1 Marzo 2022
Il Consiglio di Stato ha affermato che una ristrutturazione con modifica della sagoma, dell’altezza, dei prospetti e del volume dell’originaria costruzione esulava dal dettato dell’art. 3, co. 1, lett. d d.P.R. 380/2001, nel testo antecedente alla novella introdotta dal d.l. 76/2020. All’epoca, l’intervento descritto doveva essere qualificato come ristrutturazione edilizia “pesante” ex art. 10, co. 1, lett. c T.U. edilizia, anch’esso ante 2020: da tale norma si ricavava la sostanziale assimilabilità dell’intervento di ristrutturazione edilizia caratterizzato da incrementi volumetrici ovvero di sagoma e prospetti a quello di nuova costruzione, quantomeno per le porzioni che costituiscono un novum rispetto alla preesistenza.
Si segnala che attualmente l’art. 3, co. 1, lett. d d.P.R. cit. ricomprende, invece, nel concetto di ristrutturazione edilizia (per gli edifici non tutelati dal Codice Urbani, né in Zona A) anche gli interventi di “demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”, nonché, “nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali”, anche con incrementi di volumetria.
Di conseguenza, quando si trova una sentenza sulla ristrutturazione, per non cadere in confusione sulla nozione di ristrutturazione vigente oggi, è fondamentale andare a vedere a quale anno si riferisca il caso deciso e quale fosse la normativa al tempo vigente.
Post della dott.ssa Brenda Djuric
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