Author Archive for: SanVittore

Un immobile condonato non è, per ciò solo, anche agibile

10 Mar 2014
10 Marzo 2014

Lo ribadisce la sentenza del Tar Veneto n. 284 del 5/3/2014, avente ad oggetto, tra le altre cose, piĂą provvedimenti di diniego di agibilitĂ  relativi ad immobili condonati a residenza ai sensi della legge n. 326/2003 (il terzo condono).

I dinieghi del Comune si fondavano essenzialmente sulla mancanza delle condizioni di salubritĂ  ed igiene necessarie ai fini della agibilitĂ , commisurate anche a quanto disposto dal DM del Ministero della SanitĂ  del 1975 di attuazione del R.D. n. 1265 del 1934.

La questione sorge essenzialmente alla luce della previsione dell’art. 35 comma 20 della L. 47/1985 (sul primo condono), secondo cui: “A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, …”.

La sentenza è di interesse perchè conferma in modo inequivocabile la lettura costituzionalmente orientata secondo cui il D.M. del 1975 pur rivestendo la veste formale di fonte secondaria, deve qualificarsi come “integrativa” di fonte di rango primario in virtù del rinvio disposto dall'art. 218 del R.D. del 1934, e di conseguenza inderogabile anche in relazione ad immobili oggetto di condono.

 “2.3 Nel caso di specie l’Amministrazione aveva rilevato che le caratteristiche dei locali poste al piano interrato non consentono la permanenza ai fini abitativi di persone in quanto non possiedono le caratteristiche minime previste dal TULS e dal DM 05/07/1975.

[…].

2.4 E’ da rigettare anche il secondo motivo, laddove si sostiene che il DM del 05/07/1975 non possa essere considerato una disposizione di rango primario, in quanto le prescrizioni relative all’illuminazione e all’aerazione dei locali sarebbero di competenza di appositi regolamenti comunali.

2,5 Sul punto si ritiene che parte ricorrente non abbia dimostrato l’esistenza dei presupposti per discostarsi da quel tradizionale e consolidato orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda Consiglio di Stato n. 3034/2013) nella parte in cui si è stabilito che “ai sensi dell'art. 35 comma 20, l. 28 febbraio 1985, n. 47 il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato conseguente al condono edilizio può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale”.

2.6 Ne consegue che in caso di istanza di condono edilizio, il rilascio del certificato di agibilità può avvenire in deroga soltanto alle norme di tipo secondario e/o regolamentare, ma non anche in deroga alle disposizioni normative di fonte primaria e o di legge.

2.7 L’esistenza di detto principio è stato confermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 256/1996 nella parte in cui si è evidenziato che il Comune nel rilasciare il certificato di agibilità deve verificare, non solo che siano rispettate le disposizioni di cui al Testo Unico delle leggi sanitarie, ma ancora deve accertare la sussistenza dei presupposti previsti da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali.

2.8 Questo Collegio ritiene, pertanto, di confermare l’orientamento sopra citato nella parte in cui sancisce che le disposizioni di cui al D.M.5 luglio 1975 integrino una normativa di rango primario, in virtù del rinvio disposto dall'art. 218 del r.d. 27 luglio 1934 n. 1265”.

Sulla questione si veda anche la sentenza dello stesso TAR n.  201/2014, pubblicata su questo sito in data 3 marzo 2014.

 Avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 284 del 2014

Nella licenza di agibilità affinché scatti il silenzio assenso è necessario che sussistano effettivamente tutti i presupposti previsti dalla legge

10 Mar 2014
10 Marzo 2014

Questo principio viene opportunamente  puntualizzato nella sentenza del Tar Veneto n. 284 del 5/3/2014.

Va aggiunto che a maggior ragione ciò vale alla luce dell’introduzione, ad opera dell’art. 30, comma 1, lett. h) Decreto del Fare (D.L. 69/2013, convertito nella L. 98/2013), di un procedimento di “autocertificazione” dell’agibilità, che ora si trova disciplinato nell’art. 5 bis dell’art. 25 del D.P.R. 380/2011.

