Tag Archive for: Amministrativo

Dal 1/1/2014 nuove soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti

18 Dic 2013
18 Dicembre 2013

Entra in vigore il giorno 1.1.2014 il regolamento della commissione Ue n. 1336 del 2013 in materia di soglie di applicazione per gli appalti pubblici.

Il regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.  

Le soglie comunitarie dell’art. 28, del D.Lgs. 163/2006, a partire dal primo gennaio 2014, saranno così modificate:

1) art. 28, comma 1 lettera b): da 200.000 a 207.000;

2) art. 28, comma 1 lettera c): da 5.000.000 a 5.186.000.

soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti

Anche ombrelloni, tende e un cannicciato, se di rilevanti dimensioni, possono essere considerate nuove costruzioni

17 Dic 2013
17 Dicembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n.  1398 del 2013.

Scrive il TAR: "1. Con i due motivi posti a fondamento del presente gravame, la parte ricorrente eccepisce la violazione dell’art. 10 della L. 47/85 e degli artt. 76 e 94 della L.R. 61/85, in quanto le opere in questione, non avendo alcuna rilevanza edilizia e urbanistica, non necessitavano di alcuna autorizzazione, ed in ogni caso, la mancanza di autorizzazione poteva comportare l’irrogazione di sanzioni solo pecuniarie.
2.1. Tali motivi non appaiono meritevoli di positivo apprezzamento. Infatti, le opere abusivamente realizzate consistono in ombrelloni e tende ed in un cannicciato di 32 mq. . Le stesse opere non sono semplicemente appoggiate al suolo, bensì, come si ricava dal verbale di accertamento contravvenzionale del 15.09.1994, sono “installate” ovvero ancorate al suolo. Tali opere sono state realizzate al dichiarato fine di riparare gli operai dell’officina e i macchinari dal sole e dalle intemperie. Dall’insieme di tali elementi risulta dunque che tali opere, non atomisticamente, ma complessivamente considerate, per la loro notevole consistenza, per le loro peculiari caratteristiche e finalità, quali che siano le modalità costruttive ed i sistemi di ancoraggio al suolo, assumono il carattere di manufatti stabili destinati ad assolvere esigenze permanenti, idonei ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio e ad incidere sul carico urbanistico, restando di conseguenza soggette al regime concessorio proprio delle nuove costruzioni. E d’altra parte, si può sicuramente escludere la mera temporaneità della trasformazione: rammentati gli accadimenti pregressi, visti anche gli ultimi ulteriori incrementi delle coperture abusive realizzate all’interno del medesimo cortile (ma non oggetto del presente giudizio, v. rilievo fotografico del 19.09.2013), si deve anzitutto ritenere che i manufatti contestati vadano ad accrescere permanentemente la superficie coperta dell’officina, creando di fatto nuovi ambienti di lavoro o nuovi depositi, ovvero proprio ciò che era stato interdetto da parte dell’amministrazione con il diniego di sanatoria e l’ordine di demolizione di manufatti aventi analoghe destinazioni (provvedimenti oggetto del precedente giudizio definito con sentenza di questo TAR n. 931/1992, confermata in Consiglio di Stato). Ne consegue la piena legittimità dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi".

sentenza TAR Veneto 1398 del 2013

Il diniego di compatibilità paesaggistica richiede un concreto e analitico accertamento del pregiudizio ambientale arrecato dalle opere

17 Dic 2013
17 Dicembre 2013

Il TAR Veneto continua giustamente a fulminare i provvedimenti negativi della Soprintendenza in materia di beni ambientali.

Ma quante volte ancora il TAR Veneto dovrà annullare prima che qualcuno capisca che non va bene dire di no solo per lo sfizio di dire di no? (mi perdoni Bob Dylan...).

