Se il comune non scomputa il valore delle opere di urbanizzazione convenzionate dal privato, deve restituirne il valore in moneta

30 Nov 2012
30 Novembre 2012

Lo afferma la sentenza del TAR Veneto n. 1450 del 2012.

Scrive il TAR: "....4.- Dunque, alla stregua di quanto innanzi precisato occorre verificare se l’art. 11 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, che consente di scomputare gli oneri di urbanizzazione dovuti per il rilascio della concessione edilizia, impedisca o meno che tra le parti si possa regolare il rapporto anche in termini diversi, limitando o escludendo lo scomputo, atteso che si verte in tema di diritti disponibili e che il legislatore non ha espressamente vietato che la parte promittente possa liberamente assumere impegni patrimoniali più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge.

La soluzione della questione non può che essere nel senso che all’Amministrazione è interdetto di esigere dal privato una doppia prestazione acquisendo contemporaneamente le opere eseguite ed il contributo dovuto per esse, e ciò in quanto, essendo l’onere del contributo di urbanizzazione annoverabile tra le prestazioni patrimoniali che il Comune può imporre in base ad apposite norme a colui che intende eseguire un intervento edilizio (art. 11 della legge n. 10/1977), non può, in assenza di specifica previsione, far nuovamente ricadere su quest’ultimo la medesima prestazione (cfr. CdS, IV, 23.9.2011 n. 5354).

5.- Accertato, dunque, il divieto della doppia imposizione (donde la disapplicazione della delibera consiliare n. 176/1987 laddove la esige e l’annullamento degli atti amministrativi che in sua esecuzione la impongano), deve ora verificarsi se il Comune di Roana abbia effettivamente preteso dall’odierna ricorrente il pagamento degli oneri urbanistici in aggiunta all’esecuzione delle opere urbanistiche, individuandone altresì, in caso affermativo, il “quantum” ai fini della necessaria declaratoria dell’obbligo di restituzione..."...

5.4.- ... la situazione relativa alla concessione n. 4902/91 rilasciata dal Comune per la realizzazione di un fabbricato residenziale, sempre in via Nuova. Qui il Comune ha subordinato il titolo edilizio alla sottoscrizione di apposito atto d’obbligo (31.3.1992, rep. n. 68386) con cui l’Immobiliare si impegnava all’esecuzione di talune opere di urbanizzazione primaria (cfr. l’art. 4 del citato atto d’obbligo) il cui valore, però, non veniva scomputato dall’importo corrisposto per gli oneri di urbanizzazione (£ 46.081.995: cfr. l’art. 5 dell’atto d’obbligo cit.).

6.- Alla stregua, dunque, di quanto affermato innanzi - ove s’è detto che non possono essere previsti oneri di urbanizzazione a carico di che tali oneri abbia già corrisposto mediante l’esecuzione di opere -, il mancato scomputo è illegittimo, sicchè deve determinarsi il valore delle opere eseguite dalla ricorrente che il Comune dovrà restituire: valore che è calcolabile alla stregua del riconoscimento all’uopo effettuato dalla ricorrente stessa – stante il quale non sussiste alcuna necessità di ricorrere ad una CTU - con l’atto d’obbligo 28.8.1997 n. 83967, ove essa ha quantificato “l’importo complessivo delle opere realizzate + cessione/vincolo delle aree” nella misura di £ 63.866.587. Orbene, tenuto conto che, come si è accennato (e come si conferma nello stesso atto d’obbligo), dal predetto importo vanno detratte le somme di £ 11.886.105 (scomputate dagli oneri urbanistici pagati per la concessione edilizia prot. n. 4902/91 relativa alla demolizione di un fabbricato rurale ed alla costruzione di un edificio residenziale) e di £ 29.302.790 (scomputate relativamente alla concessione n. 7538/7322 rilasciata per la costruzione di un fabbricato residenziale in via Nuova), il valore delle opere di urbanizzazione realizzate dalla ricorrente in relazione alla concessione n. 4902/91 rilasciata dal Comune per la costruzione di un fabbricato residenziale in via Nuova (c.d. “Ross”) va inequivocabilmente quantificato nell’importo di £ 22.677.692, che il Comune di Roana dovrà dunque corrispondere all’odierna ricorrente con interessi e rivalutazione fino al soddisfo...".

sentenza TAR Veneto 1450 del 2012

Nota sulla zona di rispetto delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano / 2

30 Nov 2012
30 Novembre 2012

Questa nota fa seguito alla prima pubblicata in data 28 novembre 2012.

La Regione Veneto, con la deliberazione della Giunta regionale n. 842 del 15 maggio 2012, recante “Piano di Tutela delle Acque, D.C.R. n. 107 del 5/11/2009, modifica e approvazione del testo integrato delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano di Tutela delle Acque (Dgr n. 141/CR del 13/12/2011)” e pubblicata nel B.U.R. Veneto n. 43 del 05 giugno 2012, approva alcune modifiche delle Norme Tecniche di Attuazione (N.T.A.) del Piano di Tutela delle Acque regionale (P.T.A.). In particolare, l’allegato D “Norme Tecniche di Attuazione - Allegato A3 alla Deliberazione del Consiglio Regionale n. 107 del 5/11/2009 e successive modifiche e integrazioni”, agli artt. 15 e 16 prevede che:

Art. 15 - Aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo

umano

1. La Giunta regionale, entro centottanta giorni dalla data di pubblicazione della deliberazione di approvazione del Piano, emana specifiche direttive tecniche per la delimitazione delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, sulla base dell’Accordo della Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome 12 dicembre 2002: “Linee guida per la tutela delle acque destinate al consumo umano e criteri generali per l’individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152”.

