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Questione n. 1 sul P.A.I. Isonzo-Bacchiglione: nel mio Comune trovo una zona P1, quali interventi si possono autorizzare?

15 Mar 2013
15 Marzo 2013

Le zone P1 (del PAI dall'Isonzo al Bacchiglione) sono quelle zone in cui la PERICOLOSITA’ (intesa come la probabilità che un fenomeno di una data intensità si verifichi entro un determinato periodo di tempo e in una data area di potenziale danno) è MODERATA. Ad esse corrisponde, solitamente (salva una diversa valutazione dei Piani Comunali o Provinciali in ordine a specifici eventi calamitosi), una classe del RISCHIO moderato, ovvero R1.

Le zone P1, erano già state individuate dall’Autorità di Bacino dei Fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione nel 2004 ma, dato il loro livello di rischio moderato, non erano state assoggettate a misure di salvaguardia. Quest’ultime rappresentano lo strumento chiave di prevenzione sia dove il rischio è accertato, perché consentono di prevenire un ulteriore aggravio delle condizioni, sia laddove il rischio non sia ancora manifesto, perché ne impediscono l'insorgere. In tale accezione le misure di salvaguardia rappresentano un reale strumento per coniugare sviluppo socio-economico e sicurezza della popolazione e dei beni.

In tale situazione nelle attuali zone P1 trovano, quindi, applicazione le norme di attuazione approvate dall’Autorità di Bacino di cui sopra in data 9 novembre 2012 ed in vigore, dopo un breve periodo per la pubblicazione, dal 1 dicembre 2012.

All‘art.8, comma 2 delle Norme di Attuazione si legge: “Possono essere portati a termine tutti i piani e gli interventi i cui provvedimenti di approvazione, autorizzazione, concessione, permessi di costruire od equivalenti previsti dalle norme vigenti, siano stati rilasciati prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’avvenuta adozione del presente Piano, fatti salvi gli effetti delle misure i salvaguardia precedentemente in vigore”. Sul punto occorrono due precisazioni:

1-      Il P.A.I. è stato adottato con la delibera del comitato istituzionale del 9 novembre 2012 e è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.280 del 30 novembre 2012;

2-      Per quanto concerne quel “fatti salvi gli effetti delle misure di salvaguardia..” è importante ricordare quanto scritto in premessa e cioè che tali misure sono state adottate solo per le zone ad elevata e molto elevata pericolosità come le zone P3 e P4.

Proseguendo nella lettura dell’art. 8, comma 3, si elencano tutti gli interventi che sono vietati nelle zone pericolose (quindi P1; P2; P3; P4) e nelle zone di attenzione (ad eccezione degli interventi di mitigazione della pericolosità del rischio, di tutela della pubblica incolumità e di quelli previsti dal Piano di Bacino). Essi sono:

“a) eseguire scavi o abbassamenti del Piano di campagna in grado di compromettere la stabilità delle fondazioni degli argini, ovvero dei versanti soggetti a fenomeni franosi;

b) realizzare tombinature dei corsi d’acqua;

c) realizzare interventi che favoriscano l’infiltrazione delle acque nelle aree franose;

d) costruire, indurre e formare vie preferenziali di veicolazione di portate solide o liquide;

e) realizzare in presenza di fenomeni di colamento rapido (CR) interventi che incrementino la vulnerabilità della struttura, quali aperture sul lato esposto al flusso;

f) realizzare locali interrati o seminterrati nelle aree a pericolosità idraulica o da colamento rapido”.

Tutti gli altri interventi, come si legge all’art. 12 delle NdA, sono lasciati alla discrezionalità dell’Amministrazione la quale dovrà gestire la pianificazione urbanistica e territoriale (disciplinante l’uso del territorio, i mutamenti di destinazione d’uso, la realizzazione di nuove infrastrutture e gli interventi sul patrimonio edilizio esistente), nel rispetto dei criteri e delle indicazioni generali del P.A.I., conformandosi allo stesso. Le zone P1 sono indicate nella cartografia del P.A.I. con il colore verde. In un'altra nota vedremo cosa sono le zone di attenzione.

dott.sa Giada Scuccato

Come garantire il diritto di accesso ai documenti amministrativi? No a modalità alternative al rilascio di copia degli atti

15 Mar 2013
15 Marzo 2013

Come garantire il diritto di accesso ai documenti amministrativi?

Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 04 marzo 2013 n. 334, si occupa del diritto di accesso ai documenti amministrativi regolato dagli artt. 22 e ss, l. 241/1990 prevedendo che: “E’ ormai principio pacifico che il diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui all'art. 22, legge 7 agosto 1990, n. 241, trova applicazione in ogni tipologia di attività della pubblica amministrazione, essendo posto a garanzia della trasparenza ed imparzialità.

La legittimazione all'accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell'accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all'impugnativa dell'atto (Consiglio di Stato, Sezione VI, 9 marzo 2011, n. 1492).

Con la legge 11 febbraio 2005 n. 15, che ha apportato modifiche alla legge 7 agosto 1990, n. 241, si è precisato che è “interessato” all’accesso il soggetto che, oltre ad avere un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, è anche titolare di una posizione che deve essere collegata al documento al quale è chiesto l'accesso (cfr. art. 22, comma 1, lett. b della legge n. 241 del 1990), ed a tale previsione si correla l’inammissibilità di istanze che, prive di tali requisiti, siano preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.

 Con riferimento alle modalità che l’Amministrazione deve seguire per garantire il diritto d’accesso ai documenti amministrativi il T.A.R. Veneto chiarisce che: “Parimenti fondata è anche la censura contenuta nel quarto motivo, perché l’Amministrazione non è libera di scegliere essa stessa le modalità di esecuzione con le quali soddisfare il diritto di accesso, ed è pertanto tenuta a rilasciare copia degli atti, ove a ciò sia stata richiesta, senza avvalersi di modalità alternative di conoscenza del loro contenuto, inidonee a soddisfare integralmente l’interesse azionato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 25 maggio 2012, n. 3079)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 334 del 2013

Beni Culturali: linee guida su sponsorizzazione mediante affissione di messaggi promozionali sui ponteggi e sulle altre strutture provvisorie di cantiere.‏

15 Mar 2013
15 Marzo 2013

Sulla GU n.60 del 12-3-2013 è stato pubblicato il il decreto del 19 dicembre 2012 del Ministero per i Beni e le Attvità Culturali, recante "Approvazione delle  norme  tecniche  e  linee  guida  in  materia  di   sponsorizzazioni di beni culturali  e  di  fattispecie  analoghe  o   collegate".

L'articolo 1 del decreto stabilisce che: "1.  Ai  sensi  e  per  gli  effetti  dell'art.  61,  comma  1,  del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante «Disposizioni urgenti in materia  di  semplificazione  e   di   sviluppo»,   convertito,   con modificazioni, dalla  legge  4  aprile  2012,  n.  35,  e'  approvato l'Allegato A al presente decreto,  recante  norme  tecniche  e  linee guida applicative delle disposizioni contenute nell'art. 199-bis  del decreto legislativo  12  aprile  2006,  n.  163,  nonche'  di  quelle contenute nell'art. 120 del decreto legislativo 22 gennaio  2004,  n. 42, e successive modificazioni, anche in funzione di coordinamento rispetto a fattispecie analoghe o collegate di partecipazione di privati al finanziamento o alla realizzazione degli interventi conservativi sui beni culturali, in partciolare mediante l'affisione di messaggi promozionali sui ponteggi e sulle altre strutture provvisorie di cantiere e la vendita o concessione dei relativi spazi pubblicitari". 

Linee guida sponsorizzazione beni culturali

Reiterazione dei vincoli urbanistici espropriativi: il Consiglio di Stato precisa le condizioni (anche in caso di variante generale al PRG)

14 Mar 2013
14 Marzo 2013

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1465 del 2013, precisa le condizioni di legittimità per la reiterazione dei vincoli urbanistici espropriativi.