Si legge nella sentenza: "2. In particolare risulta fondato il primo motivo di ricorso, laddove si è lamentato il difetto di motivazione del provvedimento di diniego di compatibilità paesaggistica, non essendo lo stesso fondato su di un concreto e analitico accertamento del pregiudizio ambientale arrecato dalle opere in questione.
3. Trattasi in particolare di: una piscina fuori terra removibile, delle dimensioni di mt. 12,71 x 6,45, altezza di mt. 1,30, appoggiata su di una cordonata in calcestruzzo appositamente creata; una platea in calcestruzzo (di mt. 1,5 x 1,5) in cui sono sistemati la pompa e i servizi della piscina; una casetta in legno ad uso deposito di 4.5 mq. di superficie per 2 mt. di altezza. Tali opere sono state realizzate all’interno di un giardino privato e non risultano visibili dall’esterno, tranne un bordo della piscina (nel periodo estivo in cui la stessa viene montata) che può essere visibile dalla strada pubblica.
4. L’Ente Parco Colli Euganei, al fine di supportare il diniego di sanatoria, avvalendosi del parere della competente Soprintendenza, quanto alla piscina e alle opere connesse si è limitato a rilevare che la struttura (ritenuta di carattere permanente) risulta priva di valore architettonico e di fatto non finalizzabile nè alla valorizzazione del sito nè compatibile con i valori paesaggistici oggetto di tutela, senza altro specificare in ordine alla descrizione del vincolo, alle strutture ed ai materiali, e senza individuare le specifiche caratteristiche dell'opera che si porrebbero concretamente in contrasto con le esigenze di tutela poste dal vincolo.
5. Ebbene, osserva il Collegio come in fattispecie affini alla presente, la giurisprudenza amministrativa, non solo di questo TAR (si veda la n. 738/2012), ha avuto modo di precisare che "nei casi in cui - come quello in esame - la discrezionalità tecnico/amministrativa abbia un ruolo considerevole, un diniego di nulla osta deve essere assistito da una motivazione concreta sulla realtà dei fatti e sulle ragioni ambientali ed estetiche che sconsigliano alla P.A. di non ammettere un determinato intervento: affermare che un determinato intervento compromette gli equilibri ambientali della zona interessata per le incongruenze fra tipologia e materiali scelti e contesto paesaggistico senza nulla aggiungere, non spiega alcunché sul futuro danno alle bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è un mero postulato apodittico" (T.A.R. Liguria, sez. I, 22 dicembre 2008, n. 2187). Ed ancora: "Per quanto concerne la motivazione idonea a sorreggere un provvedimento di diniego del richiesto nulla osta per la costruzione in area soggetta a vincolo paesaggistico, deve chiarirsi che l'Amministrazione non può limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un'opera non sia idonea ad inserirsi nell'ambiente, attraverso l'individuazione degli elementi di contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 10 novembre 2010, n. 23751). Alla luce di tali precisazioni, risulta di tutta evidenza come, anche nel caso di specie, lo stringato rilievo posto a fondamento dell’ impugnato provvedimento di diniego sia del tutto inidoneo a costituire sufficiente supporto motivazionale dello stesso, poiché esso non rende conto in alcun modo né delle caratteristiche del bene tutelato né delle specifiche ragioni per cui le opere sarebbero incompatibili con l'ambiente. Si tratta, perciò, di motivazione solo apparente che, come correttamente rilevato dalla difesa della ricorrente, non consente all'interessato di individuare gli elementi specifici delle opere che siano eventualmente in contrasto con il bene tutelato e, in ipotesi, di apprestare interventi di adeguamento alle esigenze di tutela. Peraltro, nel caso in esame, le specifiche caratteristiche di totale rimovibilità della piscina, che viene solo appoggiata sul terreno nel periodo estivo per essere poi ripiegata e custodita altrove, il fatto che il cordolo in cemento rimanga quasi completamente interrato (come si vede dalle fotografie da ultimo prodotte dalla difesa del ricorrente) e dunque l’assenza di qualsiasi rilevante e permanente incidenza dell’opera sull’ambiente circostante, costituiscono ulteriori elementi tali da richiedere una motivazione particolarmente pregnante ed approfondita a sostegno del diniego di sanatoria. Va poi considerato che con le ultime produzioni del 16 ottobre 2013 il ricorrente ha dimostrato come la piscina venga effettivamente ed agevolmente rimossa al trascorrere dell’estate, così smentendo nei fatti la postulata permanenza dell’opera".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1394 del 2013

La casetta in legno per gli attrezzi è un volume utile non sanabile con la compatibilità paesaggistica?

17 Dic 2013
17 Dicembre 2013

Secondo la Soprintendenza si, secondo il TAR Veneto (sentenza n. 1394 del 2013) no.

