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La differenza tra retrocessione totale e parziale di beni espropriati in un caso di cessione volontaria

02 Dic 2013
2 Dicembre 2013

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5346 del 2013 chiarisce la differenza tra retrocessione totale e parziale e ribadisce che l'istituto si applica anche nel caso di cessione volontaria.

Si legge nella sentenza: "Negli atti di parte, la questione è discussa con riferimento alla configurazione che la sentenza impugnata ha dato della vicenda controversa, cioè quella di una retrocessione c.d. totale. Si tratta di una configurazione che il Collegio non condivide. Non è contestato che il P.E.E.P. di cui si tratta abbia avuto effettiva attuazione (l’appello del Comune richiama ripetutamente, a questo proposito, le affermazioni contenute alla pag. 2 del ricorso introduttivo delle controparti); sarebbero rimaste però inutilizzate le aree delle appellate, che pertanto ne chiedono la retrocessione. Senonché, quando l'espropriazione di uno o più beni rientri nell'ambito di una più vasta dichiarazione di pubblica utilità, come quella relativa a un piano di edilizia economica e popolare, l'effettiva esecuzione dell'opera pubblica o di interesse pubblico deve essere riferita all'intero complesso dei beni da quest'ultima interessati e non a singoli beni eventualmente rimasti inutilizzati allo scadere dell'efficacia di tale dichiarazione. Ne consegue che la mancata realizzazione di una o più delle opere previste dal piano, per le quali sia stato emesso il decreto di esproprio non fa sorgere il diritto alla retrocessione degli immobili a tal fine ablati, ma solo l'interesse legittimo all'accertamento della inservibilità dei beni, cui consegue il diritto alla restituzione (cfr. Cass. civ., sez. I, 29 novembre 2001, n. 15188). Queste notazioni non mutano quando - come nel caso in oggetto - i beni siano stati acquisiti dall’Amministrazione in forza non di un provvedimento espropriativo, ma di una cessione volontaria, venendo in tal caso in questione uno strumento che, sebbene formalmente negoziale, mantiene la connotazione di atto autoritativo, dato che il fine pubblico può essere perseguito anche attraverso la diretta negoziazione del provvedimento finale (appare inequivoco l’art. 45, comma 4, t.u., e la giurisprudenza è costante; da ultimo, v. Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2013, n. 4179, e ivi riferimenti ulteriori). E neppure mutano quando il carattere parziale della realizzazione dell’opera pubblica abbia concretamente escluso in toto le aree di cui i privati chiedano la restituzione. E’ ben vero che l’art. 47 t.u. parla di ”restituzione della parte del bene … che non sia stata utilizzata” (comma 1; e v. anche comma 3). E su questa dizione fa leva la difesa delle appellate, sottolineando l’area di proprietà di queste ultime sarebbe rimasta per intero inutilizzata. “Cosa sia avvenuto per le abitazioni da realizzare in zona P.E.E.P.” aggiunge “è, ai nostri fini, assolutamente irrilevante” (memoria di costituzione del 19 luglio 2006, pag. 10). Tuttavia, un’interpretazione razionale indice a porre il discrimine tra retrocessione totale e retrocessione parziale in termini, per così dire, oggettivi e non soggettivi. La differenza, cioè, non risiede nel presupposto – a ben vedere, casuale – che il bene del singolo privato non sia stato utilizzato in tutto o in parte, bensì piuttosto nella circostanza che l’opera pubblica o di pubblica utilità non sia stata realizzata o cominciata entro il termine di dieci anni (cfr. art. 46, comma 1, t.u.) ovvero realizzata entro tale termine, ma senza completa utilizzazione dei fondi espropriati. D’altronde, lo stesso art. 60 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 ricollegava la retrocessione a ciò, che, dopo l’esecuzione di un’opera di pubblica utilità, qualche fondo a tal fine acquistato non avesse ricevuto “in tutto o in parte” la preveduta destinazione. E nulla indica che l’art. 47 t.u., che degli artt. 60 e 61 della legge del 1865 ha preso il posto, in un nesso di sostanziale continuità, abbia inteso in qualche modo innovare sotto il profilo specifico. Da quanto sopra esposto deriva che: nella fattispecie, si verte in materia di retrocessione c.d. parziale; la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo; i privati sono titolari di un interesse legittimo; tale interesse deve essere fatto valere nel rispetto delle procedure previste dalla legge (artt. 60 e 61 della legge n. 2359 del 1865; in seguito, art. 47 t.u.), che hanno il loro fulcro nella dichiarazione - da parte del Prefetto prima e della Regione oggi - della inservibilità dei beni rispetto all’opera pubblica da compiere. Nulla di ciò è avvenuto nella presente controversia. Al contrario, il Comune ha depositato documenti (il nuovo P.R.G.) che - con riguardo a due delle tre particelle interessate (744 e 745; nulla si dice della 743) - attestano il permanere dell’interesse pubblico alla destinazione delle aree a parcheggio e viabilità. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello del Comune è fondato e va pertanto accolto, con annullamento della sentenza impugnata e conferma del provvedimento oggetto del ricorso di primo grado".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 5346 del 2013

