Author Archive for: SanVittore

Regolamento recante la disciplina dell’autorizzazione unica ambientale (DPR 59/2013)

31 Mag 2013
31 Maggio 2013

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 13 marzo 2013, n. 59 

Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, a norma dell'articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35. (13G00101) (GU n.124 del 29-5-2013 - Suppl. Ordinario n. 42)

note: Entrata in vigore del provvedimento: 13/06/2013

"Art. 4 Procedura per il rilascio dell'autorizzazione unica ambientale

  1. La domanda per il rilascio dell'autorizzazione unica  ambientale corredata  dai  documenti,  dalle   dichiarazioni   e   dalle   altre attestazioni previste dalle vigenti  normative  di  settore  relative agli  atti  di  comunicazione,  notifica  e  autorizzazione  di   cui all'articolo 3, commi 1 e 2, e' presentata al SUAP che  la  trasmette immediatamente, in modalita' telematica all'autorita' competente e ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), e  ne  verifica, in accordo con l'autorita' competente, la correttezza formale.  Nella domanda  sono  indicati  gli  atti  di  comunicazione,   notifica   e autorizzazione di cui all'articolo  3,  per  i  quali  si  chiede  il rilascio   dell'autorizzazione   unica   ambientale,    nonche'    le informazioni richieste dalle specifiche normative di settore. 
  2. Qualora  l'autorita'  competente  riscontri  che  e'  necessario integrare la documentazione presentata, lo comunica tempestivamente e in modalita' telematica al SUAP, precisando gli elementi mancanti  ed il termine per il deposito delle integrazioni.
  3. Le verifiche di cui ai commi 1 e 2 si  concludono  entro  trenta giorni dal  ricevimento  della  domanda.  Decorso  tale  termine,  in assenza  di  comunicazioni,  l'istanza   si   intende   correttamente presentata. Nel caso di  richiesta  di  integrazione  documentale  ai sensi del comma 2, si applica l'articolo 2, comma 7,  della  legge  7 agosto 1990, n. 241. Qualora  il  gestore  non  abbia  depositato  la documentazione richiesta  entro  il  termine  fissato  dall'autorita' competente, l'istanza e' archiviata, fatta salva la facolta'  per  il gestore di chiedere una proroga in ragione della  complessita'  della documentazione da presentare; in tal caso, il termine e' sospeso  per il tempo della proroga.
  4.  Se  l'autorizzazione  unica  ambientale  sostituisce  i  titoli abilitativi per i quali la conclusione del procedimento e' fissata in un termine inferiore o pari a novanta giorni, l'autorita'  competente adotta  il  provvedimento  nel  termine  di  novanta   giorni   dalla presentazione della domanda e lo  trasmette  immediatamente  al  SUAP che, rilascia il  titolo.  Resta  ferma  la  facolta'  di  indire  la conferenza  di  servizi  di  cui  all'articolo  7  del  decreto   del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160.  La  conferenza di servizi e' sempre indetta dal SUAP nei casi previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e nei casi previsti dalle normative regionali  e di settore che disciplinano il rilascio, la formazione, il rinnovo  o l'aggiornamento dei titoli abilitativi di cui all'articolo 3, commi 1 e 2, del  presente  regolamento  compresi  nell'autorizzazione  unica ambientale.
  5.  Se  l'autorizzazione  unica  ambientale  sostituisce  i  titoli abilitativi per i quali almeno uno dei  termini  di  conclusione  del procedimento e' superiore a novanta giorni,  il  SUAP,  salvo  quanto previsto al comma 7, indice,  entro  trenta  giorni  dalla  ricezione della domanda, la conferenza di servizi di  cui  all'articolo  7  del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160.  In tale  caso,  l'autorita'  competente  adotta  l'autorizzazione  unica ambientale entro centoventi giorni dal ricevimento della  domanda  o, in caso di richiesta di integrazione della documentazione,  ai  sensi dell'articolo 14-ter, comma 8, della legge 7  agosto  1990,  n.  241, entro il termine  di  centocinquanta  giorni di cui all'articolo 14-ter, comma 6-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. I soggetti competenti in materia ambientale di cui  all'articolo 2, comma 1, lettera c), che esprimono  parere  positivo  possono  non intervenire alla conferenza di servizi e trasmettere i relativi  atti di assenso, dei quali si tiene conto  ai  fini  della  individuazione delle  posizioni  prevalenti  per  l'adozione  della   determinazione motivata di conclusione del procedimento, di cui all'articolo 14-ter, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241.
  6. Nei casi di cui ai commi 4 e 5 del presente articolo l'autorita' competente promuove il coordinamento dei soggetti  competenti,  anche nell'ambito della conferenza di servizi.
  7. Qualora sia necessario acquisire esclusivamente l'autorizzazione unica ambientale ai fini del rilascio, della formazione, del  rinnovo o dell'aggiornamento di titoli abilitativi  di  cui  all'articolo  3, commi 1 e 2, del presente regolamento, il SUAP trasmette la  relativa documentazione all'autorita' competente che, ove previsto, convoca la conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e seguenti della  legge 7 agosto 1990, n. 241. L'autorita' competente adotta il provvedimento e lo trasmette immediatamente al SUAP per il rilascio del titolo.
  8. L'autorita' competente trasmette, in modalita' telematica,  ogni comunicazione al gestore tramite il SUAP e mette a  disposizione  del medesimo tutte le informazioni sulla documentazione da  presentare  e sull'iter relativo alla procedura di autorizzazione unica ambientale. Il SUAP, assicura a  tutti  gli  interessati  le  informazioni  sugli adempimenti in materia secondo quanto previsto  dall'articolo  6  del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito,  con  modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e dall'articolo  54  del  decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82".

Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impia

La Francia modifica il concetto di matrimonio del code civil e consente di sposarsi anche alle coppie gay

31 Mag 2013
31 Maggio 2013

Il 7 novembre 2012 il Governo francese, sotto la presidenza di François Hollande, ha varato il disegno di legge che estende l'istituto del matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso. Il disegno di legge prevede inoltre la possibilità anche per le coppie dello stesso sesso di accedere alle adozioni dopo aver contratto matrimonio.

L'iter parlamentare ha avuto inizio nel febbraio 2013, prima con l'approvazione il 12 febbraio 2013 dell'intero disegno di legge da parte dell'Assemblea Nazionale, e poi con l'approvazione anche da parte del Senato il 12 aprile 2013, con alcuni emendamenti che hanno richiesto un ulteriore passaggio all'Assemblea Nazionale.

Il 23 aprile 2013, con 331 voti a favore e 225 voti contrari, l'Assemblea Nazionale ha dato la sua approvazione definitiva alla legge, diventando così la quattordicesima nazione al mondo - ed il nono paese europeo - ad estendere l'istituto del matrimonio alle coppie dello stesso sesso. In particolare l’art. 1 della legge modifica l’art. 143 del codice civile prevedendo che: “Il matrimonio è contratto da due persone di sesso diverso o avente lo stesso sesso”, mentre l’art. 13 della legge modifica sia l’art. 6-1 del codice civile stabilendo che: “Il matrimonio e la filiazione adottiva determinano gli stessi effetti, diritti e obblighi riconosciuti dalla legge, ad eccezione di quelli di cui al titolo VII del libro I presente Codice, indipendentemente che i coniugi o i genitori siano di sesso identico o diverso” sia altri articoli del codice in materia di adozione (artt. 34, 75, 271-1 c.c.) sostituendo all’espressione “madre e padre” quella di “coniugi” o di “genitori”.

dott. Matteo Acquasaliente

Texte adopté n° 120 - Projet de loi, adopté sans modification, par l'Assemblée nationale, en deuxième lecture, ouvrant le mariage aux couples de personnes de même sexe pdf

Il passaggio da “Trasparenza, valutazione e merito” ad “Amministrazione trasparente”

30 Mag 2013
30 Maggio 2013

Il D.Lgs. 33/2013 introduce un nuovo obbligo: la creazione nei siti internet delle pubbliche amministrazioni di una sezione che deve essere denominata “Amministrazione trasparente”.

Pubblichiamo una nota introduttiva del dott. Antonio Casella sul tema della creazione nei siti internet delle pubbliche amministrazioni della sezione "Amministrazione trasparente", che sostituisce la sezione "Trasparenza, valutazione e merito" e che incorpora la sottosezione "amministrazione aperta" introdotte da norme del 2012.

Qui sotto in formato pdf è possibile scaricare il testo della nota.

Antonio Casella - Da TVM a AT

Sulle tende da sole (con l’auspicio che il sole arrivi)

30 Mag 2013
30 Maggio 2013

Segnalo la sentenza del TAR Lombardia - Brescia n. 468 del 16/5/2013 che ha annullato un’ordinanza comunale di rimozione di una tenda da sole, emessa ai sensi del D.P.R. 380/2001. I giudici hanno escluso che la tenda in questione necessitasse del permesso di costruire, per il fatto che essa presentava i seguenti caratteri: “…  la tenda è più che amovibile nell’immediato ed avvolgibile in sé. La stessa è oggettivamente precaria e di carattere occasionale senza che ne risulti alcun aumento volumetrico di aspetto tridimensionale e stabile; la medesima sembra anche atteggiarsi come di utilità alla struttura principale quale pertinenza.”

Sempre in relazione alle tende da sole, segnalo una interessante pronuncia del TAR Campania - Napoli (sez. IV del 16/12/2011, n. 5919), che opera una ricognizione della giurisprudenza e della legislazione relative al titolo edilizio necessitante per installare tali manufatti.

Il provvedimento gravato si fonda sull'erroneo presupposto che il contestato intervento sia sottoposto al regime del permesso di costruire.