Scrive il TAR: "6. Con riferimento, invece, alla casetta in legno per gli attrezzi, la Soprintendenza, nel parere poi richiamato nel provvedimento impugnato del Parco Regionale dei Colli Euganei, ha rilevato come la stessa “di fatto costituisce di per se volume utile”. Sul punto, ritiene il Collegio che tale qualificazione non sia pertinente rispetto alle specifiche caratteristiche del manufatto in questione: trattandosi di una casetta prefabbricata che per le sue ridotte dimensioni (4.5 mq. di superficie per 2 mt. di altezza) non può essere utilizzata se non come deposito attrezzi. Pertanto, non sembra che la stessa possa configurare un volume utile. Peraltro, appare se non altro significativo il fatto che, come evidenziato dalla difesa della ricorrente, il Regolamento Edilizio del Comune di Este consideri tali manufatti (fino a 6 mq di superficie e 2 mt. di altezza) alla stregua di “elementi d’arredo”, privi di rilevanza urbanistica ed edilizia".

sentenza TAR Veneto 1394 del 2013

Questioni sui servizi di architettura ed ingegneria

17 Dic 2013
17 Dicembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 10 dicembre 2013 n. 1389, si occupa dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi che riguardano i servizi di architettura ed ingegneria. In particolare chiarisce che l’art. 261, c. 7, D.P.R. 207/2010 è una norma speciale che deroga quanto sancito dall’art. 37, c. 8, D. Lgs. 163/2006 secondo cui: “Il consorzio stabile si qualifica sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate. Per i lavori la qualificazione è acquisita con riferimento ad una determinata categoria di opere generali o specialistiche per la classifica corrispondente alla somma di quelle possedute dalle imprese consorziate. Per la qualificazione alla classifica di importo illimitato, è in ogni caso necessario che almeno una tra le imprese consorziate già possieda tale qualificazione ovvero che tra le imprese consorziate ve ne siano almeno una con qualificazione per classifica VII e almeno due con classifica V o superiore, ovvero che tra le imprese consorziate ve ne siano almeno tre con qualificazione per classifica VI. Per la qualificazione per prestazioni di progettazione e costruzione, nonché per la fruizione dei meccanismi premiali di cui all'articolo 40, comma 7, è in ogni caso sufficiente che i corrispondenti requisiti siano posseduti da almeno una delle imprese consorziate. Qualora la somma delle classifiche delle imprese consorziate non coincida con una delle classifiche di cui al regolamento, la qualificazione è acquisita nella classifica immediatamente inferiore o in quella immediatamente superiore alla somma delle classifiche possedute dalle imprese consorziate, a seconda che tale somma si collochi rispettivamente al di sotto, ovvero al di sopra o alla pari della metà dell'intervallo tra le due classifiche”.

In particolare si legge che: “che è infondato, invero, il primo motivo con cui Sacaim denuncia la carenza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, con particolare riguardo al fatturato specifico di cui all’art. 263, I comma, lettera b) del DPR n. 207/2010, in capo alla mandante Tecné Engineering srl del Raggruppamento temporaneo di progettisti designato dall’ATI aggiudicataria e la conseguente violazione del principio di corrispondenza tra quote di qualificazione e quote di esecuzione dei servizi di progettazione (35%): l’art. 261, VII comma del DPR n. 207/2010 citato – norma quest’ultima che, espressamente richiamata nel disciplinare di gara oltre che nel modello “allegato 6” predisposto dalla stazione appaltante per rendere la relativa dichiarazione, riguarda specificatamente l’affidamento dei “servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria” e, come tale, è norma speciale che deroga la disposizione di carattere generale contenuta nell’art. 37, XIII comma del DLgs n. 163/2006 (relativo al noto parallelismo, articolato su tre livelli, che, nella formulazione vigente “ratione temporis”, si riferiva anche agli appalti di servizi) - stabilisce, invero, che “in caso di raggruppamenti temporanei di cui all'articolo 90, comma 1, lettera g), del codice, i requisiti finanziari e tecnici di cui all'articolo 263, comma 1, lettere a), b) e d), devono essere posseduti cumulativamente dal raggruppamento. Il bando di gara, la lettera di invito o l'avviso di gara possono prevedere, con opportuna motivazione, ai fini del computo complessivo dei requisiti del raggruppamento, che la mandataria debba possedere una percentuale minima degli stessi requisiti, che, comunque, non può essere stabilita in misura superiore al sessanta per cento; la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dal o dai mandanti, ai quali non possono essere richieste percentuali minime di possesso dei requisiti. La mandataria in ogni caso possiede i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuno dei mandanti. La mandataria, ove sia in possesso di requisiti superiori alla percentuale prevista dal bando di gara, dalla lettera di invito o dall'avviso di gara, partecipa alla gara per una percentuale di requisiti pari al limite massimo stabilito”. Coerentemente con tale disposizione, pertanto, la legge di gara ha preteso unicamente – fermo restando, è ovvio, che i requisiti richiesti fossero posseduti dal Raggruppamento nel suo complesso - che la mandataria li possedesse “in misura percentuale superiore rispetto a ciascuno dei mandanti, ai quali non è richiesto il possesso di alcuna percentuale minima dei medesimi requisiti”. Dunque, il principio di corrispondenza sancito anche per gli appalti di servizi (prima della novella introdotta con il DL n. 95/2012) dall’art. 37, XIII comma del codice dei contratti non si applicava ai servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria, dovendosi fare esclusivo riferimento all’art. 261, VII comma del DPR n. 207/2010 che consente la dimostrazione dei requisiti previsti dal successivo art. 263, I comma, lett. a), b) e d) da parte del raggruppamento di professionisti unitariamente considerato quale portatore di una capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa che la stazione appaltante deve valutari in termini globali”.