Ecco il Terzo Piano Casa

29 Nov 2013
29 Novembre 2013

Approvato il Terzo Piano Casa della Regione Veneto.

Pubblichiamo il testo approvato nelle sedute del Consiglio Regionale di giovedì 28 e venerdì 29 novembre 2013.

TERZO PIANO CASA

La Corte dei Conti del Veneto interpreta in senso ampio gli incentivi alla pianificazione

29 Nov 2013
29 Novembre 2013

In materia di incentivi alla pianificazione urbanistica, con un parere depositato in data 22 novembre 2013, la Corte dei Contio del Veneto conferma la propria linea interpretativa (in dissenso dalle altre sezioni regionali della Corte dei Conti) di ammissibilità generale, anche al di fuori della stretta correlazione con opere pubbliche.

parere Corte Conti Veneto

Seminario sul terzo piano casa del Veneto: Spinea 13 dicembre 2013

28 Nov 2013
28 Novembre 2013

Il Comune di Spinea organizza un seminario sul terzo piano casa del Veneto in corso di approvazione da parte del Consiglio regionale del Veneto.

Il seminario si svolgerà a Spinea il 13 dicembre 2013 dalle ore 9 alle ore 14 e prevede il seguente programma:

- Relazione dell'arch.  Bruno Berto Dirigente della Regione Veneto;

- Relazione dell'avv. Stefano Bigolaro;

- Conclusioni dell'arch. Fiorenza Dal Zotto

Programma e Scheda iscrizione

Il silenzio-accoglimento del condono edilizio si perfeziona anche se mancano i presupposti per l’accoglimento della domanda