… sulla problematica concernente l'individuazione del titolo edilizio necessario per l'istallazione di tende solari, si registravano in giurisprudenza, prima della modifiche apportate all'art. 6 D.P.R. n. 380/2001 dall'art. 5 D.L. 25 marzo 2010, n. 40, tre diverse posizioni. Secondo un primo orientamento, si sarebbe trattato di un intervento privo di rilevanza edilizia, che non richiedeva, in quanto tale, alcun titolo concessorio (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 31 luglio 2006, n. 1890). Secondo un'opposta opinione, invece, le tende solari sarebbero finalizzate alla migliore fruizione di un immobile e risulterebbero destinate ad essere utilizzate in modo permanente e non a titolo precario e pertanto necessiterebbero del permesso di costruire (cfr. T.A.R. Basilicata, sez. I, 27 giugno 2008, n. 337). A parere, infine, di una posizione intermedia (espressa proprio da questa Sezione con la sentenza 2 dicembre 2008, n. 20791), l'istallazione di tende solari rientrerebbe nel novero degli interventi di manutenzione straordinaria, in quanto non determinerebbe alcun volume autonomo né una modifica permanente dello stato dei luoghi, con la conseguenza che il titolo edilizio a tal fine necessario sarebbe costituito dalla denuncia di inizio attività, ai sensi del combinato disposto degli articoli 6, 10 e 22 del D.P.R. n. 380/2001.

Il Collegio ribadisce, in accordo con quanto recentemente espresso nella già richiamata sentenza n. 5324 del 12 ottobre 2011, di condividere la riferita configurazione della natura giuridica degli interventi in questione come interventi di manutenzione straordinaria, che trova il proprio aggancio normativo nell'art. 3, comma primo, D.P.R. n. 380/2001. Infatti, le tende solari, pur essendo destinate ad alterare la facciata dell'edificio cui accedono (per cui non possono definirsi interventi di manutenzione ordinaria), hanno tuttavia semplice funzione (accessoria e pertinenziale) di arredo dello spazio esterno, limitata nel tempo e nello spazio (in quanto si tratta di strutture generalmente utilizzate nella sola stagione estiva e che non determinano alcuna variazione plano-volumetrica dell'immobile principale, per cui non integrano né una nuova costruzione né una ristrutturazione edilizia).

L'assenza della necessità del permesso di costruire ha, inoltre, ricevuto l'avallo del Consiglio di Stato in relazione ad una fattispecie di maggiore gravità rispetto a quella oggi in discussione (cfr. C.d.S., sez. IV, 17 maggio 2010, n. 3127, secondo cui <<hanno carattere pertinenziale e, come tali, non debbono essere assistite da permesso di costruire, le opere che hanno finito per sostituire una preesistente tenda parasole di un esercizio commerciale con una struttura in legno infissa alla facciata dell'edificio a mezzo di una trave e ancorata alla facciata medesima nonché, in proiezione anteriore, al muretto antistante l'accesso dell'esercizio, atteso che la struttura realizzata, pur essendo indubbiamente più stabile e "pesante" rispetto alla tenda parasole di cui ha preso il posto, è palesemente destinata ad assolvere alla medesima funzione di essa, non essendo, per entità e caratteristiche, idonea ad integrare la nozione di "porticato" o di "veranda"; in particolare, detta struttura è insuscettibile di costituire un volume autonomo e aggiuntivo rispetto all'esercizio commerciale cui accede. Ne discende che l'opera in questione va qualificata come mera pertinenza rispetto all'edificio, in quanto tale non necessitante il previo rilascio di concessione edilizia (oggi permesso di costruire)>>).

Il Collegio osserva peraltro, al riguardo, che a seguito delle modifiche apportate all'art. 6 D.P.R. n. 380/2001 dall'art. 5, del D.L. 25 marzo 2010, n. 40 (convertito con L. 22 maggio 2010, n. 73) sul regime giuridico degli interventi di manutenzione straordinaria (entrate in vigore in data successiva a quella di realizzazione delle opere per cui è causa), tali interventi possono ormai essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo, previa semplice comunicazione di inizio lavori, con previsione, in caso di mancanza di quest'ultima, di una sanzione pecuniaria pari ad euro 258,00.

Avv. Marta Bassanese

sentenza TAR Brescia 468 del 2013

sentenza TAR Napoli 5919 del 2011

L’escussione della cauzione provvisoria non si applica per la violazione dei requisiti generali di partecipazione

30 Mag 2013
30 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 28 maggio 2013 n. 768, dichiara che l’escussione della cauzione provvisoria non si applica se l’esclusione della ditta partecipante alla gara pubblica avviene per violazione dell’art. 38, c. 1, lett. g), del D. Lgs. 163/2006 secondo cui: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti (...) g) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”.

 

Premesso che l’art. 48 del D. Lgs. 163/2006 recita: “1. Le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Le stazioni appaltanti, in sede di controllo, verificano il possesso del requisito di qualificazione per eseguire lavori attraverso il casellario informatico di cui all'articolo 7, comma 10, ovvero attraverso il sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i contratti affidati al contraente generale; per i fornitori e per i prestatori di servizi la verifica del possesso del requisito di cui all'articolo 42, comma 1, lettera a), del presente codice è effettuata tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 6-bis del presente Codice. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 6 comma 11. L'Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento.