2. Entro un anno, per gli attingimenti da pozzo e per gli attingimenti da acque superficiali, ed entro due anni per gli attingimenti da sorgente, dall’approvazione delle direttive tecniche di cui al comma 1, le AATO provvedono all’individuazione delle zone di rispetto delle opere di presa degli acquedotti pubblici di propria competenza, eventualmente distinte in zone di rispetto ristretta e allargata, e trasmettono la proposta alla Giunta regionale per l’approvazione.

3. Successivamente all’approvazione della Giunta regionale di cui al comma 2, la delimitazione è trasmessa dalle AATO alle province, ai comuni interessati, ai consorzi di bonifica e all’ARPAV competenti per territorio. Le province e i comuni, nell’ambito delle proprie competenze, provvedono a:

a) recepire nei propri strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, i vincoli derivanti dalla delimitazione delle aree di salvaguardia;

b) emanare i provvedimenti necessari per il rispetto dei vincoli nelle aree di salvaguardia;

c) notificare ai proprietari dei terreni interessati i provvedimenti di delimitazione e i relativi vincoli;

d) vigilare sul rispetto dei vincoli.

4. Fino alla delimitazione di cui ai commi 1, 2 e 3, la zona di rispetto ha un’estensione di 200 metri di raggio dal punto di captazione di acque sotterranee o di derivazione di acque superficiali.

5. In relazione all’assetto stratigrafico del sottosuolo, la zona di rispetto ristretta e allargata può coincidere con la zona di tutela assoluta qualora l’acquifero interessato dall'opera di presa abbia almeno le seguenti caratteristiche: acquifero confinato al tetto da strati geologici costituiti da argille, argille limose e comunque sedimenti dei quali siano riconosciute le proprietà di bassa conducibilità idraulica, con continuità areale che deve essere accertata per una congrua estensione tenuto conto dell’assetto idrogeologico locale.

6. Per le acque sotterranee sono definite zone di protezione le aree di ricarica del sistema idrogeologico di pianura che fanno parte dei territori dei comuni di cui alle Tabelle 3.21, 3.22, 3.23, 3.24 e 3.25 del paragrafo 3.6.3 degli “Indirizzi di Piano”. All'interno di tali aree, fino all’approvazione del Piano regionale dell’attività di cava di cui all’articolo 4 della legge regionale 7 settembre 1982, n. 44 “Norme per la disciplina dell’attività di cava” e successive modificazioni, è vietata l'apertura di nuove cave in contatto diretto con la falda. Sono consentite le attività estrattive previste dal PRAC adottato per gli ambiti caratterizzati da falda già a giorno. Entro un anno dalla data di pubblicazione della deliberazione di approvazione del presente Piano, la Giunta regionale individua le aree di alimentazione delle principali emergenze naturali e artificiali della falda e le zone di riserva d'acqua strategiche ai fini del consumo umano e stabilisce gli eventuali vincoli e restrizioni d'uso del territorio.

Art. 16 - Aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano - Vincoli

1. Nella zona di rispetto sono vietati l’insediamento dei seguenti centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti attività:

a) dispersione di fanghi e acque reflue, anche se depurate;

b) stoccaggio di concimi chimici, fertilizzanti e prodotti fitosanitari;

c) spandimento di concimi chimici, fertilizzanti e prodotti fitosanitari, salvo che l’impiego di tali sostanze sia effettuato sulla base delle indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto delle colture, delle tecniche agronomiche e della vulnerabilità delle risorse idriche;

d) dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche provenienti da piazzali e strade;

e) aree cimiteriali;

f) apertura di nuove cave e/o ampliamento di cave esistenti che possono essere in contatto diretto con la falda alimentatrice del pozzo ad uso acquedottistico; la zona di rispetto, in tale ipotesi, è aumentata a 500 metri di raggio dal punto di captazione di acque sotterranee;

g) apertura di pozzi ad eccezione di quelli che estraggono acque destinate al consumo umano e di quelli destinati al monitoraggio e/o alla protezione delle caratteristiche qualiquantitative della risorsa idrica;

h) impianti di smaltimento, recupero e più in generale di gestione di rifiuti;

i) stoccaggio di prodotti e di sostanze chimiche pericolose e sostanze radioattive;

j) centri di raccolta di veicoli fuori uso;

k) pozzi perdenti;

l) pascolo e stabulazione di bestiame che ecceda i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente negli effluenti, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione. E’ comunque vietata la stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta.

2. All’interno delle zone di rispetto di cui all’articolo 15, entro centottanta giorni dalla data di pubblicazione della deliberazione di approvazione del Piano, la Giunta regionale disciplina:

a) le modalità di realizzazione o adeguamento delle fognature;

b) gli interventi connessi con l’edilizia residenziale e le relative opere di urbanizzazione che possono avere effetti negativi sulle acque destinate al consumo umano;

c) gli interventi connessi con le opere viarie, ferroviarie e in genere le infrastrutture di servizio, che possono avere effetti negativi sulle acque destinate al consumo umano;

d) le pratiche agronomiche.