 “1.1 E’, in particolare, infondato il primo motivo del ricorso, mediante il quale si sostiene l’avvenuta formazione del silenzio assenso, ai sensi di quanto previsto dall’art. 25 del Dpr 380/2001, con riferimento all’istanza di rilascio di certificato di agibilità.

1.2 Sul punto risulta dirimente constatare come l’Amministrazione comunale avesse inoltrato alla ricorrente una richiesta di documentazione integrativa che, come è possibile evincere dal contenuto del preavviso di rigetto del 18/11/2011, non era stata compiutamente ottemperata.

1.3 Nemmeno è possibile convenire con l’argomentazione in base alla quale si sostiene che si trattava di documentazione facilmente reperibile dall’Amministrazione o, ancora, del tutto irrilevante per l’accoglimento dell’istanza di agibilità di cui si tratta.

1.4 L’Amministrazione aveva, infatti, richiesto un chiarimento circa l’incongruenza tra la dichiarazione di regolare allacciamento fognario e la dichiarazione di ultimazione delle opere oggetto di condono e, nel contempo, la documentazione relativa al rispetto della prevenzione incendi, quest’ultima - è lecito desumere - particolarmente rilevante nell’ipotesi di locali interrati come sono quelli in esame.

2. Ciò premesso è possibile ritenere che il termine per la formazione del silenzio assenso sia stato interrotto dalla richiesta di integrazione sopra citata, ritenendo sul punto applicabile quanto previsto dall’art.

25 del Dpr 380/2001.

2.1 E’, inoltre, necessario rilevare che per un costante orientamento giurisprudenziale la fattispecie del silenzio assenso, in materia di agibilità, trova il suo fondamento nell’effettiva sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge per il rilascio della licenza”.

 Avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 284 del 2014

Il conflitto di interessi nella votazione dei piani va autodichiarato o ricercato dalla P.A.?

10 Mar 2014
10 Marzo 2014

Nella medesima sentenza n. 283/2014 il T.A.R. Veneto chiarisce che, in presenza di possibili conflitti di interesse, l’Amministrazione deve solo prendere atto delle dichiarazioni effettuate dai singoli consiglieri, non competendo alla stessa alcun ulteriore onere istruttorio: “4.1 L’esame dell’art. 78 sopra citato contraddice le tesi di parte ricorrente.

Detta disposizione, infatti, non può non essere interpretata nel senso di prevedere che sia lo stesso consigliere a dichiarare l’esistenza del conflitto di interessi potenziale, con l’obbligo di quest’ultimo dal partecipare alle deliberazioni.

4.2 Una volta adempiuto a detto obbligo nessun ulteriore onere è possibile evincere dal testo della disposizione sopra citata nei confronti dell’Amministrazione che, evidentemente, non può essere chiamata a verificare l’esistenza di situazioni di incompatibilità non espressamente dichiarate”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Come funziona l’astensione dei consiglieri comunali nella votazione dei piani urbanistici

10 Mar 2014
10 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza n. 283 del 05 marzo 2014, si occupa di numerose questioni legate al Piano degli Interventi del Comune di Vicenza, le quali verranno analizzate nei seguenti post.

Per quanto concerne le possibili ipotesi di conflitto di interesse dei consiglieri comunali, il Collegio ritiene che sia l’art. 78 del D. Lgs. n. 267/200 sia l’art. 41 dello Statuto comunale di Vicenza impongono ai consiglieri di astenersi nelle singole c.d. votazioni “parziali” o “frazionate”, ma non nella votazione finale: “2.1 Le argomentazioni di parte ricorrente sono smentite da numerose pronunce giurisprudenziali (per tutti si veda Cons. Stato Sez. IV, Sent., 16-06-2011, n. 3663) nella parte in cui hanno sancito l’ammissibilità di votazioni separate in caso di situazioni di incompatibilità dei Consiglieri chiamati a votare lo strumento urbanistico.

