2013_parametri

Relazione

Relazione-tecnica

La giunta regionale ha approvato le linee guida per l’omogenea redazione della convenzione e indicazioni per la compilazione della scheda per il monitoraggio, artt. 5 e 6, L.R. 55/2012,

10 Dic 2013
10 Dicembre 2013

Si tratta della Deliberazione della Giunta Regionale n. 2045 del 19 novembre 2013, recante "Approvazione delle linee guida per l'omogenea redazione della convenzione e indicazioni per la compilazione della scheda per il monitoraggio, artt. 5 e 6, L.R. 55/2012, deliberazione/Cr 103/2013".

Si legge nella deliberazione: "Il DPR 160/2010, ha introdotto una nuova disciplina relativa al SUAP, abrogando le previgenti disposizioni previste dal DPR 447/1998.Al fine di semplificare, sia per la pubblica amministrazione che per le imprese, l'applicazione dell'istituto sotto il profilo urbanistico, il Capo I della L.R. 55/2012 disciplina i procedimenti di sportello unico per le attività produttive di cui al DPR 160/2010. L'art. 5, L.R. 55/2012 prevede che la realizzazione degli interventi di edilizia produttiva in deroga o in variante allo strumento urbanistico generale di cui rispettivamente agli artt. 3 e 4 della citata L.R. sia subordinata alla stipula di una convenzione con il comune nella quale siano definiti le modalità ed i criteri di intervento. Il comma 3 del citato articolo prevede che, a tal fine, la Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, adotti le linee guida e i criteri per l'omogenea redazione della suddetta convenzione. L'art. 6, L.R. 55/2012 prevede che i comuni, ai fini conoscitivi, istituiscano ed aggiornino un apposito elenco degli interventi autorizzati, indicando, per ciascun tipo di intervento, il volume o la superficie autorizzati e che tale elenco sia trasmesso alla Giunta regionale, ai fini del monitoraggio sull'attuazione della legge. Con deliberazione/CR 103/2013 è stato chiesto un parere alla Seconda Commissione consiliare in ordine alle indicazioni operative ed ai relativi schemi di modulistica adottate dalla Giunta per assicurare uniformità di comportamenti nella redazione della convenzione di cui all'art. 5, L.R. 55/2012 e , nel contempo, fornire un supporto tecnico-amministrativo ai comuni in ordine ai dati da fornire ai fini del monitoraggio di cui al successivo art. 6. La Seconda Commissione consiliare, nella seduta del 09.10.2013 ha espresso parere favorevole con modifiche. Più precisamente, la Commissione ha ritenuto opportuno descrivere i contenuti della convenzione di cui all'art. 5, L.R. 55/2012 illustrando prima quelli che essa deve avere per gli interventi di cui all'art. 3 (interventi di edilizia produttiva in deroga allo strumento urbanistico generale), poi quelli relativi agli interventi dell'art. 4 (interventi di edilizia produttiva in variante allo strumento urbanistico generale) ed infine descrivendo gli aspetti comuni ad entrambe le fattispecie; ciò senza tuttavia mutare il contenuto sostanziale della proposta effettuata dalla Giunta con deliberazione/CR 103/2013. Il parere della Seconda Commissione consiliare n. 429, è stato trasmesso alla Direzione Urbanistica e Paesaggio in data 21.10.2013; le modifiche in esso contenute e sopra descritte sono state integralmente recepite negli elaborati allegati al presente provvedimento".