Nella stessa sentenza il Collegio si occupa anche dei requisiti ex art. 38 D. Lgs. 163/2006: “4.- che è analogamente infondata l’ulteriore censura con cui la ricorrente evidenzia l’asserita, omessa presentazione - da parte dell’arch. Lugato sia in qualità di socio di maggioranza di Tecné Engineering srl, sia in qualità di legale rappresentante di Tecné srl, società quest’ultima che aveva ceduto alla prima il ramo d’azienda concernente i servizi di ingegneria - della dichiarazione circa la sussistenza dei requisiti soggettivi di partecipazione di cui all’art. 38 DLgs n. 163/2006: ora, in disparte la (pur dirimente) considerazione che non pare che il raggruppamento di progettisti designato dalla concorrente per la realizzazione del progetto esecutivo dell’opera oggetto dell’appalto integrato debba rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38 del codice dei contratti (tale raggruppamento, infatti, non è concorrente in gara, né è solidarmente responsabile nei confronti della stazione appaltante alla stregua dell’impresa ausiliaria), deve osservarsi, quanto al primo profilo, che se è vero che CdS, Ap 6.11.2013 n. 24 ha definitivamente stabilito, ponendo fine alle oscillazioni della giurisprudenza sul punto, che "l’espressione <socio di maggioranza> di cui alle lettere b) e c) dell’art. 38, comma 1, del d.lgs n. 163 del 2006, e alla lettera m-ter) del medesimo comma, si intende riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale…”, è altresì vero che in presenza di oscillazioni della giurisprudenza (in merito alla doverosità di rendere la dichiarazione di cui all’art. 38 nel caso di due soci al 50%) e di clausola del bando che non prevede espressamente l’onere di rendere la dichiarazione relativamente ai due soci al 50%, pena l’esclusione dalla gara, “le stazioni appaltanti sono tenute ad esercitare un potere di soccorso nei confronti dei concorrenti, ammettendoli a fornire la dichiarazione mancante, sicché i concorrenti potranno essere esclusi solo se difetti il requisito sostanziale (nel senso che vi sia la prova che i soci amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali), ovvero se essi non rendano, nel termine indicato dalla stazione appaltante, la dichiarazione mancante” (cfr. CdS, Ap 7.6.2012 n. 21): potere di soccorso che, dunque, deve essere esercitato nell’ambito di tutte le procedure concorsuali relativamente alle dichiarazioni rese (dai due soci al 50%) fino alla pubblicazione della plenaria n. 24/2013, e l’esclusione disposta solo ove risulti che i soggetti tenuti alla dichiarazione abbiano pregiudizi penali ovvero si siano rifiutati di rendere la dichiarazione. Nel caso di specie la legge di gara, pubblicata (il 19.6.2012) in un contesto giurisprudenziale ondivago, non ha previsto la doverosità della dichiarazione ex art. 38, pena l’esclusione, in capo ai due soci detentori del 50% del capitale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1389 del 2013

Inserimento nel PAT di accordi art. 6 L.R. 11/2004 mediante atto unilaterale d’obbligo del privato e rapporti con il successivo P.I.

