Il divieto di azioni esecutive contro una pubblica amministrazione non vale per il giudizio di ottemperanza davanti al TAR

22 Nov 2012
22 Novembre 2012

Lo dice la sentenza del TAR Veneto n. 1345 del 2012, in un caso in cui la ricorrente risulta creditrice, nei confronti del A.O.U POLICLINICO TOR VERGATA, per euro 34.034,40, giusto decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Vicenza, sezione distaccata di Schio, in data 9.9.2008, non opposto e dichiarato esecutivo in data 10.12.2008. L’atto veniva notificato in data 7.7.2009 ed il 10.4.2010, alla parte resistente è stato notificato il precetto ad adempiere. La resistente non ha pagato il debito di cui al precetto. Per cui il ricorrente, a mente degli artt. 112 e ss. cpa, ha avanzato un ricorso per l’ottemperanza del provvedimento del giudice ordinario e ha chiesto la nomina di un commissario ad acta a cui conferire i poteri necessari per l’esatto adempimento del provvedimento giudiziario divenuto esecutivo.

Scrive il TAR: " il Collegio deve preventivamente scrutinare l’ammissibilità del citato ricorso attesa la vigenza delle norme di cui all'art. 1, comma 51, della legge 220/2010 (Legge di stabilità per il 2011), che prescrive : “Al fine di assicurare il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti oggetto della ricognizione di cui all'articolo 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per le regioni già sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'articolo 1, comma
180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e già commissariate alla data di entrata in vigore della presente legge, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2011. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2011 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo.”
Il termine del 31 dicembre 2011 è stato poi prorogato al 31 dicembre 2012 con l’art. 17 della legge 111 del 2011.
Sulla questione il Collegio registra la presenza di due antitetiche posizioni giurisprudenziali.
La prima, fatta propria dal TAR Calabria –Reggio Calabria -, sez.1°, 9 maggio 2011, n.689 e confermata da Cons.St., sez. III, 20 dicembre 2011, n.6681, esclude ogni intervento esecutivo, compreso quello amministrativo, nei confronti delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere nei termini di cui alla norma sopra riportata.
L’altra, invece, costantemente ribadita dal TAR Lombardia, Milano ( da ultimo , sez. 1°, 27 aprile 2012, n.1243), ritiene che il giudizio di ottemperanza non possa ricondursi alle procedure esecutive previste dalla norma ( pignoramenti e prenotazioni a debito), così che, nelle ipotesi di titoli esecutivi in danno delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, è possibile un intervento per la soddisfazione del credito facendo ricorso all’istituto del ricorso per ottemperanza di cui all’art. 112 e ss. cpa".

IL TAR ritiene ammissibile il giudizio di ottemperanza e "nomina Commissario ad acta il Comandante la Regione Lazio della Guardia di Finanza, senza facoltà di delega, affinché, previo accertamento della perdurante inottemperanza dell’amministrazione ingiunta, provveda entro 45 giorni dalla comunicazione della presente sentenza, o dalla notificazione se anteriore, all’esecuzione del decreto ingiuntivo indicato in epigrafe, disponendo il pagamento delle somme in esso determinate in favore della società ricorrente e non ancora versate, reperendo le necessarie somme anche attraverso la vendita di beni strumentali non essenziali alle finalità istituzionali della parte resistente, accendendo mutui e/o prestiti fiduciari".

sentenza TAR Veneto 1345 del 2012

Il comune può ancora autorizzare il dipende a utilizzare il mezzo proprio per esigenze di servizio qualora risulti economicamente più conveniente per l’Amministrazione

21 Nov 2012
21 Novembre 2012

Nella Deliberazione n. 586 /2012/PAR del 10 settembre  2012 la Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, risponde alla questione posta dal Comune di Verona riprendendo la deliberazione SSRR 21/CONTR/11 del 16 febbraio 5 aprile 2011 con la quale si stabiliva che il “dipendente può ancora essere autorizzato all'utilizzo del mezzo proprio, con il limitato fine di ottenere la copertura assicurativa dovuta in base alle vigenti disposizioni, mentre non gli può più essere riconosciuto il rimborso delle spese sostenute nella misura antecedentemente stabilita dal disapplicato art. 8 della legge n. 417 del 1988, anche nell'ipotesi in cui tale mezzo costituisca lo strumento più idoneo a garantire il più efficace ed economico perseguimento dell'interesse pubblico. Diversamente opinando, infatti, si svuoterebbe di significato la portata dell'innovazione introdotta dall'art. 6, comma 12, del decreto legge n. 78 del 2010, considerato che anche nel sistema pregresso, l'uso del mezzo proprio da parte del dipendente pubblico presupponeva un'accurata valutazione dei benefici per l'ente”.