2.2 Detta giurisprudenza ha sancito, in sostanza, come sia sufficiente l’astensione dei consiglieri nella votazione frazionata e, ancora, la legittimità di un’ approvazione dello strumento urbanistico per parti separate, con l'astensione per ciascuna di esse di coloro che in concreto si trovino in una situazione di incompatibilità, purché a ciò segua una votazione finale dello strumento nella sua interezza.

In detta ultima votazione deve ritenersi che non si applichino le cause di astensione, dal momento che sui punti specifici oggetto del conflitto di interesse, si è già votato senza la partecipazione dell'amministratore in conflitto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2004, nr. 4429 e Consiglio di Stato sez. IV del 16/06/2011 n. 3663).

2.3 Sempre con riferimento al primo motivo va rilevato come non si ritiene che sussista la violazione dell’art. 41 comma 5 dello Statuto del Comune di Vicenza.

2.4 L’esame di detta norma, unitamente al disposto di cui all’art. 78 sopra citato, consente di ritenere come lo Statuto del Comune di Vicenza, nell’ipotesi in cui disciplina il regime delle astensioni nelle votazioni, non possa che riferirsi ad un ambito di applicazione analogo a quello del Testo Unico degli Enti Locali sopra citato e, quindi, diretto ad escludere l’obbligo di astensione di cui si tratta nelle ipotesi di approvazione di provvedimenti normativi o di carattere generale”.

 dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 283 del 2014

Consiglio di Stato: differenza tra atto di rettifica e variante ad uno strumento urbanistico approvato

07 Mar 2014
7 Marzo 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 1036 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "...ai fini dell’inquadramento di un atto amministrativo non assume rilievo dirimente l’autoqualificazione datane dall’amministrazione emanante, dovendosi invece aver riguardo al suo contenuto sostanziale ed alla funzione da esso perseguita, si osserva che l’istituto della rettifica consiste nella eliminazione di errori ostativi o di errori materiali in cui l’amministrazione sia incappata, di natura non invalidante ma che diano luogo a mere irregolarità. Affinché ricorra un’ipotesi di errore materiale in senso tecnico-giuridico, occorre che esso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità, senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo, valendo il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto. Né alla rettifica si può far luogo oltre un congruo limite temporale, onde non pregiudicare la certezza dei rapporti, specie in caso di incidenza pregiudizievole sulla situazione giuridica del destinatario dell’atto.

Con particolare riguardo alla materia urbanistica, una rettifica delle previsioni del piano urbanistico comunale adottato/approvato è ammissibile solo in presenza di un errore materiale nel senso sopra chiarito, il quale abbia inciso nella fase di redazione e/o assemblaggio dei diversi atti che formano lo strumento urbanistico, senza che lo stesso abbia influito sulla scelta urbanistica sottostante, dovendo la divergenza esistente tra previsioni solo apparentemente diverse dello strumento pianificatorio essere risolvibile per mezzo dell’individuazione, sulla base di un vincolato procedimento logico, di una soluzione univoca che s’imponga in modo manifesto ed immediato dalla lettura della documentazione del piano, senza dover ricorrere ad alcuna attività di interpretazione della volontà dell’amministrazione deliberante.

Si aggiunga che, per consolidato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato, il provvedimento di rettifica è espressione di una funzione amministrativa di contenuto identico, seppure di segno opposto, a quella esplicata in precedenza. Tale funzione deve, dunque, articolarsi secondo gli stessi moduli già adottati, senza i quali rischia di risultare monca o, comunque, difettosa rispetto all’identica causa del potere, sicché l’amministrazione è tenuta a porre in essere un procedimento omologo, anche per quel che concerne le formalità pubblicitarie, di quello a suo tempo seguito per l’adozione dell’atto modificato, richiedendosi una speculare, quanto pedissequa, identità dello svolgimento procedimentale (v. in tal senso, per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2306)...".

