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A proposito dei parcheggi di cui si è parlato nel convegno di Venetoius del 15 febbraio a Torri di Quartesolo

28 Feb 2013
28 Febbraio 2013

In margine all’intervento di venerdì 15 febbraio 2013 al convegno di Torri di Quartesolo dell’avv. Zago propongo alla discussione alcune sintetiche considerazioni in merito ai parcheggi da realizzarsi in occasione della realizzazione di interventi edilizi, che in parte si discostano da quanto proposto in quella sede, in particolare in merito all’esistenza di uno specifico genere di parcheggi “commerciali” e conseguentemente sulla possibilità o meno di computare i parcheggi c.d. “privati” al fine del loro reperimento. Le fonti normative relative all’obbligo di reperimento dei parcheggi sono costituite per i parcheggi c.d. “privati” dall'art. 18 della legge n. 765 del 1967 (che ha introdotto l’art. 41 sexies, della legge n. 1150 del 1942) secondo cui nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse dovevano essere riservati appositi spazi per parcheggi in ragione di 1 mq ogni 20 mc di edificato, rapporto poi divenuto di 1 mq ogni 10 mc con la L. 122/89 c.d. “Tognoli”. L’obbligo di reperimento dei c.d. parcheggi “standard” deriva invece dall’art. 17 della stessa legge 765/’67 secondo cui “In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati (…) rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde, pubblico o a parcheggi.” Quest’ultima norma ha trovato attuazione mediante il DM 1444/68 che, per quanto riguarda gli insediamenti commerciali, stabilisce, all’art. 5 punto 2) agli insediamenti commerciali e gli spazi pubblici destinati verde pubblico o a parcheggi.
Il testo della norma prevede che:” nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq. di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di 80 mq. di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all'art. 18 della legge n. 765)”.  Successivamente alla delega della materia urbanistica, le Regioni sono intervenute con proprie normative a disciplinare quantità e modalità di reperimento dello standard urbanistico. Per quanto qui di interesse, l’art. 25 della LR 61/85 (cui faceva riferimento la LR 15/2004, pur se emanata successivamente alla LR 11/2004) prevedeva al comma 9 la disciplina dei parcheggi c.d. “privati” e al comma 10 i rapporti di dimensionamento di cui all’art. 5 del DM 1444/68. La stessa norma precisa che “il conseguimento dei rapporti di dimensionamento è assicurato mediante cessione di aree o vincolo di destinazione” e che “per gli insediamenti turistici e commerciali i rapporti relativi ai parcheggi possono essere conseguiti, entro il limite del 50% anche mediante vincolo di destinazione di aree private”.
L’art. 16 della L.R. 15/2004 che stabilisce “vincoli di natura urbanistica e standard” in relazione agli insediamenti comme rciali, fa espresso riferimento, nel comma 1, all’art. 25 comma 10 della L.R. 61/85 (e pertanto ai rapporti di dimensionamento di cui all’art. 5 del DM 1444/68, aggiuntivi rispetto ai parcheggi privati) .
Tale espresso riferimento al comma 10 dell’art. 25 è invece mancante nel comma 2 dell’art. 16 della LR 15, laddove si stabilisce l’obbligo er il soggetto interessato del reperimento di aree a servizi per una superficie minima (differenziata a seconda del tipo di struttura e alla categoria merceologica) qualora si debbano insediare o debbano essere ampliate in ZTO diverse dai centri storici grandi o medie strutture di vendita. Tuttavia a favore del fatto che anche le aree previste all’art. 16 comma 2 siano aree reperite in applicazione dell’art. 5 del DM (e che conseguentemente abbiano natura  “aggiuntiva” rispetto ai parcheggi ex art. 18 della legge 765/67), depongono a mio avviso:
- la definizione di “aree a servizi” (mentre l’art. 18 della L. 765 riguarda solo gli spazi per i parcheggi);
- il richiamo ai commi 12 e 13 della LR 61/85;
- la disposizione del comma 5 secondo cui nelle le zone di espansione e di ristrutturazione urbanistica le aree di cui al comma 2 devono essere reperite in sede di strumento attuativo.
In conclusione, in forza della normativa statale e regionale sugli standard, le aree a servizi di cui al comma 2 dell’art. 16 - in quanto declinazione in ambito regionale della previsione di cui all’art. 5 del DM 1444/85 – avrebbero pertanto natura aggiuntiva rispetto ai parcheggi di cui all’art. 18 della legge Ponte.
Altra questione rispetto alle quantità da reperire risulta invece quella relativa alle modalità per il conseguimento delle dotazione degli spazi pubblici. Infatti la possibilità prevista dalle diverse norme di reperire le aree mediante vincoli meramente funzionali e/o di destinazione (e mantenendo pertanto la proprietà privata delle aree a standard) non muta la natura e il presupposto normativo in base al quale le stesse devono essere reperite e pertanto il carattere aggiuntivo delle une rispetto alle altre (art. 17 – anziché 18 – della L 765/’68). L’art 25 della LR 61/85 (peraltro espressamente richiamato
sul punto dall’art. 16 comma 6 della LR 15/04) prevedeva in via generale la cessione o il vincolo di destinazione (all’uso pubblico). Per gli insediamenti turistici e commerciali consentiva altresì il conseguimento dei rapporti relativi ai parcheggi, entro il limite del 50%, anche mediante vincolo di destinazione di aree private. Successivamente l’art. 31 della LR 11/2004 ha rimosso il limite del 50%, prevedendo più genericamente che “il conseguimento degli standard può essere in parte assicurato mediante forme di convenzionamento con aree di proprietà privata”.
Quanto alla debenza del contributo di costruzione in relazione alla costruzione di parcheggi interrati di immobili commerciali è stata recentemente affrontata dal TAR Veneto che con sentenza 191/2011 ha escluso dall’obbligo di versamento degli oneri le sole opere cedute al Comune. Gli oneri sono invece dovuti in tutti i casi in cui i parcheggi, pur costituendo pertinenza urbanistica e concorrendo al soddisfacimento del fabbisogno di standard correlati all’edificazione commerciale e direzionale, non siano ceduti al Comune.
Avv. Marta Tognon

Il diniego del condono edilizio non richiede il preventivo parere della commissione edilizia

28 Feb 2013
28 Febbraio 2013

Lo decide il TAR Veneto con la sentenza n. 213 del 2013.

Scrive il TAR: "Sul punto non solo va rilevato come l’art. 35 sopra citato non preveda la necessità del parere di cui si tratta, norma quest’ultima che deve essere interpretata contestualmente all’art. 33 della L. n. 47/1985 nella parte in cui disciplina il divieto di emanare una concessione in sanatoria nelle aree soggette a inedificabilità assoluta.
1.1 Sul punto l’Amministrazione resistente ha correttamente evidenziato l’applicabilità al caso di specie (argomentazione non smentita dalla ricorrente) della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 30/07/1985 n. 3357/25 laddove precisa che il rilascio della concessione deve considerarsi  completamente definito dal comma 9 dell’art. 35, nel senso che il Sindaco non è tenuto a sottoporre la domanda agli organi consultivi, ed in particolare alla Commissione edilizia".

sentenza TAR Veneto 213 del 2013

Non sempre e necessariamente un Comune ha interesse a ricorrere contro l’ampliamento di una cava

27 Feb 2013
27 Febbraio 2013

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto n. 216 del 2013.

Scrive il TAR: "ritiene il Collegio che il ricorso debba essere giudicato inammissibile per carenza d’interesse in capo al Comune di Vedelago. Infatti, il Comune ricorrente sostiene di avere interesse ad impugnare l’approvazione del progetto di ampliamento e di ricomposizione ambientale conseguita dalla Ceotto s.r.l., in ragione del pregiudizio ai valori ambientali e paesaggistici conseguente all’ampliamento della cava, che avrebbe così “raggiunto una dimensione straordinaria” nell’ambito del territorio comunale. Invero, tale pregiudizio ambientale – paesaggistico, fondante l’interesse al ricorso da parte del Comune, non risulta affatto dimostrato. Infatti, un identico ampliamento della cava “Casacorba”, pari a 700.000 mc. era stato già autorizzato nel 2001. In conseguenza di tale ampliamento la cava aveva raggiunto la dimensione di oltre 4.000.000 di mc. Pertanto, l’incidenza ambientale e paesaggistica dell’ultimo ampliamento di ulteriori 703.496 mc. è relativamente modesta, considerato anche il contesto paesaggistico interessato da tale intervento che, come si legge nel parere n. 223 del 14.01.2009 della Commissione Regionale V.I.A., allegato all’autorizzazione, “ non presenta particolari
elementi caratterizzanti da porre in evidenza, né ha particolare carattere scenico”, in quanto, “nelle vicinanze vi sono elettrodotti, altre cave, zone industriali, infrastrutture viarie… la valenza paesaggistica della zona si è, pertanto, decisamente degradata”. Inoltre, il progetto autorizzato prevede interventi di ricomposizione ambientale ai sensi dell’art. 44 L.n. 44/1982, valutati positivamente in termini di adeguatezza e congruità dalla medesima Commissione Regionale V.I.A. Pertanto, in assenza della dimostrazione di un concreto pregiudizio verificatosi in danno degli interessi rappresentati dal Comune per effetto del provvedimento impugnato, non può configurarsi un interesse al ricorso in capo a quest’ultimo".

sentenza TAR Veneto 216 del 2013

Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati all’articolo 266, comma 7, del D.lgs. n. 152/2006

27 Feb 2013
27 Febbraio 2013

Sul Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto n. 20 del 26 febbraio 2013 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 179 del giorno 11 febbraio 2013, recante "Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati all’articolo 266, comma 7, del D.lgs. n. 152/2006 e s.m.i. Riferimento Delibera n. 9/CR del 21.01.2013".

terre da scavo inferiori a 6000 mc

L’acquisizione sanante ex art. 42 bis, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, è atto discrezionale, che richiede la comunicazione di avvio del procedimento

26 Feb 2013
26 Febbraio 2013

Lo afferma la sentenza del TAR Veneto n. 125 del 2013.

Scrive il TAR: "In tema di acquisizione sanante, il provvedimento di cui all'art. 42 bis,D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, deve di regola essere preceduto dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, in relazione all'intrinseca e ben rilevante discrezionalità della determinazione che l'Amministrazione procedente deve assumere. Con riguardo al caso in esame, deve darsi atto sia della mancata prova dell'invio di siffatta comunicazione da parte dell’Anas s.p.a., sia del fatto che il provvedimento impugnato non reca l'indicazione di alcun presupposto di urgenza oggettiva che, in ipotesi, sussistendone i requisiti, avrebbe potuto legittimare l'omissione di tale rilevante adempimento di cui alla L. n. 241 del 1990 (artt. 7 e 8).  In particolare, la sentenza di questo T.A.R. n. 1006/12 ha assegnato all’A.N.A.S. un termine di novanta giorni entro il quale definire la sorte del bene appreso, optando fra le possibilità offerte dall’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001, ovvero, la restituzione del bene ai ricorrenti o l’acquisizione sanante dello stesso. Era tuttavia implicito che la seconda opzione avrebbe richiesto l’apertura di un autonomo procedimento con conseguente necessità di comunicarne l’avvio agli espropriandi, ponendoli così in condizione di rappresentare il loro punto di vista, sia sulla sussistenza o meno di un interesse pubblico, tale da giustificare l’emanazione dell’atto di acquisizione, sia sul valore dell’area in questione, sia sul danno patito in conseguenza dell’occupazione illegittima. In particolare, relativamente a ciò che ricade sotto la giurisdizione del tribunale amministrativo, solo in tale sede procedimentale gli odierni ricorrenti avrebbero potuto dimostrare di aver subito, come da essi rivendicato, un danno da occupazione illegittima maggiore rispetto a quello forfettariamente determinato dall’art. 42 bis e liquidato da parte dell’amministrazione. Sul piano processuale, poi, non può farsi applicazione del richiamato art. 21-octies della L. n. 241 del 1990 come invocato dalla difesa dell’ A.N.A.S; ed infatti, sulla base di tale disposizione è vero che il provvedimento non può essere annullato per vizi formali, ivi compresa la omessa comunicazione di avvio, qualora si dimostri che lo stesso non avrebbe potuto avere un diverso contenuto, ma tale regola diviene inapplicabile qualora venga in rilievo la natura discrezionale del provvedimento, quale è quello che dispone la cd. acquisizione sanante ex art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001. E ciò considerando, in particolare, gli indubbi riflessi sulla situazione giuridica soggettiva dei privati i quali avrebbero dovuto essere messi nelle condizioni di poter esercitare, senz'altro, la facoltà di partecipare al procedimento".

sentenza Tar Veneto 125 del 2013

Cosa pensa l’Agenzia delle Entrate dei diritti edificatori (cubatura)

26 Feb 2013
26 Febbraio 2013
Agenzia Entrate , circolare 15.02.2013 n° 1

4.2 I diritti edificatori

Domanda

I diritti edificatori (cubatura) previsti dall’articolo 5 del decreto legge n. 70 del 2011 ceduti autonomamente dal terreno o dal fabbricato sono assimilati agli immobili e, pertanto, rientrano nella fattispecie di cui all’articolo 67 del TUIR? In caso di risposta affermativa possono quindi essere oggetto di rivalutazione ai sensi del comma 473, articolo 1, legge n. 218/2012.

Risposta

I contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale sono trascrivibili, pertanto tali diritti godono del medesimo regime pubblicitario dei diritti reali su beni immobili.
Si ritiene, quindi, che ai fini della possibilità di usufruire della procedura di rideterminazione del valore dei beni, lo ius aedificandi possa essere considerato distintamente ed autonomamente rispetto al diritto di proprietà del terreno e che sia possibile provvedere alla rideterminazione del valore di tali diritti di cui il contribuente risulti titolare alla data del 1° gennaio 2013, facendo redigere apposita perizia giurata di stima entro il 30 giugno 2013 e versando entro la medesima data la relativa imposta sostitutiva dovuta ovvero la prima rata.

Illegittima costituzionalmente la legge toscana che disciplina gli orari degli esercizi commerciali

26 Feb 2013
26 Febbraio 2013

Lo ha stabilito la Corte Costizionale con la sentenza n. 27 del 2013: "L’art. 3, comma 1, del decreto-legge 14 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, nel dettare le regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale − al fine di garantire condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale – individua gli ambiti normativi per i quali espressamente esclude che lo svolgimento di attività commerciali, comprese quelle di somministrazione di alimenti e bevande, possa incontrare limiti e prescrizioni.

L’art. 35, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha aggiunto la lettera d-bis) al comma 1 del citato art. 3 del d.l. n. 223 del 2006, estendendo anche alla disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva degli esercizi commerciali l’elenco degli ambiti normativi per i quali è espressamente escluso che lo svolgimento di attività commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni, sia pure solo in via sperimentale e limitatamente agli esercizi ubicati nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte

L’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011 ha modificato la lettera d-bis) del comma 1 dell’art. 3 citato, eliminando dal testo della norma le parole «in via sperimentale» e dopo le parole «dell’esercizio» l’espressione «ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte», con il risultato che le attività commerciali non possono più incontrare limiti o prescrizioni relative a orari o giornate di apertura e chiusura da rispettare, essendo tutto rimesso al libero apprezzamento dell’esercente.

Tale ultima norma è stata oggetto di impugnazione da parte di numerose Regioni che hanno lamentato la violazione della competenza legislativa residuale in materia di commercio, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Questa Corte, con sentenza n. 299 del 2012, ha ritenuto non fondate le questioni di costituzionalità sollevate dalle Regioni ricorrenti, dovendosi inquadrare l’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011 nella materia «tutela della concorrenza», riservata alla competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

La prima delle norme impugnate nel presente giudizio (art. 88 della legge regionale n. 66 del 2011) si rivolge agli esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa, in relazione ai quali reintroduce l’obbligo di chiusura domenicale e festiva, salvo limitate deroghe, e prescrive il limite massimo di apertura oraria di tredici ore giornaliere, salvo la possibilità di introdurre deroghe da parte dei comuni.

La seconda delle norme impugnate (l’art. 89 della medesima legge reg. n. 66 del 2011) reintroduce limiti agli orari di apertura e chiusura al pubblico per gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, da determinarsi da parte dei Comuni previa concertazione con le organizzazioni imprenditoriali del commercio e del turismo, le organizzazioni sindacali dei lavoratori del settore e le associazioni dei consumatori, maggiormente rappresentative.

Risulta palese il contrasto tra la normativa regionale impugnata e l’art. 3, comma 1, lettera d-bis), del d.l. n. 223 del 2006, come novellato dall’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, ascrivibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza», che, come si è innanzi precisato, ha liberalizzato gli orari e le giornate di apertura degli esercizi commerciali.

Ne consegue che gli artt. 88 e 89 della legge reg. n. 66 del 2011 violano l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.".

sentenza Corte Costiotuzionale 27 del 2013

Effetti della presentazione di una domanda di sanatoria sulla precedente ordinanza di demolizione di opera abusiva

25 Feb 2013
25 Febbraio 2013

Il TAR Veneto, con la sentenza n. 124 del 2013, ribadisce l'orientamento giurisprudenziale dominante, secondo il quale la presentazione di una domanda di sanatoria ex art. 36 DPR 380 del 2001 rende inefficace la prec edente ordinanza di demolzione di un'opera abusiva.

Sul piano processuale, siccome la domanda di sanatoria era stata presentata prima di notificare il ricorso al TAR, il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.

Scrive il TAR: "Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per carenza d’interesse alla decisione. Infatti, la presentazione, in data (17 dicembre 2012) anteriore al ricorso, da parte dei ricorrenti, della domanda di sanatoria di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, ha determinato inevitabilmente il venir meno dell'interesse all’annullamento dell’ordine di demolizione. Quest’ultimo, infatti, verrebbe rimosso in caso di accoglimento dell’istanza di sanatoria, oppure sostituito da altra successiva misura sanzionatoria che il Comune è tenuto ad adottare nell'ipotesi di reiezione della medesima istanza. Pertanto, la presentazione della domanda di sanatoria ha comportato la traslazione e il differimento dell’interesse ad impugnare verso il futuro provvedimento che, eventualmente, respinga la domanda medesima, disponendo nuovamente la demolizione dell’opera edilizia ritenuta abusiva".

sentenza Tar Veneto 124 del 2013

La concessione-contratto di un’area demaniale

25 Feb 2013
25 Febbraio 2013

Il T.A.R. Veneto , sez. I, con la sentenza del 20 febbraio 2013 n. 260, chiarisce la natura della concessione-contratto, ossia dell’istituto che è caratterizzato dalla compresenza di un provvedimento di concessione, in cui l'Amministrazione conserva il suo carattere di autorità, e da una convenzione collegata al provvedimento, che può essere precedente, concomitante o successiva all'emanazione della concessione, affermando che: “E’ di pacifica evenienza e l’assunto non merita particolare approfondimento che la questione riguarda quella che viene definita una concessione contratto. Ossia l’evenienza negoziale, individuata nei termini della procedura ad evidenza pubblica, accede al provvedimento autoritativo della p.a. per il godimento del bene demaniale. Ciò esclude che tale strumento giuridico possa dar luogo ad un contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive perché i soggetti della vicenda svolgono la loro azione su piani diversificati ed indipendenti che non possono omogeneizzarsi, anzi l’obbligazione del privato è condizionata dalla sussistenza del provvedimento ( Cons. St., sez. VI, 20 febbraio 2007, n.912)”.

 Riguardando la concessione de qua un’area demaniale sita a Porto Marghera, occupata abusivamente e sine titulo dal ricorrente, il Collegio sottolinea che: “Passando all’esame del merito della presente vicenda, rileva preliminarmente il Collegio che è pacifico e incontrovertibile che il titolare di una concessione, anche al tempo dei fatti oggetto del presente giudizio, non aveva titolo per vantare una posizione poziore rispetto ad eventuali altri aspiranti :”… secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui non v'è motivo di discostarsi (v., per tutte, Cons. St., sez. VI, 25 settembre 2009, n. 5765; Cons. St., sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168), il c.d. diritto di insistenza conferito dall'art. 37 cod. nav. in favore del titolare della concessione demaniale marittima in scadenza, in occasione del suo rinnovo, non può considerarsi tale da determinare sempre e comunque la prevalenza dell'insistente rispetto agli altri eventuali concorrenti, che abbiano prodotto regolare istanza di concessione in relazione agli stessi spazi demaniali, non potendo tale previsione normativa, secondo un'interpretazione conforme ai principi di concorrenzialità di derivazione comunitaria, essere intesa come un meccanismo capace di elidere ogni confronto concorrenziale tra più istanze in competizione (orientamento, sostanzialmente recepito sul piano legislativo dall'1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito in l. 26 febbraio 2010, n. 25, che, modificando l'art. 37 cod. nav., ha eliminato ogni diritto di preferenza, in sede di rinnovo, in favore del precedente concessionario) (Consiglio di Stato sez. VI, 26 maggio 2011 n. 3160)”.

Inoltre, trattandosi di una procedura avente ad oggetto una pubblica concessione e non una contratto privato, il Collegio ribadisce che un’ipotetica culpa in contrahendo della P.A. può sorgere solamente dopo l’assegnazione della concessione: “Così come infondate, trattandosi dell’assegnazione di una concessione, e non di una attività contrattuale, sono le asserite aspettative maturate dal ricorrente e connesse al comportamento tenuto dalla p.a. “ nel corso delle trattative”. E’ appena il caso di ricordare come l’utilizzazione di un bene demaniale avviene attraverso la procedura di evidenza pubblica, per cui prima dell’avvenuta assegnazione non può individuarsi alcuna culpa in contraendo della p.a.(Cons.St., sez. IV, n.5633/2008)”.

