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Come si calcolano i termini per il rilascio del parere della Soprintendenza di cui all’art. 146 del D.Lgs. 42/2004

12 Set 2013
12 Settembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1081 del 2013.

Il TAR ha deciso un caso nel quale  il ricorrente aveva presentato alla Regione Veneto una domanda per la trasformazione di un terreno agricolo, parzialmente sottoposto al vincolo idrogeologico,  in vigneto, ai sensi dell’art. 15 della L. reg. 52/78 e dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e dell’art. 2 della L. reg. 63/94terreno boschivo.

Il Servizio Forestale Regionale esprimeva parere favorevole all’intervento. La Soprintendenza comunicava, con nota del 21/10/2011 e al contrario, i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza rilevando che “l’intervento proposto consistente nell’impianto di un nuovo vigneto  …in un’area di eccezionale bellezza e di grande visibilità, … comporterebbe un’alterazione sostanziale dell’ambiente e inciderebbe negativamente sull’equilibrio del contesto sottoposto a tutela paesaggistico…”. Il ricorrente sosteneva la violazione dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004, in quanto non sarebbero rispettati i termini della norma, rilevando nel contempo che comunque il parere avrebbe dovuto considerarsi favorevole, essendo trascorsi 90 giorni senza che la Soprintendenza si fosse pronunciata.

Il TAR non accoglie questa tesi, affermando che: "1.1 E’ infondato il primo motivo mediante il quale si asserisce lala violazione dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004 in quanto non sarebbero rispettati i termini della norma, rilevando nel contempo che comunque il parere avrebbe dovuto considerarsi favorevole, essendo trascorsi 90 giorni senza che la Soprintendenza si fosse pronunciata;
2. Con riferimento a dette eccezioni in primo luogo va confermato la natura obbligatoria e vincolante del parere di cui all’art. 146 sopra citato e, ciò, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, 16-01-2013, n. 11) che ha sancito che “il parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici previsto dall'art. 146 D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali) ha natura obbligatoria e
vincolante e, quindi, assume una connotazione non solamente consultiva, ma tale da possedere un'autonoma capacità lesiva della sfera giuridica del destinatario..”
2.1 Va, inoltre, rilevato come nel concreto siano rispettati anche i termini entro i quali il parere doveva essere emanato e, ciò, considerando che i termini sia di cui al comma 5 che al comma 8 decorrono dalla data di ricezione degli atti e non dalla data di deposito dell’istanza presso l’ufficio regionale competente come sostenuto dalla parte ricorrente.
2.2 Ne consegue come non risulti nemmeno condivisibile l’applicazione di un presunto silenzio assenso di cui al comma 5 della disposizione sopra citata e, ciò, in considerazione del fatto che il parere sfavorevole era stato emesso nei termini sopra citati.
2.3 Si consideri, ancora, come sia infondata l’ulteriore eccezione contenuta sempre nel motivo di cui si tratta diretta a rilevare il mancato rispetto, da parte del Servizio forestale, del termine di 20 giorni dal ricevimento del parere della Soprintendenza per l’emissione del provvedimento finale.
2.4 Le parti resistenti hanno evidenziato, infatti, che il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 146 sopra citato, per quanto concerne la riduzione della superficie boscata, è sottoposta al rilascio del contestuale parere della Commissione Tecnica Regionale Decentrata Lavori Pubblici ai sensi dell’art. 15 della L. Reg. n. 27/2003. L’acquisizione di detto parere ha determinato il superamento del termine di 20 giorni sopracitato, circostanza quest’ultima che consente di evincere come detto superamento non sia ricollegabile ad un’inerzia dell’Amministrazione, ma alla necessità di acquisire l’ulteriore parere sopra citato".

Dario Meneguzzo

sentenza TAr Veneto 1081 del 2013

Si può presentare una SCIA per il cambio di destinazione d’uso di un fabbricato?

11 Set 2013
11 Settembre 2013

Si occupa della questione la sentenza del TAR Napoli n. 4193 del 2013.