geom. Daniele Iselle

sentenza CDS 1036 del 2014

La bonifica impone di considerare l’apporto partecipativo dei privati

07 Mar 2014
7 Marzo 2014

Nella stessa sentenza n. 276/2014 il T.A.R. Veneto afferma che nelle procedure di bonifica di un’area inquinata è indispensabile l’apporto collaborativo e partecipativo dei privati: “Infatti nei procedimenti in materia di bonifica, anche dei siti di interesse nazionale, è necessario che i destinatari delle prescrizioni stabilite dall’Amministrazione siano messi nelle condizioni di partecipare al relativo procedimento, articolato in una o più conferenze di servizi istruttorie e decisorie, quantomeno con riferimento alle fasi procedimentali che hanno ad oggetto l’accertamento dei presupposti per l’emanazione di ordini e prescrizioni che riguardano lo specifico sito, mediante un completo contraddittorio procedimentale (cfr. Tar Toscana, Sez. II, 6 luglio 2010, n. 2316; id. 6 maggio 2009, n. 762; Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913; Tar Friuli Venezia Giulia, 27 luglio 2001, n. 488).

Nel caso di specie non è mai stato acquisito l’apporto procedimentale del ricorrente che è venuto a conoscenza dell’esistenza di un procedimento amministrativo avviato nei confronti della propria area solo a seguito della comunicazione del 7 gennaio 2008, con la quale gli sono state richiamate implicitamente una serie articolata di numerose prescrizioni definite in precedenti conferenze di servizi.

A fronte di tale censura l’Amministrazione non ha dedotto in giudizio alcun elemento dal quale si possa desumere l’inutilità dell’eventuale apporto procedimentale dell’interessato e le prescrizioni impartite non hanno carattere vincolato.

Ne consegue che la mancata acquisizione dell’apporto procedimentale del ricorrente, non potendo trovare applicazione la c.d. sanatoria procedimentale di cui all’art. 21 octies, comma 2, ultimo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, comporta l’annullamento degli atti impugnati”. 

dott. Matteo Acquasaliente

L’obbligo di bonifica prescinde dai siti di interesse nazionale

07 Mar 2014
7 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 04.03.2014 n. 276, dichiara che l’obbligo di bonifica di un’area inquinata prescinde dall’inserimento o meno dell’area contaminata nel perimetro dei siti di interesse nazionale. Correttamente il Collegio ritiene incompatibile la salvaguardia ambientale, che è un diritto ed un interesse diffuso e generalizzato, con quelle delimitazioni che, seppur valevoli in astratto, non possono trovare in concreto applicazione poiché ciò comprometterebbe la stessa tutela ambientale.

A riguardo si legge che: “la parte ricorrente ha eccepito la cessazione della materia de contendere in quanto nelle more della definizione del ricorso la propria area è stata esclusa dal perimetro del sito di bonifica di interesse nazionale, in quanto è sopravvenuto l’art. 36 bis, comma 3, della legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale ha stabilito la possibile revisione del perimetro dei siti di interesse nazionale su iniziativa delle Regioni, e la Regione Veneto con deliberazione n. 58 del 21 gennaio 2013 ha proposto la predetta revisione che è stata infine disposta con Decreto ministeriale n. 68267 del 24 aprile 2013.

Alla dichiarazione di cessata materia del contendere, nel corso della trattazione orale, si è opposto il Ministero.

L’eccezione di cessata materia del contendere non può essere accolta, in quanto questa presuppone una piena soddisfazione della pretesa avanza dal ricorrente che non è ravvisabile nella fattispecie all’esame.

Infatti non è vero che la sopravvenuta esclusione dell’area della parte ricorrente dal perimetro del sito di interesse nazionale abbia fatto venir meno i presupposti normativi per l’effettuazione della bonifica, dato che la necessità o meno della bonifica prescinde dall’inclusione nel perimetro di interesse nazionale.

Infatti così come l’inclusione di un’area nel perimetro dei siti di interesse nazionale non comporta una presunzione assoluta di inquinamento tale da comportare l’obbligo di eseguire la bonifica dei terreni (come si evince dallo stesso DM 23 febbraio 2000, con il quale è stata effettuata la perimetrazione, e che ha precisato che all'interno dell'area perimetrata deve essere eseguita l'attività di caratterizzazione al fine di accertare le effettive condizioni di inquinamento), allo stesso modo la sua esclusione dal perimetro del sito di interesse nazionale non comporta di per sé all’esclusione degli obblighi di bonifica.

