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Obbligo POS dal 1° gennaio 2014: i soggetti che effettuano vendita di beni e servizi, anche professionali, devono accettare i pagamenti anche con carte di debito

13 Gen 2014
13 Gennaio 2014

L’articolo 15, commi 4 e 5 D.L. n.179/12, cosiddetto “Crescita Bis”, ha previsto che: A decorrere dal 1° gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni del D.Lgs. n.231/07. Con uno o più decreti del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, sentita la Banca d'Italia, vengono disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, di attuazione della disposizione di cui al comma precedente. Con i medesimi decreti può essere disposta l'estensione degli obblighi a ulteriori strumenti di pagamento elettronici anche con tecnologie mobili”.

Per quanto riguarda l’effettiva entrata in vigore della norma, essa risulta condizionata dall’adozione di un decreto attuativo del Ministro dello Sviluppo Economico, che dovrà disciplinare le modalità, i termini e i soggetti interessati, provvedimento che è stato inviato nei giorni scorsi alla Banca d'Italia per il parere.

Dalle prime notizie che lo riguardano si apprende che l'obbligo del Pos scatti:
· per i pagamenti superiori alla soglia minima di € 30 e,
· limitatamente alle operazioni compiute fino al 30 giugno 2014, per chi avrà ricavi superiori a € 200.000 l'anno.

Quanto ai soggetti interessati si deve supporre, in attesa di limitazioni derivanti dal dettato del citato decreto attuativo, che la platea sia ampia e che potrà ricomprendere:
· i commercianti al dettaglio;
· i commercianti all’ingrosso;
· i produttori;
· gli agricoltori;
· gli ambulanti;
· i professionisti.
Con particolare riferimento all’attività professionale, la norma prevede che andranno installati dispositivi Pos, abilitati a scaricare i pagamenti delle parcelle dalle carte di credito, bancomat, carte convenzionali e prepagate direttamente sul conto corrente. Obiettivo della normativa è quello di aumentare la tracciabilità delle transazioni di denaro derivanti da prestazioni di carattere professionale. Quanto all’aspetto sanzionatorio si evidenzia che non esiste al momento una sanzione per chi non fosse in grado di provvedere all’istallazione degli strumenti di pagamento in tempi utili.

Dal 2014 modificata la tassazione indiretta nel trasferimento degli immobili

13 Gen 2014
13 Gennaio 2014

Dal 1 gennaio 2014 entrano in vigore le nuove disposizioni riguardanti la tassazione indirette (imposta di registro e imposte ipocatastali) nel trasferimento degli immobili: si tratta di modifiche generalmente positive per i contribuenti (visto che scende il prelievo complessivo in tali trasferimenti) ma sono state eliminate molte agevolazioni che sino allo scorso 31.12.2013 erano applicabili.

Pubblichiamo in allegato una nota sulle modifiche

tassazione indiretta trasferimento immobili

IMU: chiarito l’ambito dell’esenzione per gli immobili magazzino delle imprese edili

13 Gen 2014
13 Gennaio 2014

A decorrere dalla seconda rata dell’Imu del periodo di imposta 2013 è stata introdotta l’esenzione dal pagamento del tributo per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano locati. Il MEF ha chiarito che nel concetto di “fabbricati costruiti” va compreso anche il fabbricato acquistato dall’impresa costruttrice sul quale la stessa procede a interventi di incisivo recupero: tali fabbricati saranno esenti dal pagamento del tributo solo a partire dalla data di ultimazione dei lavori di ristrutturazione. Si ricorda che per fruire dell’esenzione Imu va presentata la dichiarazione Imu ai Comuni territorialmente competenti.

(Ministero dell’Economia e delle Finanze, risoluzione n.11, 11/12/2013)

Definiti i profili catastali e fiscali degli impianti fotovoltaici

13 Gen 2014
13 Gennaio 2014

L’Agenzia delle Entrate, con circa 2 anni di ritardo rispetto alle tempistiche annunciate, ha cercato di dare alcune risposte ai molti dubbi inerenti il settore del fotovoltaico, trattando le problematiche relative all’accatastamento degli impianti, ai conseguenti risvolti fiscali e analizzando gli aspetti tributari del V Conto Energia.