Per quanto attiene alla lettera d), in relazione al differente grado di vulnerabilità del territorio sul quale è ubicata l’opera di presa delle acque sotterranee destinate al consumo umano, il provvedimento della Giunta regionale di cui sopra dovrà contenere un piano di utilizzazione, che regolamenta l’impiego dei fertilizzanti o di altri materiali o prodotti con funzione fertilizzante, ammendante o correttiva, e dei prodotti fitosanitari. Con il piano di utilizzazione sono stabilite le modalità, le dosi e i periodi di impiego dei fertilizzanti e dei concimi chimici, il cui utilizzo deve essere effettuato in rapporto alle caratteristiche del suolo e delle colture praticate, al fine di bilanciare gli apporti alle effettive esigenze nutrizionali di queste. Nel piano di utilizzazione sono previste le modalità di gestione delle pratiche agronomiche e dell’utilizzo dei prodotti fitosanitari, nei confronti dei quali possono essere disposti vincoli d’impiego nelle quantità e nelle categorie.

3. Nelle more dell’adozione del provvedimento della Giunta regionale di cui al comma 2, le prime misure da adottare all’interno delle zone di rispetto sono così individuate:

a) è vietato il riutilizzo delle acque reflue per scopi irrigui;

b) per le condotte fognarie all’interno delle zone di rispetto è richiesta un’alta affidabilità relativamente alla tenuta, che deve essere garantita per tutta la durata dell’esercizio e periodicamente controllata;

c) in relazione al differente grado di vulnerabilità del territorio sul quale è ubicata l’opera di presa delle acque sotterranee destinate al consumo umano, l’attività agricola deve essere condotta nel rispetto del Codice di Buona Pratica Agricola, approvato con D.M. 19 aprile 1999, nonché nel rispetto:

1) nelle zone vulnerabili ai sensi dell’articolo 13, dei programmi d’azione regionali obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origine agricola, di recepimento del D.M. 7 aprile 2006, relativamente ai quantitativi, alle modalità e ai periodi di distribuzione dei reflui di allevamento, nonché al calcolo del limite massimo di peso vivo ammissibile al pascolamento degli animali nelle aree considerate;

2) negli altri casi, della normativa regionale di recepimento del D.M. 7 aprile 2006, relativamente ai quantitativi dei reflui di allevamento, che non eccedano i 170 kg di azoto/ha anno, alle modalità e ai periodi di distribuzione, nonché al calcolo del limite massimo di peso vivo ammissibile al pascolamento degli animali nelle aree considerate”.

 Come evidenziato nel postNota sulla zona di rispetto delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano/1”, l’art. 94 D. Lgs. 152/2006 attribuisce alle Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale (A.T.O) il compito di determinare le zone di rispetto che devono poi essere recepite dalla Regione. Ciò nonostante, l’art. 15, c. 1, Allegato D, DGRV n. 842 del 15.05.2012, attribuisce alla Regione il compito di adottare, entro centottanta giorni dalla data di pubblicazione della deliberazione di approvazione del Piano di Tutela delle Acque, le “specifiche direttive tecniche per la delimitazione delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano”. In seguito le ATO, sulla base di tali direttive tecniche, provvederanno ad individuare le zone di rispetto ed a trasmettere “la proposta alla Giunta regionale per l’approvazione”.

Si rendono necessarie alcune precisazioni.

Il D. Lgs. 152/2006 non prevede che la Regione definisca a priori le direttive tecniche concernenti la delimitazione delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterrane che saranno -presumibilmente - vincolanti per le ATO. Fermo restando la possibile illegittimità della deliberazione della Giunta regionale Veneto n. 842 del 15 maggio 2012, - laddove priva, in sostanza, le ATO del compito di delimitare autonomamente le zone di cui si tratta - in assenza di una sua impugnazione, tale deliberazione risulta ad oggi essere vigente.

Altra problematica concerne il termine di “centottanta giorni dalla data di pubblicazione della deliberazione di approvazione del Piano” che la Regione ha per adottare le “specifiche direttive tecniche”. Partendo dal presupposto che tale disposizione normativa si riferisce alle modifiche delle N.T.A. del P.T.A. pubblicate nel BUR Veneto del 05.06.2012, la Regione, attualmente, ha tempo sino al 06.12.2012 per adottare tali direttive. Il termine, comunque, non è da considerarsi perentorio.

Di conseguenza, in assenza dei summenzionati criteri regionali, le ATO possono comunque fissare le zone di rispetto?

Se le ATO lo facessero, accoglierebbe il TAR un ricorso avverso un tale provvedimento che andrebbe in contrasto con una deliberazione regionale probabilmente illegittima?

Una possibile soluzione diversa potrebbe essere quella di esperire - da parte delle A.T.O. - l’azione davanti al TAR avverso il silenzio, ex art. 31 c.p.a.,al fine di ottenere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione (regionale) di provvedere, eventualmente in contemporanea con l’azione atipica di condanna prevista dall’art. 34, c. 1, lett. c), c.p.a.?

dott. Matteo Acquasaliente

DGRV n. 842 del 05.06.2012

NTA del PTA

Il vincolo di destinazione d’uso della L.R. 24/1985 permane con la L.R. 11/2004 e non consente il mutamento d’uso nei limiti di 300 mc. di all’art. 48 comma 7 ter?