Scrive il Consiglio di Stato: "La giurisprudenza più recente, anche a seguito del decisivo impulso fornito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (con particolare riguardo alla sentenza n. 179 del 1999, che ha affermato il principio secondo cui la reiterazione dei vincoli di piano regolatore a contenuto espropriativo scaduti deve essere accompagnata dalla previsione di un indennizzo), afferma con notevole decisione il principio per cui la legittimità della reiterazione non può prescindere dal positivo riscontro di una duplice condizione:

1. per un verso, si afferma che "l'accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell'indennità di espropriazione è condizione di legittimità del provvedimento di reiterazione dei vincoli scaduti ai sensi dell'art. 2 l. n. 1187 del 1968, sebbene puntualmente motivato e giustificato da un evidente interesse pubblico." (Consiglio Stato, sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4019);

2. per altro verso, si sottolinea come la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti (oggi rientrante nella previsione di cui all'art. 9 d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327) non può disporsi senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze, pubbliche e private, in quanto l'amministrazione nel reiterare i vincoli scaduti, è tenuta ad accertare che l'interesse pubblico sia ancora attuale e non possa essere soddisfatto con soluzioni alternative e deve indicare le concrete iniziative assunte o di prossima attuazione per soddisfarlo, nonché disporre l'accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell'indennità di espropriazione, per cui “l'obbligo di motivazione in materia di reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti sussiste anche quando la reiterazione del vincolo sia disposta in occasione dell'adozione di variante generale al p.r.g.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 maggio 2000, n. 2706; in termini Consiglio di Stato, sez. IV, 7 giugno 2012 n. 3365)".

sentenza CDS 1465 del 2013

Il precedente penale non determina l’automatica esclusione dalla gara

14 Mar 2013
14 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 06 marzo 2013 n. 349, afferma che la mancanza del requisito della moralità professionale previsto dall’art. 38, c. 1, lett. c), D. Lgs. 163/2006 – secondo cui: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: (…) c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l'esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima”, non determina ex se l’esclusione automatica dalla gara – nella fattispecie si trattava dell’affidamento di un accordo quadro ex art. 59 D. Lgs. 163/2006 aggiudicato ad un ATI condannata per un reato ambientale – poiché l’“esistenza di un precedente penale non comporta automaticamente un giudizio negativo sulla moralità professionale del concorrente aspirante aggiudicatario di un appalto pubblico (dovendo valutarsi alla stregua della sua rilevanza con l’oggetto della gara, dell’entità della pena, del tempo trascorso dalla commissione del fatto, etc.), sul punto va osservato, in conformità ai principi generali sulla motivazione dei provvedimenti ampliativi, che l'Amministrazione, qualora ritenga il precedente penale dichiarato dal concorrente non incisivo della sua moralità professionale, non è tenuta ed esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto suo convincimento, potendo la motivazione di non gravità del reato risultare anche implicitamente o per “facta concludentia”, ossia attraverso l'ammissione alla gara dell'impresa stessa, a differenza della valutazione di gravità che, avendo efficacia escludente, richiede l'assolvimento di un particolare onere motivazionale (cfr. CdS, V, 30-06-2011 n. 3924; III, 11-03-2011 n. 1583; e, da ultimo, TAR Lecce III, 13-11-2012 n. 1871; TAR Roma, III ter, 25-05-2012 n. 4740; TAR Torino, I, 26-01-2012 n. 124)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 349 del 2013

La comunicazione di avvio del procedimento è richiesta come regola generale in tutti i procedimenti espropriativi

14 Mar 2013
14 Marzo 2013

Della questione si occupa la sentenza del TAR Veneto n. 211 del 2013.

