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Dopo l’annullamento del diniego di concessione o in caso di silenzio-rifiuto, quale disciplina urbanistica si applica in sede di riesame

22 Feb 2013
22 Febbraio 2013

La questione è stata esaminata dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 1007/2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "La sentenza impugnata, l’appello e la contrapposta difesa ruotano tutti attorno al tema della concreta applicazione dei principi enunciati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 8 gennaio 1986, n. 1, con riguardo alla questione della disciplina
urbanistica da far valere in occasione del riesame di un progetto edilizio, conseguente all’annullamento del diniego di concessione o alla declaratoria del silenzio-rifiuto serbato dall’Amministrazione. Nella ricerca di un punto di giusto equilibrio tra due principi di eguale valore (da un lato, effettività della tutela giurisdizionale, dalla quale discende la regola che gli effetti della sentenza risalgono al momento della proposizione della domanda; dall’altro, preminenza dell’interesse pubblico sugli interessi privati, seppur meritevoli di tutela), l’Adunanza plenaria ha ritenuto che:
restano inopponibili all’interessato le modificazioni della normativa di piano intervenute successivamente alla notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso;
quando la nuova normativa sia opponibile, deve riconoscersi al privato, che abbia ottenuto un giudicato favorevole, un interesse pretensivo a che l’Amministrazione valuti la possibilità di introdurre una variante che recuperi, in tutto o in parte, l’originaria previsione del piano abrogato, posta a suo tempo a base della domanda di concessione.
L’insegnamento dell’Adunanza generale ha trovato, da allora in poi, puntuale applicazione (si vedano ad es. Cons. Stato, 30 giugno 2004, n. 4804; Id., sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6535)....

Di conseguenza – come già chiariva la più volte citata decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 1986 – l’Amministrazione, nel nuovo esercizio del proprio potere, dovrà tenere conto degli eventuali vincoli e limiti diversi e ulteriori rispetto alla disciplina urbanistica in senso stretto che, in quanto siano applicabili anche se sopravvenuti (quali, in linea di massima, le prescrizioni sanitarie, anti-sismiche, i vincoli a tutela delle bellezze naturali e di beni di interesse storico e artistico), debbano essere valutati al momento in cui la domanda  viene esaminata".

CdS_1007-2013

Il risarcimento del danno per la c.d. perdita di chance ha carattere residuale

22 Feb 2013
22 Febbraio 2013

Il T.A.R. Veneto, nella stessa sentenza n. 263/2013 allegata al post precedente, chiarisce altresì il concetto di danno derivante da c.d. perdita di chance: “Il danno da perdita di chance costituisce la riparazione per equivalente monetario del pregiudizio subito dal danneggiato, non dimostrabile sul piano eziologico se non in termini di mera possibilità, e non altrimenti riparabile” (TAR Sicilia, Palermo (sez. I), n. 590 del 31 marzo 2011).

Quando, viceversa, il danno sia riparabile, come nel caso in questione, mediante riedizione del potere, la tutela in forma specifica assorbe in sé, ma più esattamente esclude, quella per equivalente monetario.

Nondimeno, in caso di successivo e positivo giudizio, l'eventuale pregiudizio potrà individuarsi nel ritardo occorso all’accesso al bene della vita rivendicato.

In altri termini :” essendo l'azione costitutiva diretta all'annullamento dell'atto lesivo in rapporto di necessaria pregiudizialità con l'azione di condanna al risarcimento del danno ad esso conseguente, non può non tenersi conto degli effetti dell'annullamento giurisdizionale dell'atto illegittimo della procedura selettiva costituito dal provvedimento di aggiudicazione al concorrente; ogni qualvolta sia possibile procedere alla ripetizione delle operazioni di gara per l'affidamento dei lavori, gli effetti caducatorio e conformativo che discendono dal giudicato di annullamento opereranno un integrale risarcimento del danno in forma specifica a favore del ricorrente, riammesso a giocarsi le proprie chance di aggiudicazione della gara nell'ambito della procedura selettiva rinnovata. La tutela del ricorrente è, dunque, affidata in primo luogo agli effetti immediati e diretti di natura cassatoria e, in via indiretta e mediata, agli ulteriori effetti conformativi del reiterato esercizio del potere; il risarcimento del danno per equivalente costituisce un rimedio sussidiario e residuale, al quale si può ricorrere se e in quanto quello ripristinatorio non abbia potuto conseguire risultati satisfattivi “(TAR Sicilia, Palermo (sez. I), n. 590 del 31 marzo 2011, cit.). .