DGRV 2045 del 2013

Sul silenzio-assenso in materia di condono edilizio

10 Dic 2013
10 Dicembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1328 del 2013 si occupa del condono edilizio.

Si legge nella sentenza: "Infondato è infatti il primo motivo, in quanto, sebbene nel provvedimento impugnato sia stata richiamata la più recente normativa in materia di condono, legge 724/94, che espressamente ha previsto la declaratoria di improcedibilità della domanda in caso di mancata presentazione dei documenti richiesti a comprova della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per il conseguimento della sanatoria, con conseguente rigetto dell’istanza, i presupposti di incompletezza della documentazione a corredo riscontrati anche con riferimento alla prima domanda, presentata sotto la vigenza della legge 47/85, hanno legittimamente determinato l’amministrazione a ritenere comunque improcedibile o meglio non accoglibile la prima richiesta di sanatoria. Invero, l'art. 39, co. 4°, della legge n. 724/1994, nel disciplinare il procedimento di sanatoria degli abusi edilizi ivi contemplati, ha previsto, peraltro in applicazione di un principio generale di celerità, economicità ed efficienza, che «la mancata presentazione dei documenti previsti per legge entro il termine di tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego della concessione o autorizzazione in sanatoria per carenza di documentazione». E’ altresì vero che le richiamate disposizioni del citato art. 39 della L. n. 724, introdotte dal comma 37, dell'art. 2, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge, cioè dal 1° gennaio 1997. Tuttavia, è stato efficacemente osservato in fattispecie del tutto analoga a quella in esame, che “..la norma, letta in conformità ai principi costituzionali di buon andamento ed ai principi di completezza sostanziale e temporale di cui all’articolo 2 della legge n. 241 del 1990, secondo il quale il procedimento amministrativo deve concludersi con un provvedimento espresso entro un termine certo e predeterminato, non può certamente significare che i procedimenti di condono edilizio regolati dalle legge anteriore, la n. 47/1985, fossero svincolati da ogni regola temporale e che la richiesta di integrazione documentale costituisse un mero invito privo di qualsivoglia effetto acceleratorio e sanzionatorio nei confronti del destinatario colposamente inadempiente” (C.d.S, Sez. IV, 23.7.2009, n. 4671).  E’ stato cosi osservato che “… per costante giurisprudenza il termine di due anni decorrenti dalla presentazione della domanda di condono per la maturazione del silenzio assenso di cui all’articolo 35 della legge n. 47 presuppone la completezza della documentazione da allegare alla domanda (Cons. St., Sez. IV, 7-4-2006, n. 1910)” e che, pertanto, “..una domanda incompleta e che tale rimanga nonostante le diffide al suo completamento lascerebbe inammissibilmente il procedimento di condono sospeso a tempo indeterminato e a insindacabile scelta dell’interessato” (ibidem). Risulta quindi evidente, in quanto espressione di un principio generale di diritto, che nell’ipotesi in cui, in presenza di una domanda di condono edilizio, l’amministrazione formuli una richiesta di integrazione documentale, avendo riscontrato l’insufficienza della  documentazione prodotta ai fini della definizione della richiesta stessa, la mancata, anche solo parziale, produzione documentale determini la chiusura della pratica e costituisca legittimo motivo di diniego della concessione edilizia in sanatoria. Né in alcun modo può essere invocato al riguardo il silenzio assenso, in quanto è la stessa normativa dettata dalla legge 47/85, art. 35, a stabilire che il decorso di 24 mesi dalla presentazione dell’istanza (nel caso di specie al massimo dal conseguimento dell’autorizzazione da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo) può comportare l’accoglimento per silentium della domanda unicamente nel caso in cui l’interessato abbia provveduto al pagamento delle somme debitamente dovute a conguaglio e alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria per l’accatastamento. Orbene, è incontestato che detta ultima  documentazione, inclusa fra quelle necessarie ai fini del condono, non è stata presentata dal ricorrente, non risultando fra gli atti prodotti in giudizio, né essendo stata effettuata alcuna ulteriore produzione. A tale conclusione è lecito pervenire non solo in base al principio generale per cui il prodursi del silenzio-accoglimento, in ipotesi di richiesta di integrazione documentale rimasta inevasa, è escluso in radice nei casi in cui non sussistano i presupposti che dovrebbero invece ricorrere per legittimare l'adozione del provvedimento positivo, atteso che l'eventuale inerzia dell'Amministrazione nel provvedere sulle domande di sanatoria, non può far guadagnare agli interessati un risultato che gli stessi non potrebbero mai conseguire in virtù di provvedimento espresso (T.A.R. Sicilia, PA, III, n. 730/2012), bensì anche sulla scorta del dettato normativo ed in particolare di quanto stabilito dal disposto di cui all’art. 49 della legge n. 449/97, che facendo espresso riferimento alle disposizioni di cui al quarto comma dell’art. 39 della legge 724/94 e quindi alle conseguenze derivanti dalla mancata presentazione dei documenti, ha puntualmente chiarito che dette previsioni si applicano anche alle domande di condono edilizio presentate ai sensi della legge n. 47/85 per le quali non si sia maturato il silenzio assenso a causa di carenza di documentazione obbligatoria per legge. Poiché, come testè osservato, il caso in esame si attaglia perfettamente a tale ipotesi, non essendosi potuto perfezionare il silenzio assenso per mancanza dei documenti obbligatori per legge (in particolare la richiesta accatastamento), ne consegue la legittimità della declaratoria di improcedibilità anche della domanda presentata ai sensi della legge 47/85 e quindi il conseguente diniego di accoglimento".

sentenza TAR Veneto 1328 del 2013

Non si può scomputare dagli oneri quanto versato a titolo di monetizzazione di standard

09 Dic 2013
9 Dicembre 2013

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Brescia n. 1034 del 2013.