1-bis. Quando le stazioni appaltanti si avvalgono della facoltà di limitare il numero di candidati da invitare, ai sensi dell'articolo 62, comma 1, richiedono ai soggetti invitati di comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando, in sede di offerta, la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito in originale o copia conforme ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. Non si applica il comma 1, primo periodo.

2. La richiesta di cui al comma 1 è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, e nel caso in cui essi non forniscano la prova o non confermino le loro dichiarazioni si applicano le suddette sanzioni e si procede alla determinazione della nuova soglia di anomalia dell'offerta e alla conseguente eventuale nuova aggiudicazione”, il T.A.R. Veneto ritiene che la falsa dichiarazione della regolarità contributiva imputata alla impresa ricorrente è regolata esclusivamente dall’art. 38, c. 1, lett. g), del D. Lgs 163/2006 concernente i “requisiti di ordine generale” e non dall’art. 48 del D. Lgs. 163/2006 che concerne esclusivamente i requisiti economico-finanziari.

Di conseguenza: “8.1. L’esclusione dell’odierna ricorrente è stata disposta ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera g), del codice dei contratti pubblici, nel testo vigente all’epoca dei fatti, in ragione del difetto del requisito di ordine pubblico quale specifica condizione soggettiva prevista dalla legge relativa alla violazione “grave” e definitivamente accertata “rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana”, la cui sussistenza preclude la partecipazione alla gara dell’operatore economico.

8.2. Ad avviso del Collegio, la mancanza del possesso del requisito di partecipazione in questione, tuttavia, benché sanzionabile con l’esclusione dalla gara, non comporta al contempo l’escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione del fatto all’Autorità, per i provvedimenti di cui all’art. 6, comma 11, da ritenersi invero quali conseguenze tassativamente previste per l’ipotesi della mancanza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa previsti dall’art. 48 del D.Lgs. n. 163 del 2006.

8.3. L’articolo 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede, infatti, l’esclusione del partecipante alla gara, l’escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione del fatto all’Autorità per la vigilanza, che può disporre la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento, soltanto con riferimento all’accertata mancanza del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa richiesti dal bando di gara, concernenti cioè l’idoneità del concorrente sotto il profilo tecnico a espletare l’attività oggetto di gara così come la sua idoneità a far fronte agli impegni contrattuali specificati nell’ambito di una determinata procedura concorsuale.

8.4. A tale disposizione, dunque, in considerazione della sua funzione sanzionatoria, deve attribuirsi carattere tassativo dovendosi pertanto ritenersi preclusa alcuna sua estensione in via analogica ad ipotesi diverse e, in particolare, alle fattispecie di esclusione previste dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 (cfr., in tal senso, fra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2012 n. 80).

Infatti, la carenza dei requisiti di carattere generale, riguardanti cioè la moralità professionale lato sensu intesa di ciascun concorrente richiesta per la partecipazione a tutte le gare pubbliche, «è compiutamente regolata dall’articolo 38 del codice dei contratti che prevede, in tal caso, solo l’esclusione del concorrente dalla gara e costituisce situazione ontologicamente diversa dal mancato possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa disciplinata dall’articolo 48 del medesimo codice» (così Cds n. 80 del 2012, cit.) rispetto alla quale, quindi, non può realizzarsi alcun tipo di parificazione e/o assimilazione in via interpretativa.

8.5. Deve inoltre escludersi che l’applicabilità della sanzione dell’incameramento della cauzione provvisoria anche in ipotesi di accertata carenza di requisiti d’ordine generale ex art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 possa discendere dal disposto dell’art. 75, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, dal momento che tale ultima disposizione disciplina la diversa ipotesi in cui l’aggiudicatario si rifiuti di sottoscrivere il contratto senza adeguata motivazione (così Consiglio di Stato n. 80 del 2012, cit.).

8.6. Il Collegio non ignora, al riguardo, che l’Adunanza plenaria n. 8 del 2012 del Consiglio di Stato (cfr. capoverso 6 del Considerato in diritto) ha invero affermato la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria in applicazione dell’art. 75, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006 che, sempre secondo quanto in tale sede affermato, riguarderebbe «tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, intendendosi per fatto dell’affidatario qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, dunque non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma anche il difetto di requisiti generali di cui all’art. 38 citato».

