Tag Archive for: Amministrativo

La rilevanza del parere dell’Ordine dei farmacisti nella istituzione di nuove farmacie

26 Feb 2014
26 Febbraio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 915 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "4.6. Il vizio, secondo il ricorrente, consisterebbe in ciò: che la modifica apportata nella fase terminale del procedimento non è stata preceduta dall’acquisizione del parere dell’Ordine provinciale dei farmacisti.

Il Collegio osserva che l’art. 2 della legge n. 475/1968, come modificato dal decreto legge n. 1/2012, dispone che l’individuazione delle zone di pertinenza delle farmacie sia fatta «sentiti l'azienda sanitaria e l'Ordine provinciale dei farmacisti competente per territorio». Che si tratti di pareri obbligatori non vi è dubbio, ma è altrettanto certo (vista la formulazione della norma) che non sono vincolanti.

In questo caso, il Comune ha chiesto il parere dell’Ordine sottoponendogli il progetto complessivo della modifica della pianta organica dell’intero Comune, conseguente all’inserimento delle nuove sette sedi istituite in applicazione del decreto legge n. 1/2012.

E’ pacifico (nulla essendo stato dedotto in contrario) che il parere favorevole espresso dall’Ordine riguardava il progetto nel suo insieme, senza specifici riferimenti a dettagli determinati, cui l’Ordine mostrasse di attribuire particolare rilievo. Allo stesso modo si può considerare pacifico che, a parte la modesta variazione concernente il confine tra la nuova farmacia n. 30 e quella dell’attuale appellante, la pianta organica definitivamente approvata coincide con il progetto sul quale l’Ordine aveva espresso parere favorevole.

Ciò posto, la questione sollevata dall’appellante si può formulare in questi termini: se l’autorità procedente, dopo avere acquisito il parere (obbligatorio ma non vincolante) dell’Ordine su un determinato progetto di pianta organica, fosse vincolato ad approvare il progetto esattamente con quella medesima configurazione, e non potesse, quindi, apportare alcuna variazione (ancorché minima) senza chiedere nuovamente il parere.

4.7. Alla questione così posta, il T.A.R. ha risposto che trattandosi, nella specie, di una modestissima variazione, l’autorità procedente non fosse tenuta a chiedere nuovamente il parere dell’Ordine.

Questo Collegio ritiene di poter confermare la decisione.

Si è già detto che la variazione avversata dal ricorrente appare di modestissimo rilievo se si ha riguardo solo al problema della configurazione delle zona n. 30, e alla sua confinazione rispetto alla zona dell’attuale appellante; si capisce che ancor più modesto, e sostanzialmente trascurabile, è l’impatto di detta variazione rispetto alla sistemazione generale delle nuove sette sedi farmaceutiche nel contesto dell’intero territorio comunale.

D’altra parte il parere favorevole dell’Ordine riguardava, appunto, la sistemazione generale delle nuove farmacie e non si pronunciava sui minuti aspetti delle rispettive perimetrazioni.

In questa situazione, l’autorità procedente poteva legittimamente ritenere che eventuali piccole variazioni di dettaglio, tali da non alterare il quadro complessivo, fossero compatibili con il parere già acquisito; e poteva quindi apportarle senza chiederne un secondo.

Tale interpretazione del parere (ossia che l’Ordine abbia espresso parere favorevole all’impostazione complessiva della pianta organica, senza escludere la possibilità di aggiustamenti marginali) è comprovata dal comportamento successivo dello stesso Ordine; quest’ultimo, infatti, benché evocato nel presente giudizio sia in primo che in secondo grado ha mantenuto il silenzio, mostrando in modo non equivoco di non avere interesse all’oggetto della controversia".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS n. 915 del 2014

Anche un privato sovraindebitato può chiedere la ristrutturazione del debito

26 Feb 2014
26 Febbraio 2014

Il concordato per la ristrutturazione del debito permette di affrontare la crisi per sovraindebitamento anche per i soggetti privati che non siano imprenditori (e, per esempio, anche per i professionisti).

