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In materia di prestazioni sanitarie da parte dei privati

24 Ott 2013
24 Ottobre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 16 ottobre 2013 n. 1183, si occupa dell’erogazione di prestazioni sanitarie da parte dei privati con oneri a carico del servizio sanitario pubblico, secondo quanto previsto dal D. Lgs. 23.12.1992 n. 502 (“Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”), dalla l. r. Veneto 16.08.2002 n. 22 (Autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e sociali”) e dalla DGRV n. 1765 del 28.08.2012 che, da ultima, adotta lo schema tipo di accordo contrattuale per regolare i rapporti con i soggetti accreditati con il sistema sanitario regionale eroganti le prestazioni specialistiche di tipo ambulatoriale.

In particolare si legge che: “La deliberazione n. 1765 del 28 agosto 2012 dispone che “l’accreditamento, al pari dell’autorizzazione all’esercizio, non è cedibile a terzi in mancanza di un atto regionale che ne autorizzi il trasferimento, previa acquisizione del parere favorevole dell’azienda; la cessione del contratto a terzi non autorizzata, non produce effetti nei confronti dell’azienda, l’erogatore subentrato deve stipulare un nuovo contratto agli stessi patti e condizioni previsti nel presente accordo contrattuale” e che “ogni mutamento incidente su caratteristiche soggettive (ad es. cessione ramo d’azienda, fusione, scorporo, subentro di altro titolare, ecc) ed oggettive (ad es. spostamento sede operativa) dell’erogatore, deve essere tempestivamente comunicato alla Regione e all’Azienda Ulss competente territorialmente. L’Azienda Ulss si riserva di risolvere o meno il presente accordo contrattuale, fornendo all’erogatore decisione motivata. La Regione opererà le verifiche di propria competenza”.

La deliberazione n. 2201 del 6 novembre 2012, ha modificato quest’ultima previsione disponendo che “ogni mutamento incidente su caratteristiche soggettive attuato previa acquisizione di parere favorevole del Direttore Generale dell'Aulss, (ad es. cessione ramo d'azienda, fusione, scorporo, subentro di altro titolare, ecc) ed oggettive (ad es. spostamento sede operativa) dell'erogatore, dev'essere tempestivamente comunicato alla Regione e all'Azienda Ulss competente territorialmente” ad eccezione delle sole modificazioni della persona del legale rappresentante e della denominazione societaria”.

 Inoltre: “va premesso che i rapporti di autorizzazione e di accreditamento hanno carattere personale, e non sono pertanto suscettibili di essere trasferiti ex se mediante negozi privatistici, in applicazione dell'art 2558 c.c. (cfr. Consiglio di Stato, Sez IV, 28 maggio 2002, n. 2940; Tar Campania, Napoli, Sez I, 27 ottobre 2006, n. 9180).

Possono essere oggetto di cessione, ai sensi dell’art. 1406 c.c., solo a condizione che l’altra parte vi consenta (cfr. Tar Puglia, Bari, 17 febbraio 2009, n. 3246).

Orbene, la disciplina introdotta con la deliberazione n. 2201 del 6 novembre 2012, sotto tale profilo, risulta quindi aver corretto delle imprecisioni e delle contraddittorietà presenti nella precedente deliberazione n. 1765 del 28 agosto 2012, che escludeva dalla necessità di acquisire preventivamente un’apposita autorizzazione anche per attuare delle modifiche potenzialmente idonee a comportare il subentro nell’autorizzazione e nell’accreditamento di soggetti diversi da quelli originari per i quali era stato accertato il possesso dei requisiti richiesti, quali la cessione del ramo d’azienda, la fusione, lo scorporo, o il subentro di altro titolare.

Infatti la deliberazione impugnata, nell’estendere il controllo preventivo anche a mutamenti di questo tipo, risulta essersi limitata ad assicurare che le prestazioni sanitarie con oneri a carico del servizio sanitario siano erogate da soggetti in possesso dei requisiti soggettivi normativamente previsti a tutela degli interessi pubblici coinvolti, mediante l’accertamento della loro permanenza in caso di mutamenti soggettivi.

Va peraltro osservato che in tal modo la Regione non risulta aver violato i principi della riserva di legge relativa e di legalità sostanziale, perché nel caso di specie risulta disciplinato l’esercizio di poteri che, anche se non espressamente contemplati dalla legge, devono ritenersi impliciti nella previsione del Dlgs. n. 502 del 1992 e delle legge regionale n. 22 del 2002 che attribuiscono alla Regione l’accertamento del possesso di specifici requisiti soggettivi necessari per l’autorizzazione, l’accreditamento e la stipula dei contratti.