8.7. Ciò nondimeno, ad avviso del Collegio, posto che la garanzia a corredo dell’offerta che viene in considerazione nell’ambito dell’art. 75 del codice dei contratti pubblici ha la finalità di garantire la stazione appaltante della mancata sottoscrizione del contratto e di assicurare l’affidabilità dell’offerta presentata, svolgendo pertanto una funzione indennitaria dei danni cagionati in una specifica fase procedimentale che prelude appunto alla definitiva stipulazione del contratto da parte di un concorrente ritenuto idoneo ad addivenire alla predetta stipulazione, detta garanzia non può ritenersi estensibile tout court a qualunque condizione oggettiva o soggettiva del concorrente che precluda la stessa possibilità di partecipare ad una procedura selettiva per l’individuazione del contraente con la P.A.

9. Quanto, poi, alla segnalazione del fatto all’Autorità effettuata dalla stazione appaltante in ragione della falsità nella dichiarazione della ditta ricorrente, deve rilevarsi che la stessa non integra un provvedimento amministrativo, ma una mera comunicazione a fini informativi e che eventuali conseguenze sanzionatorie e comunque lesive delle posizioni soggettive dell’interessato potranno conseguire solo a seguito delle successive e solo eventuali determinazioni dell’Autorità”.

Dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 768 del 2013

Ma chi lo ha detto che il Consorzio di Bonifica sia proprietario dei fossi?

29 Mag 2013
29 Maggio 2013

La stessa sentenza del TAR Veneto n. 615 del 2013, già allegata al post che precede, si occupa della questione della individuazione del soggetto proprietario di un fosso, precisando che il fatto che il Consorzio di Bonifica abbia competenze in materia di fossi non vuol dire che ne sia anche il proprietario. Da ciò discende che, se occorre un atto di assenso del proprietario, non basta una autorizzazione rilasciata dal Consorzio di Bonifica.

Scrive il TAR: "2. Ciò premesso, e per quanto attiene il merito del ricorso, è possibile accoglierlo ritenendo fondati i motivi di seguito precisati.
2.1 Dall’esame degli atti, anche successivi alla proposizione del ricorso, è emerso come il Comune di Mira, pur avendo acquisito la documentazione relativa ad una convenzione diretta alla costituzione di una servitù di passaggio dello scarico – e con riferimento ai proprietari che venivano attraversati dallo stesso scarico-, abbia omesso il compimento di quell’attività istruttoria, ulteriore, idonea ad individuare con certezza la natura giuridica e, soprattutto, la proprietà del fosso in cui si andavano a riversare gli stessi reflui e, ciò, sia al fine di individuare con certezza i ruoli e le competenze del Consorzio di Bonifica sia, più in generale, nell’intento di identificare la disciplina applicabile e, non in ultimo, circoscrivere il potenziale pregiudizio nei confronti della proprietà della ricorrente.

3. Giova ancora premettere, anche nell’intento di circoscrivere l’oggetto della controversia, come la valutazione della legittimità, o meno, del provvedimento ora impugnato – e quindi dell’intero procedimento posto in essere dal Comune di Mira precedente all’emanazione di detto provvedimento finale -, possa ragionevolmente prescindere sia, dall’accertamento di quale soggetto sia  effettivamente proprietario del fosso di cui si tratta sia, ancora, dall’accertamento del venire in essere di un aggravamento della servitù di passaggio dello scarico, circostanza quest’ultima inevitabilmente consequenziale al riconoscimento della proprietà del fosso dell’Olmo in capo alla ricorrente.
4. Ai fini dell’accoglimento del ricorso di cui si tratta deve ritenersi dirimente constatare, il venire in essere di un vizio di eccesso di potere,
riconducibile al sintomo del difetto di istruttoria, vizio reso manifesto in più di una fase del procedimento di cui si tratta.