Al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette nè assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali, è consentito al debitore concludere un accordo con i creditori nell'ambito della procedura di composizione della crisi disciplinata dalla Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (pubblicata nella G.U.R.I. del 30 gennaio 2012, n. 24) che detta le “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”.

Il debitore in stato di sovraindebitamento, infatti, può proporre ai creditori, con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi, un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei all'accordo stesso. Il piano dovrà prevedere le scadenze e le modalità di pagamento dei creditori, le eventuali garanzie rilasciate per l'adempimento dei debiti e le modalità per l'eventuale liquidazione dei beni.

A tal fine si ricorda che, ex art. 6, c. 2, lett. a) della L. n. 3/2012, per “sovraindebitamento” si intende: “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante  difficoltà di adempiere le proprie  obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.

La proposta di accordo prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei redditi futuri. Nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità del piano, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l'attuabilità dell'accordo.

Il piano può prevedere una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori estranei quando ricorrono cumulativamente le seguenti condizioni:

a) il piano risulti idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine;

b) l'esecuzione del piano sia affidata ad un liquidatore nominato dal giudice su proposta dell'organismo di composizione della crisi;

c) la moratoria non riguardi il pagamento dei titolari di crediti impignorabili.

Il provvedimento contiene inoltre alcune tutele per le imprese contro l'usura e flessibilità nell'accesso ai finanziamenti antiracket.

Nello specifico l’art. 14 ter della L. n. 3/2012 prevede che: “1. In alternativa alla proposta per la composizione della crisi, il debitore, in stato di sovraindebitamento e per il quale non ricorrono le condizioni di inammissibilità di cui all'articolo 7, comma 2, lettere a) e b), può chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni.

  2. La domanda di liquidazione è proposta al tribunale competente ai sensi dell'articolo 9, comma 1,  e  deve essere  corredata dalla documentazione di cui all'articolo 9, commi 2 e 3.

  3. Alla domanda sono altresì allegati l'inventario di tutti i beni del debitore, recante specifiche indicazioni sul possesso di ciascuno degli  immobili e delle cose  mobili, nonché' una relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi che deve contenere:

a)  l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell'assumere volontariamente le obbligazioni;

 b) l'esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore persona fisica di adempiere le obbligazioni assunte;

 c) il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi cinque anni;

 d) l'indicazione della eventuale esistenza di atti  del debitore impugnati dai creditori;

 e)  il giudizio sulla  completezza e attendibilità  della documentazione depositata a corredo della domanda.

  4. L'organismo di composizione della crisi, entro tre giorni dalla richiesta di relazione di cui al comma 3, ne da' notizia all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali,  competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante.

5. La domanda di liquidazione è inammissibile se la documentazione prodotta non consente  di  ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale del debitore.

  6. Non sono compresi nella liquidazione:

    a) i crediti impignorabili ai sensi dell'articolo 545 del codice di procedura civile;

    b) i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice;

    c) i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i  frutti di essi, salvo quanto disposto dall'articolo 170 del codice civile;

    d) le cose che non possono essere pignorate per  disposizione  di legge.

  7.  Il deposito della domanda sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali fino alla chiusura della liquidazione, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto  previsto dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile”.

Inoltre le condizioni di inammissibilità previste dall’art. 7, c. 2, lett. a) e b) della L. n. 3/2012 consistono in: “La proposta non e' ammissibile  quando  il  debitore,  anche consumatore:

    a) e' soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo;

    b) ha fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai  procedimenti di cui al presente capo, mentre i documenti previsti dall’art. 9, c. 2, L. n. 3/2013 sono rappresentati da: Unitamente alla proposta devono essere  depositati  l'elenco di tutti i creditori, con  l'indicazione delle  somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell'attestazione sulla fattibilità del piano, nonche' l'elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, previa indicazione  della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia”.

 Alla fine, se risultano soddisfatte tutte le premesse di cui supra, il Giudice dichiara aperta la liquidazione ex art. 14 quinquies L. n. 3/2012 secondo cui: “Il giudice, se la  domanda  soddisfa i requisiti di cui all'articolo  14-ter, verificata l'assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni, dichiara aperta la procedura di liquidazione. Si applica l'articolo 10, comma 6.

