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Gara con due soli concorrenti: anche il rapporto tra il ricorso principale e quello incidentale escludente è rimesso all’Adunanza Plenaria

23 Mag 2013
23 Maggio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella medesima ordinanza n. 2681/2013, rimette all’Adunanza Plenaria anche la questione del rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale escludente, ossia “della questione concernente, nelle gare con due soli partecipanti, i rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale c.d. escludente (volto cioè a far valere l’illegittimità dell’ammissione alla gara del ricorrente principale) o, più in generale, la questione relativa alla permanenza della legittimazione a ricorrere del ricorrente principale una volta che nel corso del giudizio sia accertato (in accoglimento del ricorso incidentale) che questi abbia partecipato illegittimamente alla gara dalla quale doveva essere escluso, oppure, a seconda dei casi concreti che possono verificarsi, che sia legittimo il provvedimento di esclusione adottato nei suoi confronti dalla stazione appaltante e che, quindi, siano infondati i motivi di ricorso dallo stesso proposti avverso tale atto di esclusione. La questione si pone laddove, come nel caso di specie, il ricorso principale sia a sua volta escludente, sia cioè diretto a dimostrare che l’amministrazione avrebbe dovuto escludere dalla gara anche l’aggiudicatario. In particolare, il problema sorge nell’ambito delle gare con due soli concorrenti (o, eventualmente, con più concorrenti, ma solo laddove sia contestata la legittimità della partecipazione di ciascuno di essi), in quanto in tale ipotesi il ricorrente principale, nonostante l’illegittimità della sua partecipazione (o, a seconda dei casi, la legittimità della sua esclusione), potrebbe avere, comunque, interesse alla decisione del ricorso principale escludente, al fine di soddisfare il suo interesse c.d. strumentale al rifacimento della gara”.

Secondo la giurisprudenza tradizionale, sancita della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4/2011, “le questioni relative alla legittimità dell’ammissione alla gara del ricorrente principale (o, a seconda dei casi, della sua esclusione) hanno priorità logica sulle questioni relative alla legittimità della partecipazione alla gara dell’aggiudicatario, con la conseguenza che, ove nel corso del giudizio venga accertato (in accoglimento del ricorso incidentale) che si sarebbe dovuto escludere il ricorrente principale, il ricorso principale diventa improcedibile per il sopravvenuto difetto del presupposto processuale costituito dalla legittimazione a ricorrere” ed ancora: “Il principio di fondo espresso dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4 del 2011 è quello secondo cui la legittimazione al ricorso non si acquisisce con la semplice domanda di partecipazione o con l’ammissione alla gara, ma con l’ammissione legittima, con la conseguenza che il concorrente ammesso illegittimamente perde la legittimazione nel momento in cui viene annullato (in sede giurisdizionale in seguito all’accoglimento del ricorso incidentale o, eventualmente, anche dall’Amministrazione, in via di autotutela) l’atto infraprocedimentale di ammissione.L’atto infraprocedimentale di ammissione attribuirebbe, quindi, solo una legittimazione provvisoria, destinata a venire meno una volta che esso vengo rimosso o in sede giurisdizionale o in sede di autotutela amministrativa, con l’ulteriore conseguenza che tutte le questioni relative alla legittimità dell’ammissione del ricorrente principale avrebbero priorità logica sulle altre, determinando, ove risultino fondate, l’improcedibilità del ricorso principale (o degli altri motivi del ricorso principale) diretto all’esclusione dell’aggiudicatario”.

Tale decisione, tuttavia, ha determinato contrasti giurisprudenziali e dottrinali sollevati anche dalla sentenza de qua:

·         In primo luogo, far dipendere l’ammissibilità o la procedibilità del ricorso principale dalla circostanza che la partecipazione alla gara del ricorrente principale sia "legittima" rischia di limitare fortemente, fino ad escluderla del tutto, la possibilità di tutela in sede giurisdizionale del c.d. interesse strumentale, ovvero dell’interesse del ricorrente principale ad ottenere, mediante l’estromissione dell’aggiudicatario (in ipotesi anch’egli illegittimamente ammesso), la ripetizione della gara” (...);