Una volta ammesso un iniziale regime autorizzatorio e di accreditamento (quest’ultimo riconducibile alle concessioni di un servizio pubblico), va riconosciuta, evidenziandosi un identico interesse pubblico, la configurabilità di un analogo potere in caso di modifiche idonee a far venir meno le caratteristiche soggettive accertate in principio come sussistenti”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1183 del 2013

DGRV n. 1765 del 2012

Allegato A DGRV n. 1765 del 2012

Chi inquina paga?

23 Ott 2013
23 Ottobre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 16 ottobre 2013 n. 1181, affronta numerose questioni attinenti alla rimozione dei rifiuti versati in una discarica non autorizzata: “Sostenere difatti l’estraneità alla provenienza dei rifiuti illecitamente abbandonati e stoccati nel sito della Sun Oil Italiana Srl, in quanto la ricorrente non avrebbe materialmente posto in essere la condotta tipica descritta dall’art. 192 del Dlgs. n. 152 del 2006, potendo in ogni caso operare in suo favore l’esimente prevista dall’art. 188, comma 3, del Dlgs. n. 152 del 2006, in favore del produttore o detentore di rifiuti munito del formulario controfirmato di cui all’art. 193, di cui la ricorrente è in possesso, significa dimenticare il principio della cosiddetta responsabilità condivisa che discende dall’art.178, comma 3, del Codice dell’Ambiente, laddove considera nella gestione dei rifiuti tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione , utilizzo e consumo dei beni da cui originano i rifiuti.

Sul punto la sentenza n.40 /2009 sull’identica situazione fattuale ha affermato:

“Per chiarezza espositiva è opportuno richiamare testualmente l’art. 188 del Dlgs. n. 152 del 2006, il quale, relativamente agli oneri gravanti sui produttori e detentori di rifiuti dispone che:

1. Gli oneri relativi alle attività di smaltimento sono a carico del detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o ad un soggetto che effettua le operazioni di smaltimento, nonché dei precedenti detentori o del produttore dei rifiuti. 2. Il produttore o detentore dei rifiuti speciali assolve i propri obblighi con le seguenti priorità:

a) autosmaltimento dei rifiuti;

b) conferimento dei rifiuti a terzi autorizzati ai sensi delle disposizioni vigenti;

c) conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione;

d) utilizzazione del trasporto ferroviario di rifiuti pericolosi per distanze superiori a trecentocinquanta chilometri e quantità eccedenti le venticinque tonnellate;

e) esportazione dei rifiuti con le modalità previste dall'articolo 194.

3. La responsabilità del detentore per il corretto recupero o smaltimento dei rifiuti è esclusa:

a) in caso di conferimento dei rifiuti al servizio pubblico di raccolta;

b) in caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all'articolo 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formulario. Per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti tale termine è elevato a sei mesi e la comunicazione è effettuata alla regione.

Da tale norma risulta che la responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento.”

Anche il produttore e il detentore sono pertanto investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento.

Per quanto riguarda più in particolare il produttore o detentore di rifiuti speciali, che sono della tipologia di quelli che la ricorrente ha ceduto, gli obblighi sono assolti solo qualora siano stati conferiti ad un soggetto autorizzato allo smaltimento e il produttore sia in grado di esibire il formulario di identificazione dei rifiuti datato e controfirmato dal destinatario.

In caso contrario il produttore e il detentore rispondono del non corretto recupero o smaltimento dei rifiuti (sul punto cfr. Cass. Pen. Sez. III, 16 febbraio 2000, n. 1767; id. 21 gennaio 2000, n. 4957; id. 27 novembre 2003, n. 7746; id. 1 aprile 2004, n. 21588).

Nel caso all’esame – e il dato non è oggetto di contestazioni nel presente giudizio – la Sun Oil Italiana S.r.l, destinatario dei rifiuti, era priva di qualsiasi autorizzazione (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 10 ottobre 2007), e pertanto non può operare la speciale esimente di cui all’art. 188, comma 3, del Dlgs. n. 152 del 2006.