28 Nov 2013
28 Novembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1264 del 2013.

Si legge nella sentenza: "4. Ne è possibile condividere quelle argomentazioni dell’Amministrazione comunale nella parte in cui sostiene che il silenzio assenso non si sarebbe formato in conseguenza della carenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento di sanatoria.
4.1 Dall’esame del comma 37 dell’art. 32 della L. 326/2003 non è possibile evincere il principio sopra citato e, ciò, considerando come, al contrario, la stessa norma subordini il silenzio assenso al verificarsi di alcune circostanze (quali il pagamento degli oneri concessori e la presentazione di un’idonea documentazione), il cui mancato venire in essere non è stato contestato dall’Amministrazione comunale.
4.2 Sul punto va richiamato quell’orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda Cons. Stato Sez. V, Sent., 12-03-2012, n. 1364) che ha sancito che il silenzio-accoglimento si perfeziona anche se mancano i presupposti per l'accoglimento della domanda.
4.3 La stessa pronuncia sopra citata ha rilevato che in conseguenza dell’avvenuto formarsi del silenzio assenso l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere all’esercizio dei poteri di autotutela (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 marzo 1997, n. 286), misura quest’ultima “che consente di contemperare il ripristino della legalità con l'esigenza, pure avvertita dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile l'istituto del silenzio accoglimento (così Cons. St. , V, n. 4114/06)”.
4.4 Si consideri, ancora, come ulteriori decisioni (per tutti si veda Cons. Stato Sez. V, 02-05-2013, n. 2395) hanno ribadito che “Nell'ipotesi di opere edilizie abusive realizzate su aree sottoposte a vincolo, il silenzio - assenso dell'amministrazione comunale può formarsi con il decorso del termine di ventiquattro mesi dall'emanazione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo stesso e soltanto se tale parere è favorevole all'istante (Conferma della sentenza del T.a.r. Friuli-Venezia Giulia, 27 novembre 2000, n. 1245)”.
5. Constatando l’avvenuto decorso del termine dei ventiquattro mesi, ne consegue che non può essere nemmeno considerata preclusiva la circostanza in base alla quale le attività di cui all’istanza di sanatoria avrebbero inciso su un’area sottoposta a vincolo e, ciò, in applicazione dell’art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. 269/2003.
5.1 Sul punto risulta dirimente constatare che l’intervento di cui si tratta, non solo sia stato ritenuto espressamente conforme alla disciplina paesaggistica, ma nel contempo, va considerato che l’istanza di sanatoria proposta era diretta a sanare un mutamento di destinazione d’uso in residenziale, del tutto ammissibile ai sensi dell’art. 3 comma 4 della L. reg. Veneto 21/2004. Detta norma ha, infatti, sancito che sono suscettibili di sanatoria edilizia quei mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere, qualora la nuova destinazione d’uso non comporti un ampliamento dell’immobile".

sentenza Tar Veneto 1264 del 2013

Elenco dei corsi d’acqua da escludere, in tutto o in parte, dal vincolo paesaggistico

27 Nov 2013
27 Novembre 2013

Sul Bur n. 101 del 26 novembre 2013 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 1638 del 17 settembre 2013, recante "Elenco dei corsi d'acqua da escludere, in tutto o in parte, dal vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 142, comma 3, D.Lgs. 42/2004; deliberazioni/Cr 13/2013 e Cr 43/2013".

DGRV 1638 del 2013

Sono suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica (vincolo paesaggistico) anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici

27 Nov 2013
27 Novembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1270 del 2013  si occupa anche della sanabilità dal punto di vista paeaggistico di alcune opere consistenti nella realizzazione di una piattaforma elevatrice (ascensore) e di un cappotto termico in zona soggetta al vinclo paesaggistico: il problema consiste nello stabilire se si tratti di opere valutabili in termini di superficie o volume (se lo fossero, sarebbero escluse dall'accertamento della compatibilità paesaggistica)  

Si legge nella sentenza: "la Commissione Edilizia, nel proprio parere, ha chiesto all’odierno ricorrente di “dimostrare che le opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica non hanno determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati, al fine di poter accedere alla possibilità di regolarizzazione delle stesse sotto il profilo paesaggistico. Si rileva infatti che l’elevatore realizzato configurerebbe un incremento di volume ai fini urbanistici che, sebbene assentibile sotto il profilo edilizio-urbanistico ai sensi della L.R. 16/2007, non rientrerebbe nella fattispecie delle opere sanabili ai sensi del D.Lgs. 42/2004 ”. Anche tale richiesta è ingiustificata, essendo fondata su di una interpretazione delle norme in argomento non condivisibile. Infatti, premesso che nella fattispecie oggetto di gravame è pacifico che l’intervento abusivo consiste in un “vano  tecnico”, ciò che la Commissione Edilizia sembra negare è che la realizzazione di un vano tecnico possa rientrare tra i cosiddetti “abusi minori” per i quali è ammissibile la relativa sanatoria ai sensi del combinato disposto degli artt. 146, comma 4 e 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004. Invero, la giurisprudenza prevalente, al quale questo Collegio ritiene di aderire, è di contrario avviso, essendo stato chiarito, che “la stessa ratio che in materia urbanistica induce ad escludere i volumi tecnici dal calcolo della volumetria edificabile vale ugualmente per escludere tali volumi dal divieto di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, con la conseguenza che gli interventi che abbiano dato luogo alla realizzazione di soli volumi tecnici rientrano nell’eccezione di cui all’art. 167, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 42 del 2004 e sono pertanto suscettibili di accertamento della compatibilità paesaggistica” (v. TAR Campania, Napoli, sez. VII 14 gennaio 2011, n. 176; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 15 settembre 2010, n. 435; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 3 novembre 2009, n. 6827). Ed inoltre, si è ritenuto come “..esulino dalla eccezione prevista dall'articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono, trattandosi di opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale che non risulta particolarmente pregiudizievole per il territorio, sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale” (cfr. T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 11 gennaio 2013, n. 35; T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 15 dicembre 2010, n. 27380). Pertanto, nel caso in esame, non sembra si possa dubitare dell’ astratta sanabilità paesaggistica delle opere oggetto di causa ai sensi del D.lgs 42/2004".