TAR Veneto n. 260 del 2013

Semplificazione dei controlli sulle imprese

25 Feb 2013
25 Febbraio 2013
L'Art. 14 del DECRETO-LEGGE 9 febbraio 2012, n. 5 - Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo - all'art. 14 prevede che:
5. Le regioni .......  e gli enti locali, nell'ambito dei propri ordinamenti, conformano le attività di controllo di loro competenza ai principi di cui al comma 4. A tale fine, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono adottate apposite Linee guida mediante intesa in sede di Conferenza unificata. La CONFERENZA UNIFICATA ha approvato il 24 gennaio 2013 l'intesa  sulle  linee  guida  in  materia  di  controlli,   ai   sensi dell'articolo 14, comma 5, del decreto-legge 9 febbraio 2012,  n.  5, convertito, con modificazioni, dalla legge  4  aprile  2012,  n.  35, (Repertorio atti n. 2/CU), che è stata pubblicata sulla GU n. 42 del 19-2-2013.Si allegano l'intesa e l'allegato pubblicati sulla G.U.

 
Estratto dell'art. 14 - Semplificazione dei controlli sulle imprese

  1. La disciplina dei controlli sulle imprese, comprese  le  aziende agricole,  e'  ispirata,  fermo  quanto  previsto   dalla   normativa
((dell'Unione  europea)),  ai  principi  della   semplicita',   della proporzionalita' dei controlli  stessi  e  dei  relativi  adempimenti
burocratici  alla  effettiva  tutela   del   rischio,   nonche'   del coordinamento  dell'azione  svolta  dalle  amministrazioni   statali,
regionali e locali.
  2. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono tenute  a  pubblicare
sul     proprio     sito      istituzionale      e      sul      sito www.impresainungiorno.gov.it  la  lista  dei  controlli  a  cui  sono assoggettate le imprese in ragione della dimensione e del settore  di attivita', indicando per ciascuno di essi i criteri e le modalita' di svolgimento delle relative attivita'.
  3. Al fine di promuovere lo sviluppo del sistema  produttivo  e  la competitivita' delle imprese e di assicurare la migliore tutela degli
interessi pubblici, il Governo  e'  autorizzato  ad  adottare,  anche sulla  base  delle  attivita'  di  misurazione  degli  oneri  di  cui
all'articolo  25,  del  decreto-legge  25  giugno   2008,   n.   112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, uno
o piu' regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto  1988,  n.  400,  volti  a  razionalizzare,   semplificare   e
coordinare i controlli sulle imprese.
  4. I regolamenti sono emanati  ........ in base ai seguenti  principi  e  criteri  direttivi,  nel  rispetto  di  quanto
previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter,  della  legge  15  marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni:
    a) proporzionalita' dei  controlli  e  dei  connessi  adempimenti amministrativi al rischio inerente all'attivita' controllata, nonche'
alle esigenze di tutela degli interessi pubblici;
    b) eliminazione di attivita' di controllo non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici;
    c) coordinamento e programmazione dei controlli  da  parte  delle amministrazioni  in  modo  da  assicurare  la  tutela  dell'interesse
pubblico evitando duplicazioni  e  sovrapposizioni  e  da  recare  il minore intralcio al normale esercizio delle  attivita'  dell'impresa,
definendo la frequenza e tenendo conto dell'esito delle  verifiche  e delle ispezioni gia' effettuate;
    d) collaborazione ((. . . )) con i soggetti controllati  al  fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarita';
    e)  informatizzazione  degli  adempimenti   e   delle   procedure amministrative, secondo la disciplina del decreto legislativo 7 marzo
2005, n. 82, recante codice dell'amministrazione digitale;
    f) ((razionalizzazione, anche mediante riduzione  o  eliminazione di  controlli  sulle  imprese,  tenendo   conto   del   possesso   di
certificazione del sistema di gestione per la qualita' ISO))
o  altra appropriata certificazione emessa, a fronte di norme armonizzate,  da

un  organismo  di  certificazione   accreditato   da   un   ente   di accreditamento designato da uno Stato membro dell'Unione  europea  ai
sensi  del  Regolamento  2008/765/CE,  o  firmatario  degli   Accordi internazionali di mutuo riconoscimento (IAF MLA).
 

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