Scrive il TAR: "Al riguardo va richiamato l’orientamento costante secondo il quale la comunicazione dell'avvio del procedimento costituisce una regola applicabile alla generalità dei procedimenti amministrativi, ivi compresi quelli a carattere autonomo attinenti alla dichiarazione di pubblica utilità dell'opera , sia esplicita che implicita ( cfr C.d.S., IV, 20/12/2005 n.1552; Cons Stato Ad. Pl. 15/9/ 1999 n.14 ). In particolare, l'approvazione del progetto di un'opera pubblica che valga come dichiarazione implicita di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza a mente dell'art.1 della legge n.1 del 3 gennaio 1978 ( come nel caso di specie) deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, in quanto l'art.7 della legge n.241/90 è applicabile come regola generale a tutti i procedimenti espropriativi ( cfr Cons Stato Ad.Pl. 24/1/2000 n.2. idem Ad. Pl. n.14/99 già citata. TSAP 1/10/2002 n.120 ). La ratio di un siffatto principio risiede nel fatto che in ipotesi di approvazione di progetti di opere pubbliche, ove si escluda la partecipazione del privato alle determinazioni relative alle scelte progettuali discrezionali, il proprietario espropriando verrebbe formalmente reso edotto di detta approvazione soltanto al momento dello spossessamento del bene, impedendosi quindi l'apporto di opportuni elementi di valutazione da parte degli interessati".

sentenza TAR Veneto 211 del 2013

Il P.I. del comune di Vicenza

13 Mar 2013
13 Marzo 2013

Il giorno 8 marzo 2013 il Comune di Vicenza ha pubblicato il Piano degli interventi approvato il 7 febbraio 2013 con D.C.C. n. 10
Al seguente link è possibile scaricare gli elaborati del Piano degli Interventi.

http://www.vicenzaforumcenter.it/news/pagina246.html

Il diniego di condono ex art. 35 della L. n. 47/85 non richiede il parere della commissione edilizia

13 Mar 2013
13 Marzo 2013

Della questione si occupa la sentenza del TAR Veneto n. 213 del 2013.

Scrive il TAR: "Deve essere rigettato il primo e il secondo motivo, mediante i quali parte ricorrente rileva la violazione dell’art. 35 della L. n. 47/85 e, ciò, contestualmente al venire in essere di un’errata interpretazione dell’art. 338 del RD n.1265/1934 nella parte in cui il Comune, nel procedimento
di diniego, non aveva proceduto ad acquisire il parere della Commissione edilizia. Sul punto non solo va rilevato come l’art. 35 sopra citato non preveda la necessità del parere di cui si tratta, norma quest’ultima che deve essere interpretata contestualmente all’art. 33 della L. n. 47/1985 nella parte in cui disciplina il divieto di emanare una concessione in sanatoria nelle aree soggette a inedificabilità assoluta.
1.1 Sul punto l’Amministrazione resistente ha correttamente evidenziato l’applicabilità al caso di specie (argomentazione non smentita dalla ricorrente) della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 30/07/1985 n. 3357/25 laddove precisa che il rilascio della concessione deve considerarsi completamente definito dal comma 9 dell’art. 35, nel senso che il Sindaco non è tenuto a sottoporre la domanda agli organi  consultivi, ed in particolare alla Commissione edilizia.
1.2 E’, inoltre, del tutto evidente come, con riferimento a dette aree, il parere della Commissione edilizia sarebbe stato del tutto superfluo ai fini del diniego del provvedimento di sanatoria, in quanto la stessa Commissione non avrebbe potuto far altro che verificare come l’area ricadesse in una zona di divieto assoluto di inedificabilità, quale è appunto l’area cimiteriale di cui si tratta. Il provvedimento impugnato contiene, infatti, sia il riferimento all’art. 33 della L. n. 47/1985 sia, ancora, all’art. 338 del RD del 27/07/1934 nr. 1265, nella parte in cui quest’ultimo ha imposto il vincolo di inedificabilità per un ampiezza pari a 200 metri, poi ridotta a 50 metri in conseguenza dell’entrata in vigore del successivo Piano Regolatore".

sentenza TAR Veneto 213 del 2013

La procedura negoziata senza bando con carattere d’urgenza si applica soltanto se l’urgenza non è imputabile all’Amministrazione

13 Mar 2013
13 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 06 marzo 2013 n. 350, si sofferma sulla procedura negoziata senza bando avente carattere d’urgenza, regolata dall’art. 57, c. 1 e c. 2, lett. c), D. Lgs. 163/2006 secondo cui: “1. Le stazioni appaltanti possono aggiudicare contratti pubblici mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara nelle ipotesi seguenti, dandone conto con adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre.