29 Nov 2012
29 Novembre 2012

Il TAR Veneto, con la sentenza della Sez. II, 27/10/2011 n. 1773, aveva già affermato che i vincoli sorti con la L.R. 24/1985 sulle zone agricole rimangono efficaci anche dopo che la L.R. 11/2004 ha abrogato la L.R. 25, in quanto l'art. 45 comma 2° della L. Reg. n.11/2004 stabilisce che "le abitazioni esistenti mantengono il vincolo di non edificazione sul fondo di pertinenza".

Il TAR torna sul tema con la sentenza n. 1437 del 2012, nella quale precisa che: "E' del tutto evidente come detto ultimo disposto, e il contestuale utilizzo del termine "mantengono", non può non essere interpretato nel senso di prevedere una continuità tra i vincoli disciplinati dalla precedente normativa e le disposizioni introdotte con la L. n.11/2004".

Per quanto riguarda il riverbero di questo sugli interventi previsti dall'art. 44, comma 5, della L.R. 11/2004, scrive il TAR: "Deve allora ritenersi che il vincolo di destinazione d'uso, sottoscritto nel corso del 1994 e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, sia pienamente efficace, determinando l'impossibilità per il proprietario, sino alla emanazione di un Piano degli Interventi, di modificare la destinazione agricola del manufatto.
Ne consegue che anche l'art. 44 comma 5 dovrà essere interpretato alla luce dell'art. 45, dovendosi ricercare, nel distinguere quali siano effettivamente gli interventi ammessi, l’esistenza di quelle condizioni "evidentemente negative", in base alle quali si richiede che il manufatto, non solo non sia abusivo, ma che sia nemmeno sottoposto ad un vincolo pienamente efficace.
In conclusione deve escludersi che gli interventi espressamente contemplati dall'art. 44, comma 5 possano essere riferiti ad immobili vincolati ai sensi del successivo art. 45".

Non sfuggono al vincolo neppure gli interventi di cui all'art. 48 comma ter della L. Reg. Veneto n.11/2004: "Non deve condividersi nemmeno l'interpretazione dell'art. 48 comma ter della L. Reg. Veneto n.11/2004, norma che secondo la ricorrente permetterebbe comunque, nella vigenza del regime "transitorio", l'utilizzo residenziale degli immobili fino al limite quantitativo di 300 mc e, ciò, tutte le volte in cui l'edificio sia dichiarato non più funzionale alle esigenze del fondo.
Detta disciplina, infatti, deve ritenersi non applicabile alle aree vincolate e, ciò, sino all'avvenuta emanazione del Piano degli Interventi.
Deve considerarsi, altresì, non utile alla risoluzione del caso di specie il rilievo in base si evidenzia come l’Ispettorato regionale avesse certificato che l’annesso rustico in esame non fosse più funzionale alle esigenze del fondo e, ciò, in quanto quello che rileva è la compatibilità del nuovo intervento residenziale con la destinazione a zona agricola dell'area".

A nostro giudizio, peraltro, la L.R. 11 del 2004 potrebbe prestarsi anche a una lettura diversa. In primo luogo, l'articolo 45, comma 2, stabilisce che  sopravvive "il vincolo di non edificazione", il quale nella L.R. 24 del 1985 era cosa diversa dal vincolo di destinazione d'uso. In secondo luogo, sembrerebbe porsi un rapporto di specialità tra l'articolo 45, comma 2 (che pone come regola generale la sopravvivenza del vincolo di non edificazione) e l'articolo 44, comma 5, il quale consente in ogni caso ("Sono sempre consentiti...") alcuni interventi sugli edifici esistenti in zona agricola, a prescindere dai vincoli. Insomma, siamo portati a ritenere che la sopravvivenza del vincolo sia riferita ai nuovi edifici sul fondo di pertinenza e non agli ampliamenti dell'edificio originario, che sono giustificati dall'art. 44, comma 5, anche se c'è il vincolo.

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1437 del 2012

La sospensione dei procedimenti prevista dall’art. 4 della legge regionale 27 dicembre 2011, n. 30 non si applica alle medie strutture di vendita

29 Nov 2012
29 Novembre 2012

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 1389 del 2012, che contiene alcune interessanti considerazioni in materia di commercio.

La Società ricorrente è proprietaria di un immobile e ha inviato a mezzo PEC al Comune un’istanza di rilascio di un’autorizzazione per l’apertura di una media struttura di vendita di mq 1481,36 relativa al settore merceologico non alimentare generico.
Il Comune,  con un provvedimento pervenuto alla ricorrente via PEC, ha disposto la sospensione del procedimento, sino all’approvazione della nuova normativa regionale in materia di commercio, e comunque entro e non oltre il 31 dicembre 2012, in applicazione dell’art. 4 della legge regionale 27 dicembre 2011, n. 30. Il Comune ritiene che la citata normativa regionale, che ha disposto la sospensione dei procedimenti per il rilascio di autorizzazioni commerciali relativi a grandi strutture di vendita e parchi commerciali, sia applicabile alla struttura commerciale della Società ricorrente, in quanto, pur trattandosi di una media struttura, confina su tre lati con un parco commerciale, e pertanto prima del rilascio dell’autorizzazione è necessaria una modifica del perimetro del predetto parco commerciale.