La Corte dei Conti precisa, in questa sede, che una specifica disciplina regolamentare in ordine a tali vincoli di razionalizzazione dei costi non potrà prescindere dall’indicazione dei mezzi di copertura cui far fronte nella corrispondente riduzione compensativa di una o più delle altre voci inerenti ai servizi e alle spese sopra indicate, al fine di assicurare il sostanziale rispetto del precetto normativo”. Inoltre, essa sarà ammessa nei “soli casi in cui l'utilizzo del mezzo proprio risulti economicamente più conveniente per l'Amministrazione, e potrà prevedere forme di ristoro del dipendente dei costi dallo stesso sostenuti che, però, dovranno necessariamente tenere conto delle finalità di contenimento della spesa introdotte con la manovra estiva e degli oneri che in concreto avrebbe sostenuto l'Ente per le sole spese di trasporto in ipotesi di utilizzo dei mezzi pubblici di trasporto”(delibera SSRR 21/CONTR/11 del 16 febbraio 5 aprile 2011).

dott.sa Giada Scuccato

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Il parere tardivamente emesso dalla Soprintendenza al di fuori della Conferenza di servizi non ha alcun valore

21 Nov 2012
21 Novembre 2012

Il comma 9 dell'art. 146 del Decreto Legislativo 42 del 2004, in materia di autorizzazione paesaggistica, stablisce che: "Decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo del comma 8 senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, l'amministrazione competente puo' indire una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente partecipa o fa pervenire il parere scritto. La conferenza si pronuncia entro il termine perentorio di quindici giorni. In ogni caso, decorsi sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente, l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione".

Nel caso esaminato dalla sentenza del TAR Veneto n. 1362 del 2012, un Comune ha indetto tale conferenza di servizi, alla quale non prendeva parte la Soprintendenza, i cui lavori si concludevano comunque con l’autorizzazione alla realizzazione dell’intervento e, ciò, con l’espressa previsione della prescrizione, in base alla quale, si sarebbe dovuta mantenere la distanza di almeno 30 metri da un fiume.

Una volta terminata la Conferenza di servizi, e decorso il termine dei 45 giorni di cui al comma 8 dell’art. 146, però perveniva il parere della Soprintendenza. Esso prevedeva che il nuovo edificio avrebbe dovuto essere allontanato dal corso d’acqua di ulteriori 30 metri e, ciò, rispetto alle prescrizioni adottate dalla Conferenza di Servizi sopracitata.

Vista la tardività del parere della Soprintendenza, il Comune rilasciava il permesso di costruire senza tenerne conto.

Il TAR ritiene legittimo l'operato del Comune.

Scrive il TAR: "Deve ritenersi infondato il primo motivo con il quale si sostiene la violazione dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004, ritenendo che il permesso di costruire sarebbe stato emanato dal Comune in violazione delle prescrizioni contenute nel parere della Soprintendenza.
Sul punto va preliminarmente rilevato come l’art. 14 ter comma 3 bis della L. n. 241/90 prevede che il Soprintendente, anche in attività sottoposta ad Autorizzazione paesaggistica, “si esprime in via definitiva in sede di Conferenza di Servizi”.
Nel caso di specie, non solo risultavano decorsi i 45 giorni di cui al comma 8, entro i quali è ammissibile il provvedimento della Soprintendenza, ma risultava adottato, da parte del Comune, il parere autorizzatorio propedeutico all’emanazione del provvedimento poi impugnato.
Con la dicitura … “In ogni caso, decorsi sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente, l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione”, il Legislatore ha ritenuto prioritario disciplinare, comunque, la conclusione del procedimento e, ciò, anche a prescindere dalla presenza in sede di Conferenza di Servizi del Soprintendente.
Risulta allora evidente che, nel momento in cui il Comune emana il permesso di costruire, doveva ritenersi esaurito, e quindi non più esistente, il potere della Soprintendenza di emanare il parere di cui al comma 8 dell’art. 146 sopra citato (in questo senso si veda TAR Molise, sez. I del 01/06/2011 n.314).
E’ allora evidente come in detta fattispecie il Comune abbia rispettato la procedura dettata dall’art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e, ciò, nel momento in cui ha emanato un provvedimento di autorizzazione paesaggistica che ammette l’edificabilità entro i 30 metri, provvedimento che, pur essendo stato inviato, non è stato annullato dalla Soprintendenza, ai sensi di quanto previsto dall’art. 159 del D.Lgs. 42/2004.
E’ necessario inoltre considerare, non solo l’esistenza di un carattere perentorio dei termini relativi a detto parere, ma ancora come il comma 3 bis dell’art. 14 Ter della L. n. 241/90, stabilisca l’obbligo della Soprintendenza di pronunciarsi in via definitiva in sede di Conferenza di Servizi ove convocata in ordine ai provvedimenti di sua competenza ai sensi del D.Lgs. 22 Gennaio 2004 n. 42 .
Si deve allora ritenere che il parere tardivamente emesso dalla Soprintendenza al di fuori della Conferenza di Servizi sia del tutto illegittimo “per incompetenza assoluta alla stregua di un atto adottato da un'Autorità amministrativa priva di potere in subjecta materia (per tutti Tar Sicilia-Palermo Sez. I 02/02/2010 n.1297)”.