Infatti l’obbligo della bonifica è determinato solamente dal superamento o meno di determinate soglie di sostanze contaminanti, e l’unico effetto ricollegabile dall’inclusione nella perimetrazione del sito di interesse nazionale, è il radicamento della competenza in materia, in deroga alle regole ordinarie, in capo al Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 17, comma 14, del Dlgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

Ne consegue che, contrariamente a quanto dedotto dalla parte ricorrente, le circostanze sopravvenute non hanno inciso sui termini della controversia che non aveva ad oggetto l’inclusione o meno dell’area della parte ricorrente nel sito di interesse nazionale, e l’eccezione di cessazione della materia del contendere deve pertanto essere respinta”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 276 del 2014

Circolare mensile per l’impresa n. 3 / 2014

07 Mar 2014
7 Marzo 2014

Per gentile concessione della SocietĂ  & Professionisti srl di Malo (VI) pubblichiamo la circolare mensile per l'impresa n. 3 / 2014, contenente l'aggiornamento in materia tributaria.

Circolare n. 3 del 06-03-2014

Il TAR decide alcune questioni relative al piano casa (ristrutturazione e distanze nel caso di demolizione e ricostruzione)

06 Mar 2014
6 Marzo 2014

Segnaliamo che la sentenza del TAR Veneto n. 262 del 2014 decide alcune questioni relative al piano casa.

In primo luogo, il TAR si occupa della nozione di ristrutturazione di cui alla lettera b) dell'articolo del piano casa del Veneto, scrivendo: "Premesso che parte istante denuncia con due ordini di motivi l’illegittimità del permesso di costruire rilasciato al controinteressato, permesso con il quale è stata autorizzata la demolizione e successiva ricostruzione di un edificio preesistente, con soprelevazione dello stesso ai sensi della L.r. 14/09 e successive modificazioni; dato atto che il titolo edilizio parimenti conseguito dal ricorrente, pur non presupponendo la demolizione e ricostruzione dell’esistente, ha  beneficiato a sua volta della possibilità di ampliamento dell’esistente, mediante sopraelevazione, in applicazione della richiamata normativa regionale; dato atto altresì che i due edifici, quello del ricorrente e del controinteressato, già si fronteggiavano, risultando fra di essi una distanza inferiore ai tre metri e non risultando applicabile ratione temporis il disposto di cui all’art. 9 del D.M. 1444/68, in quanto edifici realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore della norma che impone il distacco di almeno 10 fra pareti finestrate frontistanti; considerato che per effetto degli interventi assentiti al ricorrente ed al controinteressato, stanti le sopraelevazioni reciproche, le pareti frontistanti saranno comunque cieche; ritenuto che, per quanto riguarda il primo motivo, pur osservando - sotto il profilo dell’interesse - che della medesima disposizione ha usufruito nche il ricorrente nel realizzare l’ampliamento in altezza del proprio immobile, non sono condivisibili i dubbi di legittimità costituzionale della disposizione di cui alla lettera b) dell’art. 10 della Legge regionale sul “Piano Casa”, in quanto, come già osservato dal Tribunale e confermato dal giudice di seconda istanza (cfr. T.A.R.Veneto, II, n. 1359/11 e C.d.S., IV, 2732/12), privilegiando un’interpretazione costituzionalmente orientata che consenta di attribuire alla norma una portata tale da non porsi in contrasto con il dettato della Costituzione, si è escluso che il legislatore regionale abbia voluto introdurre una definizione del concetto di “intervento di ristrutturazione edilizia”, diversa da quella dettata dall’art. 3 del D.P.R.  380/01, che come noto costituisce normativa vincolante per il legislatore regionale, contenendo i principi fondamentali della materia; che conseguentemente, non risulta esorbitare dai principi dettati dalla normativa nazionale la previsione di ricondurre alla ristrutturazione edilizia anche gli interventi di demolizione e ricostruzione; che, inoltre, a tale specifico riguardo, in termini più generali, è costantemente affermata la riconducibilità degli interventi di demolizione/ricostruzione, con mantenimento delle medesime caratteristiche dell’edificio demolito, alla tipologia della ristrutturazione edilizia".