  2. Con il decreto di cui al comma 1 il giudice:

    a) ove non sia stato nominato ai sensi dell'articolo 13, comma 1, nomina un  liquidatore, da individuarsi in un professionista  in possesso dei requisiti di cui all'articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;

    b) dispone che, sino al momento in cui il  provvedimento  di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive ne' acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore;

c)      stabilisce idonea forma di pubblicità della domanda e del decreto, nonché', nel caso in cui il debitore svolga  attività d'impresa, l'annotazione nel registro delle imprese;

d)      ordina, quando il patrimonio comprende beni  immobili o beni mobili registrati, la trascrizione

 del  decreto, a cura del liquidatore;

e)      ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti  parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non  ritenga, in presenza  di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore ad  utilizzare alcuni di essi. Il provvedimento è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione a cura del liquidatore;

    f) fissa i limiti di cui all'articolo 14-ter,  comma 5, lettera b).

  3. Il decreto di cui al comma 2 deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento.

  4. La procedura rimane aperta sino alla completa esecuzione del programma di liquidazione  e, in ogni caso, ai fini di cui all'articolo 14-undecies, per i quattro anni successivi  al  deposito della domanda”.

 Per capire meglio la tematica si consiglia la lettura della Circolare dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana) del 25 gennaio 2013 che  approfondisce questo argomento.

dott. Matteo Acquasaliente

Legge n. 3 del 2012

Circolare ABI

 

 

Il decorso del tempo sana l’abuso edilizio?

25 Feb 2014
25 Febbraio 2014

Il T.A.R. Molise, sez. I, nella sentenza del 17 febbraio 2014 n. 114, conferma che, in materia di abusi edilizi, il lungo tempo trascorso prima che il Comune ordini la demolizione di un’opera abusiva impone una valutazione ed una istruttoria particolarmente attenta ed approfondita. Nello specifico l’Amministrazione deve considerare il legittimo affidamento creatosi in capo al privato e deve confrontarlo e compararlo con l’interesse pubblico al ripristino della legalità: laddove quest’ultimo si dimostrasse prevalente, inoltre, il provvedimento dovrà essere adeguatamente motivato.

A tal fine si legge che: “Merita, in particolare, di essere condiviso il secondo motivo di censura con il quale la ricorrente si duole della mancata considerazione delle modestissime dimensioni del manufatto (circa 12 mq), realizzato nel giardino posteriore in estensione dell’antistante bar pizzeria di appena 35 mq, del lungo lasso di tempo intercorso dalla sua realizzazione, dell’inerzia serbata dal Comune in questo lungo arco di tempo, della conseguente necessità di valutare l’affidamento in tal modo ingeneratosi in conseguenza di tale situazione di fatto protrattasi nel tempo e, quindi, di motivare in ordine alla sussistenza di ragioni di interesse pubblico prevalenti.

Sebbene in via generale le sanzioni in materia edilizia siano configurate dal legislatore come atti vincolati e sebbene nel caso di specie, la pacifica realizzazione di un incremento di volume, seppur modesto (36,75, mc), avrebbe reso necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire, il collegio reputa di dover valorizzare le peculiarità della fattispecie concreta, come evidenziate nel secondo motivo di ricorso, con particolare riferimento alla necessità di tutelare il legittimo affidamento ingeneratosi nella ricorrente in conseguenza del lungo lasso di tempo intercorso dalla realizzazione del box senza che il Comune di Campobasso abbia ritenuto di intervenire.

La circostanza per cui l’abuso sarebbe stato realizzato sin dal 1984-1985 non ha infatti trovato smentita nella memoria di costituzione del Comune di Campobasso sicchè appare plausibile che in sede di sopralluogo vi sia stato un travisamento di quanto riferito dall’interessata in ordine alla data di costruzione del box, erroneamente indicata nel 1994-1995.