Si legge nella sentenza: "2. Infondato è anzitutto il primo motivo di ricorso, col quale la società ricorrente sostiene, in buona sostanza, di aver titolo per scomputare da quanto dovuto a titolo di contributo spese di urbanizzazione quanto versato a titolo di monetizzazione di standard. In sintesi estrema, il ragionamento che sta alla base della relativa domanda di restituzione del corrispondente importo è il seguente: chi realizza opere di urbanizzazione a propria cura e spese non paga in danaro il contributo per spese di urbanizzazione, perché trasferendo le opere al Comune lo paga in natura per il valore corrispondente. La società ricorrente, in luogo di realizzare opere di urbanizzazione, le ha monetizzate, quindi si è impegnata a pagare il valore corrispondente; ha quindi titolo ad uno sconto di pari importo sul contributo spese di urbanizzazione.
3. Tale ordine di idee, apparentemente convincente, peraltro sta e cade con una premessa non esplicitata, ovvero la natura omogenea delle opere di urbanizzazione e delle aree standard. Solo se si trattasse di entità omogenee, infatti, si potrebbe sostenere la possibilità che il valore di entrambe, corrisposto che sia in natura o in danaro, vada a scomputo del contributo del relativo contributo spese di urbanizzazione.
4. Secondo la giurisprudenza, peraltro, la premessa descritta non è corretta. Fra i contributi per spese di urbanizzazione e i contributi dovuti per monetizzazione di aree standard vi è infatti una “diversità ontologica”, nei termini ribaditi da ultimo da C.d.S. sez. IV 8 gennaio 2013 n°32, da cui si cita e che ribadisce un orientamento formatosi, quanto alle sentenze edite, a partire da C.d.S. sez. IV 16 febbraio 2011 n°1013.
5. Infatti, i contributi della prima specie sono dovuti per realizzare dette opere “senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l'area interessata all'imminente trasformazione edilizia”, e quindi, per così dire, a titolo di contributo per i costi generali del Comune; i contributi della seconda specie per contro riguardano “aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all'interno della specifica zona di intervento”, ovvero i costi specifici inerenti all’intervento stesso. In tale ordine di idee, quindi, non vi è giustificazione alcuna a scomputare dai primi l’importo dei secondi, trattandosi di distinti e ugualmente necessari costi che l’amministrazione deve sopportare per la sostenibilità dell’intervento.
6. Né tale ordine di idee, che deriva dalla legge, cioè da fonte di rango superiore, sembra poter essere alterato dal contenuto del punto 10.8 delle NTA di Mantova (cfr. memoria ricorrente 6 novembre 2013 p. 5), che, quand’anche interpretabile nel senso voluto dalla ricorrente riveste al più rango di regolamento subordinato alle fonti primarie".

sentenza TAR Brescia 1034 del 2013

In materiale ambientale non si può motivare dicendo solo che un intervento “per uso di materiali e tipologie non tradizionali” non sarebbe compatibile col vincolo di tutela paesaggistica

09 Dic 2013
9 Dicembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1329 del 2013 contiene l'ennesima bocciatura di un diniego in materia ambientale, secondo il quale non andavano bene gli oscuri in ferro e gli infissi realizzati ad anta unica, anziché ad anta doppia, in quanto risultavano impiegate metodologie e utilizzati materiali non compatibili con il sito tutelato.

Si legge nella sentenza: "Sussistono, invero, i denunciati vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto sia il provvedimento che ha denegato in parte qua - e specificatamente per quanto riguarda il posizionamento di infissi ad anta unica - sulla base del parere sfavorevole della Commissione di Salvaguardia, l’accertamento di compatibilità paesaggistica, sia il provvedimento che denegato, entro gli stessi limiti, la sanatoria edilizia dei medesimi interventi, non risultano supportati da adeguata motivazione circa le ragioni della ritenuta incompatibilità dell’intervento eseguito dal ricorrente sull’immobile di proprietà e del contrasto con i valori dell’ambito soggetto a tutela. La locuzione utilizzata, secondo la quale gli infissi ad anta unica “…per uso di materiali e tipologie non tradizionali” non sarebbero compatibili col vincolo di tutela paesaggistica e determinerebbero un’alterazione non ammissibile del sito tutelato, risulta infatti del tutto generica ed apodittica, non esternando le ragioni del contrasto rilevato e soprattutto i motivi per i quali l’utilizzo della diversa tipologia degli infissi ad anta unica sia di per sé contraria alla tradizione . Ciò a maggior ragione dovendosi tenere conto della realtà dei luoghi, così come peraltro rappresentata dallo stesso istante in occasione della formulazione delle proprie osservazioni, il quale ha documentato come in moltissimi edifici storici di Venezia, non certo di minor pregio di quello di proprietà, sia stato comunque consentito l’utilizzo di finestre ad anta unica. Sebbene sia vero che l’eventuale irregolarità non sanzionate e presenti, quindi illegittimamente, in altri immobili non possa legittimare ulteriori interventi in contrasto col valore tutelato, è tuttavia indubbio che, proprio per la situazione di fatto, risultava necessario esplicitare con maggior cura le ragioni dell’insanabilità degli interventi eseguiti. Nessun riferimento è stato invero espresso nei provvedimenti impugnati a normative che in qualche modo potessero avallare la ritenuta incompatibilità (invero, il riferimento all’art. 5 delle n.t.a VPRG Città Antica riguardava le altre opere eseguite dal ricorrente), per cui il generico riferimento a tipologie di materiali e a tecniche costruttive tradizionali si esaurisce in una affermazione di principio e quindi carente di supporto motivazionale".

sentenza TAR Veneto 1329 del 2013

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