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Annotazioni critiche sul documento ITACA – Conferenza delle Regioni “Realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri”

26 Nov 2013
26 Novembre 2013

Il dott. Roberto Travaglini di Confindustria Vicenza, che sentitamente rigraziamo, ci invia l'articolo pubblicato in allegato, sul tema: "Annotazioni critiche sul documento ITACA - Conferenza delle Regioni “Realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri”.

Annotazioni sul documento ITACA.2

Sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001: cosa succede se dopo la presentazione della domanda entrano in vigore nuove disposizioni urbanistiche

26 Nov 2013
26 Novembre 2013

L'articolo 36 del DPR 380 del 2001 stabilisce che il responsabile dell'abuso o il proprietario attuale "possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda".

Il TAR Veneto, nella sentenza n. 1298 del 2013 precisa che è irrilevante ai fini della decisione della sanatoria l'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche successivamente alla presentazione della domanda: "Ritenuto che, come denunciato dai ricorrenti, il parere della Commissione Ambientale impugnato, nella parte in cui esclude la sanabilità del mutamento di destinazione d’uso, è illegittimo in quanto fondato sul disposto della delibera consiliare n. 25 del 18 aprile 2013, entrata in vigore successivamente alla presentazione dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria (20 aprile 2013); Osservato che, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, la valutazione della domanda di permesso di costruire in sanatoria deve essere effettuata in relazione alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della stessa (oltre che di quella vigente al momento della realizzazione dell’abuso); Ritenuto, pertanto, che il provvedimento impugnato debba essere annullato entro tali limiti. Ritenuto che le spese di lite debbano seguire la soccombenza del Comune".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1298 del 2013

Qual è l’organo competente a disporre la risoluzione/decadenza di una convenzione/concessione amministrativa?

26 Nov 2013
26 Novembre 2013

Per quanto riguarda la competenza del consiglio comunale ad adottare la risoluzione/decadenza della convenzione/concessione, nella medesima sentenza del Consiglio di Stato n. 5421/2013, già allegata, si legge che: “Come recentemente affermato da questa Sezione (sentenza 20 agosto 2013, n. 4192), la competenza dell’organo consiliare “deve intendersi circoscritta agli atti fondamentali dell'Ente, di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico, mentre spettano alle Giunte Comunali tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo (…), nell’ambito, tuttavia, di un riparto di competenze tra organi politici e burocratici”.

La pronuncia è stata resa in relazione ad una determinazione dirigenziale di rigetto di un’istanza volta ad ottenere il rinnovo di una concessione ed è quindi assolutamente in termini al caso oggetto del presente giudizio.

Nel respingere la tesi volta a sostenere la competenza del consiglio comunale in virtù del disposto dell’art. 42, comma 1, lett. e), t.u.e.l., che secondo il Comune di Sezze sostanzierebbe una materia devoluta in via esclusiva a tale organo, la Sezione ha negato che un simile provvedimento esuli dall’ambito strettamente gestionale, laddove l’organo consiliare interviene nella materia dei servizi pubblici esclusivamente in ordine “alla decisione di principio circa il modulo organizzativo da adottare (ad es., concessione e non s.p.a.) e non si estende certamente a tutti gli atti esecutivi di tale scelta, proprio per l'espressa limitazione delle competenze dell'organo elettivo agli atti fondamentali”.

All’indirizzo ora espresso deve essere data continuità, lo stesso riposando sul carattere tassativo dell’elencazione degli atti di competenza del consiglio comunale, a sua volta discendente dall’esigenza – parimenti sottolineata nel precedente in esame – di non appesantirne l’attività e di preservarne il ruolo ordinamentale di organo di indirizzo politico-amministrativo.

