Author Archive for: SanVittore

Convegno dell’Università di Padova su valorizzazione e dismissione dei beni pubblici

10 Mag 2013
10 Maggio 2013

Il Dipartimento di Diritto pubblico, internazionale e comunitario dell’Università di Padova ha organizzato per il giorno 24 maggio 2013, Palazzo del Bo’ – Aula E – Via VIII Febbraio, 2, un convegno sulla valorizzazione e la dismissione dei beni pubblici, con  numerosi e qualificvati relatori..

La partecipazione è gratuita e l’Ordine degli Avvocati di Padova ha riconosciuto alla partecipazione 8 crediti formativi.

Pubblichiamo la locandina del convegno

Convegno 24.5.13 - Locandina

Cosa penso del nuovo testo dell’art. 44, comma 5, della L.R. 11/2004

09 Mag 2013
9 Maggio 2013
L' Art. 44 – Edificabilità, della L.R. 11/2004, al comma uno stabilisce che: "1. Nella zona agricola sono ammessi, in attuazione di quanto previsto dal PAT e dal PI, esclusivamente interventi edilizi in funzione dell'attività agricola, siano essi destinati alla residenza che a strutture agricolo-produttive così come definite con provvedimento della Giunta regionale ai sensi dell'articolo 50, comma 1, lettera d), n. 3. ".
Questa è la regola generale.
L'art. 44 prevede poi una serie di eccezioni, e al comma 5 - nel testo ora vigente - prevede:
5. Gli interventi di recupero dei fabbricati esistenti in zona agricola sono disciplinati dal PAT e dal PI ai sensi dell’articolo 43. Sono sempre consentiti, purché eseguiti nel rispetto integrale della tipologia originaria, gli interventi di cui alle lettere a), b), c) e d) dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni, nonché l’ampliamento di edifici da destinarsi a case di abitazione, fino ad un limite massimo di 800 mc. comprensivi dell’esistente, purché la destinazione abitativa sia consentita dallo strumento urbanistico generale.

A mio avviso quindi le previsioni del comma 5 sono "speciali" rispetto alla regola generale del comma 1.

Il TAR Veneto nella sentenza n. 605 del 2012  aveva espresso peraltro l'orientamento:"....La derivazione di più unità immobiliari da un originario edificio è viceversa permessa dal comma 5 del predetto art.44 L.R. 11/2004, laddove consente, in zona agricola, gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d), art. 3, del D.P.R. 380/2001...".

 La Circolare Regionale n. 2 del 15 gennaio 2009 prevedeva altresì:

“....5. Gli interventi di recupero dei fabbricati esistenti in zona agricola sono disciplinati dal PAT e dal PI ai sensi dell’articolo 43. Sono sempre consentiti gli interventi di cui alle lettere a), b) e c) dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni, nonché l’ampliamento di case di abitazione fino ad un limite massimo di 800 mc. comprensivi dell’esistente, purché eseguiti nel rispetto integrale della tipologia originaria.”.

La novità di tale disposizione consiste nell’aver introdotto, tra gli interventi sempre consentiti, anche l’ampliamento fino ad 800 mc., comprensivi dell’esistente e nel rispetto della tipologia originaria. In primo luogo occorre specificare che l’ampliamento è ammesso a favore di tutti coloro che possiedono una casa di abitazione in zona agricola, a prescindere dall’essere o meno imprenditore agricolo e indipendentemente dall’esistenza di un annesso rustico e che l’intervento è possibile solamente sull’edificio oggetto di ampliamento, escludendosi quindi la possibilità di realizzare l’intervento su altri edifici ancorchè situati nella medesima corte agricola. Si fa inoltre presente che l’ampliamento citato trova applicazione esclusivamente a favore degli edifici che, alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 4 del 2008, risultano essere già case di abitazione (e quindi possedere l’agibilità).

Si evidenzia inoltre che la richiesta di ampliamento può essere presentata contemporaneamente ad altre richieste di intervento consentito dalle vigenti norme, da valutarsi da parte del comune (ad es. ristrutturazione ed ampliamento).