Peraltro, contrariamente a quanto dedotto, a causa dell’estensione della suddetta posizione di garanzia che si fonda sull’esigenza di assicurare un elevato livello di tutela all’ambiente (principio cardine della politica ambientale comunitaria: cfr. l’art. 174, par. 2, del Trattato), la consegna dei rifiuti a degli intermediari muniti di autorizzazione (nel caso all’esame la Imec) non vale a trasferire –solo- su di loro la responsabilità per il corretto smaltimento e non autorizza pertanto il produttore a disinteressarsi della destinazione finale dei rifiuti.

Peraltro, i formulari di identificazione dei rifiuti recano l’indicazione dell’impianto di destinazione e del nome e indirizzo del destinatario (cfr. art. 193, comma 1, lett. c ed e del Dlgs. n. 152 del 2006), correttamente identificati nella Sun Oil Italiana S.r.l, via Molinara 10 del Comune di Sona, cosicché la verifica ed il controllo del possesso delle necessarie autorizzazioni in capo al destinatario rientrava senz’altro tra gli obblighi di diligenza esigibili dal produttore o detentore dei rifiuti”.

Per quanto concerne la competenza per l’ordine di rimozione de quo, il T.A.R. afferma che: “l’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152 del 2006, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e quello cronologico sul disposto dell`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25 agosto 2008, n. 4061)”, mentre se dai formulari relativi agli scarichi dei rifiuti è possibile risalire al quantitativo di rifiuti depositato dalle singole ditte il Collegio giunge a ritenere che: “Merita accoglimento invece, come già esposto, la censura con cui si lamenta il difetto di istruttoria e motivazione in relazione alla prescrizione con cui è stata ordinata la rimozione di tutti i rifiuti in solido con le altre ditte.

La determinazione viene motivata con riferimento alla circostanza che i rifiuti conferiti da ciascuna delle ditte produttrici o detentrici non sono separabili dal complesso dei rifiuti presenti.

La censura è fondata, in quanto dai formulari di identificazione dei rifiuti utilizzati dall’Amministrazione comunale per risalire ai produttori e detentori dei medesimi, è possibile documentalmente determinare le quantità conferite da ciascuno, e pertanto, essendo possibile la rimozione di rifiuti o una partecipazione alle operazioni di rimozione pro quota, non sono ravvisabili elementi tali da qualificare come indivisibile la prestazione”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1181 del 2013

Linee di indirizzo applicativo agli operatori del settore siano essi soggetti pubblici, proponenti privati o professionisti per la VAS a seguito della Sentenza n. 58/2013 della Corte Costituzionale

23 Ott 2013
23 Ottobre 2013

Sul BUR n. 89 del 22 ottobre 2013 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 1717 del 03 ottobre 2013, recante la presa d'atto del parere n. 73 del 2 luglio 2013 della Commissione regionale VAS "Linee di indirizzo applicative a seguito della sentenza n. 58/2013 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 40, comma 1, della Legge della Regione Veneto 6 aprile 2012, n. 13, nella parte in cui aggiunge la lettera a) del comma 1-bis all'art. 14 della Legge della Regione Veneto 26 giugno 2008, n. 4."

Scarica la versione stampabile del BUR n. 89 del 22/10/2013
Scarica la versione firmata del BUR n. 89 del 22/10/2013
Scarica versione stampabile Deliberazione della Giunta Regionale

Il valore delle opere realizzate da scomputare va calcolato al momento del rilascio delle concessioni a costruire