La reintegrazione in forma specifica viene considerata, quindi, la forma tipica di tutela dell'interesse legittimo, mentre il risarcimento per la perdita di chance - come possibilità concreta di un risultato favorevole – è pienamente soddisfatta dalla rinnovazione della gara, salvi gli eventuali pregiudizi da ritardo.

Ritiene, quindi, il Collegio, che non spetta il risarcimento del danno per equivalente laddove, come nel caso di specie, l'accoglimento del ricorso avverso l'aggiudicazione di appalto ad altra impresa comporti la possibilità, per la ricorrente, di partecipare alla nuova gara, ovvero ad una nuova valutazione dei titoli già scrutinati, perché ciò determina un diretto soddisfacimento dell'interesse fatto valere”.

dott. Matteo Acquasaliente

 

L’aggiudicazione provvisoria non deve essere obbligatoriamente comunicata ai soggetti coinvolti nella gara

22 Feb 2013
22 Febbraio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 20 febbraio 2013 n. 263, torna ad occuparsi dell’aggiudicazione provvisoria, chiarendo che: “L’aggiudicazione provvisoria non è in grado di pregiudicare la situazione giuridica soggettiva dell’interessato all’aggiudicazione, tanto che la stessa non deve essere neppure comunicata ai soggetti coinvolti nella gara. Infatti, l’art. 79, comma 5, lettera a), D.lgs 163/2006, in uno con l’art. 11, comma 5, D.lgs citato, testualmente prevede, per la stazione appaltante, l’obbligo di comunicare l’aggiudicazione definitiva, i connessi elementi essenziali, il termine dilatorio per la stipulazione del contratto, a tutti i soggetti implicati nella gara, proprio per consentire una eventuale e compiuta tutela giurisdizionale.

Non solo. E’ l’aggiudicazione definitiva che conclude la procedura di gara, costituendo la mancata efficacia della stessa una eccezione che, in quanto tale, determina ed impone una nuova comunicazione alle parti interessate.

Tale costruzione dogmatica si inquadra e si conforma ai principi generali espressi nell’art. 21 bis della L. 7 agosto 1990, n.241, e successive integrazioni e modificazioni, secondo cui tutti i provvedimenti limitativi della sfera giuridica del soggetto richiedono, per essere efficaci, una pregiudiziale e formale loro partecipazione.

Pertanto è solo con la comunicazione, nei termini e nelle forme di cui all’art. 79 d.lgs cit., dell’aggiudicazione definitiva, che l’interessato ha piena e completa contezza dell’atto pregiudizievole e può adeguatamente reagire ad esso ( Tar Toscana, sez. II, 31 marzo 2006, n.1140). Ogni altra informazione in merito all’esito della gara, parziale e/o non definitiva, non può fondatamente pregiudicare la sua legittima aspettativa all’aggiudicazione e quindi anticipare i termini di reazione giurisdizionale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 263 del 2013

 

Il partecipante alla procedura di selezione ha il diritto a conoscere il curriculum dei concorrenti

21 Feb 2013
21 Febbraio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza n. 731, 8 febbraio 2013, stabilisce “che i partecipanti alla stessa procedura selettiva vantano il diritto a conoscere gli atti relativi al curriculum degli altri partecipanti, in relazione ai quali non vi è alcuna contrapposta esigenza di riservatezza” (già Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3147).

La questione verteva su una procedura finalizzata al provvisorio conferimento dell’incarico di direttore della struttura complessa di geriatria, ove una partecipante aveva domandato l’accesso ai documenti riguardanti i titoli dichiarati da un altro partecipante nel suo curriculum. L’Amministrazione, per timore di ledere il diritto alla riservatezza, metteva a disposizione della richiedente dei documenti diversi.

Appare chiaro che, a giustificare il rigetto dell’Amministrazione, non vi è una lesione al diritto di riservatezza del concorrente e nemmeno una domanda generica; tant’è vero che “sarebbe inammissibile un diritto di accesso esercitato in maniera generica ed indifferenziata, chiedendo all’Amministrazione di svolgere un’attività di indagine e ricerca o un'attività valutativa ed elaborativa, ma non può considerarsi generica la richiesta della ricorrente che indica precisamente quale sia il contenuto degli atti, ignorandone soltanto gli estremi, ma consentendone agevolmente all’Amministrazione l’identificazione”.

dott.sa Giada Scuccato

sentenza CDS 731-2013

Indicazioni interpretative della AVCP concernenti la forma dei contratti pubblici ai sensi dell’art. 11, comma 13 del Codice

21 Feb 2013
21 Febbraio 2013

L'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture ha emanato la Determinazione n. 1 del 13 febbraio 2013, recante "Indicazioni interpretative concernenti la forma dei contratti pubblici ai sensi dell’art. 11, comma 13 del Codice".

Nelle premesse si legge: "Sono pervenute a questa Autorità diverse segnalazioni che lamentano la sussistenza di incertezze applicative in relazione all’art. 11, comma 13, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e s.m.i. (nel seguito, Codice), nel testo novellato dall’art. 6, comma 3, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221 (cd. decreto sviluppo bis). Il citato art. 6, comma 3, vigente a far data dal 1° gennaio 2013 (cfr. art. 6, comma 4, decreto crescita), dispone che «il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata». Vale osservare che, prima delle modifiche, l’art. 11 prevedeva, quali forme di stipula del contratto, l’atto pubblico notarile, la forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice, la scrittura privata, nonché la «forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante». La ratio della novella è agevolmente rinvenibile nell’intento di estendere al settore dei contratti pubblici, soggetti alla disciplina del Codice, l’utilizzo delle modalità elettroniche di stipulazione in linea con le misure di informatizzazione pubblica e progressiva dematerializzazione dei procedimenti amministrativi adottate nel più ampio quadro dell’Agenda Digitale. Tuttavia, l’applicazione delle nuove disposizioni non è scevra da criticità riguardanti l’ambito di applicazione oggettivo della norma e l’individuazione delle diverse opzioni percorribili dalle stazioni appaltanti con particolare riguardo all’esatta estensione dell’obbligo di ricorso alle modalità elettroniche. In attesa di un pur auspicabile chiarimento normativo, l’Autorità, al fine di evitare difficoltà per le stazioni appaltanti nella gestione di una fase cruciale per il perfezionamento dell’iter procedimentale ed in considerazione della sanzione di nullità prevista dalla norma in esame, ritiene opportuno adottare il presente atto di determinazione che offre alcune prime indicazioni a carattere interpretativo".

Autorita_Contratti_telematici_1_2013

Individuazione delle aree e dei siti non idonei all’installazione di impianti fotovoltaici con moduli ubicati a terra

21 Feb 2013
21 Febbraio 2013

Sul BUR n. 18 del 19 febbraio 2013 è stata pubblicata la Deliberazioni del Consiglio Regionale N. 5 del 31 gennaio 2013, recante "Individuazione delle aree e dei siti non idonei all'installazione di impianti fotovoltaici con moduli ubicati a terra".

Con Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 10 settembre 2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010, sono state emanate le “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” (Linee guida), entrate in vigore il 3 ottobre 2010. Le medesime hanno stabilito, tra l’altro, i criteri per assicurare il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, nonché le modalità, i principi ed i criteri sulla base dei quali effettuare “l’individuazione delle aree e dei siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti”. Nello specifico, le Linee guida dispongono che le Regioni, “al fine di accelerare l’iter di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti da fonti rinnovabili”, possono procedere, attraverso propri provvedimenti, all’individuazione delle aree non idonee, “tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica”, secondo le modalità indicate al paragrafo 17 e sulla base dei principi e criteri enunciati nell’All. 3. Le Regioni possono, pertanto, procedere ad individuare come aree e siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti “le aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni territoriali o del paesaggio” - ricadenti all’interno delle fattispecie di cui al punto f) dell’All. 3 al paragrafo 17 delle Linee guida - “in coerenza con gli strumenti di tutela e di gestione previsti dalle normative vigenti e tenendo conto delle potenzialità di sviluppo delle diverse tipologie di impianti”.

Individuazione delle aree e dei siti non idonei all'installazione di impianti fotovoltaici con moduli ubicati a terra

Ristrutturazione con ricostruzione parziale extrasagoma e rispetto della distanza di dieci metri tra pareti finestrate

20 Feb 2013
20 Febbraio 2013

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 844 del 2013.

I passaggi salienti sono i seguenti: "Laddove invece vi sia un mutamento della sagoma, debbono ravvisarsi gli estremi della nuova costruzione (nel senso che la modifica di altezza e sagoma anche ai fini delle distanze determinano nuova opera e non ristrutturazione, si veda anche Consiglio Stato, sez. V, 21 febbraio 1994,n. 112).

Nell'ambito delle opere edilizie (così, tra tante, Cassazione civile sez. un., 19 ottobre 2011,n. 21578), la semplice ristrutturazione si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano (e, all'esito degli stessi, rimangano inalterate) le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura.

E’ ravvisabile la ricostruzione allorché dell'edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e !'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria, né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro

...

In ordine alla valenza direttamente precettiva tra privati del decreto ministeriale sulle distanze (questione oggetto degli appelli incidentali) questo Consesso (Consiglio di Stato sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5759) e alla eventuale disapplicazione di strumenti urbanistici con esso contrastanti nel senso della minore tutela, ha già avuto modo di osservare che le prescrizioni di cui al d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 integrano con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l'inderogabile distanza di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici".

sentenza CDS 844 del 2013

Quali attività commerciali si possono fare all’interno delle stazioni di servizio (A proposito di legislatore insipiente – parte II)

20 Feb 2013
20 Febbraio 2013

Nel post del 23 gennaio 2013, si evidenziava come la Regione Veneto abbia inteso in senso strettamente letterale le disposizioni contenute nell’art. 28, c. 8, D.L. 98/2011, che ammette negli impianti di distribuzione dei carburanti solamente le attività previste ex art. 5, c. 1, lett. b), l. 287/1991, ossia le attività “per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, nonché’ di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffè, gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari)”, negando, invece, ulteriori - connesse ma diverse - attività quali ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari.

 All’opposto, altre Regioni hanno disciplinato la materia de qua prevedendo un’unica tipologia di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.

 La circolare della Regione Emilia Romagna n. 205795 del 2011 - commentando le disposizioni del D.L. 98/2011 in materia di distribuzione di carburanti -, chiarisce che: “In Emilia-Romagna esiste una sola tipologia di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, cosicché la previsione contenuta nel testo in esame viene estesa in generale all’attività di somministrazione di alimenti e bevande”.

 Analogamente, la l. r. Lombardia 2 febbraio n. 6 (T.U. delle leggi regionali in materia di commercio e fiere), come modificata dal Progetto di Legge n. 120 approvato il 7 novembre 2011, riconferma all’art. 87 ter che: “1. Al fine di incrementare la concorrenzialità, l’efficienza del mercato e la qualità dei servizi nelle aree degli impianti di distribuzione carburanti è sempre consentito, fatti salvi i vincoli connessi a procedure competitive nelle aree autostradali in concessione:

a) l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande di cui all’articolo 63, fermo restando il possesso dei requisiti morali e professionali di cui agli articoli 65 e 66;

b) l’esercizio delle attività di un punto vendita non esclusivo di quotidiani e periodici, senza limiti di ampiezza della superficie dell’impianto;

c) l’esercizio della vendita di pastigliaggi.

2. Le attività di cui al comma 1, di nuova realizzazione, sono esercitate dai soggetti e secondo le modalità previste dall’articolo 28, comma 10, del d.l. 98/2011”, mentre, dopo aver definito all’art. 64, c. 1, che: “Ai fini del presente capo si intende:

a) per somministrazione al pubblico di alimenti e bevande la vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell'esercizio o in una area aperta al pubblico, a tal fine attrezzati”, stabilisce all’art. 63 che: “1. Gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande sono costituiti da un'unica tipologia così definita: esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande, comprese quelle alcoliche di qualsiasi gradazione.

2. Gli esercizi di cui al comma 1 possono somministrare alimenti e bevande nel rispetto del regolamento (CE) del 29 aprile 2004, n. 852 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'igiene dei prodotti alimentari) e delle leggi regionali vigenti in materia di sanitĂ .

3. Il titolare dell'esercizio di somministrazione di alimenti e bevande ha l'obbligo di comunicare al comune l'attivitĂ  o le attivitĂ  individuate per tipologia negli indirizzi generali di cui all'articolo 68 che intende esercitare nel rispetto del regolamento (CE) 852/2004 e delle leggi regionali vigenti in materia di sanitĂ .

4. A seguito della comunicazione di cui al comma 3 il comune integra il titolo autorizzatorio rilasciato ai sensi della legge 25 agosto 1991, n. 287 (Aggiornamento della normativa sull'insediamento e sulla attività dei pubblici esercizi) con l'indicazione della nuova attività”.

 In conclusione, si può affermare che la liberalizzazione invocata nelle premesse del D. L. 1/2012, ma frustata di fatto nei cogenti vincoli imposti dal legislatore statale - almeno ove interpretati alla luce della DGRV n. 1010 del 2010 -, è stata invece recepita dalle suddette Regioni, che hanno eliminato ogni sorta di distinzione concernente l'esercizio di somministrazione di bevande ed alimenti all’interno degli impianti di distribuzione dei carburanti.

dott. Matteo Acquasaliente

Circolare Regione Emila Romagna 205795 del 2011

pdl Lombardia

L. r. Lombardia 6 del 2010

Ancora sulle distanze per accessori e pertinenze

20 Feb 2013
20 Febbraio 2013

Ricordando  quanto deciso dal TAR Veneto nella sentenza n. 57 del 2013 (si veda in questo sito il post del 13 febbraio 2013),  ritorniamo ad esaminare l’applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione ad opere pertinenziali all’edificio principale già esistente.

La Cass. Civile, sez. II con la sentenza 3 gennaio 2013, n. 72 ha stabilito che: “ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c. e segg., e delle norme dei regolamenti integrativi della disciplina codicistica, ha affermato che deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione. Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, cosi da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze”.

dott.sa Giada Scuccato

cass 27-2013

 

La deliberazione comunale sul piano casa può escludere la prima casa sulle corte rurali di cui all’art. 10 della L.r. n. 24/85

19 Feb 2013
19 Febbraio 2013

Lo dice il TAR Veneto nella sentenza n. 210 del 2013.

Scrive il TAR: "Premesso che con il provvedimento impugnato è stato denegato il permesso di realizzare un ampliamento, a scopo abitativo, di un immobile sito in una porzione del territorio comunale soggetta a grado di protezione 2 (corte rurale);

- viste le difese dell’amministrazione resistente ed atteso il dettato normativo di cui all’art. 9 della l.r. n. 14/09, così come modificato per effetto della l.r. n. 13/2011;

- dato atto che il Comune, in applicazione del comma 5 dell’art. 9, ha deliberato in ordine al recepimento della disciplina del “Piano casa”, escludendo l’applicazione delle norme di cui agli artt. 2, 3 e 4 della legge regionale per gli edifici ricadenti in z.t.o. A “centri storici”, nonché, per quanto qui interessa, per quelli rientranti nelle corti rurali, individuate e definite dai vigenti strumenti urbanistici ed assoggettate a gradi di protezione speciali e relative norme ai sensi dell’art. 10 della L.r. n. 24/85;

- che quindi, lungi dal ritener sempre ammissibili gli interventi previsti dagli artt. 2 e 3 della legge regionale nelle ipotesi di prima casa, il Comune ha espressamente esercitato la facoltà, prevista dalla legge, di escludere in taluni ambiti l’applicazione del regime derogatorio introdotto dalla normativa regionale, anche a seguito della modifica di cui alla L.r. n. 13/11;

- dato altresì atto che, per quanto riguarda il grado di protezione esistente per l’ambito de quo, è prevista la possibilità di effettuare unicamente interventi di carattere conservativo, il che quindi non si concilia con il progetto di ampliamento presentato dai ricorrenti;

- ritenuta, altresì, l’infondatezza della censura relativa alla violazione delle garanzie partecipative e di difetto di motivazione, non essendo richiesta la puntuale controdeduzione alle osservazioni presentate dagli interessati a seguito della comunicazione ex art. 10 bis L. 241/90;

per detti motivi il ricorso va respinto".

sentenza TAR Veneto 210 del 2013

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