Infine, si conferma quanto già definito con la circolare n. 1 del 2007 “Al fine di evitare interpretazioni della norma che potrebbero vanificarne la ratio, si precisa che l’ampliamento concesso di 800 mc va riferito all’immobile/edificio considerato nella sua totalità; eventuali successivi frazionamenti del medesimo non consentono ulteriori ampliamenti di ciascuna frazione così ottenuta. Nell'ipotesi di più case aggregate in un processo avvenuto nel corso degli anni e costituenti un edificio del tipo a schiera, l'ampliamento è ammissibile per ciascuna delle "case" costituenti la schiera. Tale indirizzo risulta conforme alla disciplina fino a oggi applicata nelle zone agricole, posto che la disposizione attuale non differisce rispetto alle previgenti normative (L.R. nn. 58/78 E 24/85).

La disposizione vale esclusivamente per gli edifici non oggetto di tutela da parte dello strumento urbanistico generale. Invero, per tali edifici, individuati quali beni culturali e ambientali ai sensi dell’articolo 10 della L.R. n. 24/85 e disciplinati da specifiche norme di piano regolatore generale, sono confermate le possibilità di intervento previste nello strumento urbanistico vigente”.

Infine, in relazione al concetto di “tipologia originaria”, la scelta del legislatore è rivolta al mantenimento delle forme tradizionali locali dell’edilizia rurale, in coerenza con le scelte di piano vocate alla valorizzazione dell’assetto territoriale tipico delle zone agricole. Per tali motivi possono essere consentiti interventi che, pur se non totalmente rivolti a mantenere l’originario aspetto dell’edifico, rispettino in ogni caso le caratteristiche tipologiche della edificazione rurale e del contesto insediativo in cui tali edifici si inseriscono, componendosi armonicamente con l’edificio esistente....".

La novella normativa rafforza conseguentemente il potere di pianificazione dei comuni nel disciplinare gli interventi in zona agricola in eccezione alla previsione generale dell'art. 44, comma 1 della L.R. 11/2004, prevedendo opportunamente che è consentito: "...l’ampliamento di edifici da destinarsi a case di abitazione, fino ad un limite massimo di 800 mc. comprensivi dell’esistente, purché la destinazione abitativa sia consentita dallo strumento urbanistico generale...".

La norma quindi nel prevedere quasi un automatismo nella facoltà di ampliamento di edifici da destinarsi all'abitazione, detta una precisa condizione e precisamente che vi sia un'esplicita previsione nello strumento urbanistico comunale che consenta la destinazione abitativa, ovviamente in eccezione ai casi già disciplinati dal comma 1 dell'art. 44 LR 11/2004.

La norma novellata si raccorda conseguentemente sul piano logico con il primo periodo del comma 5 dell'art. 44, ove è previsto che:"Gli interventi di recupero dei fabbricati esistenti in zona agricola sono disciplinati dal PAT e dal PI ai sensi dell’articolo 43".

 A sua volta l'art. 43 della L.R. 11/2004 Tutela del territorio agricolo nel Piano Regolatore Comunale, prevede che:

 - il piano di assetto del territorio (PAT) individua le modalità d'intervento per il recupero degli edifici esistenti
 - il piano degli interventi (PI) individua le destinazioni d'uso delle costruzioni esistenti non più funzionali alle esigenze dell'azienda agricola.
 Il "Sono sempre consentiti..." andrebbe quindi letto unitamente alla condizione:"...purché la destinazione abitativa sia consentita dallo strumento urbanistico generale..."
Conclusivamente è da ritenere che spetta al Piano degli Interventi, a norma dell'art. 43 della L.R. 11/2004, consentire o meno e con quali eventuali limiti, la destinazione abitativa delle costruzioni esistenti in zona agricola.
 Il PI di Verona, ad esempio, prevede che gli interventi di ristrutturazione edilizia in zona agricola possano prevedere anche la modifica della destinazione d’uso legittimamente preesistente a destinazione residenziale nel limite massimo di 400 mq. di SUL per ogni Unità Edilizia.
Geom. Daniele Iselle

La natura del c.d. preavviso di impugnazione in materia di appalti

09 Mag 2013
9 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 22 aprile 2013 n. 593, si occupa di numerose questioni attinenti le gare pubbliche.