22 Ott 2013
22 Ottobre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5045 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "Il T.A.R., infatti, ha correttamente ritenuto che la quantificazione del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione secondaria andava fatta, come si è detto, con riferimento ai valori vigenti al momento del rilascio della concessione, nel caso concreto al 1989, ma, come evidenziato dall’impresa Ortica Giuseppe s.p.a., occorre allora rispettare l’omogeneità dei dati tra cui effettuare la sottrazione, per cui la quota di opere realizzate da scomputare deve essere determinata sulla base del valore delle opere per sua natura variabile nel tempo e rilevabile al momento del rilascio delle concessioni a costruire, con riferimento alle quali vengono calcolati gli oneri di urbanizzazione secondaria. Il Comune, per correttezza di calcolo ,non può non tenere conto, così, che la prima concessione rilasciata ha assorbito una parte dell’importo totale, originariamente previsto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria, che ad avviso dell’appellante rappresenterebbe circa il 70% del predetto totale, ma che per una sua corretta quantificazione deve essere oggetto di precisa verifica da parte dell’ufficio tecnico comunale. Per determinare, quindi il valore residuo delle opere di cui alla convenzione del luglio 1981 da portare a scomputo degli oneri calcolati con il prezzario del 1989, il Comune deve calcolare il valore del residuo delle opere realizzate dall’impresa, da portarsi correttamente a scomputo, ma con lo stesso riferimento al 1989 (per il principio arg, da. Cons. Stato, sezione V, 28 luglio 1987 n. 477 e 25 marzo 1991 n. 367). Tanto premesso l’appello va parzialmente accolto e, per l’effetto la sentenza appellata, deve essere riformata nei termini sopra evidenziati, con obbligo del Comune di Treviso, sulla base dei conteggi da effettuarsi da parte dell’ufficio tecnico comunale, di restituire alla stessa le sole somme indebitamente pagate a titolo di maggiore contribuzione per gli oneri di urbanizzazione secondaria, addizionate degli interessi legali dalla data della domanda o, se posteriori, dai pagamenti effettuati dall’appellante, sino all’effettivo soddisfo, ai sensi dell’art. 2033 del codice civile, con esclusione quindi della rivalutazione monetaria (cfr.Consiglio Stato sez. V. 24 luglio 1993, n. 799)".

sentenza CDS 5045 del 2013

Ai fini dello svolgimento di una attività commerciale l’autorizzazione sanitaria non sostituisce il certificato di agibilità

22 Ott 2013
22 Ottobre 2013

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5025 del 2013 decide un  ricorso col quale è stato impugnato un provvedimento con cui un comune ha inibito la prosecuzione di una attività di somministrazione alimenti e bevande, per mancanza del certificato di agibilità.

Il Consiglio di Stato respinge l'appello, precisando che: "Né , al riguardo,può essere condiviso l’assunto dell’appellante, secondo cui l’autorizzazione sanitaria (di cui è in possesso ) sarebbe sostitutiva del certificato di agibilità. Tra i due documenti,infatti, non sussiste equipollenza né sul piano
formale né su quello sostanziale atteso che, come già precisato, il secondo presuppone rispetto all’autorizzazione sanitaria anche l’accertamento della conformità urbanistico-edilizia del manufatto. Per lo stesso motivo,inoltre,l’autorizzazione commerciale ( anche se automaticamente rinnovatasi come sostenuto dall’appellante ) non può di certo ritenersi sostitutiva del certificato di agibilità,sia perché ontologicamente diversa,sia perché presuppone a sua volta ( piuttosto che accertare ) la conformità urbanistica ed edilizia dei locali a cui si riferisce".

sentenza CDS 5025 del 2013

La DGR 1721/2013 approva il parere della VTR su art. 38 PTRC

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013

La deliberazione della Giunta regionale n. 1721 del 3 ottobre 2013 ha preso atto della Valutazione Tecnica Regionale n. 44 del 18 settembre 2013, riguardante l'art. 38 del PTRC.

dgr 1721 del 2013

A che punto è il nuovo piano casa del Veneto?

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013

A che punto è il nuovo piano casa del Veneto? Il 23.10.2013 la Seconda Commissione del Consiglio Regionale inizia le audizioni sulle proposte di legge.

Ordine del Giorno

data seduta: 23.10.2013

luogo di convocazione: Consiglio regionale - Palazzo Ferro Fini

prima convocazione: 09:30

seconda convocazione: 10:30

La Commissione è convocata per mercoledì 23 ottobre 2013 alle ore 09:30 in prima convocazione e alle ore 10:30 in seconda convocazione

Argomenti all'ordine del Giorno

1.  Approvazione processo verbale della seduta precedente

2.  Comunicazioni del Presidente della Commissione

3.  AUDIZIONE in ordine a:

4.  Illustrazione - PDLR n. 200 del 09 settembre 2011
Proposta di legge di iniziativa dei consiglieri Bruno Pigozzo, Graziano Azzalin, Giuseppe Berlato Sella, Franco Bonfante, Mauro Bortoli, Roberto Fasoli, Stefano Fracasso, Laura Puppato, Sergio Reolon, Piero Ruzzante, Claudio Sinigaglia e Lucio Tiozzo relativa a: “Modifica dell'articolo 2 e dell'articolo 9 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 in materia di ampliamento di edifici”