5. Un primo elemento sintomatico di detto difetto di istruttoria attiene alle mancate verifiche esperite e con riferimento alla titolarità del fosso dell’Olmo, difetto di istruttoria confermato dall’esame della nota del 27/12/2012 indirizzata a questo Tribunale, mediante la quale, il Comune di Mira ha inteso ripercorrere l’iter istruttorio posto in essere e, ciò, a seguito dell’Ordinanza cautelare n. 645/12 di questo Tribunale.
5.1 Non solo dall’istruttoria svolta dal Comune non appare con chiarezza che la proprietà del fosso dell’Olmo sia attribuibile al Consorzio di Bonifica delle Acque Sorgive, ma va rilevato come a seguito della pronuncia cautelare di questo Tribunale lo stesso Consorzio aveva precisato (al fine di riscontrare una richiesta di chiarimenti del Comune) che il fosso dall’Olmo “non è demaniale, ma consorziale”. In realtà questo Collegio, pur consapevole sul punto dell’esistenza di una riserva di giurisdizione del Giudice Ordinario, ritiene che non possano non essere condivisi i rilievi di parte ricorrente, laddove ricorda come i beni possono essere o pubblici o privati, senza possibilità di individuare l’ammissibilità di soggetti ulteriori in quanto tali, idonei a risultare astrattamente legittimati a diventare titolari di aree o beni.
5.2 Nel procedimento che ha portato sia all’atto impugnato, sia all’emanazione degli atti presupposti del Consorzio di Bonifica, non vi è traccia di un’affermazione, di un documento, dal quale sia possibile desumere l’esistenza di una verifica finalizzata ad individuare la titolarità del fosso di cui si tratta e, ciò, pur in presenza di un’area immediatamente contigua a quella dei ricorrenti. Sul punto va, altresì, evidenziato come la disciplina che il Consorzio di Bonifica Acque Sorgive ritiene di applicare al caso di specie, e quindi il R.D. 368/1904, non può essere considerata, di per sé, determinante e dirimente a qualificare la proprietà e la natura giuridica del fosso di cui si tratta. Detta normativa è principalmente finalizzata a costituire i “Consorzi per le opere di bonifica” e ha l’intento di disciplinare di varie tipologie di consorzi ammissibili (che potrebbero essere costituiti anche da soggetti privati), consorzi competenti a svolgere varie attività di bonifica, di rilascio di concessione e di imposizione di vincoli nelle sponde e sulle aree limitrofe dei fossi.
5.2 E’ del tutto evidente come si sia in presenza di una legislazione diretta a disciplinare l’attività e la gestione dei corsi d’acqua attribuiti in manutenzione ai Consorzi di cui si tratta, circostanza che nulla ha che vedere con l’attribuzione di una titolarità. Ne consegue che l’assenza di una specifica indicazione della titolarità del fosso di cui si tratta – unitamente l’altrettanto oggettiva incidenza dei reflui sulla proprietà immediatamente adiacente della ricorrente (quanto meno da un punto di vista potenziale), non avrebbe potuto – e dovuto – sfuggire all’Amministrazione comunale.
5.3 Nel caso di specie le circostanze sopra citate avrebbero dovuto obbligare il Comune allo svolgimento di un’attività istruttoria più articolata, non potendosi arrestare – come è avvenuto nel caso di specie – ad acquisire il parere idraulico per quanto riguarda lo scarico delle acque o, ancora, alla verifica dell’esistenza in capo ai soggetti controinteressati dell’avvenuta emanazione di un atto di concessione idraulica rilasciata dal Consorzio stesso in data 20/07/2011, atti amministrativi questi ultimi diretti ad ottemperare a finalità del tutto differenti.
5.4 Circoscrivere l’istruttoria all’acquisizione degli atti sopra citati determina, inoltre, un venir meno delle funzioni di vigilanza e tutela del territorio attribuite ai Comuni sia dalla Costituzione sia, dall’art. 27 del Dpr 380/2001 laddove prevede che ..” Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio
comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.
5.5 Una circostanza ulteriore che dimostra l’esistenza del difetto di istruttoria è riconducibile alla mancanza, negli atti propedeutici all’emanazione del provvedimento impugnato, della documentazione dell’autocertificazione, richiesta dall’art. 1 del Dpr 227/2011 e diretta ad attestare l’esistenza, nei confronti della Societa' Ri.Va di De Jacob Rocco & C, della qualificazione di piccola o media impresa, qualificazione quest’ultima che costituisce un presupposto per equiparare i reflui così prodotti ai reflui domestici, con consequenziale applicazione di detta ultima disciplina.
La mancata presentazione, da parte della Societa' Ri.Va di De Jacob Rocco & C, della dichiarazione sostitutiva sopra citata – unitamente alla contestuale mancata richiesta da parte del Comune dell’esibizione di detta documentazione ad integrazione della domanda presentata-, avrebbe dovuto impedire al Comune di Mira di applicare la disciplina dei reflui domestici allo scarico di cui si tratta".

Dario Meneguzzo

Chi pesca acqua di irrigazione da un fosso ha interesse a impugnare l’autorizzazione a scaricare acque reflue in quel fosso

29 Mag 2013
29 Maggio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 615 del 2013 decide un ricorso col quale è stata impugnata l'auorizzazione rilasciata dal Comune a scaricare acque reflue in un fosso, che non è di proprietà dei ricorrenti.