Per quanto attiene la classificazione catastale, l’Agenzia afferma che:
· gli immobili ospitanti le centrali elettriche a pannelli fotovoltaici devono essere accatastati nella categoria “D/1 – opifici” e nella determinazione della relativa rendita catastale devono essere inclusi i pannelli fotovoltaici, in quanto ne determinano il carattere sostanziale di centrale elettrica e, quindi, di “opificio”;
· le installazioni fotovoltaiche poste su edifici e quelle realizzate su aree di pertinenza, comuni o esclusive, di fabbricati o unità immobiliari censiti al catasto edilizio urbano, non devono essere accatastate autonomamente, in quanto possono assimilarsi agli impianti di pertinenza degli immobili. Sussiste, comunque la necessità di procedere, con dichiarazione di variazione da parte del soggetto interessato, alla rideterminazione della rendita dell’unità immobiliare nella misura del 15% o superiore, in base alle disposizioni catastali dell’Amministrazione competente;
· gli impianti di modesta entità (ad esempio quelli domestici), invece, non devono essere accatastati e non comportano l’insorgenza di alcun obbligo in capo al soggetto interessato.

Ai fini delle imposte dirette, l’Agenzia conferma le precedenti indicazioni, affermando la deducibilità del costo dell’impianto in base allo stanziamento delle quote di ammortamento, rispettivamente nella misura del 9%, quando è qualificato come bene mobile, e nella misura del 4%, quando rientra nella categoria degli immobili. Tale percentuale, in luogo di quella più conosciuta del 3%, è la diretta considerazione dell’attribuzione degli impianti fotovoltaici alla categoria degli immobili del settore energia termoelettrica ed in particolare a quella prevista per i “fabbricati destinati all’industria”.

(Agenzia delle Entrate, circolare n.36, 19/12/2013)

La legge di stabilità (L. 147/2013) in sintesi

13 Gen 2014
13 Gennaio 2014

Per gentile concessione della Società & Professionisti s.r.l. di Malo (VI) pubblichiamo una sintesi della legge di stabilità per il 2014 (L. 27 dicembre 2013 n. 147).

Speciale Legge di stabilità 2014

Piano casa: cementificazione inutile e dannosa o concretezza veneta?

10 Gen 2014
10 Gennaio 2014

Mercoledì 8 gennaio ho assisto alla tavola rotonda organizzata da Confartigianato presso La Fornace di Asolo (a proposito: complimenti a chi ha recuperato il complesso rendendolo così bello!).

L'assessore Zorzato si è sforzato di evidenziare i meriti del piano casa e le ragioni per le quali il terzo piano casa è fatto così come conosciamo. Altri relatori, come il giornalista Gianantonio Stella ed il sindaco di Asiago Andrea Gios, e alcune persone intervenute dal pubblico presente in sala  hanno duramente contestato il terzo piano casa, ritenuto inutile e dannoso per le future generazioni.

Da parte mia, ritenendo che il piano casa possa essere utile, vorrei però indicare alcuni punti del terzo piano casa che, a mio giudizio, avrebbero meritato una maggiore ponderazione, per amore del  territorio Veneto:

1) la misura dell'ampliamento potenziale è altissima: era proprio necessaria così alta?

2) gli ampliamenti possono trasformarsi senza problemi nella creazione di nuovi edifici del tutto autonomi e indipendenti dall'edificio di partenza: perchè chiamare "ampliamenti" la creazione di nuovi edifici extra PRG?

3) e perchè nel raggio di 200 metri?

4) perchè costringere i comuni a pianificare, spendendo cifre enormi in PAT e P.I., facendo coesistere con i piani una normativa di deroga ai piani dal 2009 al 2017? Ci sono ancora comuni privi di PAT, perchè non hanno i soldi per farlo (per esempio Monte di Malo, in provincia di Vicenza): ha senso continuare a prevedere l'obbligo del PAT per chi non lo ha ancora fatto?

5) è stato del tutto escluso il potere dei Comuni di introdurre limitazioni. Ma la Politica non avrebbe davvero potuto trovare un compromesso su questa questione, ascoltando i problemi concreti di molti sindaci?

6) non sarebbe il caso di ripensare al contenuto dei piani urbanistici, per ridurne i contenuti al poco davvero essenziale e per impedire (per esempio) ai pianificatori di inserirvi le previsioni più falotiche e strampalate immaginabili?