Ne discende che, in presenza di un modesto box, realizzato da oltre 20 anni, il Comune di Campobasso avrebbe dovuto farsi carico di mettere in comparazione la necessità di tutela dell’affidamento privato con la necessità di sanzionare l’abuso, motivando congruamente l’esito del giudizio e ciò anche con specifico riferimento alla necessità di rispettare il principio di proporzionalità, tenuto conto che, come emerso in sede di sopralluogo, il box in questione è destinato a laboratorio cucina sicchè la sua demolizione avrebbe l’effetto di impedire la prosecuzione della stessa attività di bar pizzeria (come argomentato dalla ricorrente in sede di richiesta della misura cautelare), in una condizione in cui la modestissima entità del manufatto non appare idonea a pregiudicare l’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio, in area peraltro classificata “C-Completamento”, tanto più che lo stesso è stato realizzato su giardino privato, nella parte posteriore ed in aderenza al fabbricato dove ha sede l’attività di ristorazione, con un modestissimo impatto visivo (cfr. doc. fotografica allegata al verbale del 29.4.2008)”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Molise n. 114 del 2014

Per sanare un abuso nei centri storici è necessario il parere della Soprintendenza?

25 Feb 2014
25 Febbraio 2014

Il Consiglio di Stato risponde di no nella sentenza n. 855 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "Con l’unico articolato motivo d’appello, il Ministero per i beni e le attività culturali censura la lettura interpretativa data dal giudice di primo grado alle disposizioni di cui agli artt. 33, comma 4, e 37, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 secondo cui il parere della Soprintendenza per i beni storici, artistici e paesaggistici sarebbe richiesto solo ai fini della determinazione della sanzione ( reale o pecuniaria) da applicare in caso di abusi edilizi commessi su immobili, anche se non vincolati, collocati nei centri storici.

Nella prospettazione della amministrazione appellante, da nessuna disposizione normativa si ricaverebbe che il suddetto parere sia richiesto solo in relazione alle opere non sanabili ( e quindi ai soli fini della determinazione della sanzione da applicare) e che invece, per le opere suscettibili di sanatoria (come appunto nel caso di specie), pur se riferite ad immobili posti nei centri storici, il suddetto parere non sarebbe richiesto. Deduce l’appellante amministrazione come, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, per tutti gli interventi nei centri storici sia necessario il coinvolgimento dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, tenuto conto anche della nozione di centro storico rinvenibile nel decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444 e della disciplina recata dall’art. 2 per le zone omogenee di cui alla lettera “A”, e cioè per le parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico artistico o di particolare pregio ambientale.

Inoltre, a parere dell’appellante, a ritenere coerente con le regole di sistema, e quindi dovuto, l’intervento dell’autorità soprintendentizia nel procedimento di sanatoria di immobili posti nel centro storico cittadino, soccorrerebbe la stessa ratio e l’interpretazione sistematica delle richiamate disposizioni ( in particolare, artt. 33, comma 4 e 37, comma 3, cit.) del Testo unico dell’edilizia, che escluderebbero la correttezza del distinguo tra opere sanabili e opere non sanabili, fatto proprio erroneamente dal Tar, ai fini dell’individuazione del titolo di intervento dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

3.- Rileva il Collegio che l’articolata censura non merita condivisione.

4.- Giova premettere che i centri storici ( e, per quel che qui rileva, il centro storico di Lucera) non rientrano tra le aree tutelate per legge ai sensi dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ( introdotto dal d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42).

Lo si ricava dal secondo comma dello stesso art. 142, ove si legge che le disposizioni sulle aree tutelate ex lege, di cui al comma 1 della disposizione, non si applicano alle aree che alla data del 6 settembre 1985 erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone territoriali omogenee A e B. Le zone territoriali di tipo A sono, in base al d.m. n. 1444 del 1968, le parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico artistico o di particolare pregio ambientale (id est, i centri storici).

I centri storici rientrano invece tra gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico, come descritti all’art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Tuttavia, affinchè tali beni vengano attratti al particolare regime di tutela previsto dalla legge, è sempre necessaria la dichiarazione di notevole interesse pubblico.

In assenza di vincolo specifico che abbia ad oggetto il centro storico cittadino, quale bene culturale d’insieme ai sensi del richiamato art. 136 del d.lgs 22 gennaio 2004 n.42, non è pertanto ipotizzabile l’applicazione delle disposizioni del Codice dei beni culturali sul particolare procedimento autorizzatorio degli interventi edilizi che abbiano oggetto immobili ivi collocati, salvo che il vincolo abbia fondamento in una previsione di piano paesaggistico ovvero in altro provvedimento puntuale che abbia dichiarato l’immobile di interesse culturale in ragione del suo pregio storico-artistico.