In secondo luogo il TAR si occupa della demolizione e ricostruzione con sopraelevazione di edifici già in origine posti a una distanza inferiore a 10 metri e scrive: "esaminate le ulteriori censure, ritiene il Collegio che il ricorso sia destituito di fondamento; ciò in considerazione di quanto controdedotto dalla difesa del Comune, corredata della relativa documentazione prodotta in giudizio, confermato sul punto anche dalla difesa del controinteressato, dalla quale è chiaramente desumibile che per quanto riguarda le porzioni di edifici frontistanti preesistenti è stata prescritta la distanza di tre metri ex art. 873 c.c., risultando derogabili proprio in applicazione del Piano Casa le prescrizioni dei regolamenti comunali, mentre, così come in origine, non è stata richiesta l’osservanza delle distanze prescritte dal D.M. 1444/68; che diversamente, per le porzioni sopraelevate, è stata accertata, anche a seguito aggiustamenti dei progetti, l’osservanza delle disposizioni in materia di distanze, rilevando tuttavia che per le pareti frontistanti delle  nuove costruzioni in sopraelevazione non esistono pareti finestrate poste in linea perpendicolare l’una rispetto all’altra".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 262 del 2014

Il ricorso notificato alla Soprintendenza presso la sua sede è inammissibile

06 Mar 2014
6 Marzo 2014

L'art. 138 c.p.c. del 1865 stabiliva che la citazione dovesse essere notificata per le amministrazioni dello Stato, a chi le rappresenta nel luogo in cui risiede l'autorità giudiziaria, davanti cui è portata la causa, osservate le norme stabilite nel regolamento. L'art. 25 R.D. 30 dicembre 1923, n. 2828, con disciplina poi trasfusa negli originari artt. 11 e 12 R.D. n. 1611/33, modificò il sistema stabilendo che le citazioni, le sentenze ed ogni altro atto giudiziale dovevano essere notificati, a pena di nullità da pronunziarsi anche d'ufficio, alle amministrazioni interessate presso l'ufficio della regia Avvocatura erariale, nel cui distretto aveva sede l'autorità adita o che aveva pronunciato la sentenza. Dopo la pronuncia di incostituzionalità di Corte Cost., sentenza 8 luglio 1967, n. 27 Rass. Avv. St., 1967, I, 521 ss., si è di seguito pervenuti alla formulazione attuale dell'art. 11 R.D. n. 1611/33, ed all'abrogazione dell'art. 12 R.D. ult. cit. con gli artt. 1 e 2 l. 25 marzo 1958, n. 260.

Cosa dispone l'art. 11 R.D. n. 1611/33?

"Art. 11. 1. Tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente.[5]

2. Ogni altro atto giudiziale e le sentenze devono essere notificati presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'AutoritĂ  giudiziaria presso cui pende la causa o che ha pronunciato la sentenza.

3. Le notificazioni di cui ai comma precedenti devono essere fatte presso la competente Avvocatura dello Stato a pena di nullitĂ  da pronunciarsi anche d'ufficio".

Il TAR Veneto, con la sentenza n. 263 del 2014, ha disposto quanto segue circda la eccezione di inammissibilità del ricorso per l'errore di notificazione: "Ritenuta l’eccezione fondata, essendo stato il ricorso - proposto anche avverso il parere vincolante reso dalla Soprintendenza - notificato presso la sede della Soprintendenza B.A.P. di Venezia e Laguna e non già presso l’avvocatura distrettuale che ne è domiciliataria ex lege; Ritenuto che non sussistono i presupposti per la rimessione in termini richiesta dalla difesa della ricorrente, non ricorrendo le ipotesi di scusabilità dell’errore descritte dall’art. 37 c.p.a.; Ritenuto pertanto il ricorso inammissibile per mancata notificazione dello stesso all’amministrazione statale che ha emesso il parere paesaggistico vincolante, posto a fondamento del provvedimento di diniego".

sentenza TAR Veneto n. 263 del 2014

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