7) perchè mantenere la deroga alla distanza dai confini?

avv. Dario Meneguzzo

 

 

 

S.O.S. tecnico: partecipazione dell’interessato al procedimento di apposizione di un vincolo preordinato all’esproprio derivante dalla approvazione di un piano

10 Gen 2014
10 Gennaio 2014

Vi sottopongo un quesito che deriva da un caso pratico in materia di espropri.

Come noto, la procedura espropriativa di suddivide in quattro fasi (art. 8 D.P.R. n. 327/2001): 1. apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, che, in genere, si ricollega all’approvazione dello strumento urbanistico generale o di una sua variante che prevedono la realizzazione di un’opera pubblica; 2. dichiarazione di pubblica utilità, che, in generale,  si produce per effetto dell’approvazione del progetto definitivo; 3. determinazione, anche in via provvisoria, dell’indennità di esproprio; 4. decreto di esproprio.

Il problema è capire come sia regolamentata dal D.P.R. n. 327/2001 (che, si ricorda, è un Testo unico e, quindi, contiene una raccolta di norme di varia fonte, legislativa e regolamentare, di non sempre facile coordinamento) la partecipazione dell’espropriando al procedimento di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio che discende ex lege dall’approvazione di un piano urbanistico di una variante (cfr. art. 9 del D.P.R. n. 327/2001).

 Poniamo il caso più semplice, e forse più frequente nell’esperienza dei comuni,  di un vincolo preordinato all’esproprio che derivi dall’approvazione del PI.

La disciplina specifica è contenuta nell’art. 11, intitolato, appunto, “La partecipazione degli interessati”.

Il comma 1 lettera a) prevede che sia necessario inviare l’avviso di avvio del procedimento “nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno 20 venti giorni prima della delibera del consiglio comunale”: la ratio è che quando è prevista un’opera pubblica (o privata di pubblica utilità) che andrà ad insistere su una determinata area riconducibile a un determinato proprietario catastale quest’ultimo vada avvisato dell’adozione dell’adozione dell’atto urbanistico che appone il vincolo preordinato all’esproprio. Tale onere di comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, spiega la dottrina (“L’espropriazione per pubblica utilità”, Caringella, De marzo, De Nictolis, Maruotti, Giuffré, Milano, 2003), non sussiste quando invece si è in presenza di una variante urbanistica generale o di un nuovo strumento urbanistico generale, dai quali discendano una serie di vincoli preordinati all’esproprio e risulti estremamente difficoltoso per l’Amministrazione individuare tutti i destinatari espropriandi (anche se, sempre in base alla medesima dottrina, ciò non comporta il venire meno dell’obbligo per la P.A.,  pena di illegittimità dell’intera procedura, di pronunciarsi sulle osservazioni che gli espropriandi che fossero venuti a conoscenza dell’adozione della variante generale o del piano eventualmente presentassero).

La lettera a) prevede espressamente che l’avviso di avvio del procedimento vada inviato al proprietario almeno 20 giorni prima della delibera del Consiglio comunale di adozione della variante urbanistica.

Il problema è coordinare questa disposizione con il successivo comma 2 dell’art. 11, nella parte in cui, dopo avere indicato le modalità dell’avviso (che variano a seconda che i destinatari siano o più o meno di 50), prevede che “Gli interessati possono formulare entro i successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall’autorità espropriante ai fini delle relative determinazioni.” Un ulteriore problema è il coordinamento con il successivo comma 5 dell’art. 11, che così recita: “Salvo quanto previsto dal comma 2, restano in vigore le disposizioni vigenti che regolano le modalità di partecipazione del proprietario dell’area e di altri interessati nelle fasi di adozione e approvazione degli strumenti urbanistici.”

Poniamo il caso che il PI preveda la realizzazione di una singola opera pubblica (ad esempio una palestra) sull’area di un determinato proprietario catastale. Ci si chiede: quali sono i termini e gli adempimenti da rispettare da parte del Comune nell’espletamento della procedura di approvazione del PI, considerato che nel caso di specie a tale approvazione la legge ricollega l’effetto di  apposizione del vincolo preordinato all’esproprio?