5.- Nella impugnata sentenza, il Tar ha accertato, peraltro dopo specifica attività istruttoria, che nel centro storico di Lucera non sussistono provvedimenti di vincolo rivenienti da atti dell’autorità statale o regionale. Inoltre, è stata accertata la inesistenza di vincoli specifici di natura storico-artistica sull’immobile dell’appellato Zolli.

Tali conclusioni non hanno formato oggetto di contestazione e devono pertanto ritenersi definitivamente acclarate.

In tale stato di cose, correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto insussistente il potere stesso della Soprintendenza ad esprimere il suo parere nell’ambito del procedimento finalizzato all’accertamento di conformità di alcuni abusi edilizi posti in essere sull’immobile in titolarità del signor Massimo Zolli.

Al parere negativo espresso dalla Soprintendenza, in carenza del presupposto giuridico per la sua adozione, non può riconnettersi pertanto, come a ragione rilevato dal Tar, la sua usuale forza conformativa vincolante.

Per conseguenza, il provvedimento di rigetto della istanza di accertamento di conformità, in quanto avente a presupposto il suddetto parere negativo, risulta illegittimo, e del pari illegittima va ritenuta, come condivisibilmente rilevato dal giudice di prime cure, la pedissequa ordinanza di demolizione e riduzione in pristino dello stato dei luoghi.

6.- Non convince l’argomento difensivo della Amministrazione appellante che pretende derivare da altre disposizioni del Testo unico in materia edilizia il potere dell’autorità soprintendentizia di adottare il parere nel procedimento di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R n. 380 del 2001.

In particolare, non appare qui pertinente il richiamo agli artt. 33, comma 4 e 37 comma 3 del d.P.R. n. 380 che prevedono il parere del Soprintendente ai limitati fini della individuazione della sanzione applicabile in caso di opere eseguite su immobili, anche non vincolati, posti nei centri storici, rispettivamente in assenza o in difformità del permesso di costruire o della denuncia di inizio di attività.

Ed invero, in mancanza di uno specifico regime vincolistico sul bene, l’intervento della Soprintendenza per i beni storici e paesaggistici non potrebbe ammettersi se non nei casi e nei limiti previsti dalla legge.

Appare pertanto evidente che le disposizioni dianzi richiamate non trovano applicazione nella fattispecie in esame, in cui soltanto l’Autorità comunale, investita della domanda di accertamento di conformità degli interventi, avrebbe dovuto pronunciarsi sull’assentibilità dell’intervento

7.- D’altra parte non sarebbe rispondente al principio di coerenza del sistema e di simmetria delle forme del procedimento che, mentre in fase di rilascio del titolo edilizio in via ordinaria, l’autorità preposta alla tutela del vincolo non sia coinvolta nel procedimento abilitativo (proprio in ragione dell’insussistenza di un regime vincolistico sull’area), mentre lo sarebbe in caso di rilascio del titolo in sanatoria, pur essendo in ogni caso il titolo ablitativo condizionato, nell’un caso e nell’altro, al rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia del territorio.

Da ultimo, non è secondario rilevare, anche sul piano della interpretazione letterale, come nel procedimento di accertamento di conformità ( art. 37, comma 4, d.P.R. cit.) non sia prevista, per gli immobili non vincolati posti nei centri storici, l’adozione del parere della Soprintendenza, il che è argomento ulteriore a riprova del carattere eccezionale del coinvolgimento dell’autorità paesaggistica nella individuazione della corretta sanzione da applicare in relazione agli immobili siti nei centri storici, anche non vincolati, e della non consentita estensione del principio oltre i casi previsti espressamente dalla legge".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS n. 855 del 2014

Gli indirizzi per la valutazione delle aree fabbricabili interne a strumenti attuativi decaduti quando sono impugnabili?