La competenza sull’affare deve dunque essere ascritta alla dirigenza, in virtù dell’art. 107 t.u.e.l. e non già alla giunta comunale, come prospetta invece l’appellante principale, giacché a tale organo è devoluta, giusta il disposto dell’art. 48 del medesimo testo unico, una funzione di attuazione politica delle scelte fondamentali operate dal consiglio”.

dott. Matteo Acquasaliente

Rapporto tra le concessioni amministrative e la giurisdizione

26 Nov 2013
26 Novembre 2013

Nella medesima sentenza n. 5421/2013, già allegata al post che precede, il Consiglio di Stato, con specifico riferimento al rapporto intercorrente tra le concessioni amministrative e la giurisdizione amministrativa/ordinaria, afferma che: “Infatti, la Corte regolatrice della giurisdizione, da un lato, ha ripetutamente affermato che sulle concessioni amministrative il giudice ordinario è dotato di giurisdizione esclusivamente nelle controversie concernenti il corrispettivo dovuto al concessionario, nelle quali non venga in rilievo l’esercizio di poteri pubblicistici dell’autorità concedente, e, dall’altro lato, che rientrano invece nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ai sensi dell’art. 5 l. n. 1034/1971, ora sostituito dall’art. 133, comma 1, lett. c, cod. proc. amm.) tutte le controversie che in qualche modo attengano al rapporto concessorio, incidendo sulla durata o sull’esistenza stessa, nonché sulla sua rinnovazione. In particolare, per venire ai casi di decadenza, che più rilevano ai fini della presente controversia, le Sezioni Unite hanno attribuito le relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in base alla considerazione che, in tali casi, ciò che viene posto in discussione è “il rapporto stesso nel suo aspetto genetico e funzionale e ciò anche in assenza di impugnativa di un atto o provvedimento della autorità pubblica e indipendentemente dalla natura delle posizioni giuridiche dedotte alla fonte” (Cass., Sez. Un., 20 novembre 2007, n. 24012, relativa ad un caso di decadenza da una concessione di bene pubblico). Nella pronuncia ora citata, la Suprema Corte ha quindi ribadito il proprio indirizzo, a mente del quale rientrano nella giurisdizione esclusiva sulle concessioni di beni e servizi “tutte le controversie in cui si discute sulla asserita violazione degli obblighi nascenti dal rapporto concessorio”, confinando per contro quella del giudice ordinario sulle sole questioni concernenti la determinazione delle “indennità, canoni ed altri corrispettivi” spettanti al concessionario, sempre che, in conformità al criterio di riparto generale fondato sulla consistenza delle posizioni giuridiche soggettive, la determinazione di tali remunerazioni non sia condizionata da atti autoritativi dell’amministrazione concedente.

In termini si registra l’ordinanza n. 8094 del 2 aprile 2007, relativa ad un caso analogo, in cui, disposta la decadenza nei confronti di un concessionario di servizio pubblico a causa del suo fallimento, il Comune aveva azionato in giudizio la pretesa a subentrare nella gestione del servizio medesimo. Degno di menzione è il passaggio motivazionale nel quale le Sezioni unite affermano che la giurisdizione esclusiva in materia di concessioni di servizi concerne “tutte le controversie” attinenti a tali rapporti, “ancorché non originate da provvedimenti della pubblica amministrazione”, ma nelle quali l’amministrazione concedente, intenzionata ad internalizzare il servizio, “fa comunque valere le proprie prerogative di persona giuridica pubblica, anche laddove faccia ricorso a strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, trattandosi di facoltà “il cui esercizio, tuttavia, presuppone l'esistenza del potere autoritativo".”.

In sostanza, il criterio discretivo che deve essere applicato al fine di stabilire il riparto di giurisdizione è quello, pienamente conforme ai principi sanciti dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 204/2004, della spendita di poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione, a prescindere dalla forma di cui questi sono concretamente rivestiti.

2.5 Sulla medesima linea si pone la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato.

Questa Sezione ha di recente ritenuto la propria giurisdizione in una controversia nella quale l’amministrazione concedente aveva avanzato la pretesa alla restituzione degli impianti strumentali all’esercizio del servizio pubblico (sentenza 2 ottobre 2012, n. 5173). Disattendendo l’obiezione della parte privata, si è affermato in detta decisione che “la giurisdizione esclusiva sulle concessioni di pubblici servizi abbraccia non solo l’affidamento di questi ultimi, ma anche la fase di esecuzione dei relativi rapporti, escluse solo le controversie di carattere patrimoniale (indennità, canoni e corrispettivi)”.