16 Dic 2013
16 Dicembre 2013

Si segnala la sentenza del TAR Veneto  n. 1393 del 2013 sulla natura e sugli obblighi conseguenti all'inserimento nel PAT di accordi ex art. 6 L.R. 11/2004 mediante atto unilaterale d'obbligo del privato, anche perchè tali orientamenti potrebbero valere anche in tema di PI.

Il TAR Veneto esprime, in sintesi, i seguenti orientamenti:

a) Quando una proposta di accordo presentata dal privato, anche mediante atto unilaterale e/o accoglimento di un'osservazione che lo contenga, venga successivamente espressamente recepita nello strumento urbanistico, questa costituisce accordo ex art. 6 L.R. 11/2004;

 b) l’accordo in questione ha natura di accordo procedimentale, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990, richiamato dal comma 4 della L.R. n. 11/2004, ed in particolare di accordo integrativo di provvedimento, essendo finalizzato alla determinazione delle previsioni discrezionali dell’atto di pianificazione urbanistica, ed inserendosi nella serie procedimentale di adozione e di approvazione di tale atto senza concluderla. Tale tipo di accordo, a differenza degli accordi sostitutivi, esaurisce la sua funzione nel momento in cui viene recepito dallo strumento pianificatorio, nella fattispecie dal P.A.T.. Da tale momento in poi varrà la previsione programmatoria del P.A.T. recettiva e sostitutiva dell’accordo. Ne deriva anche che in caso di difformità tra tale previsione e accordo ex art. 6 L.R. n. 11/2004, il privato, se non condivide la previsione dello strumento urbanistico così come approvata, avrà l’onere d’impugnare il provvedimento difforme.

 c) In secondo luogo, da quanto prima detto ne deriva che al fine di stabilire la disciplina urbanistica da attribuire alla zona in questione valgono esclusivamente le previsioni del P.A.T. (e non quelle dell’atto d’obbligo), le quali, sia pure per taluni aspetti risultano precise e puntuali in quanto (parzialmente) recettive del contenuto dell’atto unilaterale d’obbligo, restano pur sempre previsioni di natura programmatica che lasciano integra la discrezionalità dell’amministrazione in ordine al come e al quando attuarle.

d) L'amministrazione, con l'approvazione del PI, facendo esercizio della propria estesa discrezionalità in materia di scelte urbanistiche, dando compiutamente conto delle ragioni per le quali non ritiene opportuno dar immediatamente seguito può non inserire previsioni del PAT nel primo Piano degli Interventi; in particolare può differire l'inserimento delle previsioni del PAT, qualora non sia ancora maturata, né da parte dell’amministrazione, né da parte del privato, una proposta progettuale attuativa che rispetti le direttive e le prescrizioni del P.A.T., derivanti soprattutto dall’inserimento dell’intera potenzialità edificatoria nell’ambito indicato dal P.A.T..

e) Non appare illegittima né irragionevole la scelta dell’amministrazione di considerare l’approvazione del P.I. e del P.U.A. come sviluppo di un'unica proposta progettuale, anticipando in tal modo l’esame anche di valutazioni di dettaglio al momento di approvazione del P.I.

TAR Veneto_01393-2013 PAT ed accordi art_6

La localizzazione dell’edificio completamente diversa costituisce variazione essenziale e non parziale difformità