25 Feb 2014
25 Febbraio 2014

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 209 del 2014, la quale ritiene che la deliberazione consiliare relativa non possa essere impugnata in via principale (trattandosi di un regolamento non immediatamente lesivo), ma solo  con l'atto in materia di IMU che darà applicazione al regolamento.

Scrive il TAR: "Considerato che la delibera impugnata ha espresso gli indirizzi per quanto riguarda la valutazione delle aree fabbricabili oggetto delle previsioni di strumenti attuativi decaduti ai sensi dell’art. 18 della L.r. 11/2004; che, pur individuando i valori per i diversi ambiti, rilevandone il deprezzamento nella percentuale del 60%, la delibera fa comunque salvo il diverso computo del valore delle aree, in rapporto ai valori di mercato ed a quelli delle aree contermini, rimandando alla possibilità di una stima diretta del valore dell’area; orbene, nonostante che le doglianze dedotte appaiano dotate di apprezzabili motivi di fumus, con specifico riguardo alla genericità dei dati indicati e soprattutto alla carenza di supporto motivazionale alle conclusioni tratte dall’amministrazione, che non pare aver tenuto conto della sostanziale inedificabilità (giusto il disposto di cui all’art. 33 della stessa legge regionale, sulla stessa linea della normativa statale) delle aree  divenute zone bianche per effetto della decadenza dei vincoli preordinati all’espropriazione, le quali sono caratterizzate da una capacità di sfruttamento edificatorio del tutto marginale, proprio nella prospettiva di non alterare lo status quo nelle more della nuova programmazione urbanistica delle stesse, cui l’amministrazione è peraltro tenuta a provvedere; ritiene tuttavia il Collegio che la reale lesività della deliberazione impugnata si produrrà al momento in cui dovrà essere computato il valore delle aree ai fini del versamento dell’Imu, di modo che in sede di contestazione del valore da attribuire alle aree per il calcolo dell’imposta sarà possibile valutare l’illegittimità dell’atto presupposto, quale è appunto la delibera ora impugnata; pertanto, allo stato e ferme restando le considerazioni sopra espresse – anche ai fini di una rimodulazione delle stime da parte dell’amministrazione comunale – il ricorso deve considerarsi inammissibile, trattandosi dell’impugnazione di un atto di indirizzo, non immediatamente lesivo, volto a regolamentare per il futuro il valore da considerare, con riferimento alle aree individuate, ai fini del calcolo dell’imposta comunale, suscettibile, quale atto regolamentare presupposto, di essere censurato congiuntamente all’atto che ne darà applicazione".

sentenza TAR Veneto n. 209 del 2014

avv. Dario Meneguzzo

I fatti accertati in sede penale devono essere considerati provati nel procedimento amministrativo

24 Feb 2014
24 Febbraio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 200 del 2014.

Scrive il TAR: "6. Sul punto va, peraltro, ricordato che un costante orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato sez. IV del 22/06/2004 n.4464) ha previsto che, seppur in un diverso ambito, l'Amministrazione possa legittimamente utilizzare il risultato delle indagini penali per quanto riguarda, fra l'altro, i fatti non controversi. Si è sancito, infatti, che “in sede disciplinare, l'amministrazione non ha l'obbligo di svolgere una particolare attività istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova quando dispone di elementi emersi dal giudizio penale, fermo restando l'obbligo di valutare autonomamente e discrezionalmente i fatti addebitati all'incolpato. Ne consegue che i fatti compiutamente accertati nella sede penale vanno assunti nel procedimento disciplinare senza che sugli stessi l'amministrazione possa procedere a nuovi e separati accertamenti, trattandosi di dati irremovibili, dovendo la p.a. procedere solo all'autonoma e discrezionale valutazione della loro rilevanza sotto il profilo disciplinare. Tale vincolo deve, in ogni caso, intendersi riferito anche alle ipotesi, quale quella di specie, in cui a fronte di una sentenza penale di condanna di  primo grado, sia intervenuta una decisione di appello recante dichiarazione di non doversi procedere per prescrizione del reato, atteso che una tale statuizione processuale non vale a porre nel nulla gli specifici accertamenti compiuti nel primo grado del giudizio penale”.