Sovviene ancora una più recente pronuncia della Sezione che ha affermato appartenere alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia instaurata dal privato concessionario il quale, adducendo un inadempimento contrattuale dell’amministrazione concedente, faccia valere la propria pretesa “ad ottenere la continuazione del rapporto di concessione, previa interpretazione degli atti che costituiscono la fonte dello stesso rapporto” (sentenza 6 febbraio 2013, n. 698).

2.6 Per contro, i precedenti richiamati dal Comune di Sezze non sono pertinenti, giacché attengono a contratti di appalti pubblici, per le quali non vi è alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva, eccezion fatta per la “dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione” (art. 133, comma 1, lett. d), 1), cod. proc. amm.).

E’ poi doveroso segnalare che questa Sezione (sentenza 9 ottobre 2013 n. 4960) si è recentemente pronunciata a favore della legittimità di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di concessione di servizi pubblici, proprio in relazione ad un’azione di impugnazione di un atto di decadenza pronunciato dall’amministrazione concedente, sul rilievo che tale domanda attiene all’esecuzione del contratto. Nondimeno, si tratta di una pronuncia che non esplica, nella presente fattispecie, alcuna autorità di precedente.

In primo luogo la clausola arbitrale in contestazione in quel giudizio conteneva una espressa rinuncia alla giurisdizione statale, diversamente da quelle in virtù della quale è stato emesso l’atto qui impugnato.

In secondo luogo per la decisiva considerazione che, in questo giudizio, nessuna delle due parti, ed in particolare il Comune di Sezze convenuto davanti al TAR Latina, ha opposto l’esistenza della clausola arbitrale, eccependo l’improponibilità della domanda (sul punto, cfr. Cass., Sez. II, 30 maggio 2007, n. 12736, che ha ritenuto che il convenuto abbia manifestato la volontà di rinunciare all'eccezione di arbitrato nel caso in cui, pur avendola dedotta in liminelitis, abbia successivamente proposto domanda riconvenzionale)”.

Alla luce di ciò i Giudici di Palazzo Spada giungono ad affermare che: “si coglie infatti l’essenza dell’istituto concessorio, il quale costituisce in ogni caso uno strumento volto al perseguimento delle finalità di carattere generale demandate alla pubblica amministrazione. In particolare, nei servizi pubblici esso costituisce una delle forme di organizzazione cui l’amministrazione può ricorrere per lo svolgimento di attività di interesse generale, in alternativa alla gestione diretta, interponendo il concessionario privato tra sé e la collettività.

In passato questo profilo era particolarmente valorizzato ponendo in rilievo l’effetto traslativo di pubblici poteri che si determinava (in particolare cfr. Cass., Sez. Un., 8 agosto 1990, n. 8058; 3 dicembre 1991, n. 12966; ord. 9 maggio 2002, n. 6687).

Attualmente, invece, per la decisiva spinta del diritto comunitario, i profili di stampo pubblicistico risultano fortemente attenuati, tantoché l’art. 3, comma 12, cod. contratti pubblici assimila le concessioni di servizi agli appalti di servizi, salvo che per la remunerazione del prezzo (in quanto non proveniente dall’amministrazione ma attraverso la gestione economica del servizio medesimo e dunque dall’utenza privata).

Non vi è tuttavia dubbio sul fatto che il rapporto trilaterale che nelle concessioni si instaura rende l’interesse pubblico comunque predominante anche nel corso dell’esecuzione del rapporto scaturente dalla concessione. A differenza dell’appalto, l’amministrazione concedente conserva un indubbio interesse circa le modalità con le quali il servizio viene gestito dal concessionario in propria sostituzione, poiché esso, anche quando affidato a privati, non perde la caratteristica fondamentale della sua finalizzazione a bisogni collettivi.

E’ proprio alla luce di questo ineliminabile connotato che si giustifica dal punto di vista logico, oltre che costituzionale, l’ampiezza della giurisdizione esclusiva, mentre, per contro, quest’ultima viene esclusa quando la controversia tra autorità concedente e privato concessionario verta su questioni puramente civilistiche, attinenti gli aspetti patrimoniali scaturenti dal rapporto.