16 Dic 2013
16 Dicembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1383 del 2013.

Scrive il TAR: "ritiene il Collegio che per quanto attiene alla qualificazione dell’abuso riscontrato e la conseguente irrogazione della sanzione pecuniaria – sebbene si tratti di profili che esulano dai contenuti del diniego di sanatoria, ma che parte istante nuovamente ripropone in occasione dei motivi  aggiunti in quanto il provvedimento di diniego non ne avrebbe tenuto conto – le doglianze siano infondate e che correttamente l’abuso rilevato per quanto riguarda la realizzazione del fabbricato “G” sia riconducibile ad un’ipotesi di variazione essenziale, come tale sanzionabile con l’ordine di demolizione. Invero, come è dato rilevare dai riscontri effettuati dall’amministrazione e soprattutto dalla visione delle planimetrie, l’edificio realizzato sulla base della concessione n. 783/84 doveva essere localizzato in una posizione più arretrata rispetto a quella rilevata, mentre risulta sopravanzato in direzione nord di ben 60 ml. In tal modo, benché, come riportato testualmente nella concessione edilizia 783/84 (cfr. doc. 6 del Comune), la costruzione avrebbe dovuto interessare unicamente il mappale n. 27, nella realtà il suddetto mappale è stato coinvolto nell’intervento in minima parte, risultando la quasi totalità del fabbricato posizionata sui diversi mappali 300 e 25, entrambi proiettati in direzione nord verso il cimitero (cfr. doc. 5 Comune). Ne consegue che, anche tenendo conto delle diverse e maggiori dimensioni del fabbricato in termini di superficie e volumetria rispetto a quanto autorizzato (in tal senso le stesse misurazioni contenute nella domanda di sanatoria dimostrano tali incrementi), la diversa oggettiva localizzazione del fabbricato su una porzione dell’area di sedime diversa da quella individuata in occasione del rilascio del titolo autorizzatorio, non può, come auspicato da parte ricorrente, essere semplicemente ricondotta ad una difformità parziale, bensì deve essere qualificata come variazione essenziale, così come definita dall’art. 8 lettera c) della legge n.47/85 e dall’art. 92, comma 3 lettera c) della legge regionale 61/85. Va, quindi, condiviso e confermato l’orientamento interpretativo richiamato dalla difesa del Comune, già manifestato da questo Tribunale, per cui la modifica della localizzazione dell’edificio, tale da comportare lo spostamento del fabbricato in un’area – come nel caso in esame – pressoché diversa da quella prevista all’atto del rilascio del titolo edilizio, costituisce una variante essenziale, in quanto profilo che può condizionare la compatibilità dell’intervento con i parametri urbanistici e le connotazioni dell’area : ed il caso in esame è la prova della rilevanza del rispetto di tali parametri, proprio in considerazione della necessità di rispettare il vincolo cimiteriale, di modo che lo spostamento in avanti e verso nord, in direzione del cimitero, avrebbe evidentemente costituito, laddove correttamente rappresentato, una causa di impedimento al conseguimento della concessione edilizia. Invero, nonostante che nella planimetria allegata al permesso di costruire il fabbricato venisse posizionato al di fuori del limite della fascia di rispetto cimiteriale, in realtà questo è stato poi localizzato in un’area che all’epoca della sua realizzazione era pacificamente considerata rientrante nella fascia di inedificabilità per la presenza nelle vicinanze del cimitero".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1383 del 2013

Nei ricorsi in materia di silenzio i termini sono dimezzati

16 Dic 2013
16 Dicembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1416 del 2013.

Scrive il TAR: " Sul punto va, infatti, rilevato che per un costante orientamento (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 19-10-2012, n. 1888) si afferma che “L'art. 87, comma 3, del D.Lgs. n. 104 del 2010 (CPA) prevede che nei giudizi sul silenzio "tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti". Poiché tra i termini espressamente esclusi non figura quello inerente al deposito del ricorso, il termine per l'assolvimento di tale indefettibile adempimento propedeutico all'instaurazione del giudizio deve avvenire entro 15 giorni dalla materiale notifica del ricorso”. Va, altresì, considerato che, come peraltro ha avuto modo di ricordare anche questo Tribunale, seppur in una diversa fattispecie (T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, 04-03-2013 n. 319), che il termine per il deposito in giudizio del ricorso ha carattere perentorio, ne deriva che l'intempestività di esso dà luogo alla non valida instaurazione del rapporto processuale e, pertanto, alla irricevibilità del ricorso medesimo (art. 35, I comma, lett. a, CPA - d.lgs. 104/2010)".

sentenza TAR Veneto 1416 del 2013

Il lasso temporale che impone al Comune l’onere di una motivazione rafforzata è quello tra la conoscenza dell’illecito e il provvedimento sanzionatorio

13 Dic 2013
13 Dicembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1333 del 2013 contiene alcune interessanti precisazioni in materia di abusi edilizi. E' noto che la giurisprudenza afferma che di regola l'ordine di demolizione non richiede una motivazione sul pubblico interesse, a meno che non sia trascorso un notevole lasso di tempo, tale da generare nell'interessato un affidamento circa la possibilità di mantenere l'immobile così com'è. 

Ma in relazione a quali riferimenti temporali si calcola il notevole lasso di tempo?