2. Nei contratti pubblici relativi a lavori, forniture, servizi, la procedura è consentita: (...)

c) nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”.

 Chiarito che tale procedura rappresenta una deroga al principio comunitario della pubblicità e della massima concorsualità delle gare pubbliche, poiché: “l’art. 57, II comma, lett. c) del DLgs n. 163/2006 consente il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara “nella misura strettamente necessaria, quando l’estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”” e che, di conseguenza, la “predetta norma – che rappresenta una deroga, nell'ambito degli appalti pubblici, alla procedura di evidenza pubblica (indispensabile presidio a garanzia del corretto dispiegarsi della libertà di concorrenza e della trasparenza dell'operato delle amministrazioni: cfr., ex pluribus, CdS, VI, 28.1.2011 n. 642) - può essere utilizzata, in funzione meramente strumentale all’espletamento di una gara pubblica e nella misura temporale strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti (e non da situazioni soggettive, contingibili, prevedibili e ad essa imputabili, qual è il ritardo nell’attivazione dei procedimenti), non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara”, il Collegio ritiene che “i presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità devono essere accertati con il massimo rigore e non sono suscettibili di interpretazione estensiva: in tale contesto, pertanto, deve ribadirsi che l'urgenza di provvedere non deve essere addebitabile in alcun modo all'Amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione, ovvero per sua inerzia o responsabilità; che, dunque, alla luce delle suesposte considerazioni si deve escludere che possa costituire legittima motivazione della determinazione di avvalersi della procedura negoziata quella dell’imminente (recte: nel caso di specie, contestuale) scadenza dei contratti in corso trattandosi, evidentemente, di evento palesemente prevedibile da parte della stazione appaltante, a cui, peraltro, vanno anche imputati i ritardi nell’attivazione della procedura concorsuale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 350 del 2013

Il diniego di assoggettabilità a V.I.A. è un atto impugnabile autonomamente?

12 Mar 2013
12 Marzo 2013

 Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 04 marzo 2013 n. 327, si occupa della procedura di screening ambientale prevista dall’art. 7, c. 2, l. r. Veneto 26.03.1999 n. 10, secondo cui: “Per le tipologie progettuali di cui all’allegato C4 il soggetto proponente richiede la verifica all’autorità competente al fine di stabilire se l’impatto sull’ambiente, in relazione alle caratteristiche del progetto, comporta la necessità dello svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale”.

Il caso in esame concerne il trasferimento di alcuni impianti produttivi che effettuano lavorazioni di zincatura a caldo, quindi di attività ricomprese nel punto 3, lett. c) dell’allegato C4, l. r. Veneto 10/1999 (applicazione di strati protettivi di metallo fuso con una capacità di trattamento superiore a 2,6 t/ora di acciaio grezzo), per le quali è necessaria la V.I.A. solamente se sia accertata la loro ubicazione in aree densamente abitate, soggette a vincoli paesaggistici o interessate dalla presenza di ecosistemi.

La Provincia di Vicenza, in seguito all’istanza di attivazione della procedura di screening richiesta dalla ditta, esclude la necessitò si svolgere la valutazione di impatto ambientale, negando la sussistenza di tale presupposti.

Il T.A.R. Veneto, in seguito al ricorso di un’Associazione Onlus che impugna tale provvedimento provinciale, ma non il provvedimento finale che autorizza il trasferimento dell’impianto, chiarisce che la decisione di sottoporre a V.I.A. un determinato progetto non è un atto endoprocedimentale (impugnabile soltanto unitamente al provvedimento finale), ma atto che va impugnato autonomamente, indipendentemente dall’eventuale impugnazione del provvedimento finale, poiché: “va affermata l’immediata ed autonoma impugnabilità del provvedimento che, nell’ambito della procedura di screening, decide sulla sottoposizione o meno di un determinato progetto alla valutazione di impatto ambientale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 137; id. 16 febbraio 2012, n. 265; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213), in quanto già da questa determinazione scaturiscono effetti potenzialmente lesivi dei valori ambientali.

Conseguentemente, stante lo stretto nesso procedimentale che si instaura tra la procedura di valutazione di impatto ambientale e l'atto finale, l’omessa impugnazione di quest’ultimo non determina alcuna preclusione all'ammissibilità, né rifluisce sulla procedibilità, del ricorso proposto contro il provvedimento che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, il quale, ove annullato, produce effetti caducanti e non solo vizianti dell’atto finale (in modo non dissimile a quanto accade in caso di impugnazione del piano regolatore dove vi è la facoltà ma non l’obbligo di impugnazione immediata del piano adottato o, un volta impugnato questo, di impugnare il piano approvato)”.   

Nella suddetta sentenza il T.A.R. Veneto cita un precedente conforme, ossia la sentenza emessa dalla medesima sezione III, il 5 febbraio 2013 n. 137, ove, però, si giunge a conclusioni opposte, ossia all’obbligo di impugnare solamente il provvedimento finale.

In tale vertenza l’Associazione Nazionale Legambiente Onlus impugnava il provvedimento provinciale di esclusione dalla V.I.A. di un impianto per la realizzazione di calcestruzzo, con materiali inerti e rifiuti non pericolosi, all’interno di una cava di rilevante interesse paesistico ambientale, assieme alla determinazione provinciale di approvazione ed autorizzazione finale del progetto.

 Premesso ciò, il Collegio ritiene che il ricorrente abbia solamente la facoltà - e non un obbligo – di impugnare il diniego provinciale di assoggettabilità a V.I.A., in quanto l’obbligo di impugnazione concerne solamente il provvedimento finale di autorizzazione: “Il Collegio non ignora che in alcune pronunce è stata affermata l’immediata ed autonoma impugnabilità del provvedimento che, nell’ambito della procedura di screening, decide sulla sottoposizione o meno di un determinato progetto alla valutazione di impatto ambientale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 16 febbraio 2012, n. 265; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213), ma ritiene di dover puntualizzare che l’impugnazione del provvedimento di esclusione dalla sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale, costituisce una facoltà e non un onere per la parte ricorrente, in quanto è vero che già da questa determinazione scaturiscono effetti potenzialmente lesivi dei valori ambientali, ma va tuttavia considerato che solo l’approvazione del progetto ha carattere costitutivo degli effetti connessi alla sua realizzazione.

Ad una tale conclusione conduce l’art. 29, comma 1, del Dlgs. n. 152 del 2006, il quale prevede che “la valutazione di impatto ambientale costituisce, per i progetti di opere ed interventi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, presupposto o parte integrante del procedimento di autorizzazione o approvazione. I provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”.

Conseguentemente, stante il rapporto di necessario collegamento espressamente sancito a livello normativo tra i diversi atti che compongono l'atto finale, l'omessa tempestiva impugnazione del provvedimento che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, non determina alcuna preclusione all'ammissibilità, né rifluisce sulla procedibilità, del ricorso proposto contro la delibera di approvazione ed autorizzazione del progetto, e può costituire oggetto di censura al momento dell’impugnazione dell’atto costitutivo degli effetti finali della procedura (in modo non dissimile a quanto accade in caso di impugnazione del piano regolatore dove vi è la facoltà ma non l’obbligo di impugnazione immediata del piano adottato)”.

Che sia sta la Certezza del Diritto a pronunciare la  famosa frase: "il mio regno non è di questo mondo"?

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 327 del 2013

TAR Veneto 137 del 2013

 

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