Ed è per queste ragioni che deve essere affermata la giurisdizione amministrativa anche nella presente controversia, visto che l’atto di decadenza/risoluzione dal quale essa scaturisce attiene a supposti inadempimenti nello svolgimento del servizio idrico integrato i cui effetti non sono circoscritti al suddetto rapporto, ma si riflettono anche sulla collettività”.

dott. Matteo Acquasaliente

 

 

Aspetti processuali della giustizia amministrativa

26 Nov 2013
26 Novembre 2013

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 12 novembre 2013 n. 5421, affronta numerose questioni di carattere processuale concernenti la giustizia amministrativa.

Per quanto riguarda l’accertamento della giurisdizione amministrativa si legge che: “l’insegnamento dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 4 giugno 2011, n. 10, secondo cui assume carattere necessariamente prioritario l’esame della questione di giurisdizione. E ciò in virtù del condivisibile argomento secondo cui il potere del giudice adito di emettere qualsiasi statuizione, tanto in rito quanto nel merito della domanda, postula che su quest’ultima lo stesso sia effettivamente munito della potestas iudicandi, ossia di quell’imprescindibile presupposto processuale al solo ricorrere del quale è consentito pronunciarsi sulla medesima.

A quest’ultimo riguardo, nella citata pronuncia l’organo di nomofilachia della giurisdizione amministrativa ha anche posto in rilievo la necessità che sulla domanda non si pronunci in alcun modo il giudice sfornito di giurisdizione, ma che la stessa possa invece essere riproposta, completamente impregiudicata, davanti a quello munito di giurisdizione a mezzo della c.d. translatio iudicii, introdotta per la prima volta dall’art. 59 della legge n. 69/2009 (in seguito alle note decisioni della Corte costituzionale n. 77 del 12 marzo 2007 e delle Sezioni unite civili 22 febbraio 2007, n. 4109), ed ora riprodotto dall’art. 11 del cod. proc. amm.

2. Va peraltro dato atto che la questione di giurisdizione è devoluta alla cognizione di questo giudice anche dalla Costruzioni Dondi.

Nondimeno, all’esame della stessa è ostativo l’indirizzo di questo Consiglio di Stato a mente del quale la suddetta questione non può essere sollevata in appello dalla parte che in primo grado la aveva implicitamente risolta a favore del giudice adito, avendovi incardinato la domanda giudiziale (Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2111; Sez. VI, 20 settembre 2012, n. 4987).

La regola ora richiamata è stata tratta dal divieto di abuso del diritto, cui è stato attribuito il rango di principio generale dell’ordinamento giuridico, e dunque valevole anche per il diritto di azione, tanto da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 15 novembre 2007, n. 23726), quanto dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 23 marzo 2011, n. 3).

2.1 Il Collegio reputa che questo orientamento meriti piena conferma, anche alla luce dell’obbligo di cooperazione gravante ai sensi dell’art. 2, comma 2, cod. proc. amm. sul giudice e sulle parti “per la realizzazione della ragionevole durata del processo”. Infatti, l’obbligo ora detto impone giocoforza di considerare irretrattabile la scelta dell’organizzazione giudiziaria adita, pena altrimenti l’inaccettabile conseguenza che, proprio grazie alla possibilità di riproporre la domanda davanti al giudice dotato di giurisdizione, la decisione nel merito subisca una dilazione in conseguenza del radicale mutamento di strategia processuale della parte.

Con la translatio iudicii si consente infatti di ovviare all’errore commesso, mantenendo fermi gli effetti processuali e sostanziali della domanda (art. 11, comma 2, cod. proc. amm.). Ma questa salvezza in tanto si giustifica in quanto sovvenga la parte che sia stata incorsa nell’errore a causa dell’obiettiva incertezza delle norme sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, e non certo per favorire atteggiamenti opportunistici, finalizzati a rimediare alla soccombenza riportata in prime cure.

Del resto, l’ordinamento processuale attribuisce alle parti uno specifico strumento per dissipare i dubbi sulla sussistenza della potestas iudicandi del giudice adito, rappresentato – come noto – dal regolamento preventivo di giurisdizione. Questo, infatti, può essere proposto, prima della decisione nel merito (artt. 41 cod. proc. civ. e 10 cod. proc. amm.), anche dall’attore/ricorrente, a fronte dell’altrui contestazione, proprio in ragione dell’interesse “ad una definizione della questione dalle sezioni unite della Corte ad evitare che la risoluzione di essa in sede di merito possa essere modificata a seguito di impugnazione, ritardando la risoluzione della controversia anche al fine di ottenere un giusto processo di durata ragionevole” (Cass., Sez. Un., ord. 20 aprile 2006, n. 9169; in termini Cass., Sez. Un., ord. 20 settembre 2006, n. 20504; ord. 7 novembre 2008, n. 26792).