5.  Esame e parere - PDLR n. 295 del 03 agosto 2012
Proposta di legge di iniziativa dei consiglieri Costantino Toniolo, Davide Bendinelli, Dario Bond, Giancarlo Conta, Piergiorgio Cortelazzo, Nereo Laroni e Carlo Alberto Tesserin relativa a: “Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile" e alla legge regionale 8 luglio 2011, n. 13 "Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche" e successive modificazioni, alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio" e successive modificazioni e disposizioni in materia di autorizzazioni di impianti solari e fotovoltaici"”

6.  Esame e parere - PDLR n. 355 del 22 maggio 2013
Disegno di legge di iniziativa della Giunta regionale relativo a: “Provvedimenti per il sostegno al settore edilizio e per la riqualificazione delle aree degradate del Veneto. Piano di sviluppo edilizio.”

7.  Ore 10,30 con: - Anci - Urpv - Conord - Uncem - Confindustria Veneto - Ance Veneto - Arav Veneto - ConfcooperativeVeneto - Frav Veneto - CNA Veneto - Lega Coop Veneto - Unci Veneto - Casartigiani Veneto - Confagricoltura Veneto - Cia Veneto - Coldiretti Veneto Ore 11,00 con: - Federazione Ordine Ingegneri Veneto - Federazione Ordine Architetti Veneto - Assurb Veneto - Centro regionale studi urbanistici Veneto - CUP Veneto - Federazione Ordine dottori agronomi e dottori forestali Veneto - Collegio Geometri Veneto - Collegio Periti agrari e Periti agrari laureati - Inu Veneto - Inarch Veneto - Facoltà Architettura di Venezia - Facoltà Ingegneria di Padova - IUAV Dipartimento Urbanistica - CGIL Veneto - CISL Veneto - UIL Veneto - CISAL Veneto

Quando il Comune può limitare l’apertura di medie strutture di vendita in zona residenziale?

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013

Nel post del 15.05.2013 si era detto che, secondo il T.A.R. Veneto n. 877/2013, la liberalizzazione delle attività commerciali non “non incide né condiziona di per sé le scelte di carattere urbanistico” del Comune, il quale può legittimamente organizzare il proprio territorio imponendo delle limitazioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali.

 Il T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, nella sentenza del 10 ottobre 2013 n. 2271, torna sulla questione precisando però che la pianificazione urbanistica del Comune non può ex se legittimamente incidere sulla libertà di iniziativa economica: a tal fine sono necessari dei “motivi imperativi di interesse generale”.

Nel caso di specie una media struttura di vendita di 600 m.q. di superficie aveva chiesto di ampliare la propria superficie, senza modificare né il volume né la sagoma. Il Comune, però, aveva negato l’intervento perché, in base alle le disposizioni commerciali recepite dal PGT, le strutture di vendita con superficie maggiore di 600 m.q. non possono essere realizzate in zona residenziale.

Il Collegio, alla luce dei numerosi provvedimenti legislativi che, nel corso del tempo, hanno disciplinato la materia de qua, giunge a ritenere che il divieto incondizionato di apertura di medie strutture di vendita superiori ai 600 m.q.. in zona residenziale è in contrasto con la direttiva servizi n. 132/2006/CE (c.d. Direttiva Bolkestein) che ha liberalizzato le attività commerciali.

A riguardo si legge che: “Occorre ricordare che la disciplina nazionale relativa all’apertura di nuovi esercizi commerciali è stata oggetto di una lunga e travagliata evoluzione.

Il decreto legislativo n. 114 del 1998, nell’intento di superare la precedente normativa dirigistica di cui alla L. 426 del 1971, che sottoponeva l’apertura di nuovi esercizi ad un rigido sistema di contingentamento basato sulla pianificazione del rapporto fra domanda ed offerta, aveva completamente liberalizzato il segmento degli esercizi di vicinato e rimesso, invece, alle regioni la regolamentazione della apertura delle medie e grandi strutture di vendita, la cui apertura restava (e resta ancora oggi) soggetta a specifica autorizzazione.

In particolare, il predetto decreto legislativo aveva prefigurato un meccanismo di forte integrazione fra urbanistica e disciplina economica delle attività commerciali di maggiore rilevanza, prevedendo che le regioni dovessero dettare indirizzi generali per il loro insediamento e criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale destinati ad essere recepiti in sede di pianificazione del territorio da parte dei comuni (art. 7, comma 5).

Tale sistema aveva dato luogo a interpretazioni non univoche, sostenendosi da parte di alcuni che il piano regolatore generale, per effetto delle previsioni contenute nel D.lgs. n. 114 del 1998, avrebbe mutato la sua natura, divenendo uno strumento misto di pianificazione economica oltre che urbanistica, mentre altri avevano, al contrario, ritenuto che, scomparsi i piani del commercio, le uniche limitazioni all’apertura di medie e grandi strutture di vendita potessero fondarsi su esigenze di ordine territoriale, non potendo la disciplina urbanistica essere piegata a finalità di controllo autoritativo delle dinamiche fra la domanda e l’offerta di servizi di intermediazione commerciale.

Sul punto, alcuni anni più tardi, è intervenuto il legislatore che, con il D.L. n. 223 del 2006, ha definitivamente sancito il divieto (valevole anche per le regioni) di sottoporre l’apertura di nuovi esercizi commerciali (ivi comprese medie e grandi strutture) a limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale.

Il settore dei servizi privati, nell’ambito del quale rientra il commercio, è stato poi oggetto di una specifica direttiva comunitaria (n. 123/2006 altrimenti detta “Bolkestein”) volta alla riduzione dei vincoli procedimentali e sostanziali gravanti sugli stessi al fine di favorire la creazione nei vari Stati membri di un regime comune mirato a dare concreta attuazione ai principi di libertà di stabilimento e libera prestazione.

La direttiva Bolkestein ha profondamente inciso sullo statuto delle libertà economiche rispetto alle quali, in passato, l’art. 41 Cost. ha costituito un assai debole presidio, consentendo che il loro esercizio potesse essere incondizionatamente subordinato nell’an e nel quomodo a qualunque tipo interesse pubblico assunto dal legislatore (ed a cascata dalla p.a.) ad oggetto di tutela.

La normativa comunitaria prevede, invece, che l’iniziativa economica non possa, di regola, essere assoggettata ad autorizzazioni e limitazioni (specie se dirette al governo autoritativo del rapporto fra domanda ed offerta), essendo ciò consentito solo qualora sussistano motivi imperativi di interesse generale rientranti nel catalogo formulato dalla Corte di Giustizia. La medesima normativa stabilisce, inoltre, che, anche qualora sussistano valide ragioni per adottare misure restrittive della libertà d’impresa, queste debbano essere adeguate e proporzionate agli obiettivi perseguiti.

La direttiva Bolkestein è stata recepita nell’ordinamento interno dal D.lgs. n. 59 del 2010 e ad essa sono ispirati tutti i numerosi provvedimenti di liberalizzazione varati nella scorsa legislatura, i quali ne hanno precisato la portata e gli effetti.

Costituisce una costante di tutti questi atti normativi la distinzione fra atti di programmazione economica – che in linea di principio non possono più essere fonte di limitazioni all’insediamento di nuove attività – e atti di programmazione aventi natura non economica, i quali, invece, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono imporre limiti rispondenti ad esigenze annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale (art. 11, comma 1, lett. e) del D.lgs. n. 59 del 2010, art. 34, comma 3, lett. a) del D.lgs. 201/2011).

Tale distinzione deve essere operata anche nell’ambito degli atti di programmazione territoriale, i quali non vanno esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se in concreto essi perseguano finalità di tutela dell’ambiente urbano o, comunque, riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese.

Il legislatore ha stabilito, infatti, che:

a) ricadono nell’ambito delle limitazioni vietate (salvo la sussistenza di motivi imperativi d’interesse generale) non solo i piani commerciali che espressamente sanciscono il contingentamento numerico delle attività economiche, ma anche gli atti di programmazione che impongano “limiti territoriali” al loro insediamento (artt. 31, comma 1 e 34, comma 3 del D.L. 201/2011)

b) debbono, perciò, considerarsi abrogate le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongano limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscano, condizionino o ritardino l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici (art. 1 del D.L. n. 1/2012).

Le norme sopra menzionate impongono al giudice chiamato a sindacare la legittimità degli atti di pianificazione urbanistica che dispongono limiti o restrizioni all’insediamento di nuove attività economiche in determinati ambiti territoriali, l’obbligo di effettuare un riscontro molto più penetrante di quello che si riteneva essere consentito in passato; e ciò per verificare, attraverso un’analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime (sul punto si veda la sentenza 15/3/2013 n. 38 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 31 del D.L. 201 del 2011 dell’art. 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell'art. 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7, perché con essi veniva precluso l’esercizio del commercio al dettaglio in aree a destinazione artigianale e industriale, in assenza di plausibili esigenze di tutela ambientale che potessero giustificare il divieto)”.

 Per quanto concerne l’efficacia retroattiva o meno delle suddette disposizioni, il T.A.R. asserisce che: “i provvedimenti legislativi sopra menzionati non dispongono solo per il futuro, ma contengono clausole di abrogazione attraverso le quali il legislatore statale ha manifestato la volontà di incidere sulle norme regolamentari e sugli atti amministrativi generali vigenti, imponendo alle regioni ed agli enti locali una revisione dei propri ordinamenti finalizzata ad individuare quali norme siano effettivamente necessarie per la salvaguardia degli interessi di rango primario annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale e quali, invece, siano espressione diretta o indiretta dei principi dirigistici che la direttiva servizi ha messo definitivamente fuori gioco (vedasi l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 31 del D.L. 201 del 2011 e il comma 4 dell’art. 1 del D.L. n. 1 del 2012).

Il problema se, una volta decorso il periodo assegnato agli enti territoriali per recepire i nuovi principi nei propri ordinamenti, le norme regolamentari e gli atti amministrativi generali con essi incompatibili debbano o considerarsi automaticamente abrogati (e, quindi, non più applicabili anche nei giudizi concernenti l’impugnazione di atti applicativi) ha già trovato risposta nella giurisprudenza amministrativa, la quale ha sancito che l'inutile decorso del termine assegnato dal legislatore statale per l’adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai principi in materia di concorrenza determina la perdita di efficacia di ogni disposizione regionale e locale, legislativa e regolamentare, con essi incompatibili. E ciò in forza di quanto sancito dal comma 2 dell’art. 1 della L. 131 del 2003 a mente del quale le disposizioni regionali vigenti nelle materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia (Cons. Stato, V, 5/5/2009, n. 2808; TAR Toscana 6400/2010; TAR Sicilia, Palermo, 6884/2010, TAR Friuli Venezia Giulia 145/2011)”.

 Chiarito ciò, i Giudici affermano che la norma delle NTA del PTG impugnata deve “ritenersi abrogata per incompatibilità con la normativa sopravvenuta in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi, non avendo il Comune adempiuto all’obbligo di adeguare alla stessa i propri atti di pianificazione entro il termine previsto dall’art. 31 comma 2 ultimo periodo del D.L. 201 del 2011”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 877 del 2012

TAR Lombardia n. 2271 del 2013

Specifiche tecniche delle operazioni di scavo e ripristino per la posa di infrastrutture digitali nelle infrastrutture stradali

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013

Sulla GU n.244 del 17-10-2013 è stato pubblicato il decreto 1 ottobre 2013 del Ministero dello Sviluppo Economico, recante "Specifiche tecniche delle operazioni di scavo e ripristino per la posa di infrastrutture digitali nelle infrastrutture stradali. (13A08393)".

Specifiche tecniche delle operazioni di scavo e ripristino per la posa di infrastrutture digitali nelle infrastrutture stradali

Interessi passivi e interessi del debito pubblico in Italia

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013
"Mi capita sempre più spesso di partecipare a questo o quel talk show all'interno del quale l'interlocutore di turno a cui viene data la parola sputa sentenze sul debito pubblico, su che cosa si dovrebbe fare e su come si dovrebbe intervenire una volta per tutte per risolvere l'annosa vicenda di questo debito. Per cui si va da chi propone con grande disinvoltura la cosidetta ristrutturazione del debito senza sapere che con questo termine sul piano tecnico significa effettuare solitamente un haircut su un determinato ammontare da rimborsare. Tradotto per il piccolo risparmiatore ed investitore questo produce un default parziale assistito, vale a dire che se avevate investito Euro 100.000 su un determinato titolo di stato quest'ultimo vi potrebbe essere rimborsato al 60/70/80/90% del valore facciale oppure essere sostituito con un titolo di nuova emissione con una scadenza più lunga, un interesse inferiore e un importo nominale scontato al 60/70/80/90% rispetto a quello che avevate sottoscritto. Recentemente oltre alla famosa patrimoniale o all'ipotetico prelievo del 10% sulle giacenze bancarie, si vocifera nelle sale di negoziazione anche del congelamento degli interessi sui titoli italiani nei confronti dei soli soggetti fisici detentori del titolo. 
Prima di proseguire voglio aprire una parentesi su questo tema con l'intento di fare chiarezza: provate a chiedere ad un amico, conoscente o consulente finanziario a quanto ammontano gli interessi che il nostro paese paga sullo stock di debito pregresso. Le risposte vederete che andranno dai 90 ai 100 miliardi: purtroppo tale dato è errato in misura anche considerevole in quanto spesso si fa confusione tra gli interessi passivi che gravano sull'Amministrazione dello Stato e gli interessi invece che gravano solo sul debito pubblico. In questo caso ci viene in aiuto il Bilancio Semplificato dello Stato il quale a seguito della Legge di Bilancio 2013/2015 stima in previsione gli interessi passivi totali per il 2013 in 89.7 MLD, per il 2014 in 95.2 MLD e per il 2015 in 99.8 MLD. Da come potete comprendere in via embrionale il carico fiscale complessivo sarà considerevolmente in aumento: questo vi deve portare a riflettere come nei prossimi anni si riuscirà a far fronte a  tali nuovi incrementi, soprattutto in considerazione del fiscal compact e della contrazione ormai certa delle entrate. Non dimenticate inoltre il rischio che più di tanto non è stato adeguatamente soppesato legato al sempre più plausibile downgrade del rating finanziario, il quale potrebbe impattare ancora di più sul capitolo di spesa relativo agli interessi passivi.
Ritorniamo adesso proprio a quest'ultimo: si tende infatti a confondere sempre più spesso questa posta con la voce di spesa riferibile solo agli interessi sul debito pubblico che ammontano (secondo la stima della Legge di Bilancio) in 76 MLD per il 2013, 82 MLD per il 2014 e 88 MLD per il 2015 (gli importi sono stati arrotondati per eccesso in modo da farvi ricordare con semplicità che ogni anno questi ultimi aumentano di 6 MLD). Oltre agli interessi passivi sul debito, lo Stato tuttavia paga anche gli interessi passivi sui prodotti postali tradizionali (buoni e conti postali) che ammontano a 7.5 MLD, cui si aggiungono 3 MLD per i conti di tesoreria degli enti locali e altri 2 MLD tra interessi sui mutui contratti dalla Cassa Depositi e Prestiti unitamente agli interessi di mora di varia natura. Il tutto sommato porta all'importo complessivo di cui facevamo menzione prima ovvero 89.7 MLD per il 2013 e cosi via. Da questo estratto si evince intanto che una quota considerevole della posta complessiva riconducibile agli interessi passivi in Italia si paga anche per onorare depositi e prestiti decisamente riconducibili a soggetti italiani (enti locali e clientela postale), il tutto per oltre 15 MLD di Euro ovvero il 17% in quota frazionaria. Lo stock di debito pubblico è per il 65% detenuto da residenti italiani di varia natura banche, fondi pensione, risparmiatori privati ed enti locali: più di due anni fa la percentuale ammontava al 55%. 
Poco più di un terzo invece è detenuto da soggetti esteri di cui come si è già fatta menzione in un precedente redazionale non è possibile identificarne la geografia per ragioni prettamente tecniche in quanto i titoli di stato sono titoli al portatore e quindi fuori dai confini nazionali diventano di dubbiosa tracciabilità. Ricordo che questo vale per qualsisi paese e non solo per l'Italia. Immaginate sempre la famosa Deutsche Bank che interviene ad un'asta di titoli italiani e lo fa su mandato di un fondo pensione delle Isole Filippine da cui ha ricevuto istruzioni di sottoscrizione in nome proprio ma per conto terzi. Il titolo viene acquistato da un intermediario tedesco, il quale lo consegna successivamente ad un soggetto asiatico, il quale a sua volta lo può più avanti rivendere telematicamente ad altro soggetto. Ora per chiudere a chiosa questo redazionale non ci dovremmo stupire a fronte di quanto rappresentato sopra se più avanti (18/24 mesi) qualche governo o autorità sovranazionale proponesse il congelamento degli interessi sul debito esclusivamente per i residenti fisici italiani, escludendo intermediari e attori del mondo finanziario: questo tipo di eventualità sta diventando di possibile applicazione pur di non allarmare chi detiene il titolo fuori confine".
Articolo tratto dal sito http://www.eugeniobenetazzo.com dell'economista indipendente dott. Eugenio Benetazzo
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