Il TAR considera illegittima la decisione del Comune: "Come è noto, in materia di commercio il legislatore è recentemente intervenuto disponendo una più incisiva liberalizzazione rispetto al passato.
In particolare l’art. 31, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, e da ultimo modificato dal decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, ha disposto che “secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano
i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012”.
Tale norma, pur fissando un chiaro indirizzo verso la liberalizzazione del settore, non reca tuttavia una disciplina sufficientemente precisa ed incondizionata da poter essere direttamente applicabile, almeno nella parte in cui fa comunque salvi i limiti connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali, e necessita pertanto, per poter essere attuata, di un adeguamento della legislazione con la quale il principio di liberalizzazione di nuova introduzione interferisce o, quantomeno, di un’opera di coordinamento in via interpretativa di non immediata definizione.
In tale contesto la Regione Veneto, con l’art. 4 della legge regionale 27 dicembre 2011, n. 30, ha disposto che <<ai fini di assicurare un maggior livello di tutela degli interessi pubblici generali di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a), b) e c), nelle more dell’approvazione della nuova normativa regionale in materia di commercio al dettaglio su area privata e comunque entro e non oltre il termine di un anno dall’entrata in vigore della presente legge, sono sospesi i procedimenti amministrativi per il rilascio di autorizzazioni commerciali relativi a grandi strutture di vendita e parchi commerciali, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per le ipotesi di trasferimento di sede e di modificazione delle autorizzazioni rilasciate, di cui all’articolo 20, comma 1, lettere a) e d) della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15 “Norme di programmazione per l’insediamento di attività commerciali nel Veneto” e successive modificazioni”>>.
Si tratta di una norma che ha carattere eccezionale e derogatorio dalla disciplina ordinariamente applicabile.
In quanto tale, essendo di stretta interpretazione per il ruolo di eccezione a regole generali, non può trovare estensioni al di fuori delle fattispecie tassativamente
contemplate dalla stessa, e la sua formulazione letterale costituisce un ostacolo non superabile all’accoglimento della tesi interpretativa del Comune.
Poste tali premesse, il provvedimento impugnato è pertanto illegittimo perché, come dedotto dalla Società ricorrente, la sospensione dei procedimenti prevista dalla citata norma regionale, riguarda solamente le grandi strutture di vendita e i parchi commerciali, e la struttura della parte ricorrente di mq 1481,36 è una media struttura, ed è esterna al perimetro del vicino parco commerciale, e pertanto riguarda una fattispecie alla quale non è applicabile la moratoria prevista dall’art. 4 della legge regionale 27 dicembre 2011, n. 30.
Ne discende che, rispetto all’istanza presentata dalla Società ricorrente, deve ritenersi formato il silenzio assenso previsto dall’art. 14, comma 5, della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15".

sentenza TAR Veneto 1389 del 2012

Se l’interessato possiede già l’autorizzazione paesaggistica, sulla istanza di permesso di costruire si forma il silenzio assenso?

28 Nov 2012
28 Novembre 2012

La sentenza del TAR Veneto 1446 del 2012 esamina un caso particolare nel quale il comune ordina la demolzione di opere che reputa abusive in zona vincolata. L'interessato , invece, si difende, sostendendo che aveva presentato una domanda di permesso di costruire, sulla quale si sarebbe formato il silenzio-assenso. Peraltro, l'area è sottoposta al vincolo dei beni ambientali e l'articolo 20, comma 8, del DPR 380 del 2001 prevede il silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire, tranne nei ”casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali".  Perchè allora l'interessato pretenderebbe che si fosse formato  il silenzio-assenso? La particolarità del caso consiste nel fatto che l'interessato era già in possesso della necessaria autorizzazione paesaggistica, rilasciata con riferimento ad un precedente permesso di costruire, decaduto in conseguenza del mancato completamento delle opere autorizzate.

Il TAR, però, non accoglie il ricorso: "E’ necessario, infatti, considerare come il co. 8° dell’art. 20 sopra citato introduca il regime del silenzio assenso con l’eccezione (nell’ambito della quale rientra il caso in esame) dei…”casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui ai commi 9 e 10”, fattispecie queste ultime, che fanno riferimento al silenzio rifiuto.
Ne consegue come parte ricorrente avrebbe dovuto quindi esperire l’istituto di cui al 5° comma dell’art. 2 della L. n. 241/90 al fine di ottenere una pronuncia di accertamento dell’obbligo di provvedere a carico dell’Amministrazione".

Dunque nel caso dei vincoli non si applica il comma 8 (silenzio- assenso), neanche se l'autorizzazione paesaggistica sia già esistente al momento della presentazione della domanda di permesso di costruire.

sentenza TAR Veneto 1446 del 2012

Nel caso di silenzio sull’accesso agli atti, se questi vengono resi disponibili dopo il ricorso, la P.A. viene condannata a pagare le spese

28 Nov 2012
28 Novembre 2012

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 1444 del 2012, resa in un caso nel quale la P.A. è rimasta silenziosa su una richiesta di accesso agli atti.