·         In secondo luogo, nelle fattispecie destinate ad essere regolate dai principi espressi dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4 del 2011, vengono normalmente in rilievo due posizioni sostanziali che, almeno in ipotesi, sono perfettamente identiche e speculari: l’aggiudicatario e il ricorrente principale (unici partecipanti alla gara) contestano reciprocamente ciascuno la legittimità dell’ammissione dell’altro. Applicando i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, questa perfetta identità sotto il profilo sostanziale viene "alterata" in sede processuale, attribuendo preferenza alla posizione dell’aggiudicatario, il quale, pertanto, anche se ha beneficiato dello stesso errore compiuto dall’Amministrazione in sede di ammissione del ricorrente principale, riesce, in tal modo, a conservare l’aggiudicazione a discapito dell’interesse, avente pari dignità sotto il profilo sostanziale, del ricorrente principale ad ottenere la rinnovazione della gara” (...);

·         In terzo luogo, la stessa nozione di legittimazione al ricorso recepita dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 solleva ulteriori perplessità, nella misura presuppone un concetto di legittimazione al ricorso provvisoria e secundum eventum litis. Secondo la tesi accolta dall’Adunanza Plenaria, n. 4 del 2011, la legittimazione esisterebbe al momento della proposizione del ricorso, ma potrebbe venire meno a seconda, appunto, dell’esito del giudizio. Il ricorrente principale è legittimato ad impugnare l’aggiudicazione, ma lo è fino a quanto non si accerti, per effetto dell’accoglimento del ricorso incidentale (o del rigetto dei motivi di ricorso principale contro l’esclusione già disposta dall’Amministrazione), che non avrebbe dovuto partecipare alla gara. In questo modo, quindi, si fa dipendere la risoluzione di una questione pregiudiziale di rito (l’ammissibilità del ricorso) dall’esito del giudizio concernente pur sempre la legittimità degli atti del procedimento di gara. Il ricorrente principale è così legittimato se è infondato il ricorso incidentale "escludente" o se sono fondati i motivi di ricorso principale avverso il provvedimento che ha disposto la propria esclusione”.

 

L’ordinanza di rimessione, infine, critica anche la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4/2011 laddove afferma che la mera partecipazione ad un gara pubblica non determina ex se la legittimazione al ricorso: “Secondo l’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, "la situazione legittimante costituita dall’intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell’ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva". "Pertanto, la definitiva esclusione o l’accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva". In questo modo, si pongono sullo stesso piano l’impresa che alla gara non ha nemmeno partecipato, e quella che ha partecipato ma è stata legittimamente esclusa (non importa se per atto dell’Amministrazione o per atto del giudice a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale). Sotto tale profilo, la sentenza dell’Adunanza Plenaria richiama quell’orientamento giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato, IV, 23 gennaio 1986, n. 57, dichiara inammissibile il ricorso proposto dal concorrente che, dopo aver presentato la domanda di partecipazione alla gara, sia stato escluso dall’Amministrazione con un atto non impugnato (e, quindi, divenuto inoppugnabile) ovvero impugnato senza successo”; di conseguenza il Collegio ritiene che: “Un interesse sostanziale riceve, infatti, di regola, la sua qualificazione normativa direttamente dalla legge, non dal provvedimento. Il provvedimento non può né cancellare la qualificazione normativa che un interesse ha già ricevuto dal sistema ordinamentale, né conferirla ad interessi che non ce l’hanno a prescindere da esso. In altri termini, non si può neppure ritenere sussistente l’inedito potere dell’Amministrazione di selezionare (con i provvedimenti di ammissione o di esclusione) i soggetti titolari di interessi qualificati e, quindi, di ampliare o restringere la cerchia dei soggetti legittimati ad impugnare i suoi atti. A ciò si aggiunga poi che, come è stato evidenziato in dottrina, all’affermazione che ricollega la legittimazione alla legittimità dell’ammissione, può ulteriormente opporsi la considerazione che, ove sia fondata l’impugnazione principale che contesta l’ammissione dell’aggiudicatario, verrebbe, anche quest’ultimo, a trovarsi privo della legittimazione a contestare, con ricorso incidentale, quella dell’altro concorrente”.

dott. Matteo Acquasaliente

Consiglio di Stato ordinanza n. 2681 del 2013

Sarà l’Adunanza Plenaria a chiarire se il principio di tassatività delle cause di esclusione ha carattere retroattivo

23 Mag 2013
23 Maggio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. VI, con l’ordinanza del 17 maggio 2013 n. 2681, rimette all’Adunanza Plenaria la questione di diritto concernente la retroattività (o meno) del principio di tassatività delle cause di esclusione enucleato dal vigente art. 46, c. 1-bis, del D. Lgs. 163/2006, nonché l’ambito di applicazione del correlato c.d. dovere del soccorso istruttorio.

L’ordinanza di rimessione trae origine da una disposizione della lex specialis che, con riferimento ad una gara - indetta nel 2001 - per la concessione di uno specchio acqueo prospiciente il porto di Napoli per l’ormeggio di un bacino galleggiante di proprietà privata, dispone di allegare all’offerta economica, a pena di esclusione, anche la copia fotostatica del documento d’identità del soggetto sottoscrittore.

Il Consiglio di Stato affronta in modo molto dettagliato ed approfondito l’evoluzione normativa e giurisprudenziale concernente il c.d. dovere del soccorso istruttorio affermando che: “Come è noto, il c.d. dovere di soccorso istruttorio è sancito, nell’ambito della disciplina generale del procedimento amministrativo, dall’art. 6, comma 1, lett. b) della legge n. 241 del 1990 (in base al quale il responsabile del procedimento è tenuto a chiedere "il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete", sollecitando il privato a porre rimedio ad eventuali dimenticanze o errori) ed è richiamato, con specifico riferimento proprio alle procedure di affidamento degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, dall’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui, "nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documento e dichiarazioni presentati".

L’invito a regolarizzare la documentazione prodotta costituisce, quindi, un istituto di carattere generale, che, nel particolare settore delle gare pubbliche, soddisfa l’ulteriore esigenza di consentire la massima partecipazione alla gara, orientando l’azione amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione e della capacità tecnica ed economica, attenuando la rigidità delle forme.

12. Nonostante gli interessi sostanziali che il principio del soccorso istruttorio consente di soddisfare, è frequente nella giurisprudenza amministrativa la tendenza a fornire una interpretazione piuttosto restrittiva delle disposizioni riguardanti il suddetto istituto.

Tale tendenza nasce dal timore che un’applicazione ampia del dovere di soccorso potrebbe alterare la par condicio ed incidere sul divieto di disapplicazione della lex specialis contenuta nel bando.

Da qui la tradizionale affermazione giurisprudenziale secondo cui nelle procedure di gara è preclusa qualsiasi forma di integrazione documentale, attesa la natura decadenziale dei termini cui è soggetta la procedura ad evidenza pubblica con riguardo alla presentazione delle offerte, pena la violazione non solo del canone di imparzialità e di buon andamento dell’azione della P.A., ma anche del principio della par condicio di tutti i concorrenti.

Da qui anche l’ulteriore distinzione tra i concetti di "regolarizzazione documentale" ed "integrazione documentale". Quest’ultima (l’integrazione) non sarebbe consentita, risolvendosi in un effettivo vulnus del principio di parità di trattamento; sarebbe consentita, invece, la mera regolarizzazione, che attiene a circostanze o elementi estrinseci al contenuto della documentazione.

13. Il confine, tuttavia, rimane di difficile individuazione, perché spesso i termini integrazione e regolarizzazione vengono indifferentemente utilizzati e soprattutto perché la questione della distinzione tra ‘regolarizzazioni non lesive’ della par condicio ed ‘integrazioni lesive’ viene fatto dipendere dalle qualificazioni stabilite ex ante nel bando, nel senso che il principio del soccorso istruttorio si ritiene inoperante ogni volta che si tratti di omissioni documentali richieste a pena di esclusione dal bando gara.

In particolare, con specifico riferimento alla violazione formale delle clausole del bando che sanzionano con l’esclusione l’inosservanza di adempimenti documentali o procedimentali, la giurisprudenza prevalente è orientata nel senso che - in presenza di una clausola inequivoca prevista a pena di esclusione - tale sanzione scaturisca automaticamente in virtù della scelta operata a monte dall’Amministrazione, senza ammettere alcuna possibilità di regolarizzazione documentale.

Tale interpretazione rigorosa viene giustificata in nome del principio di autoresponsabilità in capo ai concorrenti, per il quale ciascuno di essi deve assumere le conseguenze di eventuali errori commessi nella formulazione dell’offerta e nella presentazione della documentazione. Di conseguenza, si è affermato che l’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006 consenta solo di completare o chiarire dichiarazioni o documenti già presentati, ma non di introdurre documenti nuovi, né tantomeno che la norma possa essere utilizzata per supplire alla violazione di adempimenti procedimentali o all’omessa allegazione dei documenti richiesti a pena di esclusione, consentendo al concorrente negligente la possibilità di completare la domanda di partecipazione successivamente al termine finale stabilito dal bando.

In base a questo orientamento, quindi, in presenza di una previsione chiara e dell’inosservanza di questa da parte di una impresa concorrente, l’invito alla regolarizzazione costituirebbe una palese violazione del principio della par condicio, che verrebbe vulnerato dalla rimessione in termini, per mezzo della sanatoria (su iniziativa dell’Amministrazione) di una documentazione incompleta o insufficiente ad attestare il possesso del requisito, del concorrente che non ha presentato, nei termini e con le modalità previste dalla lex specialis, una dichiarazione conforme al regolamento di gara (cfr., fra le altre, Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 2013, n. 974; sez. V, 5 dicembre 2012, n. 6248; sez. V, 25 giugno 2007, n. 3645; sez. VI, 23 marzo 2007, n. 1423; sez. V, 20 maggio 2002, n. 2717).

In questo modo, come si accennava, viene definitivamente rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante la (auto)regolamentazione del soccorso istruttorio, atteso che la scelta discrezionale dell’Amministrazione - di inserire nel bando la previsione che un determinato adempimento formale o documentale è richiesto a pena di esclusione - consente all’Amministrazione di prescindere dall’onere di una preventiva interlocuzione e di escludere pertanto il concorrente sulla base della riscontrata carenza documentale, a prescindere anche da ogni verifica sulla valenza "sostanziale" della forma documentale omessa o mancante”.

 

Il Collegio, tuttavia, aderisce all’orientamento che valorizza il dato sostanziale rispetto a quello formale, in quanto: “il Collegio ritiene condivisibile questo secondo orientamento, il quale, per quanto allo stato minoritario, ha, dalla sua parte, l’innegabile pregio di evitare quell’eccessivo formalismo che a volte caratterizza il contenzioso in materia di contratti pubblici, con giudizi divenuti il campo di una "vera e propria caccia all’errore", in cui carenze puramente documentali (persino, appunto, la mancanza di una fotocopia) mettono a rischio investimenti importanti, creano profonda incertezza tra gli operatori e conducono alla stipula di contratti con corrispettivi di importo superiore, rispetto a quanto conseguirebbe dall’applicazione del principio del soccorso istruttorio”, e ciò nell’ottica delle recenti riforme legislative tendenti ad alleggerire gli oneri burocratici e documentali nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazioni.

 

Per quanto concerne la tassatività della cause di esclusione, il Collegio si interroga se tale disposizione abbia portata interpretativa (e di conseguenza sia retroattiva) o se invece abbia portata innovativa, disponendo solo per l’avvenire.

 

Assodato il carattere innovativo della previsione che sanziona con la nullità le clausole del bando che violano il principio di tassatività, il Massimo Consesso ritiene che: “In relazione a tale profilo vi sono certamente elementi per ritenere che tale previsione abbia una portata non innovativa, ma interpretativa; per ritenere, in altri termini, che il legislatore, in presenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla reale portata del dovere di soccorso istruttorio nell’ambito delle procedure di gara, abbia voluto prendere posizione a favore dell’interpretazione ispirata ad un maggiore sostanzialismo, chiarendo, a fronte di una prassi amministrativa e di una interpretazione giurisprudenziale di segno prevalentemente contrario, che alla stazione appaltante è precluso imporre nel bando prescrizioni ed adempimenti ulteriori a quelli ordinariamente previsti sulla base della legge e del regolamento.

Del resto, con specifico riferimento alle clausole del bando che, come quella in esame, prevedono a pena di esclusione adempimenti di carattere documentale o meramente formale, non può non evidenziarsi come, tramite il loro inserimento nel bando, la stazione appaltante ottenga il risultato di autoescludere (con riferimento, appunto, a quei documenti o a quelle forme imposte a pena di esclusione) la propria soggezione al dovere di soccorso istruttorio, che è, invece, imposto dall’art. 46, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 e, più in generale, dall’art. 6 della legge n. 241 del 1990.

La sicura cogenza del principio del soccorso istruttorio - a sua volta espressione del più generale principio di leale collaborazione nei rapporti tra Amministrazione e privato, che grava sulla stazione appaltante anche nel corso del procedimento di evidenza pubblica - dovrebbe, allora, escludere la legittimità di clausole che, mediante la specifica previsione della automatica sanzione espulsiva in presenza di omissioni documentali o formali, consentano all’Amministrazione di prescindere da qualsiasi forma di preventiva interlocuzione e di preventiva collaborazione con il privato concorrente. È ancora significativa, ad avvalorare la portata interpretativa più che innovativa della nuova disposizione, la circostanza che il legislatore abbia deciso di collocarla topograficamente all’interno dell’art. 46 (appunto dedicato al principio del soccorso istruttorio), numerando il relativo comma come "1-bis", per sottolineare che la nuova regola debba essere intesa come una specificazione o un corollario del principio del "soccorso" istruttorio, in base al quale, quindi, il dovere di preventiva richiesta di regolarizzazione opera inderogabilmente tranne nei casi in cui la causa di esclusione abbia un fondamento, implicito o esplicito, in una fonte legislativa o nel regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici”.