Anche un diniego di sanatoria può essere illegittimo per difetto di motivazione

27 Nov 2013
27 Novembre 2013

Anche un esempio di questo è contenuto nella sentenza del TAR Veneto n. 1270 del 2013.

Si legge nella sentenza: "Il ricorso è fondato.
1. In particolare merita accoglimento la censura relativa al difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati. In proposito, deve osservarsi,  innanzitutto, che la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo, come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, è diretta a consentire al destinatario di ricostruire l'iter logico-giuridico in base al quale l'amministrazione è pervenuta all'adozione di tale atto nonché le ragioni ad esso sottese; e ciò allo scopo di verificare la correttezza del potere in concreto esercitato, nel rispetto di un obbligo da valutarsi caso per caso in relazione alla tipologia dell'atto considerato. In particolare, in caso di domanda di titolo abilitativo edilizio, poiché il presupposto per il rilascio dello stesso è la conformità del progetto agli strumenti urbanistici e alla normativa urbanistico edilizia vigenti, il provvedimento di diniego, per essere legittimo, deve contenere una specifica esposizione delle ragioni di contrasto del progetto con le norme che regolano gli insediamenti sul territorio. Ciò premesso, nel caso di specie, il Comune di Lazise avrebbe dovuto dar conto in motivazione delle specifiche e reali ragioni ostative al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria; ragioni che non potevano che essere il frutto di un’attività vincolata, consistente nella verifica della conformità o meno dell’intervento edilizio in questione con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Invece, nella vicenda sottoposta all’esame del Collegio, il Comune di Lazise (Ufficio edilizia privata) ha comunicato al ricorrente che la sua domanda di sanatoria edilizia, presentata ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. 380/2001, non poteva essere accolta, e ciò richiamando unicamente il parere della Commissione Edilizia Integrata, la quale ultima si era espressa nei seguenti termini: “Esaminati gli elaborati allegati alla richiesta di sanatoria ai sensi del DPR 380/2001, si rigetta l’istanza di sanatoria e si esprime parere favorevole al prosieguo dell’iter di legge in materia di abusi edilizi. Si evidenziano inoltre le seguenti carenze documentali, che dovranno essere ottemperate in caso di presentazione  di regolare istanza di sanatoria:…”. E’ evidente che il provvedimento di diniego di sanatoria in esame è viziato per carenza assoluta di motivazione, come denunciato dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, non essendo state affatto indicate le effettive ragioni ostative al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, e ciò in violazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990.
2. In ogni caso, il diniego di sanatoria risulta illegittimo anche nel caso in cui si volesse porre a fondamento motivazionale dello stesso la mancata integrazione della documentazione richiesta dal Comune. Ed infatti, come rilevato dal ricorrente, l’amministrazione comunale era in possesso di tutti gli elementi necessari e sufficienti per poter provvedere sull’istanza.
2.1. In particolare, non risulta, che gli interventi realizzati dal ricorrente (elevatore e cappotto termico) siano in contrasto le norme legislative o con quelle dettate dagli strumenti urbanistici vigenti e, comunque, pena la violazione del divieto di aggravare il procedimento di cui all’art. 1 della L. 241/1990, non può l’amministrazione onerare, genericamente, l’istante di “dimostrare il requisito della doppia conformità delle opere oggetto di regolarizzazione”, senza che la stessa, in seguito all’idonea istruttoria che le compete, abbia previamente segnalato quali possano essere le criticità dell’intervento sotto tale profilo, anche rispetto a quanto asseverato nella relazione illustrativa allegata all’istanza. Peraltro, quanto alla dimostrazione del rispetto delle distanze, pure genericamente pretesa dall’amministrazione, almeno dalle fotografie depositate in atti, non risulta la presenza di edifici vicini che possano essere interessati da una violazione delle norme in tema di distacchi".