2.2 Ancora sul punto, traslando il discorso dal piano dei comportamenti imposto agli attori del processo a quello più strettamente ricostruttivo degli istituti processuali, è indubbio che il difetto di giurisdizione ha assunto ormai, a mente dell’art. 9 cod. proc. amm. (recettivo dei principi affermati dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883), la portata di una vera e propria eccezione in senso tecnico e non più, quindi, di una mera segnalazione al giudice al fine del rilievo dei presupposti per l’attivazione di un potere ufficioso. La conseguenza di un simile inquadramento è che a tale eccezione la parte deve ritenersi abbia definitivamente rinunciato una volta proposta la domanda introduttiva presso questa o quella organizzazione giudiziaria. E questo inquadramento si rivela coerente con l’esigenza di non piegare l’unità funzionale della giurisdizione, proclamata dalle Sezioni Unite nella pronuncia ora citata, a condotte processuali non coerenti con il fine per cui il diritto di azione è riconosciuto”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 5421 del 2013

 

Adottato il Piano Regionale delle Attività di Cava (PRAC)

25 Nov 2013
25 Novembre 2013

La Giunta regionale ha adottato il Piano regionale delle attività di cava (PRAC), ai sensi della L.R. 7 settembre 1982, n. 44, "Norme per la disciplina dell'attività di cava" e s.m.i.

DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. 2015 del 04/11/2013

Il TAR Veneto sul riparto di competenze tra geometri ed ingegneri

25 Nov 2013
25 Novembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1312 del 2013 si occupa del riparto di competenze tra geometri e ingegneri.

Scrive il Giudice: "Trattandosi, dunque, di atto d’indirizzo occorre altresì evidenziare che, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, la deliberazione in esame non assume carattere vincolante per gli uffici amministrativi cui essa è rivolta, atteso che questi dovranno pur sempre verificare, in base alla normativa di riferimento, se i progetti sottoposti al loro esame rientrino nella competenza professionale dei geometri, sulla scorta delle caratteristiche dell’opera da realizzare.

Sotto altro profilo, deve nondimeno essere rilevato che, nel caso di specie, la misura di mc 1500, che la delibera impugnata assume quale criterio d’indirizzo ai fini della determinazione della competenza professionale dei geometri in materia di progettazione edilizia, non rappresenta un limite quantitativo entro il quale una costruzione in conglomerato cementizio possa essere progettata e firmata da un geometra, posto che a tenore della citata delibera, la progettazione dell’opera da realizzare da parte dei geometri rimane comunque subordinata all’applicazione del fondamentale parametro tecnico-qualitativo, in virtù del quale il progetto non deve implicare la soluzione di problemi particolari (devoluti esclusivamente ai professionisti di rango superiore) con riguardo alla struttura dell’edificio ed alle modalità costruttive (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 27 gennaio 1988, n. 736; Cons. St. , sez. V, 3 ottobre 2002, n. 5208).

Deve, altresì, essere respinto il secondo motivo di ricorso con cui parte ricorrente deduce che la normativa di specie escluderebbe in toto la competenza del geometra in ordine alla progettazione di costruzioni civili in cemento armato, posto che il d.lgs. 13 dicembre 2010, n. 212, ha abrogato il r.d. 16 novembre 1939, n. 2229, ai sensi del quale “Ogni opera di conglomerato cementizio semplice od armato, la cui stabilità possa comunque interessare l’incolumità delle persone, deve essere costruita in base ad un progetto esecutivo firmato da un ingegnere, ovvero da un architetto iscritto all’albo”.

sentenza TAR Veneto 1312 del 2013

Liberalizzazione del commercio e adeguamento delle previsioni urbanistiche: il Consiglio di Stato ritiene che sussista un “obbligo di adeguamento normativo”

25 Nov 2013
25 Novembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5473 del 2013.

Scrive il Giudice: "Il Collegio rileva che il pertinente quadro normativo entro cui tale richiesta di colloca è stato di recente oggetto di una importante pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza 15 marzo 2013, n. 38) che ha chiarito che i vincoli di cui alla normativa rilevante nella specie (e già richiamata) attiene alla materia della concorrenza ex art. 117, comma 2, lett. e), Cost., di competenza esclusiva dello Stato, affermando che l’art. 31, comma 2, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 ha sancito il principio della libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali, senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura, ad eccezione di quelli attinenti alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente (incluso l’ambiente urbano) e dei beni culturali.