L'interessato ha proposto un ricorso al TAR e la P.A. si è solo allora affrettata a rende disponibili i documenti.

Il TAR ha preso atto della vicenda e ha dichiarato cessata la materia del contendere, condannando però l'amministrazione a pagare le spese di lite: "Atteso che i documenti richiesti sono stati resi disponibili soltanto a seguito della proposizione del ricorso, si dispone che le spese di lite siano a carico dell’amministrazione intimata, nella somma di € 1500,00 (millecinquecento/00)".

Segnalo che in alcune casi da me visti, il procuratore della Corte dei Conti del Veneto ha ritenuto che questo configuri un danno erariale cagionato con colpa grave.

D.M.

sentenza TAR Veneto 1444 del 2012

Nota sulla zona di rispetto delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano

28 Nov 2012
28 Novembre 2012

L’art. 94, c. 1 e 6, D. Lgs. 152/2006 (T.U. Ambiente) disciplinano le aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano: “1. Su proposta delle Autorità d'àmbito, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonché, all'interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda, le zone di protezione” (...) “6. In assenza dell'individuazione da parte delle regioni o delle province autonome della zona di rispetto ai sensi del comma 1, la medesima ha un'estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione”.

L'A.T.O. Brenta (Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale Brenta) è uno degli 8 Ambiti in cui la Legge regionale Veneto 27.03.1998 n. 5 ha suddiviso il territorio del Veneto. Essa è costituita da un Consorzio di 73 Comuni e 3 Province e si occupa della tutela del bacino del fiume Brenta che si estende su una superficie di 167.922 ettari nell'alta pianura alluvionale veneta. Il territorio dell’A.T.O Brenta è delimitato, sostanzialmente, a nord-ovest dal comprensorio dell'Altopiano dei Sette Comuni e a nord dalla Valsugana giungendo alle propaggini sud orientali del Monte Grappa. L'Ambito si prolunga verso sud fino alle porte di Padova e ad est fino alla parte settentrionale dei Colli Euganei.

L’Autorità d’Ambito A.T.O. Brenta non ha ancora identificato espressamente e specificatemene le zone di tutela assoluta e le zone di rispetto per salvaguardare le acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, che devono poi essere recepite/individuate dalla Regione Veneto. Di conseguenza, la zona di rispetto per realizzare le attività previste dall’art. 94, c. 4 D. lgs. 152/2006, nei casi sotto elencati, devono rispettare la distanza di 200 m. dal punto di captazione o di derivazione dell’acqua :

a) dispersione di fanghi e acque reflue, anche se depurati;
b) accumulo di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi;
c) spandimento di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi, salvo che l'impiego di tali sostanze sia effettuato sulla base delle indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche agronomiche impiegate e della vulnerabilità delle risorse idriche;
d) dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche proveniente da piazzali e strade.
e) aree cimiteriali;
f) apertura di cave che possono essere in connessione con la falda;
g) apertura di pozzi ad eccezione di quelli che estraggono acque destinate al consumo umano e di quelli finalizzati alla variazione dell'estrazione ed alla protezione delle caratteristiche quali-quantitative della risorsa idrica;
h) gestione di rifiuti;
i) stoccaggio di prodotti ovvero, sostanze chimiche pericolose e sostanze radioattive;
l) centri di raccolta, demolizione e rottamazione di autoveicoli;
m) pozzi perdenti;
n) pascolo e stabulazione di bestiame che ecceda i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente negli effluenti, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione. É comunque vietata la stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta,

 Quanto esposto è altresì affermato dalla conferenza Stato-Regioni del 12.12.2002, recante “Linee guida per la tutela della qualità delle acque destinate al consumo umano e criteri generali per l’individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche di cui all’art. 21 del D. Lgs 11 maggio 1999, n. 152” - articolo abrogato dal D. Lgs. 152/2006 - , che all’art. 1, c. 2 stabilisce: “In assenza della delimitazione definitiva della zona di rispetto da parte delle Regioni resta comunque ferma l'estensione stabilita ai sensi dell'art. 21, comma 7, del decreto legislativo n. 152 del 1999, pari a 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione”; inoltre all’allegato 4, in ordine ai criteri per la delimitazione della zona di rispetto, prevede che “qualora sia adottato il criterio geometrico di cui all’allegato 2, titolo, 1, punto 3, lettera a),” - secondo cui il criterio geometrico di norma va adottato “per la delimitazione della zona di tutela assoluta e della zona di rispetto per le derivazioni da corpi idrici superficiali e, in via provvisoria, per la delimitazione delle zone di rispetto dei pozzi e delle sorgenti” - “la zona di rispetto si configura come una porzione di cerchio di raggio non inferiore a 200 m. con centro nel punto di captazione, che si estende ideologicamente a monte dell’opera di presa ed è delimitata verso valle dalla isoipsa passante per la captazione”.