Si legge nella sentenza: "secondo i principi generali, l’abuso edilizio ha carattere permanente, di modo che sussiste l’obbligo per l’amministrazione di ordinare la rimozione delle opere abusive, a maggior ragione laddove realizzate in aree demaniali e soggette a vincolo, senza alcun particolare obbligo di motivazione circa la sussistenza del pubblico interesse alla loro rimozione; che detto principio risulta recentemente ribadito (cfr. C.d.S., Sez. V, 9.9.2013, n. 4470), ove è stato ritenuto che a fronte della motivazione in re ipsa che incontra l’ordine di demolizione dell’abuso edilizio all’esito dell’accertamento della sua esistenza, il lasso temporale che fa sorgere l’onere di una motivazione rafforzata in capo all’Amministrazione non è quello che intercorre tra il compimento dell’abuso e il provvedimento sanzionatorio, ma quello che intercorre tra la conoscenza dell’illecito e il provvedimento sanzionatorio adottato, con l’avvertenza che in mancanza della conoscenza della violazione non può consolidarsi in capo al privato alcun affidamento giuridicamente apprezzabile, il cui sacrificio meriti di essere adeguatamente apprezzato in sede motivazionale".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1333 del 2013

Il T.A.R. Veneto ribadisce la sua posizione rigorosa in materia di oneri specifici

13 Dic 2013
13 Dicembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 10 dicembre 2013 n. 1388, ribadisce la sua posizione “rigorosa” in materia di oneri specifici, sottolineando espressamente di non condividere la linea “morbida” del Consiglio di Stato: “che, come ha recentemente precisato anche questa sezione (cfr. sent. 8.8.2013 n. 1050: non si sconosce, peraltro, che tale decisione è stata riformata da CdS, V, 9.10.2013 n. 4964 che, tuttavia non si condivide. È ben vero, infatti, che l’art. 87, IV comma del codice degli appalti si riferisce solo ai servizi e alle forniture, ma non così il precedente art. 86, III comma bis el’art. 26, VI comma del DLgs n. 81/2008 che dispongono che “gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente….al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”. La quantificazione rimessa al piano di sicurezza e coordinamento di cui all’art. 100 del DLgs n. 81/2008, predisposto dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 131 del codice non può, invero, che riferirsi agli oneri di sicurezza per le interferenze, e ciò sia perché detti oneri sono necessariamente individuati dall’Amministrazione, sia perché essi soggiaciono – ferma la possibilità di integrazione migliorativa - al divieto di compressione), le imprese partecipanti ad una gara d’appalto di lavori devono necessariamente includere nell’offerta, opportunamente scorporati onde consentire l’esatta valutazione della congruità dell’offerta stessa, anche gli importi relativi agli oneri di sicurezza da rischio specifico (o aziendali), la cui misura può variare in relazione al contenuto dell’offerta economica: di tali oneri l’ordinamento prevede l’indicazione con norme immediatamente precettive (cfr. i citati artt. 86, III comma bis del DLgs n. 163/2006 e 26, VI comma del DLgs n. 81/2008) e tali da eterointegrare, in virtù del loro carattere imperativo (in ragione degli interessi di ordine pubblico che tutelano, in quanto poste a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori), l’eventuale omissione – peraltro inesistente nel caso di specie, atteso che l’art. 6 della lettera di invito precisava che “ai fini dell’attribuzione del punteggio relativo al prezzo offerto si farà riferimento all’importo complessivo delle opere proposto da ciascun concorrente al netto degli oneri per la sicurezza, come risultante dall’offerta” (grassetto e sottolineatura del testo), oneri che evidentemente, in mancanza di ulteriori specificazioni, non possono che riferirsi indistintamente ad entrambe le tipologie - o la diversa regolamentazione contenuta nella legge di gara;

che, dunque, i predetti oneri costituiscono un elemento essenziale dell’offerta, sicchè la loro omessa indicazione è vicenda ricompresa nell’elenco delle cause specifiche di esclusione previste dall’art. 46, I comma bis del Dlgs 163/2006: né l’indicazione effettuata dalla costituenda ATI prima graduata può ritenersi idonea a soddisfare il precetto legislativo, e ciò in quanto l’importo ivi specificato è unico, cumulativo e indifferenziato tra le (due) imprese costituende il raggruppamento, con conseguente impossibilità, per la stazione appaltante, di verificarne la congruità con riferimento ai settori di esecuzione dell’appalto demandati ai singoli componenti (giacchè il predetto importo è correlato non già con le quote di partecipazione all’ATI, ma con l’assetto organizzativo di ciascuna impresa)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1388 del 2013

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