Tale norma deve essere ricondotta nell’ambito della “tutela della concorrenza”, trattandosi di una disciplina di liberalizzazione e di eliminazione di vincoli al libero esplicarsi dell’attività imprenditoriale nel settore commerciale.

Secondo la Consulta, dunque, devono ritenersi costituzionalmente illegittime le norme regionali, anche a Statuto speciale e delle Province autonome che, traducendosi nell’introduzione di limitazioni all’apertura di nuovi esercizi di commercio al dettaglio nelle zone produttive, determinano restrizioni alla concorrenza, così invadendo la potestà legislativa esclusiva dello Stato in tale materia.

Da tale pronuncia si deduce, in tutta evidenza e rispetto alla situazione per cui qui è controversia, quanto segue:

- contrariamente a quanto ritenuto dal TAR la consistenza dell’interesse azionato in questo giudizio non è circoscritto alla categoria dell’interesse semplice, bensì, dell’interesse qualificato e differenziato, trattandosi di uno specifico interesse commerciale che è direttamente tutelato e disciplinato dalla normativa statale, idonea a radicare una posizione soggettiva di interesse legittimo in capo ai soggetti che ne sono portatori;

- tale interesse è tutelabile in quanto giuridicamente rilevante nonostante eventuali norme regionali con esso contrastanti, poiché la Regione è sfornita di ogni potestà normativa in materia;

- ne consegue che il Comune deve specificamente valutare, con apposito provvedimento, e con idonea motivazione, in risposta all’istanza dell’appellante sopra specificata, se i limiti all’intervento in oggetto, che incide direttamente sugli interessi commerciali dell’appellante, siano ancora adeguati a tutelare gli interessi che la normativa statale sopra indicata pone quali eccezioni al principio di liberalizzazione del commercio, direttamente cogente, come detto, in tutte le Regioni;

- in caso negativo, dovendo provvedere a rimuovere tali limiti, per contrasto con la competente normativa statale di rango superiore, l’inerzia è configurabile anche in questa ipotesi che può essere qualificata come “obbligo di adeguamento normativo”, nel senso che, come appena detto, l’Amministrazione deve valutare se sia possibile rimuovere i predetti limiti azionando il pertinente procedimento, tenuto inoltre presente che, nella specie, le norme in oggetto che inibiscono l’attività aspirata dall’appellante afferiscono non ad un procedimento normativo primario o secondario, bensì ad un semplice procedimento amministrativo, in quanto costituiscono un procedimento amministrativo urbanistico, trattandosi di N.T.A. necessariamente accessorie ed attuative del Piano Regolatore".

sentenza CDS 5473 del 2013

Le revoca dell’aggiudicazione definitiva deve essere sempre comunicata

25 Nov 2013
25 Novembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 08 novembre 2013 n. 1242, si occupa dell’omessa comunicazione della revoca dell’aggiudicazione: se la revoca dell’aggiudicazione provvisoria non necessita della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della l. 241/1990 trattandosi di un atto endoprocedimentale, diversamente accade per la revoca dell’aggiudicazione definitiva atteso che: “Al riguardo, occorre osservare che la pubblica amministrazione conserva indiscutibilmente anche in relazione ai procedimenti di gara per la scelta del contraente il potere di revocare, ovvero di annullare, in via di autotutela il bando e le singole operazioni di gara, quando i criteri di selezione si manifestino come suscettibili di produrre effetti indesiderati o comunque illogici (C.d.S., sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3989), tenendo quindi conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse (C.d.S., sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5374), nei termini indicati e validi per tutta l’azione della p.a., già dall’art. 97 della Carta.

Conforta il riferito orientamento il fatto che le prescrizioni statuite dalla lex specialis, la cui rigida inderogabilità è pacificamente riconosciuta dalla costante giurisprudenza, possono essere superate soltanto previo loro annullamento in sede di autotutela (Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2012, n. 5681).

Ciò è in linea con l'evoluzione della giurisprudenza comunitaria secondo cui : "l'accertamento dell'idoneità degli offerenti viene di fatto effettuato dalle amministrazioni aggiudicatrici in conformità ai criteri di idoneità economica, finanziaria e tecnica (detti "criteri di selezione qualitativa") di cui agli artt. 31 e 32" della direttiva 92/50 (Corte di Giustizia U.E., 24 gennaio 2008, n. C-532/06) .

Ora, ritiene il Collegio che, secondo un tramandato e costante insegnamento, in materia di evidenza pubblica, fino a quando non sia intervenuta l'aggiudicazione definitiva, la revoca, ovvero l’annullamento del bando di gara e degli atti successivi, rientra nella ampia potestà discrezionale della P.A., comunque accertata la presenza di concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara ( Cons. Stato Sez. V, 9 aprile 2010, n. 1997).

Pertanto l'aggiudicazione provvisoria determina nell'aggiudicatario soltanto una aspettativa di mero fatto e non già un affidamento qualificato ( Cons.St., sez.IV, 6 aprile 2010, n.1907).

Di conseguenza, ove la p.a. decida di revocare, in sede di autotutela, il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, l'avvio del relativo provvedimento non dovrà essere neppure notificato al soggetto provvisoriamente aggiudicatario. (Consiglio Stato, sez. V, 24 marzo 2006, n. 1525).

Nel caso di specie è, invece, intervenuta una aggiudicazione definitiva, seppure ancora non efficace ( art. 11, comma 7, dpr 163/2006).

Nondimeno, è opinione assolutamente prevalente in giurisprudenza che, in tali casi, debba necessariamente trovare applicazione l’art. 7 della L. 241/1990 di tema di comunicazione di avvio del procedimento (Cons.St., sez. IV 25 luglio 2001, n. 4083; CGA, 18 maggio 2007, n.394).

E’ appena il caso di rilevare che il successivo, possibile e generale intervento della p.a. per motivi di legittimità, ovvero di opportunità è soggetto alla disciplina di cui agli artt. 21 quinques, octies e nonies della L.241/1990, in uno con le statuizioni di cui citato art. 7 Legge 241/1990, la cui conseguente determinazione deve puntualmente esternare le ragioni di illegittimità presenti in costanza dell’ interesse pubblico, nonché di considerare il contestuale interesse dei destinatari”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1242 del 2013

Le prospettive italiane secondo il noto economista Benetazzo: pessimista o realista?

23 Nov 2013
23 Novembre 2013

Il noto economista Eugenio Benetazzo (www.eugeniobenetazzo.com), che ho avuto l'occasione di conoscere e che diventò famoso qualche anno per avere previsto il crollo delle banche americane (leggasi Lehman Brothers),  ha scritto l'articolo che riproduciamo.

Naturalmente io non ho la competenza per valutare quanto scrive, ma mi sembra interessante farlo conoscere.

Dario Meneguzzo

Scrive Eugenio Benetazzo:

"Sembra notizia di oggi la proposta di un piano di privatizzazioni parziali per la generazione di nuove risorse da destinare all'abbattimento del debito e al contenimento del deficit di bilancio: si parla di cessioni di quote non rilevanti in aziende strategiche, quel tanto che basta per non perdere il controllo sulle rispettive società. Abbiamo nomi eccellenti:  Sace, Enav, Fincantieri, Grandi Stazioni e per finire ENI. Il Governo Letta si appresta a svendere per battere cassa nella speranza di realizzare almeno 10 miliardi. Ormai ci siamo: si tratta a farla grande di aspettare ancora 18 mesi, dopo il destino di contribuenti, pensionati, e risparmiatori italiani sarà presto delineato. Questa volta non ci saranno mezze misure o mezze interpretazioni, il declino del paese si trasformerà nella dipartita della nazione. Quelli che sospirano confidando nell'avvento del Regno di Renzi tra qualche mese sono dei poveri illusi: il Sindaco di Firenze ha come punti chiave all'interno del suo programma una massiva ed imponente opere di alienazioni e dismissioni di patrimonio pubblico e partecipazioni strategiche. La svendita del paese ricordate che è sempre stata una prerogative dei governi di sinistra (Amato, D'Alema e Prodi): si vende come si suol dire l'argenteria per pagare i debiti contratti per giocare alle slot machine.

Continuo a dirvelo da più di un anno, dopo il fallimento anche di Monti, fatevi il Piano B o la vostra exit strategy, perchè questa volta non vi aiuterà o salverà nessuno (pensate non solo ai vostri risparmi ma anche ai vostri cari). Purtroppo non ci saranno scialuppe per tutti, molti faranno la fine di tante povere pecore: scannati vivi. Non servirà a nulla a quel punto il pianto in diretta presso il talk show di turno, l'appello di qualche autorità rinsavita o  le esternazioni prosaiche formulate dagli ambienti cattolici, la strada per il paese e per la popolazione sarà dettata da una lettera, anzi dai punti di una lettera che già due anni fa ci era stata consegnata con l'indicazione di attuare quanto prima misure atte a mettere il paese in sicurezza economica e finanziaria. La lettera ci è pervenuta ancora nell'Agosto nel 2011 a firma di Jean Claude Trichet e Mario Draghi con l'elenco degli interventi che si dovevano quanto prima mettere in moto. Quando sentite parlare delle famose riforme strutturali per l'Italia a che cosa pensate si faccia riferimento ? Quella missiva inviata durante quella calda estate già disegnava le tappe che a breve con il buon senso politico di chi governa o con il ricatto sovranazionale sarebbero state necessarie.

Andatevela a rileggere e studiare. Nei minimi dettagli. Perchè sarà quanto accadrà nei prossimi mesi in Italia nel momento in cui dopo aver messo mano a pensioni e risparmi sarà obbligatorio intervenire su quei gangli vitali che nessuno ha il coraggio di modificare. Quelli della lettera a quel punto vi sembreranno capisaldi di buon senso e necessari per sgravare il peso della attuale fiscalità diffusa. Almeno quanto necessario per provare a rimettere in moto un paese che tra otto anni sarà scalzato dal Messico e dal Brasile. Chi per anni mi ha deriso o insultato sottolineando il mio pessimismo (li correggo: realismo) allora come è già accaduto farà marcia indietro e verrà a chiedere come e dove investire o come fare per salvarsi. Solo che sarà ormai tardi anche per loro, diversamente rinsaviti. Quelli che pagheranno il conto più amaro saranno proprio tutti quei soggetti che hanno vissuto per decenni dentro una cupola intoccabile, protetti da tutto e da tutti. Mi riferisco ai dipendenti pubblici ed ai parastatali, finalmente capiranno che cosa significa semanticamente il termine di equità sociale quando calerà la scure del Memorandum of Undestanding affiancato dalle OMT (Outright Monetary Transactions).
Pur tuttavia, finalmente il paese in qualche modo cambierà: come ho spesso menzionato, alle volte per fare il bene devi iniziare facendo del male. Vi anticipo alcuni dei punti che saranno a breve oggetto di imposizione sovranazionale, che arriveranno quando la nazione non avrà più risorse a cui attingere: aumento della concorrenza nei servizi pubblici (si traduce in fine delle baronie e feudi di famiglia), nuova fiscalità per rendere le imprese italiane più competitive (si traduce in fine dell'IRAP e diminuzione dell'IRE), razionalizzazione dell'assistenza sanitaria (si traduce in assicurazioni private ove non sussista più l'intervento generico dello stato sociale), mercato del lavoro dinamico ed efficiente (si traduce in libertà di licenziamento senza obblighi di reintegro), liberalizzazione dei servizi professionali (si traduce in fine degli ordini professionali), riforma della contrattazione sindacale (si traduce nella fine dello strapotere dei sindacati), miglioramento dell'efficienza amministrativa (si traduce nell'inserimento di indicatori di performance per i dipendenti pubblici per la valutazione del loro operato), snellimento dei centri di responsabilità (si traduce in abolizione del senato, delle province e accorpamento degli enti comunali)".
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