L’usufruttuario è legittimato a chiedere il permesso di costruire?

27 Nov 2013
27 Novembre 2013

Dice di si il TAR Veneto nella sentenza n. 1270 del 2013, ma con alcune utili precisazioni.

Scrive il TAR: "quanto ai dubbi manifestati dall’amministrazione sulla legittimazione dell’odierno ricorrente a richiedere il titolo in questione, si osserva che dall’atto notarile del 21 dicembre 1991, pure consegnato all’amministrazione comunale, risulta che xxx è usufruttuario dell’immobile oggetto dell’intervento e delle aree ad esso pertinenti, avendo egli, con il predetto atto, donato la nuda proprietà ai figli. Ebbene, il permesso di costruire, ai sensi dell’art. 11 D.P.R. 380/2001, può essere chiesto dal proprietario e da chi ne ha titolo. E’ peraltro pacifico che il diritto di usufrutto, in quanto ricomprende anche la possibilità di sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria del suolo, costituisca titolo idoneo a legittimare la richiesta di permesso di costruire. Pertanto, con la produzione dell’atto di donazione del 21 dicembre 1991, il ricorrente ha assolto al proprio onere di documentare il titolo necessario per ottenere il permesso di costruire in sanatoria, dimostrando di avere la disponibilità dell’immobile interessato dall’intervento edificatorio e delle pertinenze dello stesso. Per altro verso, poi, all’amministrazione non è richiesta un’indagine (sulla ricorrenza di tale presupposto) che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente (Cons. St, sez. V, 22 giugno 2000, n.3525), ma solo la verifica dell’esistenza di un titolo sostanziale idoneo a costituire in capo a quest’ultimo il diritto di sfruttare la potenzialità edificatoria dell’immobile, senza che a tale allegazione debba seguire un’ulteriore indagine in ordine alle implicazioni, di diritto civilistico derivanti dal rilascio del titolo autorizzativo, considerato anche che detto rilascio avviene sempre con la clausola di salvezza dei diritti dei terzi, proprio al fine di lasciare impregiudicate eventuali posizioni soggettive di terzi configgenti (cfr. Cons. St. n. 368/2004). D’altra parte (e questo sembra essere lo scrupolo dell’amministrazione) non si comprende come i figli dell’odierno ricorrente, nudi proprietari, possano legittimamente opporsi alla realizzazione degli interventi edilizi posti in essere dal loro padre. In particolare, dall’atto notarile depositato non risulta che il cortile di pertinenza dell’abitazione sia escluso dal diritto di usufrutto che xxx  ha mantenuto su tutto il compendio immobiliare in origine di sua proprietà, comprensivo delle pertinenze, né che tale cortile sia, come prospettato dalla Commissione Edilizia, di piena proprietà dei figli di xxx. Elemento limitativo, questo, che andrebbe comunque provato da parte dell’amministrazione".

sentenza TAR Veneto 1270 del 2013

Il testo unificato del terzo piano casa

26 Nov 2013
26 Novembre 2013

Pubblichiamo il testo unificato dei progetti di legge n. 200, 295, 315 e 355 relativo a: “ Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia”.

pdl200295315355tldc

Link: 

http://web.consiglioveneto.it/commissioni/secondacommissione/allegati/pdl200295315355tldc.pdf

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