La stessa giurisprudenza, inoltre, in assenza dell’individuazione regionale di fasce di rispetto specifiche previste dall’art. 21 D. Lgs. 11.05.1999 n. 152 affermava: “Si sostiene, in proposito, che tutta l’attività svolta dalla società ricorrente è esterna alla fascia di rispetto di 200 metri dal pozzo denominato “Gallina”, la cui acqua è utilizzata per consumo umano. Dispone il settimo comma dell’art. 21 della D.L.vo n. 152/1999 che “in assenza dell’individuazione da parte della regione della zona di rispetto, la medesima ha un’estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione”. Dalla disposizione di legge riportata discende, pertanto, che il raggio di 200 metri va calcolato non dal piano di campagna ma dal punto di captazione delle acque. Ora, poiché il pozzo di cui trattasi è equipaggiato da una pompa sommersa, posta a quota di meno 170 metri dal piano di campagna, la fascia di rispetto va individuata da tale punto di captazione per un’estensione di 200 metri”(T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 21.06.2005, n. 1026).

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Palermo 21.06.2005 n. 1026

In materia paesaggistica l’espressione “per tipologia e materiali alterano negativamente il sito” non è una motivazione sufficiente per un diniego

27 Nov 2012
27 Novembre 2012

E bisognava proprio farselo dire dal TAR?

Comunque, se qualcuno avesse avuto dei dubbi, adesso non ha più alibi, dopo la sentenza del TAR Veneto n. 1438 del 2012.

Scrive il TAR: "la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo, come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, è diretta a consentire al destinatario di ricostruire l'iter logico-giuridico in base al quale l'amministrazione è pervenuta all'adozione di tale atto nonché le ragioni ad esso sottese; e ciò allo scopo di verificare la correttezza del potere in concreto esercitato, nel rispetto di un obbligo da valutarsi, invero, caso per caso in relazione alla tipologia dell'atto considerato (Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750; sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 938, sez. V, 25 settembre 2000 n. 5069).
Ciò che deve ritenersi necessario perché l'atto non risulti inficiato da censure nella sua parte motiva è che in esso siano sempre esternate le ragioni che giustificano la determinazione assunta, non potendo la motivazione espressa in essa esaurirsi in semplici, generiche locuzioni di stile".

Del resto, sono 22 anni che l'articolo 3, comma 1, della L. 241/90 stabilisce che: "1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria".

Qualche volta basterebbe leggere le disposizioni di legge e  avere voglia di applicarle.

D. M.

sentenza TAR Veneto 1438 del 2012

In assenza di un’espressa previsione localizzativa nel PRG comunale, gli impianti fotovoltaici possono essere localizzati in tutte le zone agricole

26 Nov 2012
26 Novembre 2012

Con un provvedimento della Giunta della Regione Veneto del  marzo 2010, emessa in esito ad apposita conferenza di servizi, una società  è stata autorizzata, ex art. 12 D.lgs 387/03, alla realizzazione ed all’esercizio, su area di circa 120 ha, insistente su z.t.o. agricola E2, di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica. Avverso tale autorizzazione hanno proposto ricorso due persone fisiche rispettivamente proprietario ed affittuario di un’area agricola, coltivata a cereali, limitrofa a quella interessata dall’impianto, nonché la Federazione Coldiretti del Veneto.

Il TAR Veneto, con la sentenza 1439 del 2012, ha ritenuto inammissibile il ricorso per mancanza di legittimazione attiva di tuti i ricorrenti, che non hanno dimostrato di avere un interesse specifico all'impugnazione (ma solo interessi vari di tipo generico).

In particolare, le persone fisiche avevano prospettato un danno potenziale, costituito dalla limitazione delle possibilità di sviluppo delle loro attività, conseguente al progressivo ridimensionamento delle aree agricole destinate alle colture e al progressivo aumento dei prezzi dei terreni agricoli, causati dell’installazione degli impianti fotovoltaici.

Per quanto riguarda la Coldiretti, il TAR scrive: "Con riferimento, invece, alla posizione della Federazione Coldiretti, la difesa della parte ricorrente ha rappresentato come quest’ultima organizzazione abbia quale finalità statutaria la tutela, lo sviluppo e la valorizzazione dell’attività agricola e che l’insediamento indiscriminato su aree agricole degli impianti fotovoltaici è causa di danni per tutta la categoria degli agricoltori. Tali danni sarebbero costituiti, in particolare, dal “costante ridimensionamento delle aree agricole destinate alle colture, dal progressivo aumento dei prezzi dei terreni agricoli, con conseguente delocalizzazione della stessa attività agricola ed un progressivo disincentivo allo sviluppo agricolo del territorio”.
Ritiene il Collegio che anche in tal caso vengano prospettate più delle generiche petizioni di principio che una dimostrata ed effettiva compromissione degli interessi dei coltivatori diretti.
Infatti, non vi è alcuna dimostrazione dell’aumento dei prezzi dei terreni agricoli, né alcuna indagine che attesti l’entità del denunciato fenomeno di “costante ridimensionamento delle aree destinate all’agricoltura” cagionato dall’installazione “indiscriminata” degli impianti fotovoltaici in dette aree.
Inoltre, la riduzione dei terreni destinabili alle colture agricole che si potrebbe astrattamente apprezzare, in alcuni casi, in un ristretto ambito territoriale, non è certo una conseguenza delle delibere di giunta impugnate (che peraltro dettano disposizioni solo procedurali e organizzative in materia di autorizzazione all’installazione di impianti fotovoltaici) e dei conseguenti provvedimenti autorizzatori del tipo di quello oggi impugnato, bensì, semmai, della stessa scelta di incentivare la produzione di energia pulita effettuata a livello nazionale e prima ancora europeo; potendo, difficilmente, gli impianti fotovoltaici essere collocati altrove rispetto alle aree agricole che, per la loro conformazione, presentano una naturale idoneità ad ospitare pannelli fotovoltaici (tolte le aree agricole rimarrebbero, infatti, solo le aree industriali, le cave dismesse o i siti contaminati).
Non a caso il comma 7 dell’art. 12 del Dlgs n. 387/03 prevede che gli impianti in oggetto “possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. Nell'ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale”.
Anche nelle “linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, dettate dal D.M. 10 settembre 2010 (successivo all’autorizzazione impugnata), si fa divieto alle Regioni di considerare le aree agricole, in quanto tali, non idonee all’installazione di impianti fotovoltaici, mentre, l’individuazione della non idoneità dell’area deve essere operata dalle Regioni attraverso “un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico – artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti..”.
Da tale contesto normativo emerge, dunque, una naturale compatibilità della destinazione agricola dei fondi con l’installazione e l’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Spetterà poi alle Regioni (oggi che sono state adottate le predette linee guida) ed ai Comuni, nell’esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio, rispettivamente, l’individuazione di aree c.d. non idonee, da una parte, e di quelle specificamente destinate ad impianti, dall’altra. Fermo restando, tuttavia, che, in assenza di un’espressa previsione localizzativa nel PRG comunale, com’è nel caso di specie, gli impianti fotovoltaici possono essere localizzati in tutte le zone agricole del territorio comunale".