Scrive il TAR a proposito della legittimazione e dell'interesse al ricorso: "1. In primo va luogo va esaminata l’eccezione preliminare del Comune di Mira diretta a rilevare l’inammissibilità e l’irricevibilità per carenza di interesse al ricorso della parte ricorrente, eccezione argomentata considerando che il percorso seguito dal nuovo scarico delle acque reflue non interesserebbe alcun terreno di proprietà della Sig.ra Zaramella. Partendo da detto presupposto, il Comune rileva che i proprietari, effettivamente interessati dal percorso della tubazione di cui si tratta, avevano proceduto a sottoscrivere una servitù volontaria di passaggio dello scarico, circostanza quest’ultima che escluderebbe di fatto l’esistenza di un concreto ed effettivo interesse al ricorso da parte della ricorrente. L’eccezione è infondata.
1.1 L’esame degli atti in causa permette di evincere come debba ritenersi esistente un potenziale pregiudizio alle colture e, ciò, considerando che i reflui di cui si tratta, pur non attraversando il fondo della ricorrente finiscono per sversare in un fosso immediatamente adiacente (c.d. fosso dell’Olmo) agli stessi terreni di proprietà.
1.2 A conferma di quanto sopra affermato si consideri, che nell’ambito della documentazione inviata dal Comune a questo Tribunale a seguito dell’Ordinanza cautelare n. 645/12, era contenuta un’ulteriore nota del Consorzio di Bonifica delle Acque Sorgive, nella quale lo stesso Consorzio aveva cura di affermare che il fosso dell’Olmo svolgeva una funzione, seppur secondaria, “di irrigazione”, essendo utilizzato per scopi irrigui dai proprietari dei terreni limitrofi.
1.3 Sul punto è utile ricordare quanto affermato da un costante orientamento giurisprudenziale, in applicazione dei principi generali sul processo amministrativo (T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 22-11- 2012, n. 635), nella parte in cui ha sancito che ” Nel processo amministrativo, l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale  annullamento dell'atto impugnato”.
1.3 Ne consegue che, anche prescindendo dalla circostanza che il Fosso dell’Olmo sia, o meno, di proprietà della ricorrente è del tutto evidente l’interesse di quest’ultima ad impedire lo sversamento di reflui in un’area situata a margine dei terreni adibiti a coltivazione e, quindi, ad ottenere l’annullamento dell’atto di autorizzazione allo scarico ora impugnato. L’eccezione di inammissibilità e irricevibilità è pertanto infondata".

sentenza TAR Veneto 615 del 2013

Il rapporto tra ricorso giurisdizionale e quello arbitrale

29 Mag 2013
29 Maggio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza del 15 maggio 2013 n. 2641, si occupa dell’alternatività tra il ricorso giurisdizionale e quello arbitrale, dichiarando che: “6.3. – L’alternatività tra ricorso al collegio arbitrale e ricorso giurisdizionale è fondata su una costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cfr. in particolare la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 maggio 2001, n. 2807, oltre alla ampia giurisprudenza richiamata dalla sentenza impugnata). Essa deve essere ribadita alla luce del nuovo codice del processo amministrativo che afferma, all’art. 7, comma 7, in via generale principi di economia e di concentrazione della giurisdizione amministrativa, che devono ritenersi estesi anche ai rapporti tra giurisdizione amministrativa e collegi arbitrale, al fine di non vanificare gli scopi delle norme che prevedono questi ultimi proprio come soluzione alternativa alla giurisdizione.

6.4. – Il principio di alternatività è confermato del fatto che sia pure limitatamente a qualificati motivi è consentita la impugnazione della decisione del collegio arbitrale, come infatti avviene anche nel presente giudizio, nonché dalla esistenza di limiti alla impugnabilità della decisione arbitrale, che non avrebbero senso, se non esistesse un principio di alternatività quanto al merito della decisione. La stessa difesa appellante lo riconosce quando argomenta che dall’accoglimento delle censure relative alla mancanza dei presupposti di validità della decisione arbitrale deriverebbe il venir meno dell’inammissibilità relativa al primo ricorso in primo grado”.

Il Collegio inoltre chiarisce i imiti entro cui si può esperire un’impugnazione nei confronti del lodo arbitrale: “Va innanzitutto ricordato l’ambito entro il quale può essere impugnata la decisione arbitrale secondo la già richiamata sentenza n. 21 maggio 2001, n. 2807, alla cui impostazione questo Collegio aderisce: " Ne consegue che il lodo emesso in sede di arbitrato irrituale è impugnabile solo per i vizi che possano vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, violenza, dolo, incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico o dell'arbitro stesso) (Cass., Sez. Un., 8 agosto 1990, n. 8010)."……. In particolare, l'errore rilevante deve presentare, a norma dell'art. 1428 c.c. i requisiti della essenzialità e della riconoscibilità e vertere su taluno degli elementi indicati nell'art. 1429 c.c., che le parti abbiano debitamente prospettato agli arbitri stessi; dunque l’errore rilevante è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri e ricorrente quando questi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà per non avere preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa; mentre è preclusa ogni impugnativa per errori di giudizio, sia in ordine alla valutazione delle prove che in riferimento all'idoneità della decisione adottata a comporre la controversia (Cass., Sez. Un., 8 agosto 1990, n. 8010; Cass. civ., Sez. I, 10 marzo 1995, n. 2802; Cass., Sez. I, 28 novembre 1992, n. 12725; Cass., Sez. Un., 26 gennaio 1988, n. 664). Deve dunque senz’altro escludersi la impugnabilità del lodo arbitrale per errori di giudizio, cioè errori di valutazione dei fatti, ferma restando l’esatta rappresentazione degli stessi. …. Quanto agli errori di diritto, giova osservare che gli stessi non sono del tutto irrilevanti, ai sensi dell’art. 1429 cod. civ., quale causa di annullamento degli atti negoziali: e, invero, l’art. 1429, n. 4, considera essenziale, e dunque possibile causa di annullamento del negozio, l’errore di diritto che sia "stato la ragione unica o principale del contratto"; l’errore di diritto, poi, oltre che determinante, deve essere riconoscibile dall’altro contraente (art. 1428 cod. civ.)…. L’errore di diritto rilevante quale vizio del consenso è quello che si traduce in una erronea rappresentazione dei fatti a causa di una erronea premessa giuridica. Si tratterà, di regola, di errore sulla esistenza o inesistenza di una norma giuridica, e non di un errore di interpretazione e valutazione della portata della norma medesima”.