In mancanza della dimostrazione della piena conoscenza, o conoscibilità, del provvedimento impugnato, il termine per impugnare decorre dalla data di completamento dei lavori

20 Nov 2012
20 Novembre 2012

Anche questa questione è trattata dalla sentenza del TAR Veneto n. 1362 del 2012.

Scrive il TAR: "va ricordato l’esistenza di un costante orientamento giurisprudenziale che, in mancanza della dimostrazione della piena conoscenza, o conoscibilità, del provvedimento impugnato ha sancito come il termine per impugnare debba farsi decorrere dalla data di completamento dei lavori. In particolare si è affermato che…”il completamento dei lavori è considerato indizio idoneo a far presumere la data della piena conoscenza del titolo edilizio, salvo che venga fornita la prova di una conoscenza anticipata. L'onere di tempestiva impugnativa decorre, quindi, dalla conoscenza reale o presunta dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistiche, la quale viene ricondotta alla realizzazione del manufatto, cioè al momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento in precedenza assentito (Consiglio Stato sez. VI del 10 dicembre 2010 n. 8705)”.

Pertanto deve ritenersi infondata l’eccezione di tardività posta in essere dai controinteressati nella parte in cui ritengono che il termine per impugnare debba farsi decorrere dalla data di inizio dei lavori.

L’incidenza su una servitù di passaggio può configurare l’interesse del vicino a impugnare un permesso di costruire

20 Nov 2012
20 Novembre 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1362 del 2012 tratta una serie di questioni che esamineremo in separti post.

Una prima questione riguarda un caso nel quale il  TAR riconosce l'interesse del vicino a impugnare un permesso di costruire: "va ricordato come l’interpretazione dell’art. 31 comma 9 della L. n. 1150/1942 abbia portato, di recente, al cristallizzarsi di due orientamenti di cui il primo ritiene sufficiente la nozione di “vicinitas” al fine di fondare l’interesse a ricorrere e, ciò, in contrasto a quell’ulteriore orientamento giurisprudenziale orientato a ritenere che la nozione di stabile collegamento territoriale, tra il ricorrente e la zona interessata, debba essere interpretata unitamente alla ricerca “di una lesione attuale di uno specifico interesse di natura urbanistico-edilizia nella sfera dell’istante quale diretta conseguenza della realizzazione dell’intervento contestato (Consiglio di Stato Sez. IV del 04/12/2007 n. 6157)”.
Nel caso di specie non solo risulta esistente il requisito della “vicinitas” tra i due fondi, ma ancor di più il ricorrente ha evidenziato il pregiudizio riconducibile al costante utilizzo, a far data dell’inizio dei lavori, dell’area di proprietà degli stessi ricorrenti sita in via Ancillotto.
Dall’esame degli atti in causa emerge, infatti, come i titolari del permesso di costruire di cui si controverte non abbiano dapprima realizzato – e poi utilizzato – il ponte carraio previsto in sostituzione di una passerella e, ciò, al fine di permettere il transito dei mezzi di cantiere da una diversa via di accesso.
E’ del tutto evidente come il mancato utilizzo di detta ultima opera, il continuo transito di detti mezzi su un area di proprietà dei ricorrenti, sia suscettibile di cagionare quella potenziale lesione riconducibile sia alla costituzione di una servitù di passaggio (laddove ne sia contestata l’esistenza) sia, ancora, di un aggravio della stessa servitù, laddove se ne accerti l’inesistenza in un diverso e separato giudizio.
Sul punto va inoltre rilevato come dalla documentazione allegata al ricorso, e inviata dal Sig. Pillon (attuale controinteressato) al Comune di Meolo, non risulta assolutamente comprovata l’esistenza di detta servitù, sussistendo una serie di elementi che dovranno, eventualmente, essere sottoposti al Giudice Ordinario al fine di instaurare un’azione di accertamento.
Ne consegue l’esistenza di una lesione, quanto meno potenziale e, ciò, anche considerando come una pur risalente decisione del Consiglio Stato (sez. V 22 settembre 1999 n. 1138) - e pur riferita ad una fattispecie parzialmente differente -, ha rilevato che…”sussiste l' interesse degli altri condomini ad impugnare la concessione edilizia rilasciata ad altro condomino e tale da alterare una preesistente servitù di passaggio a favore dei ricorrenti, a nulla rilevando la circostanza che la loro posizione sia compiutamente definita sul piano civilistico, o che l'impugnata concessione rechi la clausola, invero di stile, della salvezza dei diritti dei terzi, se le disposizioni dello strumento urbanistico prescrivano un determinato assetto per la viabilità anche per le strade private gravate di servitù”.