 

Alla fine, dunque, il Consiglio di Stato rimette all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni di diritto: “a) se, ed eventualmente in che misura, nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 4, comma 2, lett. d) del d.l. 11 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106, possa già ritenersi vigente un principio di tassatività della cause di esclusione dalle gare per l’affidamento di contratti pubblici;

b) se, in particolare, debbano ritenersi illegittime, per la violazione di tale principio, le clausole che impongono a pena di esclusione adempimenti documentali o formali privi di una base normativa espressa;

c) se, ed in che misura, ove si dovesse, al contrario, concludere per la validità di dette clausole "atipiche" di esclusione, sia comunque onere per la stazione appaltante, alla luce del generale principio del soccorso istruttorio di cui all’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, invitare il concorrente, prima di disporne l’esclusione, ad una "regolarizzazione" documentale, consentendogli l’eventuale produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la regolarizzazione della forma omessa, nei casi in cui l’omissione formale o documentale non incida sulla sussistenza dei requisiti di partecipazione e sulla capacità tecnica ed economica del concorrente”.

dott. Matteo Acquasaliente

Consiglio di Stato ordinanza n. 2681 del 2013

 

Piano casa: come funziona l’ampliamento del 40% o del 50% di cui all’art. 3 della L. Reg. n. 11/2009 nel caso di edificio solo in parte anteriore al 1989

22 Mag 2013
22 Maggio 2013

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 547 del 2013.

Scrive il TAR: "parte ricorrente sostiene la violazione dell’art. 3 della L. Reg. n. 14/2009 nella parte in cui il Comune ritiene non applicabile il beneficio della possibilità di ampliamento del 40% a, ciò, ostando la circostanza che la realizzazione di parte dell’immobile risalirebbe ad un periodo successivo al 1989. Per il ricorrente l’applicazione dell’art. 3 sopra citato dovrebbe, al contrario, ritenersi ammissibile a prescindere dalle successive ristrutturazioni che avevano riguardato l’immobile – in quanto tutte successive al 1989-, ritenendo, così, che il periodo a cui fare riferimento dovesse essere individuato nel periodo di edificazione della sola parte originaria del fabbricato.
2. Come è noto l’art. 3 della L. Reg. n. 11/2009 subordina l’ammissibilità del beneficio idoneo a permettere una demolizione e ricostruzione unitamente ad un ampliamento fino ad un massimo del 40% o 50% del volume all’esistenza di due presupposti. Il primo di questi sancisce lanecessità che  l’intervento si riferisca ad edifici realizzati anteriormente al  1989; il secondo ritiene indispensabile che detti immobili siano “legittimati” da titoli abilitativi che, nel contempo, necessitino di essere “adeguati agli standard qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza”. L’intento della norma, di carattere evidentemente eccezionale in quanto derogatoria della disciplina urbanistica è di procedere all’adeguamento di quegli edifici più risalenti nel tempo e, ciò, previa verifica del venire in essere dei due presupposti sopra citati, questi ultimi necessariamente tra di loro interdipendenti.
2.1 E’ del tutto evidente, infatti, che gli edifici di cui si tratta, in quanto costruiti sulla base di una disciplina risalente, potrebbero non ottemperare agli attuali standard energetici e tecnologici più recenti e, nel contempo, è presumibile che gli stessi siano stati realizzati prescindendo dall’utilizzo di tecniche costruttive di edilizia sostenibile, finalità queste ultime dirette al perseguimento di un interesse generale e pubblico. Va, altresì, rico rdato che il testo originario dei comma 2 e 3 non riteneva ammissibile una demolizione (e ricostruzione) solo parziale dell’edificio, possibilità quest’ultima introdotta, poi, dalla L. n. 13/2011 al fine di incentivare il ricorso agli effetti premiali di ampliamento della superficie.
3. Sulla base di quanto sopra ricordato risulta evidente la legittimità del provvedimento impugnato che, nel rigettare l’istanza di permesso di costruire, ritiene dirimente, proprio la mancanza del primo dei due requisiti sopra citati e, ciò, nella parte in cui rileva come parte dell’edificio sia stata realizzata dopo il 1989, circostanza quest’ultima che ha impedito all’ Amministrazione comunale di conteggiare la nuova superficie ai fini dell’ottenimento dell’ampliamento del 40% di cui all’art. 3 della L.Reg. n. 14/2009.
3.1 A dimostrazione di detta impostazione il provvedimento impugnato menziona le successive concessioni edilizie n. 196/88 (i cui lavori erano iniziati il 07/12/1989) e, ancora, le successive concessioni edilizie n.77/93 e 303/93, rilasciate in variante in sanatoria e successive, anch’esse, al 1989. Si consideri come l’Amministrazione comunale, sempre nel corpo del provvedimento impugnato, evidenzia come l’istanza di permesso di costruire avrebbe potuto essere concessa se, ed in quanto, riferita alla parte dell’edificio originaria, antecedente al 1989 e, ciò, in ossequio agli intenti perseguiti dalla disciplina sopra ricordata.                                                                                                                                                                                                    4. E’ del tutto evidente che, condividere l’impostazione di parte ricorrente – e quindi calcolare l’ampliamento ammesso dalla L. n. 13/2011 anche con riferimento alle parti dello stesso costruite successivamente al 1989 -, avrebbe l’effetto di legittimare, nella sostanza, un’interpretazione estensiva dell’art. 3 della L. n.14/2009 che, non solo appare contrastante con il carattere eccezionale e derogatorio della norma sopra citata, ma ancora, avrebbe l’effetto di determinare il venir meno della necessaria correlazione tra l’ampliamento ammissibile e la necessità   Il motivo è, pertanto, infondato".

sentenza TAR Veneto 547 del 2013

La P.A. risponde dei danni se dà esecuzione a un provvedimento del giudice che viene poi annullato in appello?

22 Mag 2013
22 Maggio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 545 del 2013 dice di no e spiega bene il perchè.

Scrive il TAR: "si osserva che la scelta della Regione di sospendere i lavori di coltivazione della cava di sabbia e ghiaia della ME.MA.P. s.r.l., non è stata affatto libera, ma è stata invece imposta dalla forza esecutiva della sentenza di questo Tribunale, n. 3719/08, di annullamento della delibera della giunta regionale di autorizzazione alla coltivazione (sentenza poi riformata dal Consiglio di Stato). Insomma, posta di fronte all'obbligo di dare esecuzione alla sentenza di primo grado, l'amministrazione regionale, anche a prescindere dalla segnalazione del Comune, non avrebbe potuto comportarsi diversamente. Pertanto, nel caso di specie, viene a mancare non solo l’elemento soggettivo della colpa, ma addirittura la stessa antigiuridicità della condotta delle amministrazioni resistenti, dovendo quest’ultime sempre e immediatamente adeguarsi alle pronunce giurisdizionali. Al cospetto di un comando giurisdizionale l'amministrazione non può dunque astenersi dall'adempiere all'obbligo di conformazione su di essa gravante. Siffatta condotta doverosa può, in concreto, cagionare un pregiudizio (come accaduto nel caso di specie), ma certamente quest'ultimo non è imputabile all'amministrazione che abbia esattamente ottemperato all'ordine del giudice. La condotta amministrativa di conformazione alla decisione giurisdizionale costituisce infatti un tipico caso di adempimento di un dovere ai sensi dell'art. 51 c.p., norma applicabile analogicamente anche all'illecito civile (tra le molte decisioni in questo senso, v. Cass. civile, sez. III, 8 aprile 2003, n. 5505). In sintesi, può affermarsi che al ricorrere della situazione sopra descritta l'esatta ottemperanza dell'amministrazione è scriminata dalla causa di giustificazione dell'adempimento del dovere e, dunque, il danno eventualmente prodottosi in capo alla parte interessata non è "ingiusto" a mente dell'art. 2043 c.c. perché prodotto da una condotta lecita e "giustificata", ossia imposta dall'ordinamento del quale occorre presumere la coerenza precettiva (che verrebbe meno qualora si colorasse di antigiuridicità l'osservanza di un dictum giurisdizionale). Piuttosto si può affermare che il predetto danno, prodottosi in ultima analisi per effetto di un esito difforme di un giudizio in primo e in secondo grado, è un costo che l'ordinamento accetta al fine di assicurare il pieno dispiegarsi del diritto alla difesa attraverso i due gradi di giudizio (v. Cons. Giust. Amm. Sic. Sent., 15-10-2012, n. 929). Pertanto, né al Comune né alla Regione è addebitabile il compimento di alcun illecito per avere rispettivamente sollecitato e quindi ordinato la sospensione dell’attività di cava, in esecuzione della pronunzia giurisdizionale di primo grado e fino all’ emanazione della sentenza di appello".

sentenza TAR Veneto 545 del 2013

L’ordinanza di demolizione delle opere abusive non deve essere preceduta dal parere della CEC

21 Mag 2013
21 Maggio 2013

Lo scrive il TAR Veneto nella sentenza n. 541 del 2013.

Scrive il TAR: "Va rigettato anche il terzo motivo, con cui si lamenta la violazione dell’art. 92 della L. n. 61/1985, laddove prevede che l’ordinanza di demolizione deve essere preceduta dal parere della Commissione edilizia comunale. Sul punto va ricordato che l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi determina il venire in essere di un’attività vincolata della Pubblica amministrazione con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l'ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario acquisire il parere di organi, quali la Commissione edilizia integrata (in questo senso Consiglio di Stato Sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4764). Se è pur vero che l'art. 92, IV comma, della l.r. 61/85 prescrive che le opere abusive, sono demolite, previo parere della Commissione Edilizia Comunale, deve comunque evidenziarsi come detto parere non sia previsto come obbligatorio. La sua facoltatività trova conferma e fondamento nel disposto di cui all’art. 41, I comma, della l. 27 dicembre 1997, n. 449 nella parte in cui quest’ultimo ha accordato alle amministrazioni comunali la facoltà di eliminare la commissione edilizia, ritenendolo un organo collegiale non indispensabile. Analogamente lo stesso art. 31 del d.P.R. 380/01, non prevede affatto un parere preventivo della commissione edilizia e, ciò, in ossequio alla stessa natura facoltativa di detto parere, che in quanto tale, assumerebbe i connotati dell’obbligatorietà solo laddove fosse prevista una disposizione in questo senso nell’ambito del regolamento edilizio del Comune di cui si tratta".

sentenza TAR Veneto 541 del 2013

Cosa sono il piano di gestione delle acque e il suo aggiornamento

21 Mag 2013
21 Maggio 2013

Con una nota datata 10 maggio 2013 le Autorità di Bacino dei fiumi dal'Isonzo all'Adige hanno pubblicato il calendario del primo ciclo di incontri di consultazione e partecipazione pubblica dell’aggiornamento Piano di gestione dei bacini idrografici delle Alpi Orientali.

Pubblichiamo due note della dott.sa Giada Scuccato che spiegano cosa sono il Piano di Gestione delle acque e i suoi aggiornamenti.

Il Piano di Gestione

Aggiornamenti al Piano di Gestione

prot 1197

Effetti della presentazione di una domanda di sanatoria sulla precedente ordinanza di demolizione di opera abusiva

20 Mag 2013
20 Maggio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 19 aprile 2013 n. 2221, conferma il costante orientamento giurisprudenziale – evidenziato nei post dell’11.12.2012 e del 25.02.2013 – secondo il quale la presentazione di una domanda di sanatoria determina la perdita di efficacia dell’ordinanza di demolizione: “Non sussistono allora motivi per non applicare, nella specie, il consolidato orientamento giurisprudenziale, puntualmente richiamato soprattutto dalla difesa comunale, per cui la presentazione di una domanda di concessione in sanatoria per abusi edilizi ex L. 28 febbraio 1985 n. 47 (fonte richiamata dalle successive leggi di condono) impone al Comune competente la sua disamina e l'adozione dei provvedimenti conseguenti, di talché gli atti repressivi dell'abuso in precedenza adottati perdono efficacia, salva la necessità di una loro rinnovata adozione nell’eventualità di un successivo rigetto dell'istanza di sanatoria.

Invero, delle due l’una : o l'Amministrazione accoglie la predetta domanda e rilascia la concessione in sanatoria, con il superamento per questa via degli atti sanzionatori impugnati; oppure il Comune disattende l'istanza, respingendola, e allora esso è tenuto, in base all'art. 40, comma 1, L. n. 47 del 1985 (anche questo richiamato dall’art. 32, comma 25, del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, che fa rinvio a tutte le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge n. 47), a procedere al completo riesame della fattispecie, assumendo se del caso nuovi, e questa volta conclusivi, provvedimenti sanzionatori, che a loro volta troveranno esecuzione oppure saranno oggetto di autonoma impugnativa, con conseguente cessazione immediata, anche in caso di diniego di sanatoria, di ogni efficacia lesiva da parte della primitiva ordinanza impugnata.

Di conseguenza, in presenza della richiesta di una concessione in sanatoria si deve registrare la sopravvenuta carenza d’interesse all’annullamento dell’atto sanzionatorio in relazione al quale tale domanda è stata presentata (a seconda dei casi, l’ordine di demolizione dell’abuso accertato, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, e/o i successivi provvedimenti di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale), con la traslazione dell’interesse a ricorrere sul futuro provvedimento che, eventualmente, abbia a respingere la domanda medesima (ad esempio, per la mancata corresponsione dell’oblazione definitivamente accertata come dovuta), e disponga nuovamente la demolizione dell’opera abusiva (C.d.S., Sez. V, 28 giugno 2012, n. 3821; 26 giugno 2007, n. 3659 ; 19 febbraio 1997, n. 165; IV, 16 aprile 2012, n. 2185; VI, 26 marzo 2010, n. 1750 ; 7 maggio 2009, n. 2833; 12 novembre 2008, n. 5646)”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 2221 del 2013

Il D.M. 41843 per i pagamenti dei debiti per gli appalti di lavori pubblici da escludere dal patto di stabilità

20 Mag 2013
20 Maggio 2013

Premesso che: “il comma 1 dell’articolo del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35, che prevede che i pagamenti di debiti di parte capitale certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti di parte capitale per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine, ivi inclusi i citati pagamenti delle provincie in favore dei comuni, sostenuti nel corso del 2013 dagli enti locali, sono esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno per un importo complessivo di 5.000 milioni di euro” e che: “il comma 3 dell’articolo 1 del predetto decreto legge n. 35 del 2013 che dispone che, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sono individuati, entro il 15 maggio 2013, per ciascun ente locale, gli importi dei pagamenti da escludere dal patto di stabilità interno per il 90 per cento dell’importo di cui al comma 1 sulla base delle modalità di riparto individuate dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali che potrà fornire entro il 10 maggio 2013, ovvero, in mancanza, su base proporzionale. Con successivo decreto da emanarsi entro il 15 luglio 2013 in relazione alle richieste pervenute entro il 5 luglio si procede al riparto della quota residua del 10 per cento”, Il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – in data 14 maggio 2013 ha emanato il decreto n. 41843 con il quale si attribuiscono agli enti locali ed alle provincie l’entità dei pagamenti dei debiti per gli appalti di lavori pubblici da escludere dal patto di stabilità.

Inoltre si sottolinea che l’art. 9 del D. L. 35/2013 stabilisce che: “Entro il 30 giugno 2013 le pubbliche amministrazioni di cui agli articoli 1, 2, 3 e 5, comunicano ai creditori, anche a mezzo posta elettronica, l'importo e la data entro la quale provvederanno rispettivamente ai pagamenti dei debiti di cui agli articolo 1, 2, 3 e 5. L'omessa comunicazione rileva ai fini della responsabilità per danno erariale a carico del responsabile dell'ufficio competente”.

dott. Matteo Acquasaliente

decreto ministeriale

2013_Allegato_DM41843_Spazi_finanziari_DL35

Due DGRV sul contributo previsto dall’art. 37 della L. R. 3/2000 per compensare economicamente le Amministrazioni comunali interessate dal disagio dovuto dalla presenza di impianti di gestione dei rifiuti

20 Mag 2013
20 Maggio 2013

La Deliberazione della Giunta Regionale n. 452 del 10 aprile 2013 reca "Articolo 37 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 come modificato dall'art. 41 della legge regionale 6 aprile 2012, n. 13 (legge Finanziaria per l'esercizio 2012). Prima individuazione dell'entità del contributo da applicare in via sperimentale quale compensazione economica al disagio dovuto dalla presenza di impianti di gestione dei rifiuti. DGR n. 12/CR del 29/01/2013"

DGRV 452 del 2013

Con la Deliberazione della Giunta Regionale n. 578 del 03 maggio 2013 la Giunta Regionale, nel confermare quanto deciso con la delibera n. 452 del 10/04/2013, ridetermina alcune delle aliquote originariamente fissate in funzione della diversa tipologia di rifiuto considerata

DGRV 578 del 2013

La L. R 8/2013 “Disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche” modifica la L.R. 10/2001 e la L.R. 33/2002 in materia di turismo

20 Mag 2013
20 Maggio 2013

Sul Bur n. 42 del 17 maggio 2013 è stata pubblicata la L.R. veneta n. 8 del 14 maggio 2013, recante "Disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche. Modifica della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 "Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche" e successive modificazioni e della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 "Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo" e successive modificazioni".

Modifica commercio aree pubbliche

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