Scrive il TAR: "parte ricorrente ha affermato solo genericamente che l’intervento non comporterebbe nessun carico urbanistico, senza allegare ossia alcun elemento serio e circostanziato, in questa direzione, e dunque senza fornire il benché minimo principio di prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. Tale carenza appare tanto più evidente ove soltanto si consideri che il cambio di destinazione d’uso tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee – come nel caso di specie dove si passerebbe da struttura residenziale ad attività di ristorazione – deve essere espressamente vagliato ed autorizzato dall’amministrazione, mediante rilascio di permesso di costruire e non mediante semplice SCIA, anche qualora non si riscontrino modifiche edilizia esteriori: e ciò proprio perché è necessario valutare in siffatte ipotesi gli effetti arrecati sul piano del carico urbanistico, ad esempio in termini di impatto sulla viabilità e sui parcheggi. Analisi questa che il ricorrente, come già anticipato, ha del tutto omesso di effettuare".

Per la verità, tale  questione non era l'oggetto del ricorso e il discorso del carico urbanistico riguardava l'applicazione del PAI, ma il TAR lo ha detto lo stesso, senza, peraltro, chiarire quale sia il nesso normativo tra i concetti richiamati.

Un altro punto della sentenza non risulta tanto chiaro. Il ricorrente ha impugnato l'inibitoria di una SCIA, lamentando, tra l'altro, la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, perchè non è stato inviato il preavviso di diniego prima dell'inibitoria. Il TAR respinge qesto motivo, dicendo che: "per giurisprudenza pressoché pacifica (cfr., ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 12 marzo 2013, n. 1407) è irrilevante la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 nei casi in cui il ricorrente, come nella specie, non avrebbe comunque potuto addurre elementi idonei a modificare il contenuto finale del provvedimento, con ogni conseguenza in ordine alla applicazione della disposizione sanante di cui all'art. 21-octies, comma 2, della stessa legge generale sul procedimento amministrativo".

Ma siamo sicuri che l'inibitoria di una SCIA richieda il preavviso di diniego ex art. 10 bis L. 241/90?

Dario Meneguzzo

TAR Napoli 4193 del 2013

Le novitĂ  in materia di DURC

11 Set 2013
11 Settembre 2013

Il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) è un certificato unico che attesta la regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi nonché in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa vigente nei confronti di Inps, Inail e Casse Edili, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento (cfr. "requisiti di regolarità"). La normativa che regola le modalità di rilascio del certificato e le regole di utilizzo è stata modificata ad opera dell’art.31 del D.L. n.69/13 (c.d. “Decreto del Fare”), convertito in legge il 9 agosto scorso. In sintesi, gli interventi riguardano le ipotesi di esenzione, i casi di acquisizione d’ufficio, l’estensione temporale di validità, le modalità di regolarizzazione della posizione del contribuente. Infine, si segnala l’avvio dell’obbligo di richiesta del certificato solo a mezzo PEC.

Ampliamento dei casi di esenzione

Viene sancito l’esonero dall’obbligo di richiesta del DURC qualora vengano eseguiti lavori privati di manutenzione in edilizia effettuati direttamente in economia dal proprietario dell’immobile, senza ricorrere a imprese “esterne”. Rimane ovviamente da chiarire il significato della locuzione di lavori “effettuati direttamente in economia dal proprietario”; sul punto, nemmeno la circolare n.36/13 del Ministero del Lavoro suggerisce utili spunti.

Casi di acquisizione d’ufficio del DURC

Le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori, nell’ambito degli appalti pubblici, debbono acquisire d’ufficio il DURC, tanto ai fini della verifica di ricorrenza di eventuali cause di esclusione, sia ai fini del pagamento delle prestazioni rese nell’ambito dell’appalto o subappalto. L’acquisizione d’ufficio del DURC interessa anche gli uffici pubblici chiamati a verificare l’assenza di violazioni, la regolarità della aggiudicazione dell’appalto e della stipula del relativo contratto, la possibilità di effettuare i pagamenti dei SAL, la regolarità per collaudi e conformità, nonché il pagamento del saldo finale.
Ampliamento della validitĂ  temporale del DURC Il documento unico di regolaritĂ  contributiva rilasciato per i contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture ha validità di 120 giorni dalla data del rilascio, ed ha validità per la fase della verifica, dell’aggiudicazione e della stipula del contratto. Dopo la stipula del contratto, i soggetti obbligati acquisiscono il DURC ogni 120 giorni; per il pagamento del saldo finale é in ogni caso necessaria l'acquisizione di un nuovo DURC. Fino al 31 dicembre 2014, la validità di 120 giorni del DURC interessa anche i lavori edili dei soggetti privati.