In base all’art. 11, comma 1, lettera a), l’avviso deve essere fatto al proprietario catastale almeno 20 giorni prima dell’adozione, ma questo termine deve coordinarsi con quello di 30 giorni che il comma 2 dell’art. 11 assegna all’interessato per proporre le osservazioni (termine che dovrebbe decorrere, a rigore, dalla ricezione dell’avviso di avvio del procedimento): ciò comporta che tra l’invio dell’avviso di avvio del procedimento e la la deliberazione di adozione del PI dovrebbero intercorrere almeno 50 giorni (20+30). Anzi ciò non è corretto, dal momento che il comma 2 citato impone che le osservazioni, dopo essere pervenute al Comune siano anche valutate dall’amministrazione e ciò evidentemente comporta l’espletamento di una attività istruttoria da parte degli uffici comunali che richiede almeno alcuni giorni.

In sostanza, parrebbe che prima di un minimo di 50 giorni (ma il termine è superiore, sia per il tempo necessario alla ricezione da parte dell’interessato dell’avviso sia per il tempo necessario agli uffici per istruire le osservazioni) il PI non possa essere adottato, cosicché ai tempi previsti dall’art. 18 della LR 11/2004 per arrivare alla approvazione del PI devono essere sommati, in caso di esproprio, questi ulteriori 50 giorni a garanzia dei diritti partecipativi dell’espropriando, che ha appunto a disposizione una fase partecipativa in più rispetto agli altri soggetti interessati al PI, fase collocata a monte dell’adozione.

Questa è la ricostruzione della normativa in astratto, ma vorrei capire dai Comuni che leggono Venetoius come si regolino in concreto in questi casi. Attendo lumi e ringrazio.

Avv. Marta Bassanese

Trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica tra le pubbliche amministrazioni – Preclusione dell’uso del fax

10 Gen 2014
10 Gennaio 2014

La preclusione dell'uso del fax nella trasmissione dei documenti tra pubbliche amministrazioni è stata apportata all’ art. 47 del D.Lgs n. 82/2005 (Codice dell'amministrazione  digitale)  dal "Decreto del fare" ( art. 14, comma 1-bis, D.L. 21 giugno 2013, n. 69,). 

Quindi tale norma riguarda solo i rapporti tra pubbliche amministrazioni e non è applicabile ai privati.

La norma è entrata in vigore dal 21 agosto 2013

 L’art. 47 del D.Lgs. 82/2005  come modificato  dal “Decreto del fare” D.L. 21 giugno 2013, n. 69 art. 14, comma 1 – bis è il seguente:

“1.  Le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza.

1-bis.  L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1, ferma restando l'eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare.

2.  Ai fini della verifica della provenienza le comunicazioni sono valide se:

a)  sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;

b)  ovvero sono dotate di segnatura di protocollo di cui all'articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

c)  ovvero è comunque possibile accertarne altrimenti la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche di cui all'articolo 71. (È in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo fax);

d)  ovvero trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68.

3.  Le pubbliche amministrazioni e gli altri soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, provvedono ad istituire e pubblicare nell'Indice PA almeno una casella di posta elettronica certificata per ciascun registro di protocollo. Le pubbliche amministrazioni utilizzano per le comunicazioni tra l'amministrazione ed i propri dipendenti la posta elettronica o altri strumenti informatici di comunicazione nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali e previa informativa agli interessati in merito al grado di riservatezza degli strumenti utilizzati.