DIA edilizia illegittima: cosa può fare il Comune dopo il 30° giorno

20 Nov 2012
20 Novembre 2012
Segnaliamo la sentenza del Consiglio di Stato n. 5751 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "Il modello della d.i.a. edilizia è ‘a legittimazione differita’, sicché l’attività denunciata può essere intrapresa, con contestuale comunicazione, solo dopo il decorso del termine di trenta giorni dalla comunicazione.

Ai sensi dell’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380/2001 l’amministrazione competente, in caso di dichiarazione presentata in assenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, può esercitare il potere inibitorio nel termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, che, a sua volta, deve precedere di almeno trenta giorni l’inizio concreto dell’attività edificatoria. Decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione dispone del potere di autotutela ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Restano inoltre salve, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 241/1990, le misure sanzionatorie volte a reprimere le dichiarazioni false o mendaci, nonché le attività svolte in contrasto con la normativa vigente, così come sono impregiudicate le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo previste dalla disciplina di settore.
Come ha chiarito di recente l’adunanza plenaria (nel risolvere un conflitto sulla natura provvedimentale o meno della d.i.a.), con tali disposizioni in materia di autotutela il legislatore, lungi dal prendere posizione sulla natura giuridica dell'istituto a favore della tesi del silenzio-assenso, ha voluto solo chiarire che il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che, comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela.
Tale potere, con cui l’amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (Cons. St., ad. plen., 29 luglio 2011 n. 15).
In sintesi la citata decisione della adunanza plenaria n. 15/2011, pur aderendo alla tesi della natura non provvedimentale della d.i.a., ha ritenuto che, a tutela dell’affidamento dell’autore della d.i.a., decorso il termine di trenta giorni dalla sua presentazione, l’amministrazione che intenda esercitare i poteri di inibizione e controllo non esercitati tempestivamente entro trenta giorni, può farlo a condizione del rispetto del modello paradigmatico del procedimento e dell’atto di autotutela.
Dunque non è contestabile che l’amministrazione conservi poteri di controllo, di inibizione e sanzionatori, se difettano i presupposti per la d.i.a., tuttavia tali poteri vanno esercitati nelle forme dell’autotutela".
 

Esempi di interventi funzionali a una azienda agricola che richiedono il permesso di costruire

19 Nov 2012
19 Novembre 2012

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1357 del 2012.

I ricorrenti sono proprietari di alcune aree in zona agricola “E”, sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della L. n.1497/39,  in parte su fascia di rispetto stradale e fluviale. A seguito di un accertamento il Comune verificava la realizzazione delle seguenti opere: a) basamenti in cemento e soprastanti cisterne in acciaio di deposito per vino; b) tettoie in ferro/lamiera; c) deposito di attrezzi agricoli costituito da base in cemento e struttura in ferro/lamiera, opere realizzate in assenza del titolo edilizio ed in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e, in quanto tali, ritenute abusive.

Gli interessati hanno impugnato l'ordine di demolzione sostendendo, tra l'altro, che le tettoie e i tubi di ferro sono stati acquistati allo scopo di proteggere i materiali e che sarebbero state rimosse quando la regione approverà il piano ai sensi dell’art. 44 comma 3° della L. reg. 11/2004, e  che si tratterebbe di opere necessarie per il normale deposito del fondo agricolo e per evitare pericoli alle persone che non intaccano il paesaggio e il panorama circostante.

Il TAR ha respinto il ricorso con le seguenti considerazioni: "L’esame della documentazione prodotta da parte ricorrente permette di rilevare non solo “l’entità” delle opere che – lo si ricorda – incidono su un’area vincolata, ma nel contempo come esse costituiscano dei manufatti non provvisori e non rimuovibili, idonei a permanere nel tempo e, ciò, come peraltro è desumibile dai materiali di cui sono composti i manufatti di cui si tratta e, quindi, prevalentemente cemento, cisterne in acciaio, tettoie in ferro e lamiera ecc..
Si è pertanto in presenza di opere di opere “stabili”, rigidamente ancorate al suolo che sono suscettibili di durare nel tempo, manufatti che, pertanto, determinano una trasformazione urbanistica dello stato dei luoghi e, in quanto tali, necessitano del rilascio del permesso di costruire (per tutti Consiglio di Stato n. 3490/2006).
4. In considerazione di quanto sopra precisato deve ritenersi applicabile quanto previsto dall’ art. 146 comma 1° e 2° del D.Lgs. 42/2004 nella parte in cui prevede che …”I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione. .”.
5. Si deve rilevare in ultimo come siano prive di pregio le argomentazioni di parte ricorrente dirette a sostenere che la finalità delle opere realizzate sarebbe volta alla conservazione dei macchinari e delle apparecchiature, argomentazioni queste ultime, non suscettibili di far venire meno l’illegittimità degli abusi realizzati.
6. Altrettanto priva di pregio è l’argomentazione in base alla quale vi sarebbe l’intento di parte ricorrente - intento dichiarato nel ricorso - di rimuovere i manufatti contestati, in conseguenza dell’approvazione del piano aziendale di cui al comma 3° dell’art. 44 della L. Reg. 11/2004.
Com’è noto il piano aziendale sopra citato costituisce un presupposto (e non l’unico) in base al quale possono in una zona agricola essere autorizzati solo alcune tipologie di interventi, in considerazione delle peculiari attività che si svolgono su dette aree.
Non vi è pertanto nessuna connessione tra la presentazione del piano aziendale e la realizzazione delle opere contestate, la cui abusività deve comunque essere confermata e, ciò, unitamente alla legittimità del provvedimento impugnato".

sentenza TAR veneto 1357 del 2012

Circolare 4536 sul Regolamento del codice degli appalti

19 Nov 2012
19 Novembre 2012

E' stata pubblicata sulla G.U. del 13/11/2012 la circolare 30 ottobre 2012 , n. 4536 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, recante "Primi chiarimenti in ordine all'applicazione delle disposizioni di cui al d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 in particolare alla luce delle recenti modifiche e integrazioni intervenute in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. (12A11952)".

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Il Decreto Legislativo per la lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali

19 Nov 2012
19 Novembre 2012

E' stato pubblicato sulla G.U. del 16/11/2012 il Decreto Legislativo 9 novembre 2012 , n. 192, recante "Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180. (12G0215)"

Le disposizioni del decreto legislativo si applicano alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1° gennaio 2013.

Decreto Legislativo 192 del 2012

Il parere negativo della Soprintendenza in sede di Conferenza di Servizi non richiede il preavviso di diniego ex art 10 bis L. 241/90

16 Nov 2012
16 Novembre 2012

La sentenza del TAR veneto n. 1349 del 2012 decide un ricorso col quale è stato impugnato il parere reso, nell’ambito della conferenza di servizi decisoria di cui all’art. 12 del D.lgs 387/2003, dalla Sopraintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, in merito alla realizzazione di un impianto fotovoltaico.

Scrive il TAR: "tale parere non doveva essere preceduto dalla comunicazione ex art. 10 bis legge n. 241/1990, come invece lamentato dalla ricorrente, posto che non costituisce l'atto conclusivo del procedimento autorizzatorio di cui all’art. 12 del D.lgs 387/2003, ma solo un parere vincolante, il quale, benché idoneo (avendo anche determinato uno stallo del procedimento) a radicare un interesse alla sua immediata impugnazione, non costituisce e non sostituisce il provvedimento finale, rispetto al quale solo può concepirsi la necessità della comunicazione ex art. 10 bis legge n. 241/1990".

sentenza TAR Veneto 1349 del 2012

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