sentenza TAR Veneto 1439 del 2012

Dove reperire informazioni sulle barriere architettoniche

26 Nov 2012
26 Novembre 2012

Tra le iniziative particolarmente qualificanti della L.R. veneta 12.07.2007 n. 16 vi è quella prevista dall'art. 18, peraltro mutuata dalla previgente normativa, che demanda alla Giunta l'istituzione di un Centro Regionale di Documentazione sulle Barriere Archittetoniche.

I compiti del Centro spaziano dalla raccolta e catalogazione, ai fini di una pubblica fruizione, di soluzioni edilizie e tecniche volte a migliorare l'accessibilità di edifici pubblici e privati, alla promozione di iniziative di formazione e aggiornamento finalizzate al perseguimento degli obiettivi della Legge.

Il Centro è attivo, fin dal 1996, presso la Direzione Regionale Lavori Pubblici che ne ha gestito le funzioni sia in collaborazione con il Centro A.I.A.S. - Associazione Italiana Assistenza Spastici di S. Bortolo di Vicenza, sia, nell'ultimo periodo, in forma autonoma.

La gestione del Centro è stata affidata all’Azienda Ulss n. 17 di Este (PD) fino al 31/08/2010 secondo le modalità previste da apposita convenzione.

Dal 1 Settembre 2010 il Centro c/o l'Azienda Ulss n.17 di Este è chiuso.

Fino a nuove disposizioni il servizio di consulenza allo sportello è momentaneamente sospeso e l'indirizzo di posta elettronica info@venetoaccessibile.it non è più attivo.

Penso che data la specificità del quesito, sia il caso di proporlo alla Commissione Barriere Architettoniche nazionale.

La legge 9 gennaio 1989 n. 13 ha previsto una Commissione di studio per l’esame e l’elaborazione delle proposte relative alla normativa tecnica in materia di abbattimento delle barriere architettoniche.
 
L’organismo è stato  recentemente ricostituito con i seguenti componenti:Presidente
arch. Costanza Pera        
Presidente II Sezione del Consiglio Superiore dei lavori pubblici - Ministero Infrastrutture e Trasporti
arch. Giampiero Destro Bisol
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Direzione Edilizia Statale
ing. Luigi Mandracchia
Ministero Infrastrutture e dei Trasporti – Ufficio Legislativo
dott. Maurizio Cruciali
Ministero dell’Economia e delle Finanze
dott. Romolo De Camillis
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Ufficio di Gabinetto
dott. Roberto Dall'Armi
Rappresentante Conf. Presidenti delle Regioni e Province Autonome
per. Ind Renato Dellai
Rappresentante Conf. Presidenti delle Regioni e Province Autonome
arch. Ombretta Goitre
Rappresentante Conf. Presidenti delle Regioni e Province Autonome
geom. Antonio Larocca
Rappresentante Conf. Presidenti delle Regioni e Province Autonome
ing. Daniela Saverino
Rappresentante Conf. Presidenti delle Regioni e Province Autonome Compito della Commissione è determinare le soluzioni ai problemi tecnici derivanti dall’applicazione della normativa tecnica per l’abbattimento delle barriere architettoniche nonché  l’elaborazione delle proposte di aggiornamento e di modifica della normativa stessa, per sostenere e promuovere condizioni di pari opportunità e di inclusione sociale delle persone con disabilità.

Per consultare i quesiti risolti:

 
 
Per contatti:
Commissione di Studio per l’esame e l’elaborazione delle proposte relative alla normativa tecnica in materia di abbattimento delle barriere architettoniche.
Via Nomentana, 2 00161 Roma
e-mail barrierearchitett@mit.gov.it
 
tel. 06.44124313 – fax 06.44124349
 Dott. David De Arena
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