7. Anche a prescindere dagli esiti del giudizio penale, e ai fini della decisione delle controversie sottoposte al presente Collegio, risulta
comunque dirimente constatare come l’Avepa ha dimostrato la violazione di quanto previsto dalla misura 214, laddove richiede che i
beneficiari della stessa misura dovranno disporre di idonei titoli di possesso sulla superficie oggetto di impegno per cinque anni e, ciò, senza soluzione di continuità".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 200 del 2014

L’interesse al ricorso deve permanere per tutta la durata del processo

24 Feb 2014
24 Febbraio 2014

Nella medesima sentenza il T.A.R. Veneto n. 237/2014 chiarisce che l’interesse al ricorso deve permanere per tutta la durata del processo: “Come è noto l'interesse al ricorso, in quanto condizione dell'azione, deve sussistere tanto al momento della proposizione della controversia, che al momento della decisione, con conseguente attribuzione al giudice amministrativo del potere di verificare la persistenza della predetta condizione in relazione a ciascuno di tali momenti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 14 novembre 2006, n. 6689)”. 

Il Comune può rivolgersi al TAR per ottenere l’adempimento di un atto unilaterale d’obbligo

21 Feb 2014
21 Febbraio 2014

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto n. 124 del 2014: "In primo luogo è necessario precisare come il ricorso di cui si tratta vede quale parte attrice l’Amministrazione comunale, nell’ambito di un giudizio c.d. a parti invertite, dove si richiede l’accertamento del diritto della stessa Amministrazione ad ottenere l’esatto adempimento dell’atto unilaterale d’obbligo da parte della società Golf Euganeo Spa, affinchè quest’ultima sia condannata ad adempiere alle obbligazioni rimaste inottemperate e consistenti nella sistemazione del parcheggio antistante la zona di ampliamento. 

2. Sul punto va confermata la Giurisdizione di questo Tribunale, sul presupposto che un costante orientamento giurisprudenziale ritiene come in materia di esecuzione di un atto unilaterale d’obbligo si verta in un’ipotesi di giurisdizione esclusiva, la quale è da individuarsi anche tutte le volte che vengano in discussione questioni su diritti e, ciò, considerando che "il rimedio previsto dall'art. 2932 c.c. a fine di ottenere l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto, deve ritenersi applicabile non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi altra ipotesi dalla quale sorga l'obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia in relazione ad un atto o ad un fatto dai quali detto obbligo possa sorgere ex lege (Cass. n. 6792 del 08/08/1987; Cass. n. 7157 del 15/04/2004; Cass. n. 13403 del 23/05/2008)”.
2.1 Si è affermato, infatti, che l’atto unilaterale assolve alla stessa funzione dell’accordo, in quanto il suo contenuto è diretto a integrare il contenuto del provvedimento conclusivo e, ciò, constatando come la volontà delle parti si sia incontrata nell’ambito del procedimento una volta che l’atto d’obbligo è stato recepito dall’Amministrazione.
2.2 Detta circostanza è rinvenibile nel caso di specie, laddove si consideri che l’atto unilaterale d’obbligo è stato recepito
dall’Amministrazione con la delibera n. 61 del 15 Dicembre 2004 con la quale è stata accolta l’osservazione della società resistente.
2.3 Ne consegue come sia applicabile la fattispecie di cui all’art. 11 della L. n. 241/90 e, ciò, considerando quanto precisato da un ulteriore orientamento laddove si è affermato che la “normativa sugli accordi  endoprocedimentali si applica anche alle dichiarazioni unilaterali aventi analoga funzione (Cons. di Stato del 21 Settembre 2011 n. 5300)”.