Avv.to Gianmartino Fontana

L’annullamento d’ufficio richiede la motivazione sul pubblico interesse

09 Gen 2014
9 Gennaio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1414 del 2013.

Scrive il TAR: "1, L’esame del provvedimento impugnato consente di ritenere fondati sia il primo che il secondo motivo e, ciò, nella parte in cui si è rilevato, sotto diverse fattispecie, la violazione dell’art. 21 nonies della L. n. 241/90.
2. Per quanto concerne il secondo motivo va rilevato come risulti assente qualunque valutazione circa l’interesse pubblico al presunto ripristino della legalità violata così, come risulta mancante l’indispensabile correlazione tra l’interesse pubblico e le aspettative del privato in origine destinatario del provvedimento poi annullato.
2.1 L’Amministrazione si è limitata ad elencare i presunti motivi di illegittimità del permesso di costruire, senza nulla argomentare circa i presupposti di cui all’art. 21 nonies della L. n. 241/90.
2.2 Detto comportamento costituisce una violazione espressa di un orientamento oramai consolidato (per tutti si veda T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 23-05-2013, n. 2724) nella parte in cui rileva che “Il provvedimento di annullamento di ufficio di un permesso di costruire, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all'esistenza dell'interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all'autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato”.
2.3 E’ parimenti noto che l’annullamento d'ufficio del permesso edilizio deve ritenersi consentito quando appaia giustificato dalla ricorrenza di uno specifico interesse pubblico concreto ed attuale, diverso da quello del mero ripristino della legalità violata.
3. Costituisce onere dell’Amministrazione quello di effettuare una congrua valutazione comparativa tra l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto ed il contrapposto interesse del privato alla conservazione del titolo, tenuto conto del livello di consolidamento dell'aspettativa sull'efficacia del permesso edilizio, valutata con speciale ponderazione del tempo passato dall'inizio dei lavori e della concreta consistenza che questi ultimi abbiano raggiunto.
4. Pur considerando dirimente detto motivo va rilevato come sussista altresì la violazione dell’art. 21 nonies anche per quanto concerne l’ulteriore presupposto relativo all’esistenza di un provvedimento illegittimo e con riferimento al primo motivo del ricorso.
4.1 Risulta, infatti, erroneo il riferimento contenuto nel provvedimento impugnato circa la presunta violazione della distanza tra allevamenti zootecnici e abitazioni di terzi, distanza minima pari a 25 metri e desumibile dall’art. 1.3 del Regolamento edilizio comunale".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1414 del 2013

Il diritto di accesso agli atti c.d. defensionale

09 Gen 2014
9 Gennaio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 1412 del 2013 si occupa dell'accesso agli atti c.d. defensionale, cioè propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni in giudizio (già pendente o da introdurre), ovvero nell'ambito di un procedimento amministrativo.

Scrive il TAR: "la tutela del diritto di accesso, come previsto dall'art. 22, comma 2, della L. n. 241 del 1990 (come modificata dalla L. n. 69 del 2009), è preordinata al perseguimento di rilevanti finalità di pubblico interesse al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'attività amministrativa (ex multis Cons. St., sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2093). La giurisprudenza amministrativa (ex multis Cons.St., sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 555) ha ritenuto che la domanda di accesso: a) deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile, e non può essere generica; b) deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta (Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3271; sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4216); c) deve essere finalizzata alla tutela di uno specifico interesse giuridico di cui il richiedente è portatore; d) non può essere uno strumento di controllo generalizzato dell'operato della P.A. (ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 12 gennaio 2011, n. 116; id., sez. IV, n. 2283/2002; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 02 febbraio 2011, n. 187); e) non può assumere il carattere di una indagine o un controllo ispettivo, cui sono ordinariamente preposti organi pubblici (Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2283; T.a.r. Lazio, sez. II, 22 luglio 1998, n. 1201). Ed ancora, è stato affermato che l'accesso c.d. defensionale, cioè propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni in giudizio (già pendente o da introdurre), ovvero nell'ambito di un procedimento amministrativo, riceve protezione preminente dall'ordinamento atteso che, per espressa previsione normativa (art. 24, u.c., L. n. 241 del 1990), prevale su eventuali interessi contrapposti (in particolare sull'interesse alla riservatezza dei terzi, financo quando sono in gioco dati personali sensibili e, in alcuni casi, anche dati ultrasensibili (Cfr. C.S., Sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 783). Ebbene, nella fattispecie, la ricorrente ha dimostrato di essere titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti ai quali è chiesto l' accesso, stante la necessità di conoscere tali atti alla cui stregua poter appurare la legittimità e l’imparzialità dell’operato della pubblica amministrazione e poter compiutamente esercitare il proprio diritto di difesa nel giudizio pendente R.G. n. 581/2013 ed in altri eventuali giudizi. Pertanto, non residuando alcun dubbio circa il diritto della ricorrente ad ottenere l'accesso e l'estrazione di copia dei documenti di cui all'originaria istanza e alla successiva lettera del 28 agosto 2013 di segnalazione dei documenti ancora mancanti, il ricorso va accolto con conseguente annullamento dell'impugnato silenzio".

sentenza TAR Veneto 1412 del 2013

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