dott. Matteo Acquasaliente

Consiglio di Stato n. 2641 del 2013

Il Consiglio di Stato chiarisce quando c’è l’uso pubblico di una strada

29 Mag 2013
29 Maggio 2013

La questione giuridica decisa dalla sesta sezione del Consiglio di Stato con la decisione n. 2544 del 10 maggio 2013 trae origine da una deliberazione del Consiglio comunale - di un Comune livornese, Marciana, - che modificava il tracciato di una “strada vicinale” ad uso pubblico perché troppo vicino ad un fabbricato di proprietà di un abitante.

 I vicini avevano impugnato la suddetta delibera innanzi al T.A.R. Toscana deducendo la natura privata del tracciato modificato in quanto, esso, costituiva l'unica via di accesso alle loro proprietà.

 Il Tribunale amministrativo accoglieva il ricorso annullando la deliberazione comunale ritenendo che questa non potesse avere ad oggetto una strada privata.

 Il Comune proponeva appello ed il Consiglio di Stato, prima di decidere, nominava un verificatore con il compito di descrivere i luoghi di causa, chiarire chi usava il viottolo, di che materiale era fatto e se era stato oggetto di manutenzione da parte dell'appellante.

 Il Consiglio di Stato dopo aver enunciato su quale questione giuridica si pronuncerà - ossia: l'accertamento dell'effettiva esistenza di una servitù di uso pubblico sul viottolo – premette che il giudice amministrativo può conoscere in via incidentale di diritti soggettivi quando tale sindacato è necessario  per accertare la legittimità di un provvedimento amministrativo.

In particolare il g.a. ha  il potere di compiere una verifica in ordine alla esistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada, nel caso in cui essa sia finalizzata a stabilire se la delibera comunale che ha regolamentato il percorso attraverso di essa sia o meno legittima. Se la strada ha natura esclusivamente privata, la delibera deve ritenersi invalida.

Il Collegio poi chiarisce quando inizia a decorrere il termine per impugnare una delibera comunale.

L'art. 41, comma 2, del C.p.a.  prevede che il termine decadenziale di sessanta giorni per impugnare  l'atto amministrativo decorre dal momento in cui “l'interessato ne abbia ricevuta la notifica, o ne abbia comunque avuta piena conoscenza, o, per gli atti in cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento”. In base a tale disposizione, la pubblicazione all'albo pretorio non è sufficiente a determinare la presunzione assoluta di piena conoscenza dell'atto da parte dei soggetti, ai quali l'atto direttamente si riferisce e interessati a impugnarlo, ai quali il provvedimento, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, deve essere notificato o comunicato direttamente.

 Infine i giudici d'appello rigettano il ricorso del Comune di Marciana, confermando la sentenza del T.A.R. Toscana n. 1834/2008, in quanto dalla verificazione è emersa la natura esclusivamente privata del tracciato di strada che di conseguenza non poteva essere modificato dalla delibera.

Il Consiglio di Stato chiarisce che per considerare esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada (e quindi farla diventare da strada privata a strada vicinale ad uso pubblico) occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della pubblica amministrazione.

  Rocco Giacobbe Vaccari – Avvocato del Foro di Padova

CDS_2544_del_2013

DIA: l’ordine di inibizione dei lavori deve essere non solo adottato ma anche notificato entro i 30 giorni

28 Mag 2013
28 Maggio 2013

Della questione si occupa la sentenza del TAR Veneto n. 624 del 2013.

Scrive il TAR: "il provvedimento impugnato è illegittimo in quanto non risulta rispettato il termine di trenta giorni, termine che impone, per espressa previsione normativa, che l’ordine di inibizione dei lavori venga non solo adottato ma anche notificato (cui non è quindi in ogni caso equiparabile la sola trasmissione via fax) al soggetto interessato entro il termine suddetto; infatti, come documentato dalla stessa resistente, l’avviso di notifica della comunicazione mediante il servizio postale, attestante la data in cui è stata effettuata la spedizione, porta la data del 12 novembre 2012, quindi oltre i trenta giorni decorrenti dalla data di presentazione della DIA, risalente al 10 ottobre 2012".

Dalla parte di sentenza citata si potrebbe pensare che basti la spedizione da parte del Comune e che non conti il ricevimento da parte dell'interessato, ma dalla lettura dell'intera sentenza sembrerebbe di capire, invece, che il Tribunale con notifica intenda il ricevimento da parte del destinatario.

sentenza TAR Veneto 624 del 2013

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC