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L’altana realizzata da un condomino sul tetto richiede l’assenso dell’assemblea

13 Giu 2014
13 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 20 maggio 2014 n. 641 afferma che la realizzazione di un’altana sul tetto di un condomino, essendo un’innovazione e non una semplice modifica realizzabile uti singulo della parte comune, richiede il consenso dell’assemblea dei condomini: “pur essendo generalmente riconosciuto che, in caso di realizzazione di un’opera da parte di un singolo su parti comuni dell’edificio, la quale sia tuttavia strettamente pertinenziale alla propria unità immobiliare, vale il principio dettato dall’art. 1102 c.c., in base al quale “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non ne impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”;

che, sulla scorta di tale disposizione, è stato più volte ribadito dalla Corte di Cassazione il principio generale per cui il singolo condomino può apportare, nel proprio interesse ed a proprie spese, modifiche alle parti comuni al fine di conseguire un’utilità maggiore e più intensa del proprio immobile, a patto che dette modifiche non alterino la normale destinazione della cosa comune e non ne impediscano l’altrui pari uso (cfr. C.Cass. 10453/2001; 12569/2002; 8830/2003);

che quindi, nell’ipotesi in cui l’intervento non sia riconducibile all’ipotesi contemplata dall’art. 1102, comma 1, l’intervento deve essere qualificato come innovazione, come tale comportante un mutamento della sostanza o l’alterazione della destinazione delle parti comuni, in quanto ne rende impossibile l’utilizzazione secondo la funzione originaria;

che , conseguentemente, in tali diverse ipotesi – quale è quella in esame, ove una porzione del tetto verrà coperta dall’altana e quindi risulterà di uso esclusivo dei fruitori della stessa – deve essere manifestata la volontà dell’assemblea dei condomini, coinvolgendo tutti i partecipanti alla cosa comune e quindi sia i condomini della scala A che quelli della scala B, con la maggioranza calcolata ai sensi dell’art. 1136, comma 5, così come disposto dall’art. 1120 c.c.;

osservato, altresì, attese le considerazioni svolte in ricorso, che l’ipotesi in esame è ben diversa da quella in cui vengono aperti sul tetto degli abbaini o delle finestre per dare aria e luce alla proprietà sottostante, in quanto tali opere, sempreché eseguite a regola d’arte e tali da non pregiudicare la funzione di copertura propria del tetto, né da impedire l’esercizio da parte degli altri condomini dei propri diritti sulla cosa comune, costituiscono soltanto modifiche e non innovazioni della cosa comune, non necessitando di conseguenza della previa approvazione dell’assemblea dell’edifico in condominio ex artt. 1120 e 1136 c.c.

per detti motivi, ritenuta la legittimità del diniego opposto dall’amministrazione, il ricorso deve essere respinto”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 641 del 2014

Il Comune deve pronunciarsi anche in mancanza del parere della Soprintendenza

13 Giu 2014
13 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 698, afferma che il parere espresso dalla Soprintendenza, dopo il decorso del termine di quarantacinque giorni previsto ex lege, non rivesta più alcun carattere vincolante e che il Comune ha comunque l’obbligo di pronunciarsi: “Nel caso di specie lo stesso atto impugnato richiama l’art. 146 c. 8 del d.lgs 42/2004 ma, ad avviso del Collegio, l’art 146 deve essere letto nel suo insieme e, in particolare rileva il combinato disposto dei commi 5, 8 e 9 che, è bene ricordarlo, così dispongono:

“5. Sull'istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge, ai sensi del comma 1, salvo quanto disposto all'articolo 143, commi 4 e 5. Il parere del soprintendente, all'esito dell'approvazione delle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonche' della positiva verifica da parte del Ministero, su richiesta della regione interessata, dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici, assume natura obbligatoria non vincolante ed e' reso nel rispetto delle previsioni e delle prescrizioni del piano paesaggistico, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, decorsi i quali l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione….

…8. Il soprintendente rende il parere di cui al comma 5, limitatamente alla compatibilita' paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformita' dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico ovvero alla specifica disciplina di cui all'articolo 140, comma 2, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti. Il soprintendente, in caso di parere negativo, comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. Entro venti giorni dalla ricezione del parere, l'amministrazione provvede in conformita' .

9. Decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo del comma 8 senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, l'amministrazione competente puo' indire una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente partecipa o fa pervenire il parere scritto. La conferenza si pronuncia entro il termine perentorio di quindici giorni. In ogni caso, decorsi sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente, l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione. Con regolamento da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del Ministro d'intesa con la Conferenza unificata, salvo quanto previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite procedure semplificate per il rilascio dell'autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entita' in base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni.”

Pertanto la normativa delinea un sistema in cui, dopo la inutile scadenza del termine assegnato al soprintendente per l’emissione del parere, questo può ancora essere reso o conferito oralmente nell’ambito di una conferenza di servizi che l’amministrazione competente acquisisce il potere di indire, con le ivi previste regole specifiche ed evidentemente derogatorie rispetto al procedimento disciplinato dalla normativa generale ex artt 14 e segg della l. 241/90; la conferenza dei servizi ex art 146 c. 9 succitato è infatti disciplinata dalla normativa speciale fissata da tale norma e caratterizzata dal termine perentorio di 15 giorni per la conclusione dei suoi lavori, palesemente inconciliabile con qualunque possibilità di applicazione delle norme riguardanti la conferenza di servizi per così dire “ordinaria”, caratterizzata da termini molto più “rilassati”; invece il termine perentorio di cui sopra, unito anche al termine ultimativo generale di 60 giorni ed al più lungo termine iniziale previsto per la emissione del parere del soprintendente dimostrano che nel caso di specie non è applicabile la disciplina generale della conferenza di servizi, il che deve valere, ovviamente, anche per l’ipotesi in cui il parere, che intervenga in tale sede, abbia contenuto negativo. Se tale ipotesi si verifica non potrà quindi ad esso nemmeno riconoscersi alcun valore predominante e/o paralizzante e tale da far scattare il particolare meccanismo delineato dall’art. 14 quater c. 3^; il parere soprintendentizio dovrà invece essere preso in esame dalla conferenza alla pari con gli altri pareri istruttori delle altre amministrazioni chiamate a parteciparvi ed avrà l’effetto di richiedere una specifica valutazione e motivazione in relazione al suo eventuale disattendimento, non diversamente da quanto dovrà accadere per altre manifestazioni di opinione, in ossequio alle generali regole di trasparenza dell’azione amministrativa.

Se quindi deve ritenersi indubbia la perdita della natura vincolante del parere espresso in sede di conferenza di servizi è evidente che sarebbe illogico e contraddittorio riconoscere perdurante natura di parere vincolante al parere tardivamente espresso, se la conferenza di servizi non viene convocata e anche quei termini vengono lasciati inutilmente scadere. Invero, se una siffatta situazione si verifica, si deve riscontrare, anzitutto, che tutti i termini di legge risultano violati, non solo quello per l’emissione del parere del Soprintendente ma anche quello (ultimativo) di sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente dettato dall’art. 9 per l’adozione “in ogni caso “ di una decisione da parte della competente amministrazione (..”, l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione. “). Ci si trova, pertanto, in una situazione contraddistinta da una palese violazione di termini perentori da parte di tutte le amministrazioni interessate e questo pare al Collegio non possa giustificare in alcun modo il “recupero”, da parte del parere soprintendentizio di quella natura vincolante che aveva già pacificamente perso se l’amministrazione competente avesse proceduto nei termini ad indire conferenza di servizi ed esso fosse stato reso in tale sede.

Per tutte le considerazioni sopra esplicitate il Collegio ritiene di dover necessariamente concludere che l’inutile decorso dei 45 giorni di cui al comma 8 comporta la perdita del potere della Soprintendenza di emettere un parere con natura vincolante.

Nel caso di specie non vi è alcuna possibilità di dubbio circa la tardività di tale parere, che è infatti intervenuto in data 17.12.2013 mentre gli atti erano stati ricevuti il 13.8.2013; anche tenendo conto della comunicazione dei motivi ostativi (ricevuta in data 16.9.13) e non computando nei termini i dieci giorni concessi per la presentazione di osservazioni, è ictu oculi evidente che tutti i termini sono stati lasciati ampiamente scadere, sia quello a disposizione del Soprintendente per l’emissione del parere che quello fissato al Comune per indire una conferenza dei servizi e quello finale e conclusivo dei sessanta giorni per provvedere “in ogni caso”. In tale contesto è pertanto evidente che il tardivo parere della Soprintendenza si colloca del tutto al di fuori del quadro normativo e non può più rivestire natura di parere vincolante ( conforme la consolidata giurisprudenza del TAR Puglia Lecce di cui vedasi da ultimo T.A.R. Lecce (Puglia) sez. I n. 252 del 24/01/2014 e anche T.A.R. Trieste (Friuli-Venezia Giulia) N. 343 del 03/09/2012).

Il Collegio ritiene quindi che il parere soprintendentizio impugnato non abbia natura vincolante e che l’amministrazione competente ( nel caso di specie Il Comune di San Michele al Tagliamento) abbia sicuramente l’obbligo di concludere il procedimento valutando tale parere istruttorio e la motivazione su cui lo stesso poggia alla stregua e unitamente agli altri pareri istruttori acquisiti nel corso del procedimento.

Si deve quindi concludere che, non essendo ancora terminato il procedimento e trovandocisi in presenza di un parere meramente endoprocedimentale e privo di valenza vincolante, il ricorso si rivela inammissibile in quanto non rivolto avverso l’atto conclusivo del procedimento ( allo stato ancora non intervenuto) bensì avverso un atto endoprocedimentale che potrà essere, se del caso, impugnato in quanto atto presupposto unitamente all’eventuale atto comunale reiettivo dell’istanza del ricorrente”.

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 698 del 2014

Il diniego ambientale – paesaggistico richiede una motivazione specifica

13 Giu 2014
13 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 695 si occupa della motivazione del provvedimento amministrativo chiarendo che: “la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo, così come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, è diretta a consentire al destinatario di ricostruire l'iter logico-giuridico in base al quale l'amministrazione è pervenuta all'adozione di tale atto nonché le ragioni ad esso sottese; e ciò allo scopo di verificare la correttezza del potere in concreto esercitato, nel rispetto di un obbligo da valutarsi, invero, caso per caso in relazione alla tipologia dell'atto considerato (Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750; sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 938, sez. V, 25 settembre 2000 n. 5069).

Ciò che deve ritenersi necessario perché l'atto non risulti inficiato da censure nella sua parte motiva è che in esso siano sempre esternate le ragioni che giustificano la determinazione assunta, non potendo la motivazione espressa in essa esaurirsi in semplici, generiche locuzioni di stile”.

Premesso ciò, laddove l’Amministrazione ritenga non conforme l’intervento edilizio ai parametri ambientali - paesaggistici, si rivela necessaria una motivazione specifica delle ragioni ostano all’accoglimento della richiesta: “Nel caso in esame il provvedimento che denegato il rilascio del condono per l’intervento abusivo realizzato sull’immobile di proprietà dei ricorrenti risulta motivato, con espresso richiamo al parere espresso dalla Commissione per la Salvaguardia, con riferimento all’eccessivo impatto paesaggistico, per quanto riguarda la chiusura della terrazza per il ricavo della veranda con serramenti in alluminio anodizzato, derivante dall’utilizzo di materiali non tradizionali.

Nessuna ulteriore motivazione circa tale assunto è stata esplicitata nel diniego impugnato, onde chiarire in quali termini e per quali specifici motivi l’utilizzo di tali materiali si ponga in assoluto contrasto con il vincolo paesaggistico, al punto da non consentire la sanatoria dell’intervento.

Tale motivazione non appare, all’evidenza, idonea a sorreggere in modo puntuale il diniego della domanda di sanatoria.

Infatti, in relazione a provvedimenti negativi in materia di nulla osta paesaggistico l'Amministrazione è certamente tenuta a motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all'esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali le opere edilizie considerate non si ritengono adeguate alle caratteristiche ambientali protette, motivazione questa che deve essere ancor più pregnante nel caso in cui si operi nell'ambito di vincolo generalizzato, onde evitare una generica insanabilità delle opere (cfr. Cons. Stato, VI, 8 maggio 2008, n.2111).

Nel caso in esame le ragioni del diniego appaiono, invece, contenute nell’espressione del tutto sintetica “eccessivo impatto paesaggistico…trattandosi di materiali non tradizionali”, che per il solo riferimento generico alla scelta dei materiali utilizzati nella edificazione, non appare di certo sufficiente a sorreggere il diniego di concessione in sanatoria laddove esso deve esplicare le ragioni di fatto poste alla base dell'atto di diniego, anche per rendere edotto il titolare dell'interesse legittimo di carattere pretensivo sulle circostanze rilevanti nel caso di specie.

In definitiva, nel caso in esame il diniego espresso in ordine alla domanda di sanatoria contiene una valutazione apodittica che non appare soddisfare i requisiti minimali della motivazione, non essendo di certo sufficiente la mera affermazione secondo cui il manufatto in questione mal si inserirebbe nel contesto ambientale per i materiali utilizzati, in quanto non tradizionali, senza alcuna ulteriore precisazione, senza nulla specificare nel concreto per dimostrare il contrasto con l'interesse ambientale tutelato.

Affinché quindi l’atto non incorra nel vizio di difetto di motivazione, qui rilevato, è necessario che nella sua parte motiva siano sempre esternate le ragioni che giustificano la determinazione assunta, non potendo la motivazione espressa in essa esaurirsi in semplici, generiche locuzioni di stile”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 695 del 2014

 

Nel procedimento amministrativo nessun rilievo probatorio possono avere le dichiarazioni sostitutive di notorietà, né della parte interessata e né di terzi?

12 Giu 2014
12 Giugno 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 2782 del 2014, nella quale si afferma che  nessun rilievo probatorio possono avere le dichiarazioni sostitutive di notorietà, né della parte interessata e né di terzi , le quali non hanno alcun “valore” certificativo o probatorio nei confronti della pubblica amministrazione e non possono avere alcuna rilevanza, neppure indiziaria, nel processo civile o amministrativo‏.

Si legge nella sentenza: "1) .... la prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie è stato sempre posto sul privato, e non sull'Amministrazione, dato che solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto (cfr. infra multa Consiglio di Stato Sez. VI 20 dicembre 2013 n. 6159; Consiglio di Stato sez. V 20 agosto 2013 n. 4182; Consiglio di Stato sez. V 15 luglio 2013 n. 3834; Consiglio di Stato Sez. VI 01 febbraio 2013 n. 631).

Per questo deve poi sottolinearsi l’assoluta inconferenza delle dichiarazioni difensive del Comune che in primo grado avrebbe dichiarato di non essere in grado di opporre prove contrarie alle autodichiarazioni dell’appellante.

 2) .... nessun rilievo probatorio possono peraltro avere le dichiarazioni sostitutive di notorietà, né della parte interessata e né di terzi , le quali non hanno alcun “valore” certificativo o probatorio nei confronti della pubblica amministrazione e non possono avere alcuna rilevanza, neppure indiziaria, nel processo civile o amministrativo (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 27/05/2010 n.3378; Consiglio di Stato sez. IV, 3 Agosto 2011 n. 4641; da Consiglio di Stato, Sez. IV 21 Ottobre 2013 n. 5109; Consiglio di Stato sez. IV 15 gennaio 2013 n. 211; Consiglio di Stato sez. IV 27/12/2011 n.6861; Cass. Civ., sez. III, 28 aprile 2010 n. 10191)

3) In difetto di tali prove, resta infatti integro il potere dell'amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso ed il suo dovere di irrogare la sanzione prescritta (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 23/01/2013 n.414)".

geom. Daniele Iselle

sentenza CDS 2782 del 2014

Commento

Ritengo che da questa sentenza si possa trarre il seguente insegnamento: l'obbligo di effettuare l'istruttoria grava sul responsabile del procedimento (art. 6 L. 241 del 1990). In relazione a questo, cosa deve fare il responsabile del procedimento, se l'interessato gli produce dichiarazioni sostitutive di atto notorio? A mio giudizio, non può fare finta di niente (come qualcuno potrebbe ipotizzare leggendo la sentenza), nè prendere per verità divine rivelate le dichiarazioni sostitutive, ma deve valutarle.  Dalla valutazione potrà emergere a prima vista la fondatezza di quanto dichiarato oppure la palese infondatezza, ma potrà anche emergere la necessità di convocare i testi per raccogliere da loro informazioni, che verranno verbalizzate e usate nel procedimento. Naturalmente sarà opportuno che chi produce le dichiarazioni sostitutive chieda al responsabile del procedimento di convocare    le persone informate e di sentirle, verbalizzando le loro dichiarazioni. Ritengo che l'omissione di queste attività istruttorie da parte del responsabile del procedimento (al quale siano state prodotte le dichiarazioni e chiesto di sentire i soggetti) comporterebbe l'illegittimità del provvedimento finale per difetto di istruttoria.

Non aderendo a questa soluzione, si incoraggerebbero i responsabili del procedimento a fare gli scansafatiche, il che non va certo bene. Ma la cosa ancora più grave, se si pretendessero solo documenti e non si accettasse di sentire le persone informate, sarebbe quella di impedire agli interessati di provare fatti che magari si possono provare solo con i testimoni.

Dario Meneguzzo - avvocato 

Come non vanno motivati i provvedimenti in materia paesaggistica

12 Giu 2014
12 Giugno 2014

Con la sentenza n. 767 del 2014, il TAR Veneto accoglie un ricorso in materia di diniego di sanatoria per un immobile in zona di vincolo paesaggistico.

Scrive il TAR: "1. Il ricorso deve essere accolto, essendo fondati i primi due motivi di gravame relativi al difetto di motivazione e d’istruttoria del parere negativo della Soprintendenza posto a fondamento dell’ordinanza comunale di ripristino.

2. La Soprintendenza con il parere impugnato ha infatti comunicato che: “gli interventi effettuati sull’immobile in oggetto non sono compatibili con la valenza paesaggistica dell’area vincolata in quanto l’intervento ha comportato la realizzazione di alcune modifiche esterne in un fabbricato in legno accessorio alla conduzione dei fondi circostanti, collocato in un crinale pedemontano di elevata
sensibilità. Tali modifiche hanno introdotto elementi costruttivi eccessivamente impattanti del tutto estranei al carattere accessorio del fabbricato, compromettendone la minima invasività paesistica e rendendo pertanto il modesto volume funzionalmente incongruo e, anche a causa di una collocazione molto ben percepibile, lesivo del paesaggio circostante.”.

3. Sul punto va ricordato che per un costante orientamento giurisprudenziale la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo è diretta a consentire al destinatario di ricostruire l’iter logico-giuridico in base al quale l’amministrazione è pervenuta
all’adozione di tale atto, nonché le ragioni ad esso sottese; e ciò allo scopo di verificare la correttezza del potere in concreto esercitato, nel rispetto di un obbligo da valutarsi, invero, caso per caso in relazione alla tipologia dell’atto considerato (Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750; sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 938, sez. V, 25 settembre 2000 n. 5069).

3.1 Si è, altresì, precisato che la valutazione discrezionale dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve
essere strettamente riferita ai luoghi in cui il manufatto viene ad incidere con un onere dell’Amministrazione di indicare le specifiche ragioni in relazione alle quali le opere edilizie non si ritengono adeguate (si veda TAR Piemonte n. 1024/2013 e TAR Veneto 1394/2013).
3.2 E’, allora, evidente che una motivazione puntuale deve ritenersi necessaria affinchè siano sempre esternate le ragioni che giustificano la determinazione assunta, non potendo la motivazione espressa in essa esaurirsi in semplici, generiche locuzioni di stile.
4. Alla luce di tali premesse, si rileva che nel caso di specie non sussiste alcuno specifico riferimento alle particolari caratteristiche dell’ambiente circostante nè ad alcuna delle singole modifiche esterne del fabbricato ritenute incompatibili con la tutela paesaggistica da preservare.

4.1 E ciò considerato che l’incidenza del manufatto in area vincolata non comporta automaticamente l’insanabilità dello stesso, ma obbliga l’autorità competente ad una valutazione di compatibilità ambientale strettamente correlata alle caratteristiche del manufatto e all’ambiente circostante in cui esso incide.

4.2 Si consideri, ancora, come una motivazione più pregnante era richiesta in considerazione della particolarità della fattispecie esaminata, nella quale, le opere in questione (quelle esterne oggetto di valutazione da parte della Soprintendenza) è bene precisarlo, consistono: nello spostamento e/o realizzazione di nuova forometria; nella verniciatura del manto di copertura preesistente in lamiera ondulata zincata; nella realizzazione di una pavimentazione esterna in piastre di graniglia; nel rivestimento ligneo esterno delle pareti; nella chiusura con tavole orizzontali del parapetto del poggiolo; nella sistemazione di una canna fumaria in acciaio inox; nella realizzazione di un muro di contenimento del terreno con relativi parapetti lignei; nell’installazione di un pozzetto interrato. Tutte opere che non hanno comportato aumenti di volume né hanno interessato le parti strutturali del fabbricato. Ed apparendo – almeno dall’esame delle fotografie depositate dai ricorrenti, dalle quali è possibile operare un confronto tra lo stato dell’immobile antecedente e quello successivo all’intervento di manutenzione – che si tratti, invero, di opere accessorie di modesta consistenza, per lo più manutentive e migliorative dello stato della costruzione, realizzate con materiali tradizionali conformi alle caratteristiche originarie del fabbricato, e sicuramente inidonee ad alterarne linee prospettiche. Dovendosi d’altro canto tener conto del fatto che la costruzione in esame è stata già oggetto di condono nella sua attuale struttura nel febbraio del 2008. Per cui, alla luce di tali premesse, non è dato comprendere per quali ragioni secondo la Soprintendenza tali modifiche, peraltro tutte senza alcuna eccezione, avrebbero invece introdotto “elementi costruttivi eccessivamente impattanti” e sarebbero tali da compromettere la “minima invasività paesistica” del fabbricato “rendendo il modesto volume funzionalmente incongruo”. E’ pertanto evidente che una valutazione d’ incompatibilità così come sopra ricordata si traduce in un giudizio apodittico e generico, di per sé, difficilmente comprensibile, oltre a rivelare una base d’istruttoria non sufficientemente accurata. 5. Infine, l’affermazione della difesa del Ministero per cui l’immobile in questione sarebbe stato oggetto, nel 2008, di una sanatoria solo edilizia ma non paesaggistica, anche a voler ammettere un’integrazione postuma della motivazione dell’atto impugnato, è smentita dalle produzioni documentali dei ricorrenti, ed in particolare dal provvedimento di condono del 22 febbraio 2008, dal quale risulta come tale titolo sia stato rilasciato previa attivazione del subprocedimento teso all’ottenimento del parere paesaggistico, conclusosi con il mancato annullamento nei termini, da parte della Soprintendenza, dell’autorizzazione del dirigente comunale.

6. Il parere della Soprintendenza deve dunque essere annullato".

sentenza TAR Veneto 767 del 2014

A sua volta la sentenza n. 768 del 2014 annulla un diniego di autorizzazione: "5.2. Ed infatti, il parere del Soprintendente del 12 luglio 1991 è così motivato: “esaminato il progetto questa Soprintendenza ritiene inammissibile la trasformazione del tetto unificando gli abbaini e creando una terrazza. Per tali lavori non si può rilasciare l’autorizzazione ai sensi dell’art. 33 legge 47/85 necessaria per il condono edilizio”. Analogamente il Comune di Venezia, con il provvedimento del 30 luglio 1996, ha negato la sanatoria richiesta poiché: “la trasformazione del coperto è da ritenersi inammissibile”.

5.3. E’evidente che tali atti sono viziati per difetto assoluto della motivazione, contenendo una motivazione solo apparente. L’intervenuta trasformazione del tetto dell’edificio viene infatti dichiarata “inammissibile” senza che vengano esplicitate le ragioni di fatto e di diritto di tale decisione e senza qualsiasi riferimento puntuale e concreto alle opere oggetto della richiesta di sanatoria.

5.4. Peraltro, l’art. 33 della L. 47/1985 non esclude in termini assoluti dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela della L. 1° giugno 1939, n. 1089, ma la subordina ad una valutazione di compatibilità del singolo intervento con la tutela medesima; valutazione che nel caso di specie è stata totalmente omessa.

5.5. In conclusione, il ricorso n. 3593/96 deve essere accolto con l’annullamento degli atti impugnati".

sentenza TAR Veneto 768 del 2014

Dario Meneguzzo - avvocato

Giudizio di ottemperanza e gare pubbliche

12 Giu 2014
12 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto , sez. I, nella sentenza del 03 giugno 2014 n. 747 si occupa della natura del giudizio di ottemperanza: “6.1. Occorre preliminarmente ricordare che nel giudizio di ottemperanza il giudice è chiamato non solo alla puntuale verifica dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione (verifica che, come’è noto, deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione), ma deve anche apprezzare le eventuali sopravvenienze di fatto e/o di diritto per stabilire in concreto se il ripristino della situazione soggettiva, sacrificata illegittimamente, come definitivamente accertato in sede di cognizione, sia compatibile con lo stato di fatto e/o diritto prodottosi medio tempore (così C.d.S., sez. V, 2 maggio 2013, cfr. in senso conforme anche C.d.S. 4 ottobre 2007, n. 5137; sez. VI, 5, luglio 2011, n. 4037; 27 dicembre 2011, n. 6849).

6.2. Una simile ricostruzione dei poteri del giudice dell’ottemperanza rappresenta il naturale e coerente contemperamento della pluralità degli interessi e dei principi costituzionali che vengono in gioco, quali quello secondo cui la durata del processo non deve andare a danno della parte vittoriosa (che ha diritto, però, all’esecuzione del giudicato in base allo stato di fatto e di diritto vigente al momento dell’atto lesivo, caducato in sede giurisdizionale) e quello della stessa dinamicità dell’azione amministrazione e dell’esercizio della relativa funzione da parte della pubblica amministrazione che ne è titolare (così C.d.S., sez. V, 2 maggio 2013, n. 2400).

6.3. Alla luce di tali premesse, contrasta senz’altro con il giudicato non solo l’inerzia della pubblica amministrazione cioè il non facere (inottemperanza in senso stretto), ma anche un facere, cioè un comportamento attivo, attraverso cui si realizzi un’ottemperanza parziale o inesatta ovvero ancora la violazione o l’elusione attiva del giudicato (C.d.S., sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6501).

6.4. Tuttavia, nel caso di comportamento attivo, il nuovo atto emanato dall’amministrazione, dopo l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento illegittimo, può essere considerato adottato in violazione o elusione del giudicato solo quando da quest’ultimo derivi un obbligo assolutamente puntuale e vincolato, così che il suo contenuto sia integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza (C.d.S., sez. VI, 3 maggio 2011, n. 2602; sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 70; 4 ottobre 2007, n. 5188).

6.5. La violazione del giudicato è pertanto configurabile quando il nuovo atto riproduca gli stessi vizi già censurati in sede giurisdizionale ovvero quando si ponga in contrasto con precise e puntuali prescrizioni provenienti dalla statuizione del giudice, mentre si ha elusione del giudicato allorquando l’amministrazione, pur provvedendo formalmente a dare esecuzione alle statuizioni della sentenza, persegue l’obiettivo di aggirarle dal punto di vista sostanziale, giungendo surrettiziamente allo stesso esito già ritenuto illegittimo (C.d.S., sez. IV, 1° aprile 2011, n. 2070, 4 marzo 2011, n. 1415; 31 dicembre 2009, n. 9296)”.

Applicando questi principi alla caso in cui l’Amministrazione sia tenuta a rifare la gara pubblica, il Collegio giunge ad affermare che: “6.7. In tale ipotesi, non può dubitarsi che l’Amministrazione rimanga pur sempre titolare del potere, riconosciuto dall’art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, di revoca, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, di un proprio precedente provvedimento amministrativo (C.d.S., sez. V, 18 gennaio 2011, n. 283).

6.7.1. Tuttavia il giudice è tenuto ad un’analisi particolarmente approfondita delle ragioni poste a fondamento della nuova valutazione dell’interesse pubblico al fine di stabilire se la mancata riedizione del potere in conseguenza della revoca della gara originariamente indetta sia dettata da sopravvenute esigenze di pubblico interesse o non sia invece un mero espediente per eludere il contenuto del giudicato”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 747 del 2014

Cosa succede secondo il TAR Veneto se non è inviato l’ordine di demolizione anche al responsabile dell’abuso diverso dal proprietario incolpevole

11 Giu 2014
11 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nelle sentenza del 22 maggio 2014 n. 703 si occupa dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 e dei destinatari dell’ordinanza di demolizione.

Preliminarmente si ricorda il contenuto dell’art. 31secondo cui: “1. Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.

2. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3.

3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

4. L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente.

5. L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.

6. Per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in base a leggi statali o regionali, a vincolo di inedificabilità, l'acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull'osservanza del vincolo. Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell'abuso. Nella ipotesi di concorso dei vincoli, l'acquisizione si verifica a favore del patrimonio del comune.

7. Il segretario comunale redige e pubblica mensilmente, mediante affissione nell'albo comunale, i dati relativi agli immobili e alle opere realizzati abusivamente, oggetto dei rapporti degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria e delle relative ordinanze di sospensione e trasmette i dati anzidetti all'autorità giudiziaria competente, al presidente della giunta regionale e, tramite l’ufficio territoriale del governo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

8. In caso d'inerzia, protrattasi per quindici giorni dalla data di constatazione della inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 27, ovvero protrattasi oltre il termine stabilito dal comma 3 del medesimo articolo 27, il competente organo regionale, nei successivi trenta giorni, adotta i provvedimenti eventualmente necessari dandone contestuale comunicazione alla competente autorità giudiziaria ai fini dell'esercizio dell'azione penale.

9. Per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita.

9-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 22, comma 3”.

Dalla lettura della norma sembrerebbe pacifico che l’ordinanza di demolizione debba essere notificata tanto al proprietario dell’abuso quanto al suo esecutore materiale.

Nella sentenza che si commenta, però, i Giudici affermano la piena legittimità dell’ordinanza di demolizione notificata solo al c.d. proprietario incolpevole poiché, dagli elementi dallo stesso prodotti in un precedente giudizio, l’ente non ha acquisito la certezza che l’abuso sia stato realizzato da altri.

In questo caso - continua la sentenza - se da un lato l’ordinanza è comunque pienamente legittima, dall’altro lato ciò impedisce l’eventuale acquisizione gratuita al patrimonio comunale.

Sul punto, invero, si legge che: “In particolare con il secondo motivo si sostiene che l'ordinanza sarebbe illegittima perché indirizzata esclusivamente nei confronti dei proprietari delle opere abusive pur a fronte di "ogni elemento utile" offerto da Vivere Molina nel precedente giudizio ai fini dell'individuazione del responsabile dell'abuso.

Invero il Comune stesso da atto che Vivere Molina nel precedente giudizio aveva affermato di non aver realizzato l'abuso perché la porzione di fabbricato in contestazione si sarebbe trovato nell'attuale situazione di fatto da quando era di proprietà del Comune. Non risulta peraltro che sia stato fornito alcun supporto probatorio a sostegno dell’asserzione che dall’anno della cessione (2000) la porzione di immobile de quo non ha subito alcun incremento di volume ed è stato sottoposto unicamente ad un intervento di manutenzione straordinaria.

E’ comunque indubbio che l'omessa identificazione del soggetto responsabile non inficia la legittimità del provvedimento ablatorio, ma, fermo restando gli strumenti civilistici eventualmente esperibili a tutela dei diritti delle parti negoziali implicate, impedisce solo ed esclusivamente la successiva acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime nel caso di inottemperanza all'ordine di riduzione in pristino, sempre che risulti indubbia l'estraneità del proprietario all'abuso.

Nel caso di specie, in ogni caso, nemmeno può ritenersi allo stato effettivamente dimostrata l'estraneità delle ricorrenti alla realizzazione dell'abuso edilizio. Infatti l’asserzione contenuta in particolare a pag. 11 del ricorso ( nell’ambito del terzo motivo di gravame), in ordine al fatto che "il manufatto è stato realizzato in un'epoca imprecisata quando era in proprietà del Comune e comunque certamente anteriore al 2002", risulta priva di un qualsiasi elemento probatorio; inoltre, anche a prescindere dal fatto che non sarebbe in ogni caso idonea ad escludere "in modo inequivocabile" la responsabilità del soggetto (Pro-loco) che nello stesso periodo aveva in uso il fabbricato adibito a bar, risulta anche contraddetta dall’istruttoria espletata dal Comune, da dove emerge che la planimetria del fabbricato sia al momento dell’acquisto effettuato nel 1980 ( con cessione in uso alla Pro-Loco Molina per essere adibito a bar ristoro) che al momento della vendita effettuata nel 2000 al medesimo soggetto non registrava l’aumento di volume in questione (come risulta dalla documentazione versata in atti dal Comune sub doc, 1 pag. 2 e doc 9: d.c.c. 38/2000 e planimetria allegata all’atto di vendita)”.

Ma davvero l’ordinanza di demolizione può essere notificata solo al c.d. proprietario incolpevole? E davvero la mancata individuazione del responsabile dell’abuso impedisce l’acquisizione gratuita?

A mio avviso, se in astratto il ragionamento del T.A.R. può essere condiviso per quanto concerne il primo punto (perlomeno nei casi in cui sia davvero impossibile od estremamente difficile individuare l’esecutore materiale dell’abuso ), più problematica sembrerebbe la seconda questione: la natura di illecito permanente dell’abuso edilizio e la cospicua giurisprudenza che riconosce la responsabilità del c.d. proprietario incolpevole potrebbero superare un’interpretazione estremamente letterale della norma?

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 703 del 2014

MISE: pubblicato sulla GU n.129 del 6-6-2014 il Decreto 22 maggio 2014: «Linee Guida su criteri e modalita’ applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale»

11 Giu 2014
11 Giugno 2014

Il  Decreto MISE 22 maggio 2014 approva un allegato.

L'allegato 1 citato nell'art. 1,  comma  1, che fa parte integrante del D.M.  22.5.2014  -  «Documento: Linee Guida su  criteri  e  modalita'  applicative  per  la           valutazione  del  valore  di  rimborso  degli  impianti  di distribuzione del gas naturale» - non pubblicato  in  G.U., e'  pubblicato  nel  sito  internet  del  Ministero   dello           sviluppo economico:

http://www.sviluppoeconomico.gov.it/Normativa/Decreti/Ministeriali

Anche per l’AVCP gli oneri specifici non sono richiesti a pena di esclusione negli appalti di servizi ricompresi nell’allegato II B

11 Giu 2014
11 Giugno 2014

L’AVCP nel parere di precontenzioso del 10 aprile 2014 n. 67 riconferma quanto commentato nel post del 04.12.2013, ovvero che negli appalti di servizi ricompresi nell’allegato II B del Codice Appalti non vi è l’obbligo di indicare gli oneri specifici a pena di esclusione, salvo che sia stata la stessa stazione appaltante a vincolarsi al loro rispetto: “Trattandosi di appalto di servizi  rientrante nella categoria generale n. 22 “Servizi di collocamento e reperimento personale” di cui all’allegato II B del D.Lgs. 163/2006, si ritiene che trovino  applicazione, ai sensi degli artt. 20 e 27 del Codice dei Contratti Pubblici,  unicamente le disposizioni ed i principi in questi richiamati (a tale riguardo vedasi precedente parere di precontenzioso n. 33 del 13.03.2013).

Secondo infatti quanto previsto dall’art. 20 del Codice dei Contratti Pubblici, nelle procedure di affidamento relative agli appalti elencati nell’allegato IIB dello stesso Codice, le previsioni degli artt.86 e 87 non trovano applicazione.

D’altro canto,  anche la giurisprudenza (vedasi Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 4510 del 2012; TAR Piemonte, Sez. I, sent. 1376 del 2012) depone circa “… la non necessaria applicabilità degli artt. 86 e 87 agli appalti di servizi di cui all’allegato IIB e ciò argomentando dal fatto che essi non sono richiamati dall’art. 20, comma 1 del D.Lgs. n. 163/2006, non sono espressive di principi generali e neppure possono trasformarsi in norme di principio solo perché poste a presidio di interessi aventi una rilevanza costituzionale”. E ancora “ Va inoltre considerato che la non applicazione dell’art. 86, comma 3 bis e 3 ter e dell’art. 87 comma 4 agli appalti di servizi di cui all’allegato IIB non implica affatto che in tali casi alle stazioni appaltanti e alle imprese sia consentito di non adempiere all’obbligo di remunerare le maestranze secondo contratti vigenti o di sottrarsi agli obblighi inerenti la sicurezza sui luoghi di lavoro; correlativamente le stazioni appaltanti possono comunque vincolarsi al rispetto di qualunque norma del C.C.P., e dunque anche all’osservanza degli artt. 86 e 87, sia in punto indicazione degli oneri della sicurezza non soggetti a ribasso sia in punto verifica della offerta anomala, prevenendo in tal modo la commissione di illeciti connessi alla violazione di norme poste a tutela dei lavoratori. Pertanto, “ la mancata specificazione degli oneri della sicurezza nelle offerte relative ad appalti di cui all’allegato IIB non può comportare l’automatica esclusione dalla gara, che potrà essere comminata solo ove la stazione appaltante si sia auto vincolata, nel bando, al rispetto degli artt. 86, comma 3 bis e 3 ter e 87 comma 4. In mancanza di tale vincolo il partecipante che non abbia indicato gli oneri della sicurezza nella offerta dovrà essere chiamato a specificarli successivamente nell’ambito della eventuale verifica della anomalia dell’offerta”.

Orbene, nella fattispecie in esame, la lex specialis predisposta dalla S.A. ha esplicitato chiaramente all’art. 2.2 che l’appalto in questione rientra nei servizi di cui all’allegato IIB del D.Lgs. n. 163/2006 e non ha previsto alcuna prescrizione per i partecipanti, a pena di esclusione, di quantificazione degli oneri di sicurezza, da inserire nell’offerta economica. Si ricordi, a tal proposito, che con Deliberazione di questa AVCP n. 10 Adunanza del 25 Febbraio 2010, è stato  affermato, proprio con riferimento ai costi relativi alla sicurezza, che “ Sulla questione si deve richiamare sia  l’art. 26 comma 6 del D.Lgs. 81/2008 sia l’art. 86 comma 3-bis del codice, i  quali stabiliscono che nella predisposizione delle gare di appalto e nella  valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di  appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori  sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente  rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale  deve essere specificamente indicato. Come anche richiamato dalla Determina n.3/2008 dell’Autorità, ciò significa che nella predisposizione delle gare, cioè dei bandi e della documentazione, il costo per la sicurezza deve essere specificamente indicato, separato dalla base d’asta, anche se pari a zero”.

Conseguentemente, se ne deve  dedurre che in assenza di vincolo espressamente previsto nel bando di gara afferente appalti di servizi di cui all’allegato IIB D.Lgs. n. 163/2006, la S.A. non potrà escludere automaticamente l’impresa che nella propria offerta non abbia quantificato i relativi costi di sicurezza aziendale, rinviando alla successiva fase dell’eventuale verifica dell’anomalia dell’offerta la richiesta dei giustificativi in merito agli elementi costitutivi dell’offerta economica presentata”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Parere AVCP n. 67 del 2014

Circolare mensile per l’impresa n. 6/2014

11 Giu 2014
11 Giugno 2014

Per gentile concessione della Società & Professionisti srl di Malo pubblichiamo la circolare mensile per l'impresa n. 6/2014.

Segnaliamo in particolare i seguenti argomenti:

1)  Nuove funzionalità della piattaforma per la certificazione dei crediti verso la P.A.;

2) Impianti fotovoltaici assimilati alle apparecchiature elettriche ed elettroniche ai fini dello smaltimento;

3) decorrenza dal 30.06.2014 per l'obbligo POS;

4) chiarimenti in materia di IRPEF;

5)  TASI: versamento dell'acconto rinviato per gli immobili privi di delibera al 31.5.2014;

6) l’indirizzo di posta elettronica certificata deve essere esclusivo.

Circolare n. 6 del 10-06-2014

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