Invito alla regolarizzazione della posizione

Poiché il DURC attesta lo stato di regolarità contributiva del richiedente, vi possono essere situazioni in cui non siano stati regolarmente effettuati alcuni versamenti oppure non siano stati posti correttamente in essere alcuni adempimenti. Per effetto delle modifiche apportate alla norma, prima dell’emissione del DURC o dell’annullamento del documento già rilasciato, gli Enti interessati devono invitare l’azienda interessata, direttamente o tramite il Consulente del lavoro/Commercialista ed utilizzando la PEC, a regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a 15 giorni, indicando analiticamente le cause della irregolarità. In tal modo, si potrà provvedere tempestivamente per rimuovere eventuali anomalie ed ottenere il
certificato.

Richiesta del certificato solo a mezzo PEC

Dopo alcune proroghe, l’Inps, l’Inail e le Casse Edili, in accordo con il Ministero del Lavoro, hanno deciso di dare pratico avvio alle modalità di comunicazione esclusivamente tramite PEC; ne danno notizia appositi messaggi degli istituti di fine agosto. A decorrere dal 2 settembre scorso, dunque, è fatto obbligo di richiedere il DURC esclusivamente a mezzo di posta elettronica certificata (PEC). In tal senso, dovrà essere appositamente valorizzato il campo dell’indirizzo di posta elettronica certificata sul format presente sul sito www.sportellounicoprevidenziale.it. In mancanza di tale dato, non è più consentita la trasmissione della richiesta. L’invio tramite PEC equivale alla notifica a mezzo posta.

In vigore dal 31 agosto il “decreto IMU”

11 Set 2013
11 Settembre 2013

Sono entrate in vigore lo scorso 31 agosto le disposizioni contenute nel Decreto Legge n.102 del 31 agosto 2013 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo stesso giorno): si tratta di un provvedimento emanato per definire la nota vicenda riguardante la sospensione della prima rata Imu, rinviata dal D.L. n.54/13 al 16 settembre. L’approvazione del decreto in oggetto elimina tale scadenza. Oltre a questo, il provvedimento in oggetto contiene comunque altre disposizioni (non solo in campo di imposta comunale).

Nella tabella allegata vengono riepilogate le piĂą importanti previsioni aventi contenuto tributario.

tabella imu

Consultabili gratuitamente gli indirizzi PEC di imprese e professionisti

11 Set 2013
11 Settembre 2013

Dopo la fase di primo caricamento, prosegue con regolarità l'aggiornamento di INI-PEC, l'Indice nazionale della posta elettronica certificata che raccoglie tutti gli indirizzi di PEC delle Imprese e dei Professionisti presenti sul territorio italiano. Ad oggi sono disponibili oltre 930.000 indirizzi PEC di professionisti relativi a quasi 1.470 ordini e collegi professionali, e circa 3.400.000 indirizzi PEC di imprese (società e imprese individuali) e l'Indice è in continuo aggiornamento. La copertura degli Ordini e Collegi professionali che hanno comunicato gli indirizzi PEC dei loro iscritti è di circa il 78%. (Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata, www.inipec.gov.it, 09/08/2013)

Fideiussione per il pagamento degli oneri: in caso di ritardato pagamento si applicano lo stesso le sanzioni?

10 Set 2013
10 Settembre 2013

La sentenza del TAR Bologna n. 598 del 2013 esamina la dibattuta questione se debbano essere applicate le sanzioni per il ritardato pagamento degli oneri concessori nel caso in cui il Comune non escuta la fideiussione.

Scrive il TAR: "La tesi della ricorrente, che peraltro trova supporto in talune pronunce risalenti dei giudici amministrativi, ritiene che la mancata immediata escussione del fideiussore da parte del Comune integri la fattispecie di sottrazione del creditore all'obbligo di cui all'art. 1227 Cod. Civ., che impone a questa parte contrattuale di non aggravare la posizione debitoria della controparte. Secondo tale tesi, quindi, il Comune non può irrogare le sanzioni ex art. 3 della L. n. 47 del 1985, senza prima avere prontamente esercitato - relativamente a ciascun versamento di contributi non effettuato nel termine previsto - la relativa garanzia fideiussoria, in modo da limitare il danno per il titolare del permesso di costruire e
soprattutto consentire all'amministrazione comunale procedente il pronto soddisfacimento del proprio credito mediante l'immediata attivazione della fideiussione "a prima richiesta" (v. in termini: Cons. Stato., sez. V, 3/7/1995 n. 1001). Al suddetto orientamento giurisprudenziale si oppone, però, un contrapposto e altrettanto consistente indirizzo, che si è ormai consolidato, a cui il Collegio aderisce (T.A.R. Bologna Emilia Romagna sez. II, 26 febbraio 2010, n. 1666), ritenendolo logicamente e giuridicamente più persuasivo e, quindi, maggiormente condivisibile, secondo il quale l'obbligo di collaborazione di cui all'art. 1227 Cod. Civ. deve ritenersi estraneo all'ambito sanzionatorio amministrativo, con la conseguenza che anche la prestazione di garanzia "a prima richiesta", da parte del debitore principale, oltre a non vincolare in alcun modo l'amministrazione comunale ad escutere immediatamente dal fideiussore il credito o la singola rata appena dopo la scadenza, tanto meno esime il debitore dal tenere un comportamento contrattuale diligente nell'estinguere tempestivamente il proprio debito "portabile" presso il domicilio del creditore, senza che il medesimo possa pertanto giovarsi del mero comportamento inerte tenuto dall'amministrazione. Sotto altro profilo della stessa questione, si deve rilevare che detto dovere di diligenza non risulta in alcun modo attenuato dalla prestazione della fideiussione , in quanto tale strumento giuridico non è oggettivamente diretto ad agevolare l'adempimento del debitore, bensì a costituire un'ulteriore garanzia personale in favore e nell'esclusivo interesse del creditore (Cons. Stato, sez. V, 16/7/2007, n. 4025; sez. V, 24/3/2005 n. 1250; T.A.R. Lombardia -BS- 11/9/2009 n. 1688; T.A.R. Campania -SA- sez. II, 14/4/2008 n. 721; T.A.R. Emilia - Romagna -BO- Sez. II, 12/5/2004 n. 645; T.A.R. Abruzzo -PE- 19/6/2003 n. 586). Tale orientamento è ormai condiviso anche dal Consiglio di Stato il quale ha sottolineato che tale dovere non può farsi discendere dal richiamo all'art. 1227 cod. civ., che è disposizione riferibile alle sole obbligazioni di natura risarcitoria, e non anche a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura sanzionatoria, come è quella in esame (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 2012, nr. 4320; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2005, nr. 1250; id., 11 novembre 2005, nr. 6345; id., 16 luglio 2007, nr. 4025, Consiglio di Stato sez. IV, 19 novembre 2012, n. 5818)".

TAR Bologna 598 del 2013

Quant’è diffusa sul territorio la questione dell’art. 38 del PTRC (aree comprese nel raggio di 2 km dai caselli autostradali, dagli accessi alle superstrade ed alle stazioni SFMR)?

10 Set 2013
10 Settembre 2013

Nell’esaminare le problematiche sottese alla disciplina dettata dall’art. 38 delle norme tecniche del PTRC, come definita con la variante n. 1/2013, si è portati sovente a “localizzare” le criticità nei territori dei Comuni capoluogo di Provincia, tutti caratterizzati dalla presenza di almeno un casello delle autostrade già in esercizio:

In realtà la questione è assai più diffusa, ma la difficoltà è di poterne visualizzare la portata.

Assai utile è, pertanto, l’elaborato grafico predisposto dalla Provincia di Vicenza, che colloca puntualmente sull’intero territorio provinciale ben 49 circonferenze con raggio di 2 km dagli oggetti indicati nell’art. 38 del PTRC.

Significativa risulta, in particolare, la frequenza con la quale, pur in presenza di un casello autostradale, di un accesso ad una superstrada o ad una stazione di SFMR, localizzati nel territorio di un Comune, l’area definita dal raggio di 2 km da tali oggetti finisce per interessare il territorio di altri Comuni.

dott. Roberto Travaglini

Provincia_Vicenza_aree_art_38_PTRC

Il ricorso di Silvio Berlusconi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo

10 Set 2013
10 Settembre 2013

Pubblichiamo il testo del ricorso di Silvio Berlusconi alla Corte Europea dei diritti dell'uomo.

Berlusconi_ricorso_CEDU

Dall’Ace all’Ape: alcune considerazioni sull’obbligo di certificazione energetica degli edifici – La problematica della mancanza delle norme per adempiere all’obbligo imposto

09 Set 2013
9 Settembre 2013

La Ue ha condannato l’Italia  in materia di energia. Si trattava di un non corretto recepimento della disciplina sul rendimento energetico nell’edilizia (direttiva 2010/31/UE).

Secondo la Commissione, infatti, l’Italia era venuta meno agli obblighi comunitari perché non aveva previsto nella normativa di recepimento l’obbligo di mettere a disposizione un attestato di certificazione energetica in caso di vendita o di locazione di un immobile.

L’Italia, infatti, aveva integrato nell’ordinamento interno la direttiva attraverso il Dlg 192/2005 nonché il decreto ministeriale “Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici”, del 26 giugno 2009. Tali atti, però, sono stati considerati dall’Ue incompleti.

La direttiva sul rendimento energetico dell’edilizia stabiliva che gli Stati membri provvedano affinchè l’attestato di certificazione energetica sia messo a disposizione del proprietario o che questi lo metta a disposizione del futuro acquirente o locatario.

L’attestato comprende dati di riferimento che consentono ai consumatori di valutare e raffrontare il rendimento energetico dell’edificio ed è corredato da raccomandazioni per il miglioramento del rendimento energetico in termini di costi – benefici. La certificazione , le raccomandazioni che la corredano, l’ispezione delle caldaie e dei sistemi di condizionamento d’aria devono essere effettuate in maniera indipendente da esperti qualificati e/o riconosciuti.

Gli stati dovevano conformarsi alla direttiva entro il 4 gennaio 2006. L’Italia invece aveva previsto una deroga all’obbligo di consegnare un attestato relativo al rendimento energetico, in caso di locazione di un immobile ancora privo dello stesso al momento della firma del contratto: cosa che non rispettava la direttiva, la quale non prevedeva una deroga simile; così come non la rispettava il sistema di autodichiarazione da parte del proprietario per gli edifici aventi un rendimento energetico assai basso (altro elemento non previsto dalla direttiva).

In ogni modo, al momento della scadenza del termine impartito l’Italia non aveva adottato i provvedimenti necessarie per adattarsi alla disciplina.

Il provvedimento, nel senso voluto dalla Ue,  è stato emanato , ora,  con il  Decreto Legge 4.06.2013, n. 63 convertito, con modificazioni, nella Legge il 3 agosto 2013, n. 90, entrata in vigore il 4 agosto 2013, il quale  ha previsto una serie di disposizioni urgenti per il recepimento della direttiva  2010/31 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010 sulla prestazione energetica nell’edilizia. 

Il  suddetto DL ha, quindi, previsto una serie di modifiche per il Decreto del 2005. Ha sostituito, ad esempio, l’attestato di certificazione energetica (Ace) con l’attestazione di prestazione energetica (Ape), documento obbligatorio sia per le compravendite che per le locazioni. Il DL (convertito nella L. 3 agosto 2013, n. 90) ha, infatti, previsto all’art. 6, comma 3 bis, che: “L'attestato  di  prestazione energetica  deve   essere allegato al contratto di  vendita,  agli  atti  di  trasferimento  di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullita' degli stessi contratti”.

L’Italia, pertanto, con i suddetti provvedimenti di recepimento della Direttiva 2010/31 Ue, ha provveduto a sanare diverse procedure di infrazione che la Comunità Europea aveva avviato contro il nostro Paese per errati o incompleti recepimenti di Direttive. Procedure che nel giugno 2013 erano sfociate in una sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea, essenzialmente per la mancanza dell’obbligo di consegnare l’attestato energetico in caso di vendita o locazione di un immobile.

Infatti, le nostre norme precedenti a quelle summenzionate, pur prevedendo l’obbligo di indicare in contratto di aver ricevuto informazioni  e documentazione energetica sull’immobile, prevedevano una deroga per le locazioni se questa documentazione  mancasse al momento della firma del contratto. Non solo, ma in caso di edifici con rendimento energetico basso, il proprietario poteva ovviare all’obbligo consegnando un’autocertificazione di appartenenza alla classe energetica più bassa la “G”, previsioni queste , come già riferito non contenute nella direttiva europea.

Dal 6 giugno 2013 è quindi in vigore l’obbligo di allegare ai contratti di compravendita immobiliare e di locazione  (quelli nuovi) la nuova attestazione energetica denominata appunto Ape, pena come si è visto, la nullità dei contratti stessi.

Il DL ha inoltre previsto una serie di sanzioni in caso di mancato rispetto alla produzione dell’ Ape nei confronti di tutti i soggetti coinvolti: ossia il professionista qualificato che rilascia la relazione tecnica, il direttore dei lavori, il proprietario o il conduttore dell’unità immobiliare, l’amministratore di condominio, l’operatore incaricato del controllo e manutenzione, il costruttore e il responsabile dell’annuncio immobiliare (si veda al riguardo l’art. 12 allegato al presente articolo).

Lo scopo di questa  attestazione è quello di dare ai futuri abitanti della casa un’informazione immediata su quanto consuma, sotto l’aspetto energetico, il bene che stanno per acquistare o affittare. L’indicazione è racchiusa in un documento che dal 6 giugno 2013 si chiama appunto (Ape – Attestato di prestazione energetica) e che deve essere prodotto per tutte le nuove costruzioni o in caso di ristrutturazione di un immobile, di vendita, di locazione e persino di cessione a titolo gratuito. La pena, come si è detto, è una serie di sanzioni, ma soprattutto la nullità del contratto di trasferimento.

Il quadro sulla certificazione energetica in Italia, pertanto, è stato così ridisegnato dalla suddetta Legge 90/2013, che è entrata in vigore il 4 agosto 2013 e che ha convertito il DL 63/2013 di inizio giugno. Con questo provvedimento, quindi, si sono integrati i contenuti del Dlgs 192/2005 (il testo base  nel nostro Paese sul rendimento energetico).

L’Ape , che sostituisce il vecchio Ace (Attestato di certificazione energetica), è un documento che attesta la prestazione energetica di un edificio e fornisce raccomandazioni per il miglioramento dell’efficienza energetica. A sua volta , la prestazione energetica dipende dalla quantità annua di energia effettivamente  consumata o che si prevede necessaria per soddisfare, con un uso standard dell’immobile, i vari bisogni energetici dell’edificio. Vale a dire: la climatizzazione invernale ed estiva, la preparazione dell’acqua calda per usi igienici e sanitari, la ventilazione e , per il settore terziario, l’illuminazione, gli impianti ascensori e scale mobili.

Difficile è quantificare da subito il costo del nuovo documento che, è più complesso del vecchio Ace, il quale, in linea di massima , si aggirava dai 250 ai mille euro a seconda  anche delle dimensioni della casa.

In  base alla prestazione raggiunta, l’unità immobiliare viene anche classificata in una scala da A a G. L’attestato riporta, dunque, anche la classe energetica; i requisiti minimi di efficienza energetica vigenti; le raccomandazioni per migliorare la performance, separando la previsione di interventi di ristrutturazione importanti da quelli di riqualificazione energetica.

La classificazione  deve essere rilasciata da esperti qualificati e indipendenti, in possesso di iscrizione all’Ordine  o Collegio e dei requisiti di formazione ed esperienza fissati dal Dpr 75/2013. La classificazione sarà valida per dieci anni, a meno che nel frattempo l’immobile non venga sottoposto a una riqualificazione tale da cambiare i consumi (per esempio, con la sostituzione degli infissi) o che non vengano eseguiti i controlli dei sistemi tecnici, in primis sugli impianti termici, fissati dalla legge.

Il decreto in parola  ha previsto un regime di transizione: fino all’emanazione dei decreti ministeriali che fissano i criteri di calcolo dei nuovi parametri tecnici a cui rifarsi (emanazione che dovrebbe avvenire entro gennaio 2014). Per ora si può redigere il documento riferendosi alle precedenti istruzioni tecniche inclusa nella  vecchia certificazione Ace. L’Ape sostituisce l’Ace, anche se , in attesa dei regolamenti attuativi, il calcolo rimane lo stesso. Peraltro, non sono da sottovalutare le sanzioni, che possono arrivare fino a 18 mila euro, affidate agli enti locali, Regioni e Comuni.

Alcune associazioni hanno gridato contro il provvedimento, dimenticando che l’Ace (Attestato di certificazione energetica) è in vigore dal primo di gennaio 2011 (quindi da oltre 3 anni), con l’obbligo di elaborazione ed allegazione agli atti di compravendita ed agli affitti del certificato stesso. E’ bene ricordare, però che, nonostante l’obbligo di legge, i controlli e quindi le sanzioni venivano  erogate in alcune Regioni d’Italia, mentre in altre il lassismo normativo era stato totale.

Oggi, con la norma in vigore dal 5 agosto l’attestazione  di prestazione energetica (Ape) si è scontrata con la realtà, la mancanza di norme che dettino criteri per poter ottenerla. La Confedilizia ha dovuto imporre , quindi, alle proprie associazioni territoriali il blocco immediato della stipula dei contratti di locazione sia abitativa, sia ad uso diverso.

Anche i notai hanno fatto presente come in questo momento possa essere rischioso stipulare un contratto di compravendita a causa  dell’incertezza che regna sulla materia. Nel caso dell’Ape, infatti, la norma  prevede l’obbligo di allegazione  dell’attestazione a pena di nullità assoluta dei contratti di locazione e compravendita senza che però esista l’apposito decreto interministeriale che spieghi  come ottenerla.

Dal Governo, inoltre, non è  arrivata alcuna indicazione circa i tempi per i decreti attuativi.

In base alla circolare del ministero dello sviluppo economico del 25 giugno 2013 il nuovo attestato non può, infatti, essere predisposto prima dell’emanazione del previsto decreto interministeriale avente ad oggetto l’adeguamento del precedente provvedimento sulla documentazione energetica e la fissazione  dei criteri e dei contenuti obbligatori dell’Ape.

La conseguenza diretta di questa situazione è che ad oggi chiunque si accinga a stipulare un contratto di compravendita o locazione non ha alcun tipo di via d’uscita. Incorre, infatti, in una nullità assoluta sia che alleghi solo l’Ace, sia che non alleghi nulla.

Se da un lato, è stata più volte espressa la volontà politica di rimediare alla stortura normativa introdotta alla Camera durante i lavori sul decreto energia, ora legge 90/2013, dall’altro lato va rilevato che permane una notevole incertezza normativa per gli operatori economici e per i cittadini che devono stipulare contratti di locazione o di compravendita di immobili.

avv. Gianmartino Fontana

 D.L. 63 del 2013

Il Comune non può revocare un piano attuativo senza comparare l’interesse pubblico con quello dei privati al suo mantenimento

09 Set 2013
9 Settembre 2013

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 1089 del 2013.

Scrive il TAR: "3. Nel merito, risulta fondato il primo motivo di ricorso, laddove si è contestata la violazione delle norme e dei principi che disciplinano l’istituto della revoca degli atti amministrativi.
3.1. Infatti, anche se in linea di principio non sussistono ragioni ostative alla possibilità di revoca di un piano attuativo da parte del Comune, rimanendo pur sempre l’Amministrazione arbitra della destinazione urbanistica da imprimere alle aree comprese nel territorio comunale, tuttavia, l’esercizio di tale potere di revoca, proprio per il suo particolare oggetto, dovrà tener conto dell’efficacia decennale del piano attuativo e dell’affidamento dei proprietari delle aree sulla possibilità di realizzare le opere ivi contemplate fino alla compiuta scadenza dello stesso.
Conseguentemente, nel caso specifico, la verifica dell’esistenza dei presupposti per l’esercizio del potere di revoca non può prescindere dalla considerazione di tali elementi. Non potendosi, peraltro dubitare dell’esistenza di una posizione qualificata e differenziata maturata dai privati proprietari a seguito dell’approvazione del piano attuativo, vantando essi un’ aspettativa, assistita da uno specifico affidamento, alla realizzazione dell’operazione di riqualificazione prevista dal piano particolareggiato, comprensiva dell’assegnazione di nuove potenzialità edificatorie dei suoli, ed alla corrispondente cura dell’ Amministrazione a non compromettere quell’interesse senza la sua ponderazione insieme con l’ interesse pubblico. Ebbene, nel caso di specie, nella motivazione della delibera di revoca impugnata è totalmente assente la considerazione degli interessi dei privati proprietari e dunque il momento di comparazione degli interessi implicati dalla scelta operata dalla P.A. . Ciò costituisce un primo motivo di illegittimità della delibera di revoca.
3.2. In secondo luogo, va osservato che, ai sensi dell’art. 21 quinquies L. 241/1990, la revoca di un atto amministrativo può essere disposta nel caso di sopravvenienze (mutamento della situazione di fatto ovvero sopravvenuti motivi di interesse pubblico) ed in caso di diversa valutazione dell’interesse pubblico originario (ius poenitendi, che comporta una riconsiderazione dell’originaria situazione di fatto). In sostanza, la ratio di tale istituto è l’incompatibilità fra il perdurare degli effetti di un provvedimento già adottato ed interessi ritenuti dalla P.A. preminenti. Inoltre, va osservato che, costituendo la revoca espressione dell’esercizio di un potere di amministrazione attiva, essa deve essere assistita dalla necessità di cura di un interesse pubblico concreto ed attuale. Per tale ragione, la giurisprudenza costante richiede, ai fini della legittimità dei provvedimenti in discorso, l’attualità dell’interesse pubblico alla rimozione degli effetti dell’atto originario. Ciò premesso, nel caso in esame, la delibera di revoca impugnata si basa, in sostanza, sulle seguenti considerazioni: a) la sopravvenuta incompatibilità del rilevante volume edificabile previsto con l’attuale andamento del mercato immobiliare nel periodo di crisi economica; b) la negativa incidenza di tale nuova cubatura sulle caratteristiche del borgo medievale di Portobuffolè; c) la necessità di riconsiderare urbanisticamente l’ambito in oggetto in funzione delle linee di sviluppo che verranno stabilite in sede di redazione del P.A.T.I. . Ebbene, è evidente che tali generiche indicazioni non sono sufficienti ad integrare quegli interessi pubblici concreti ed attuali che possono legittimare la rimozione del piano attuativo. Né il riferimento alla crisi economica generale, che riguarda l’intero Paese, che può al massimo incidere sugli interessi economici dei proprietari interessati al Piano, e che, di per sé, non impedisce la possibilità del verificarsi di condizioni favorevoli per l’attuazione del Piano entro il suo periodo decennale di efficacia. Né l’esigenza di conservare le caratteristiche tipiche del borgo medievale, trattandosi di una considerazione generica, ed assumendo in tal caso la scelta della revoca le caratteristiche di un semplice ripensamento, nella fattispecie incompatibile con l’efficacia predeterminata del piano attuativo (che altrimenti verrebbe privata di ogni vincolatività). Infine, il terzo elemento indicato nella motivazione rivela piuttosto come non vi sia attualmente, non solo alcuna sopravvenuta incompatibilità del Piano attuativo con la pianificazione di livello superiore, ma nemmeno alcun sopravvenuto motivo di pubblico interesse, essendo stato operato un generico richiamo alle diverse valutazioni che potrebbero essere compiute dal P.A.T.I. ancora “in fase di studio”. Pertanto, le indicazioni contenute nell’atto gravato, lungi dal concretizzare la motivazione necessaria, evidenziano la carenza dell’elemento strutturale del provvedimento di revoca, ossia l’indicazione dell’attualità dell’interesse alla rimozione.
4. Conclusivamente, senza intaccare i profili del merito amministrativo, la motivazione della delibera di revoca appare oggettivamente carente sotto plurimi profili".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1089 del 2013

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