2.4 Si consideri, inoltre, come la Giurisdizione di questo Tribunale vada confermata anche tutte le volte che si sia in presenza (come nel caso di specie) dell’inadempimento di un “obbligo di fare” (in quanto relativo alla mancata sistemazione del parcheggio), sul presupposto che la fattispecie di cui all’art. 11 sopra citato deve intendersi estesa a tutti i rimedi contrattuali previsti dal Codice civile nell’ambito dei quali rientra l’art. 1453 c.c., nell’intento di assicurare il raggiungimento dell’interesse sottostante all’obbligo assunto e all’accordo sottoscritto.
2.5 E’, altresì noto che, con gli art. 30 comma 1 e 34 del Codice del processo Amministrativo, si è legittimato il Giudice Amministrativo ad emanare pronunce dichiarative, costitutive e di condanna, idonee a soddisfare l’effettiva pretesa sostanziale dedotta in giudizio.
2.6 Ne consegue come sussista il potere di questo Collegio di decidere sulle domande avanzate dal Comune ricorrente, volte ad accertare l'inadempimento sopra citato e a far condannare la società resistente al risarcimento in forma specifica, o per equivalente, in applicazione della disciplina civilistica e di cui all’art. 2931 del codice civile".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 124 del 2014

I limiti del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica della Soprintendenza

21 Feb 2014
21 Febbraio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 123 del 2014.

Scrive il TAR: "La Soprintendenza ha, nel caso di specie, formulato un giudizio sul caso concreto sottoposto alla sua attenzione (così come richiesto dalla giurisprudenza di questa sezione; si vedano, tra le ultime, le nn. 1407, 1294 e 1104 del 2013); Tale giudizio rientra nell'ambito della discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, a fronte della quale il giudice amministrativo incontra il limite del sindacato giurisdizionale nei confronti delle valutazioni tecnico-scientifiche, le quali possono essere ritenute illegittime solo se incoerenti, irragionevoli o frutto di errore tecnico; non potendo, però, il sindacato divenire sostitutivo delle valutazioni spettanti alla P.A. con l’introduzione di una valutazione parimenti opinabile; Nel caso di specie, la Soprintendenza ha ritenuto che le previste aperture a scomparsa sulla facciata dell’edificio - rientranti nel progetto di realizzazione di un’autorimessa al piano terra – “alterano inevitabilmente la logica compositiva della facciata, trasformando la porzione muraria in una “quinta scenica”, contraria alla natura costruttiva dell’organismo architettonico, i cui elementi costitutivi assolvono a funzioni specifiche che non possono essere contraddette senza generare un ineludibile, e mai auspicabile, detrimento dei valori culturali espressi dal bene tutelato. In particolare, sebbene la facciata sia stata oggetto di modifiche forometriche in una fase storica non meglio determinata (la semplice osservazione del prospetto rende evidente ed ovvia la constatazione, anche alla luce di una analisi stilistica e proporzionale), queste, ormai, oltre ad arricchire la stratifìcazione storica del palazzo, concorrono a costituire l’immagine consolidata del fronte su piazza; l'intervento, come già espresso, pur interessando delle porzioni rimaneggiate, è inammissibile in quanto confonde gli elementi portanti e quelli portati, surrogando la muratura di facciata ad un mero apparato scenico sovrastrutturale”; La motivazione è dunque approfondita e specificamente riferita all’opera concreta ed al particolare contesto spaziale in cui essa si va ad inserire; Né si ravvisano elementi d’ incoerenza, irragionevolezza o errore tecnico, se si considera come obiettivo primario e come interesse pubblico perseguito quello alla conservazione del bene culturale in questione; Infine, quanto alla dedotta disparità di trattamento rispetto ad interventi analoghi invece autorizzati, si condividono le osservazioni effettuate dalla Soprintendenza nel medesimo provvedimento impugnato, la quale, coerentemente con l’impostazione specifica del parere, ha sottolineato come si tratti di “valutazioni che concernono specificamente l’immobile in questione e che non si prestano ad alcuna generalizzazione”.

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 123 del 2014

Convegno di Confartigianato Belluno sul piano casa ter: istruzioni per l’uso

21 Feb 2014
21 Febbraio 2014

Pubblichiamo la locandina di un convegno sul piano casa organizzato da Confartigianato di Belluno a Longarone per sabato 22 febbraio 2014, con relatori  Marino Zorzato, Vice Presidente Regione del Veneto, Arch. Vincenzo Fabris, Direttore Dipartimento Territorio Regione del Veneto, Dott. Federico Della Puppa,   Università IUAV Venezia, e il prof. Avv. Bruno Barel.

convegno Piano casa TER . 3 ante WEB ok

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC