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Cosa sono i servizi legali che devono essere affidati con procedura concorsuale

18 Lug 2014
18 Luglio 2014

Il T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1383 chiarisce che il Comune deve affidare i servizi legali ricorrendo ad una procedura concorsuale. Soltanto ove si tratti di un singolo incarico difensivo, infatti, l’ente può ricorrere all’affidamento diretto: “Il Collegio osserva che, nella fattispecie in esame, l’incarico affidato ai legali esterni consisteva nella complessiva attività di assistenza e consulenza legale da espletarsi in favore del Comune, ovvero nella gestione di tutto il servizio di attività legale dell’amministrazione, comprensivo, come specificato nello schema di convenzione, di attività di consultazioni orali, scritte, e di redazione di pareri. In sostanza, non si trattava, nello specifico, dell’affidamento, in via fiduciaria, di un singolo incarico o di una singola attività afferente ad una specifica vertenza legale, ma, piuttosto, della organizzazione di una complessiva attività di assistenza in favore dell’ente locale, da farsi rientrare, a pieno titolo, nella nozione ampia di consulenza legale.

Per tali ragioni, il Collegio ritiene che il Comune avrebbe dovuto attivare una procedura comparativa allo scopo di selezionare, secondo logiche concorrenziali, il proprio contraente.

A sostegno di tale conclusione, soccorre anche quanto previsto nello stesso Regolamento per la disciplina degli incarichi esterni, approvato dal Comune di Caposele con delibera n. 102 /10 che, allo scopo di garantire la trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, unitamente alla professionalità degli incarichi, ammette, all’art. 6, la possibilità di procedere al conferimento diretto di incarichi legali a professionisti esterni nelle sole e limitate ipotesi di rappresentanza e difesa in giudizio e di particolari consulenze, laddove l’ente locale reputi che la scelta di un determinato professionista risulti utile al buon esito della lite, prevedendo, negli altri casi, l’utilizzo di procedure selettive per la scelta del professionista esterno.

Il tutto in conformità con quanto previsto, in via generale, dall’art. 7 comma 6 del D. Lgs n. 165/01, come modificato dall’art. 32 del D.L:n. 223/06, conv. in legge n. 248/06, a mente del quale le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione a professionisti esterni, potendo procedere al conferimento di incarichi individuali solo per soddisfare esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, ed alle condizioni e con i presupposti specificamente individuati dal legislatore.

Giova, inoltre, ricordare quanto espresso di recente dalla giurisprudenza contabile (Corte Conti, Sez. Reg. Controllo Basilicata, parere n. 8/09) e dall’autorevole orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale occorre distinguere la nozione di servizio legale da quella di singolo incarico difensivo, caratterizzandosi il servizio legale per un quid pluris, sotto il profilo dell’organizzazione, della continuità e della complessità, rispetto al singolo contratto d’opera intellettuale.

Mentre il patrocinio legale, infatti, costituendo il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente, deve essere inquadrato nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale, il servizio legale presenta qualcosa in più, per prestazione o modalità organizzativa, che giustifica il suo assoggettamento alla disciplina concorsuale.

L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua, configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si esaurisce nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configura quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce (Autorità per la Vigilanza sui Contratti, determina n. 4 del 7 luglio 2011).

Esso, quindi, soggiace alle regole delle procedure concorsuali di stampo selettivo, incompatibili con il solo contratto di conferimento del singolo e puntuale incarico legale, vista la struttura della fattispecie contrattuale, qualificata, alla luce dell’aleatorietà dell’iter del giudizio, dalla non predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni e dalla conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici ( Cons. Stato, sez. V. 11 maggio 2012 n. 2730)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Salerno n. 1383 del 2014

Il Consiglio di Stato ritiene legittimo che la Soprintendenza vieti i pannelli fotovoltaici che alterano il paesaggio

17 Lug 2014
17 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 14 luglio 2014 n. 3673 riforma la sentenza del T.A.R. Veneto n. 1157/2013, chiarendo la legittimitĂ  della parere della Soprintendenza che impone di rimuove i pannelli fotovoltaici che deturpano il paesaggio.

A tal fine si legge che: “Nell’atto oggetto della impugnazione di primo grado, reso ai sensi dell’art. 167 e dell’art. 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), la Soprintendenza ha espresso il parere favorevole all’intervento edilizio programmato dagli odierni appellati sulla costruzione a due piani sita nel Comune di Malcesine (intervento consistente, nel suo insieme, nella apertura di alcune porte e finestre, nel rialzamento della falda di copertura, nell’abbassamento della falda posta ad est e nell’ installazione di pannelli fotovoltaici su falda est ed ovest), subordinando tuttavia il parere favorevole alla osservanza della seguente condizione prescrittiva:

- “venga rimosso l’impianto fotovoltaico e/o solare costituito da 13 pannelli installati sulla falda est, in quanto risulta in ordine alla posizione, alle dimensioni, alle forme, ai cromatismi, al trattamento superficiale e riflettente, estremamente stridente rispetto all’ambito nel quale si colloca e tale da alterare in modo negativo la visione del contesto paesaggistico circostante che si può percepire sia dal basso che da posizione elevata o a distanza”.

3.- Ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto rilevato dal giudice di primo grado, la Soprintendenza abbia dato una congrua motivazione riguardo alle ragioni che si frappongono alla definitiva allocazione dei pannelli fotovoltaici anche sulla falda est della costruzione (nella prospettiva particolare, cioè, del lago di Garda), a differenza di quanto assentito senza riserve o condizioni in relazione ai pannelli apposti sulla falda ovest dello stesso fabbricato.

L’autorità preposta alla tutela paesaggistica si è soffermata, in particolare, ad analizzare i distinti profili (posizione, dimensioni, forme, cromatismi) che la hanno spinta ad apporre la condizione al parere di compatibilità paesaggistica (per la restante parte, vale sottolineare, favorevole all’intervento) di tal che, considerata la puntualità e la congruità delle ragioni addotte a sostegno della condizione, non pare condivisibile quanto affermato dal giudice di primo grado a proposito del carattere stereotipato e “adattabile a qualsiasi caso” della motivazione dell’atto soprintendentizio.

Al contrario, si deve convenire con il Ministero appellante sul fatto che dalla lettura del parere risultano chiare e coerenti le ragioni ostative individuate, con una valutazione tecnico-discrezionale che è propria della tutela del patrimonio culturale e che risulta immune dai vizi di irragionevolezza o di errore nei presupposti, e che escludono la compatibilità paesaggistica dell’impianto fotovoltaico posizionato sul lato est del tetto in ragione del suo negativo impatto sul particolare paesaggio lacuale, stante la sua piena visibilità, anche a distanza, sia dal basso che dall’alto”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3637 del 2014

TAR Veneto 1157 del 2013

Un caso di proroga automatica del piano attuativo giĂ  scaduto prima dell’art. 30 comma 3bis del Dl 98/2013

17 Lug 2014
17 Luglio 2014

Un caso piuttosto particolare è quello deciso dalla sentenza del TAR Veneto n. 1038 del 2014: il piano era già scaduto  prima dell'entrata in vigore dell'art. 30 comma 3bis del Dl 98/2013, ma era già stata presentata una istanza di proroga, sulla quale il Comune non si era ancora pronunziato.

Il Comune riteneva non applicabile la proroga automatica, essendo il piano scaduto prima dell'entrata in vigore dell'art. 30 comma 3bis del Dl 98/2013, ma il TAR è stato di diversa opinione, perchè il Comune non si era ancora pronunziato sulla ,istanza di proroga e, quindi, il piano non poteva considerarsi definitivamente decaduto.

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 1038 del 2014

La disciplina della proroga delle autorizzazioni commerciali

17 Lug 2014
17 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 10 luglio 2014 n. 1012 si occupa della proroga delle autorizzazioni commerciali.

Nella sentenza che si commenta i Giudici chiariscono, con specifico riferimento all’istituto della proroga, il rapporto tra il D. Lgs. n. 114/1998, la L. R. n. 15/2004, la L. R. n. 42/2012 e la L. R. n. 50/2012: “La legge regionale n° 42 del 2012 è stata pubblicata sul BUR del 2 Novembre 2012, è entrata in vigore il 17 Novembre 2012 ed è stata abrogata dall’art. 30 comma 1 lettera g) della legge regionale n° 50 del 2012 con effetto dal 1 Gennaio 2013.

L’art. 5 della legge regionale n° 42 del 2012 stabilisce che i procedimenti amministrativi aventi ad oggetto l’autorizzazione commerciale relativa alle fattispecie di cui agli articoli 1, 2 e 3 della legge regionale n° 42 del 2012, attivati precedentemente all’entrata in vigore della legge stessa, sono riesaminati ad istanza di parte, tenuto conto degli articoli 1, 2 e 3 della legge stessa.

L’art. 2 della legge regionale n° 42 del 2012 stabilisce che l’articolo 10 della legge regionale n° 15 del 2004 si interpreta nel senso che agli esercizi di vicinato ed alle medie strutture di vendita, ubicate all’interno dei parchi commerciali oggetto di ricognizione ai sensi del comma 7 dell’art. 10 della legge regionale n° 15 del 2004, si applicano le disposizioni di cui all’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998.

Dunque, per effetto dell’art. 2 della legge regionale n° 42 del 2012, l’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 si applica anche alle medie strutture di vendita comprese in un parco commerciale.

In tal caso non si applica più l’art. 23 della legge regionale n° 15 del 2004, che prevede una disciplina della proroga più restrittiva rispetto all’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998, nel senso di richiedere una sola proroga fino ad un massimo di un anno.

Invece l’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 si limita ad ammettere la proroga in caso di comprovata necessità, senza porre limiti espressi con riferimento al numero delle proroghe ed alla determinazione del periodo di proroga.

La ratio della legge n° 42 del 2004 è quella di evitare una disparità di disciplina tra medie strutture di vendita ubicate all’interno di parchi commerciali e le medie strutture di vendita non ubicate all’interno di parchi commerciali.

La ratio non è invece quella di offrire maggiori libertà di prorogare i termini di attivazione degli esercizi commerciali connessi al rilascio dei provvedimenti autorizzativi.

Quanto sopra risulta evidente, considerando che il settimo comma dell’art. 18 della legge regionale n° 50 del 2012 (in vigore dal 1 Gennaio 2013) stabilisce che le medie strutture di vendita sono attivate nel termine di decadenza di due anni dal rilascio dell’autorizzazione commerciale o dalla presentazione della SCIA, salva la potestà del comune di prorogare per una sola volta il termine in caso di comprovata necessità, su motivata richiesta dell’interessato da presentarsi entro il predetto termine.

Dunque con la legge regionale n° 50 del 2012 è stata posta una disciplina più restrittiva (in relazione alla determinazione del periodo massimo di proroga ed alla possibilità di prorogare per una sola volta) alle proroghe rispetto a quella posta dall’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998, confermando con ciò che l’intento della legge n° 42 del 2012 non era quello di andare nella direzione di una maggiore possibilità di concessione delle proroghe, ma invece quello di evitare la sopra richiamata disparità di disciplina tra medie strutture di vendita ubicate all’interno di parchi commerciali e le medie strutture di vendita non ubicate all’interno di parchi commerciali.

In ogni caso il procedimento avviato ai sensi dell’art. 5 della legge regionale n° 42 del 2012 consente ulteriori proroghe senza una rigida predeterminazione del periodo di proroga purchè sia fornita una rigorosa dimostrazione della necessità della proroga”.

Per quanto concerne il momento in cui è possibile chiedere la proroga dell’autorizzazione commerciale, il T.A.R. conferma che la stessa deve essere chiesta prima della sua scadenza: “Gli artt. 2 e 5 della legge regionale n° 42 del 2012 consentono all’amministrazione di riesaminare i procedimenti amministrativi “attivati” che riguardano la proroga delle autorizzazioni commerciali, ma non introducono una deroga al principio, riconosciuto dalla costante giurisprudenza per quanto attiene alla disciplina del termine di attivazione di un’iniziativa commerciale od edilizia autorizzata, secondo cui la richiesta di proroga del termine deve essere presentata prima della scadenza del termine originario (così Consiglio di Stato IV n° 360 del 2013).

Tale principio non è derogato né dall’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 né dalla legge regionale n° 42 del 2012.

Infatti la possibilità di prorogare i termini di attivazione degli inteventi edilizi e commerciali autorizzati, successivamente alla loro scadenza, metterebbe in pericolo l’attuazione della programmazione commerciale ed urbanistica e pregiudicherebbe il necessario ordine disciplinatorio degli interventi”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1012 del 2014

La variante ad impianto di recupero rifiuti esistente corrisponde alla sua creazione ex novo

17 Lug 2014
17 Luglio 2014

 Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 10 luglio 2014 n. 1007 chiarisce che l’art. 16 della L. R. n. 11/2010 – secondo cui “1. Ai fini dell’adozione del Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, di cui all’articolo 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” e all’articolo 11 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 “Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti”, la Giunta regionale è autorizzata a compiere studi ed analisi dei fabbisogni e della qualità dei rifiuti prodotti e per la definizione dei criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento, anche avvalendosi di tecnici ed esperti esterni.  2. Nelle more dell’approvazione del Piano di cui al comma 1, non possono essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, né concesse autorizzazioni all’esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in assenza di una deliberazione del consiglio provinciale competente per il territorio, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, che accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento prescritto dall’articolo 11, commi 1 e 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 e dall’articolo 199, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.  3. Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo, quantificati in euro 10.000,00 per l’esercizio finanziario 2010, si fa fronte con le risorse allocate all’upb U0029 “Attività di supporto al ciclo della programmazione” del bilancio di previsione 2010” – si applica anche alle “varianti sostanziali” degli impianti di recuperi dei rifiuti già esistenti che, in sostanza, vengono equiparati alla realizzazione dei nuovi impianti.

 Nel caso di specie, l’impianto era stato modificato in modo tale da permettere lo smaltimento/stoccaggio di alcuni rifiuti originariamente non trattati.

 A tal fine si legge che: “Con il quarto motivo di ricorso viene contestata la violazione della legge regionale numero 11 del 2010 laddove prevede che nelle more dell'approvazione del piano regionale non possono essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti nè concesse autorizzazioni all'esercizio di nuovi impianti di smaltimento in assenza di una deliberazione del Consiglio provinciale che accerti l'indispensabilità degli impianti, laddove la Giunta regionale avrebbe autorizzato una modifica sostanziale del progetto originario.

Osserva la difesa regionale come il provvedimento contestato dal Comune riguardi un impianto giĂ  esistente e che la deliberazione della Giunta che ha dettato i criteri applicativi della legge - 23 marzo 2010, numero 1210 - ha escluso dall'applicazione dell'articolo 16 le modifiche relative a impianti giĂ  esistenti e agli adeguamenti tecnici migliorativi:

A .realizzazione di interventi di ampliamento di impianti esistenti autorizzati allo smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non, in termini di potenzialitĂ , superficie e modifiche gestionali;

B. adeguamenti tecnici migliorativi sotto il profilo gestionale (quali ad esempio il cosiddetto revamping).

Il Collegio ritiene invece che la previsione legittimante l'intervento debba essere letta con stretta interpretazione, senza possibilitĂ  di considerazioni estensive, autorizzandosi interventi nelle more dell'adozione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali.

E dunque laddove si parla di interventi di ampliamento in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali non possono essere consentiti interventi di ampliamento che attengano alla integrazione dell'elenco dei codici dei rifiuti attualmente ammessi, per potere far fronte alle mutate richieste di mercato, procedendosi anche all'attuazione delle procedure di recupero dei rifiuti, i quali risultano provenienti anche da aree esterne all'ambito lagunare e al sito di interesse nazionale di porto Marghera ( confronta sub. A descrizione dell'intervento a pagina tre dell’allegato alla delibera giuntale impugnata).

La disposizione legittimante evidentemente consente interventi di ampliamento in termini di potenzialitĂ , relativa alle medesime tipologie di rifiuti giĂ  autorizzate, per una superficie piĂą ampia e con modifiche gestionali piĂą moderne (e infatti si parla di miglioramento e ammodernamento degli impianti con l'introduzione di nuove tecnologie al fine di ottimizzare processi), ma non di consentire una significativa modifica del numero di codici autorizzati e di operazioni autorizzate, quali la messa in riserva e il recupero di inerti tramite triturazione o vagliatura.

A tale proposito in sede di discussione la difesa della società controinteressata ha rammentato come molti dei codici collegati a rifiuti siano in realtà accorpabili in altri con una significativa diminuzione del numero di 50 nuovi codici riportati a pagina 49 della delibera impugnata nella tabella sinottica di descrizione delle modifiche fra stato di fatto e stato di progetto; ma ciò non è sufficiente a considerare l’intervento richiesto, per le modalità indicate, come mero adeguamento dell'impianto esistente, traducendosi invece nella realizzazione di un nuovo impianto per legittimare la realizzazione del quale risultava necessaria una esplicita delibera provinciale, la quale non è certamente evincibile – o assorbita- nel parere sfavorevole espresso dal rappresentante della Provincia che avrebbe taciuto rispetto all'accertamento degli indispensabilità degli impianti in ragione dell'osservanza del principio di prossimità, vale a dire proprio su quella valutazione di indispensabilità richiesta dall'articolo 16 della legge regionale del Veneto (confronta pagina 17 della memoria di costituzione dell'amministrazione regionale).

L’aggiornamento e ammodernamento tecnologico dell'impianto, vale a dire il revamping in senso stretto, non può essere richiamato sic et simpliciter nel caso in cui siano modificati significativamente il numero di rifiuti trattati, le modalità di trattamento e anche capacità produttiva e quantità stoccabili, laddove le stesse risultino significativamente diverse da quelle originariamente autorizzate.( 180000t/a di rifiuti trattati ( 120000) e in deposito (60000), con capacità massima raddoppiata fino a 12000 t., a fronte di 726 t/giorno dell’autorizzato)

Pare utile sul punto riportare quanto la sezione ha affermato nella sentenza n. 137 del 5 febbraio 2013: “si dovrebbe comunque definire il medesimo come comportante una variante sostanziale al progetto originario in quanto tale assoggettabile alla medesima disciplina applicabile ai nuovi impianti ai sensi dell’art. 208, comma 19, del Dlgs. n. 152 del 2006, per il quale le procedure di autorizzazione di nuovi impianti si applicano anche per la realizzazione di varianti sostanziali a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata.

Da quanto premesso, discende che il progetto ricade tra quelli assoggettati alla disciplina dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, e che non può quindi essere autorizzato senza una deliberazione del consiglio provinciale competente per territorio che, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento”.

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1007 del 2014

S.O.S. tecnico: le opere di miglioramento fondiario possono ottenere la compatibilitĂ  paesaggistica?

16 Lug 2014
16 Luglio 2014

Un tecnico comunale (che ringraziamo sentitamente per la segnalazione)  chiede se per le opere abusive di miglioramento fondiario e/o di sistemazione agraria (per esempio terrazzamenti con “masiere” o modellature collinari)  sia possibile ottenere l’accertamento di compatibilità dal punto di vista paesaggistico, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’articolo 167 del decreto legislativo 42/2004.

La Soprintendenza sembra ritenere (se capiamo bene) che non si possa concedere la sanatoria, perché non trattasi di opere edilizie che incidono su manufatti o edifici.

A tal proposito si ricorda il tenore dell’art. 181, c. 1 ter, lett. a) del D. Lgs. n. 42/2004, secondo cui: “1-ter. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 167, qualora l'autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.

Tuttavia la posizione della Soprintendenza appare confusa, perché è ben possibile che un’opera abusiva incida su un edificio, senza creare né volumi né superfici, perchè non sembra scritto da nessuna parte che la compatibilità paesaggistica si applichi solo aglio edifici e anche perché bisogna distinguere meglio i concetti.

Per quanto riguarda, infatti, le  opere di sbancamento o di creazione di strade, la giurisprudenza, soprattutto quella penale, sembra aver introdotto un concetto di superficie molto ampio, che non c’entra nulla con la superficie in edilizia. In altre parole, il concetto  ambientale-paesaggistico di superficie utile sarebbe diverso da quello edilizio-urbanistico e comprenderebbe anche opere come le strade (anche in terra battuta) o i piazzali.

In sostanza ogni intervento che modifica e/o incida il profilo paesaggistico, creando una superficie dal punto di vista paesaggistico, non potrebbe ottenere la compatibilità paesaggistica, anche se dal punto di vista edilizio non costituisce nè volume nè superficie utile. 

Ovviamente se interpretata alla lettera tale conclusione porterebbe a negare a priori la quasi totalitĂ  delle sanatorie paesaggistiche de quibus.

Voi cosa ne pensate?

Alleghiamo la scambio di corrispondenza tra il Comune e la Soprintendenza.

Corrispondenza

ModalitĂ  operative per la gestione e l’utilizzo nel settore delle costruzioni di prodotti ottenuti dal recupero e di rifiuti‏

16 Lug 2014
16 Luglio 2014

Modalità operative per la gestione e l'utilizzo nel settore delle costruzioni di prodotti ottenuti dal recupero e di rifiuti. D.lgs. n. 152/2006 e s.m.i., Parte IV, Titolo I. 

DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. 1060 del 24/06/2014

Link: 

Accordo tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, concernente l’adozione di moduli unificati e semplificati per la presentazione dell’istanza del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) edilizia

16 Lug 2014
16 Luglio 2014

Supplemento ordinario alla “Gazzetta Uffi ciale„ n. 161 del 14 luglio 2014 - Serie generale è stato pubblicato un atto della Conferenza Unificata, contenente l'accordo del  12 giugno 2014: "Accordo tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, concernente l’adozione di moduli unificati e semplifi cati per la presentazione dell’istanza del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) edilizia. Accordo, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lett. c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. (Repertorio atti n. 67/CU)".

In allegato si trova tutta la relativa modulistica.

accordo

Il diritto di accesso è autonomo e quindi più ampio rispetto alla situazione che legittimerebbe un ricorso

15 Lug 2014
15 Luglio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 916 del 2014.

Scrive il TAR: "1. In primo luogo va rilevato come sia possibile respingere, in quanto infondata, l’eccezione dei soggetti controinteressati nella parte in cui hanno rilevato la mancanza di legittimazione attiva e di interesse al ricorso degli attuali ricorrenti.

1.1 L’eccezione è infondata, risultando applicabile quel costante orientamento giurisprudenziale diretto a differenziare l’interesse all’accesso rispetto all’interesse all’impugnativa, ritenendo ammissibile il proponimento di un’istanza di accesso “anche sulla base di un interesse di contenuto tale da non legittimare la proposizione del ricorso giurisdizionale, dovendosi ribadire l'autonomia dell'interesse a chiedere l'ostensione di determinati documenti rispetto a quello che conduce, eventualmente, l'interessato, ad agire in giudizio per la tutela di determinate posizioni giuridiche (T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 06-02-2014, n. 317)”.

1.2 L’esercizio del diritto di accesso non è condizionato all’ammissibilità di un’eventuale azione tesa alla tutela di una determinata posizione giuridica, in quanto la legittimazione al diritto di accesso va riconosciuta in presenza di atti idonei a spiegare, in modo diretto e indiretto, effetti sul ricorrente e, ciò, proprio in ragione dell’autonomia del diritto di accesso rispetto alla situazione soggettiva legittimante un eventuale impugnazione dell’atto.

1.3 Nel caso di specie sussiste la legittimazione del ricorrente che agisce per acquisire elementi utili al prosieguo del contenzioso di cui all’RG 618/2013, avente ad oggetto presunti abusi edilizi, nell’esperimento di un accesso defensionale, strumentale rispetto al ricorso sopra citato, accesso che per un costante orientamento giurisprudenziale viene ritenuto prioritario rispetto alla riservatezza dei soggetti terzi (Tar Emilia Romagna n. 7498/2010).

1.4 Rilevata l’infondatezza dell’eccezione preliminare è possibile esaminare nel merito il ricorso, ritenendolo fondato con riferimento al primo motivo.

2. E’ necessario precisare che il contenuto dell’istanza di accesso evidenzia come quest’ultima sia diretta ad ottenere l’accesso ad eventuali procedimenti volti alla modifica e/o alla revisione al contenuto dei provvedimenti di vincolo sulla tenuta Musella in considerazione dell’unitarietà del complesso vincolato, circostanze queste ultime espressamente menzionate nell’istanza sopracitata.

Detta richiesta veniva motivata, infatti, sulla base di una duplicità di esigenze, in quanto riconducibili all’esistenza del ricorso giurisdizionale, pendente e finalizzato a contestare l’esistenza di presunti abusi edilizi e, nel contempo, proprio in ragione di acquisire elementi utili diretti a evidenziare il tenore “degli interventi posti in essere dai Sig. ri Stevanella all’interno della tenuta medesima”.

2.1 Costituisce ulteriore dato accertato che l’immobile di proprietà degli attuali controinteressati si trova all’interno di un unico comprensorio, circostanza quest’ultima che consente di ritenere, di per sé, erronea l’argomentazione della Soprintendenza nella parte in cui ha ritenuto di respingere l’istanza di cui si tratta in ragione della distanza in linea d’aria (pari a circa 800 metri) tra la costruzione dei ricorrenti e degli attuali controinteressati.

2.2 Si consideri, inoltre, che l’accesso defensionale, in quanto propedeutico alla migliore tutela delle proprie ragioni in giudizio, riceve protezione preminente dall’ordinamento atteso che per espressa previsione normativa (art. 24 L. n. 241/90) e, a sua volta, prevale sull’interessi dei terzi, anche qualora questi ultimi siano finalizzati alla tutela della riservatezza (in questo senso Consiglio di Stato n.783/2011).

Anche questo Tribunale ha avuto modo di precisare che l’interesse ad acquisire conoscenza di provvedimenti utili, a proseguire un ricorso, assume una valenza autonoma e non dipendente dalla sorte del processo principale (TAR Veneto n. 120/2014).

2.3 Si consideri, ancora, come la domanda di accesso, se pure riferita ad una pluralità e genericità di atti, conservava comunque un carattere di complessiva omogeneità e non presentava profili di indeterminatezza, risultando sufficientemente specifica nel momento in cui si riferiva “al contenuto e alle estensione ed alle prescrizioni dei provvedimenti di vincolo sulla tenuta Musella”.

2.4 Non sussistono, come sostenuto dall’Amministrazione resistente, i presupposti per un controllo generalizzato dell’azione amministrativa, in applicazione di quell’orientamento giurisprudenziale in base al quale “la legittimazione all'accesso ai documenti amministrativi (artt. 22 ss. della L. n. 241/1990) deve ritenersi consentita a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti anche nei suoi confronti e il diritto di accesso, purché non diretto a detto controllo generalizzato, può essere esercitato anche indipendentemente dall'esistenza di una lesione immediata della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non emulativo, a conoscere gli atti già posti in essere e a partecipare alla formazione di quelli successivi (Cons. Stato Sez. V, 30-08-2013, n. 4321 e T.a.r. Lazio - Roma, sez. I ter, n. 7050/2012)”.

2.5 Al fine di respingere un’ulteriore argomentazione dell’Amministrazione resistente va rilevato come altrettanto recenti pronunce (Cons. Stato Sez. III, 28-11-2011, n. 6276) hanno sancito l’ammissibilità del diritto di accesso esperito e riferito ad atti endoprocedimentali in pendenza del relativo procedimento".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 916 del 2014

I condomini non sono controinteressati nel caso di impugnazione da parte di un condomino di un diniego di sopraelevazione

15 Lug 2014
15 Luglio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 918 del 2014 esclude che, qualora un condomino impugni il diniego del rilascio di un titolo edilizio che egli aveva chiesto, gli altri condomini siamo controinteressati, ad almeno uno dei quali sia necessario notificare il ricorso a pena di inammissibilitĂ  dello stesso.

Si legge nella sentenza: "1. In primo luogo è necessario rilevare l’infondatezza dell’eccezione preliminare proposta dal Comune di Chioggia nella parte in cui rileva l’inammissibilità del ricorso in quanto non notificato ad almeno un controinteressato.

1.1 Sul punto va considerato come costituisca orientamento consolidato (per tutti Cons. Stato Sez. V, 27-03-2013, n. 1755) che ai fini di individuare l’esistenza di un onere di notifica, previsto dall'art. 41, co. 2 del Codice del processo Amministrativo, è necessaria la sussistenza di un profilo sostanziale costituito dall'essere il terzo portatore di un  interesse qualificato analogo e contrario a quello che legittima la posizione del ricorrente. In altri termini, la posizione di controinteressato spetta a coloro che abbiano un interesse qualificato alla conservazione dell'assetto giuridico recato dall'atto impugnato o dalla vicenda controversa, e non già a chi è portatore di un interesse comune alla rimozione dell'atto ovvero all'ottenimento di una pronuncia giurisdizionale che possa giovare anche alla propria posizione (Parziale riforma della sentenza del T.a.r. Puglia - Bari, sez. I, n. 919/2011).

1.2 Applicando detti principi al caso di specie non si vede come possa sussistere un interesse qualificato dei proprietari del condominio del palazzo da innalzare e, ciò, considerando come con il presente ricorso si è impugnato un provvedimento di diniego di permesso di costruire e non certo un provvedimento edilizio abilitativo, diretto ad autorizzare le opere pur richieste nell’originaria istanza. 

1.3 L’eventuale annullamento dell’atto impugnato ha l’effetto di determinare l’espunzione di quest’ultimo dall’ordinamento giuridico,
con conseguente obbligo dell’Amministrazione di ripronunciarsi, senza determinare l’automatica emanazione di un provvedimento
autorizzatorio, quest’ultimo suscettibile di ledere, quanto meno in astratto, la posizione giuridica dei proprietari limitrofi e confinanti".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 918 del 2014

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