La prima concerne il c.d. preavviso di impugnazione previsto dall’art. 243 bis del D. Lgs. 163/2006 che recita: “1. Nelle materie di cui all'articolo 244, comma 1, i soggetti che intendono proporre un ricorso giurisdizionale informano le stazioni appaltanti della presunta violazione e della intenzione di proporre un ricorso giurisdizionale.

2. L'informazione di cui al comma 1 è fatta mediante comunicazione scritta e sottoscritta dall'interessato, o da un suo rappresentante, che reca una sintetica e sommaria indicazione dei presunti vizi di illegittimità e dei motivi di ricorso che si intendono articolare in giudizio, salva in ogni caso la facoltà di proporre in giudizio motivi diversi o ulteriori. L'interessato può avvalersi dell'assistenza di un difensore. La comunicazione può essere presentata fino a quando l'interessato non abbia notificato un ricorso giurisdizionale. L'informazione è diretta al responsabile del procedimento. La comunicazione prevista dal presente comma può essere effettuata anche oralmente nel corso di una seduta pubblica della commissione di gara ed è inserita nel verbale della seduta e comunicata immediatamente al responsabile del procedimento a cura della commissione di gara.

3. L'informativa di cui al presente articolo non impedisce l'ulteriore corso del procedimento di gara, né il decorso del termine dilatorio per la stipulazione del contratto, fissato dall'articolo 11, comma 10, né il decorso del termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale.

4. La stazione appaltante, entro quindici giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, comunica le proprie determinazioni in ordine ai motivi indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela.

5. L'omissione della comunicazione di cui al comma 1 e l'inerzia della stazione appaltante costituiscono comportamenti valutabili, ai fini della decisione sulle spese di giudizio, nonché ai sensi dell'articolo 1227 del codice civile.

6. Il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito, è impugnabile solo unitamente all'atto cui si riferisce, ovvero, se quest'ultimo è già stato impugnato, con motivi aggiunti”.

Con riferimento alla mancata (tempestiva) impugnazione del diniego di autotutela della stazione appaltante da parte dell’ATI ricorrente, il Collegio ritiene che: “secondo l’orientamento che il collegio condivide, l’istituto del preavviso di impugnazione previsto dall’art. 243 bis del Dlgs. n. 163 del 2006, costituisce uno strumento che si limita a sollecitare l’annullamento in autotutela da parte della stazione appaltante al fine di ottenere una risoluzione anticipata della lite, ed in ciò si esaurisce la sua funzione deflattiva del contenzioso.

In base ai commi 5 e 6 dell’art. 243 bis, la comunicazione da parte del ricorrente e la risposta da parte della stazione appaltante hanno infatti carattere solo eventuale (è previsto che l’omissione di tali adempimenti costituisce unicamente un comportamento valutabile ai fini della regolazione delle spese di giudizio tra le parti o ai fini della quantificazione dei danni risarcibili) e il diniego di autotutela se si sostanzia in un atto meramente confermativo del provvedimento originario per il quale viene invocata l’autotutela è atto privo di autonoma lesività che non è necessario impugnare, mentre se si sostanzia in un atto confermativo adottato all’esito di una nuova valutazione degli interessi in gioco, è impugnabile solo unitamente all’atto al quale si riferisce (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 maggio 2012, n. 2774; Tar Umbria, 1 aprile 2011, n. 103), perché il citato comma 6 contiene una norma che ha una valenza di carattere processuale volta ad assicurare la trattazione unitaria dell’impugnazione dell’aggiudicazione e del diniego di autotutela ove questo sia impugnabile secondo i principi generali (cfr. Tar Calabria, Catanzaro, 10 settembre 2012, n. 914; Tar Valle d’Aosta, 17 febbraio 2012, n. 16, Tar Lombardia, Brescia, Sez. II, 2 marzo 2011, n. 372)”.

Alla luce di ciò il Collegio ritiene che: “il diniego non costituisce un provvedimento pienamente sostitutivo dell’aggiudicazione, avendo un contenuto parziale e limitato rispetto a questa che è l’esito del complesso ed articolato procedimento di gara”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 593 del 2013

Quando il proprietario incolpevole diventa responsabile dell’abuso edilizio (e l’immobile viene acquisito al patrimonio del Comune)

08 Mag 2013
8 Maggio 2013

La questione viene esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 540 del 2013.

Scrive il TAR: "il ricorrente sottolinea l’illegittimità del provvedimento impugnato, per violazione dell’art. 31 D.P.R. 380/2001, laddove dispone l’acquisizione al patrimonio del Comune di un bene di proprietà di soggetti diversi dall’autore dell’abuso e soprattutto estranei alla sua realizzazione.
Anche tale censura è infondata. Infatti, dall'esame della disposizione richiamata emerge che il proprietario deve ritenersi passivamente legittimato rispetto al provvedimento di demolizione, indipendentemente dall'essere o meno estraneo alla realizzazione dell' abuso, ciò che rileva è infatti che egli abbia la disponibilità dell’opera abusiva. In secondo luogo, con riferimento specifico all’applicabilità della sanzione dell’acquisizione gratuita, come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, esclusivamente nel caso in cui il proprietario dimostri la sua assoluta estraneità all'abuso edilizio commesso da altri e manifesti il suo attivo interessamento, con i mezzi consentitigli dall'ordinamento, per la rimozione dell'opera abusiva, resta salva la sua tutela dagli effetti dell'inottemperanza all'ordine di demolizione che lo stesso sia stato impossibilitato ad eseguire (cfr. tra le tante Consiglio di Stato, IV, 3.5.2011 , n. 2639; T.A.R. Lazio, Roma, II, 14.2.2011 , n. 1395; T.A.R. Umbria, 25.11.2008, n. 787). Nella fattispecie, non emerge che Mario Berto si sia attivato per ottemperare all’ordine di demolizione, né la difesa del ricorrente ha addotto elementi o circostanze idonee a comprovare una condotta
diretta ad assicurare la demolizione delle opere abusive. Egli è dunque divenuto “responsabile” dell’abuso, ai fini dell’applicazione dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001, comma 3, nel momento in cui, venutone a conoscenza, colpevolmente, non si è attivato per reprimerlo. Del resto, la sanzione dell’acquisizione gratuita costituisce una sanzione autonoma che consegue all’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione ed è diretta a costringere, chi si trova in un rapporto qualificato con il bene, ed abbia la possibilità di intervenire su di esso per eliminare l’abuso, ad attivarsi in tal senso nel termine stabilito nell’ingiunzione. Non pare peraltro che il richiamo della sentenza della Corte Costituzionale n. 345/1991 sia idoneo a confermare la validità della tesi in proposito sostenuta dalla difesa della parte ricorrente. Tale pronuncia, innanzitutto, è scaturita da una vicenda fattuale diversa da quella attuale, nella quale il proprietario dell’immobile non aveva avuto la possibilità di ottemperare direttamente all'ordine di demolizione, per  essere il bene nell'esclusiva disponibilità del conduttore autore dell'abuso. In tali casi, ha stabilito la Corte Costituzionale, “l’acquisizione gratuita non può operare nei confronti del proprietario dell'area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell'opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall'ordinamento”. Al contrario, nel caso in esame, l’odierno ricorrente, proprietario dell’immobile, è venuto tempestivamente a conoscenza dell’abuso in precedenza realizzato, ed è il solo soggetto legittimato ad intervenire sull’immobile, potendo assumere qualunque iniziativa diretta a far eliminare le opere edilizie abusive.

sentenza TAR Veneto 540 del 2013

Alle certificazioni di qualità si applica l’art. 46, c. 1-bis, D. Lgs. 163/2006?

08 Mag 2013
8 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 30 aprile 2013 n. 637, si occupa della tassatività delle clausole di esclusione previste dall’art. 46, c. 1-bis, D. Lgs. 163/2006 secondo cui: “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.

Nel caso di specie la ditta ricorrente lamenta che l’aggiudicataria non abbia prodotto la certificazione del sistema di qualità UNI-EN-ISO 9001:2000, richiesta a pena di esclusione dall’art. 20, lett. b), del capitolato-disciplinare di gara. La stazione appaltante, d’altronde, deduce la nullità della suddetta clausola per violazione della normativa supra riportata.

Il T.A.R. Veneto accoglie il ricorso affermando che: “Osserva, infatti, il Collegio che per consolidato e condivisibile indirizzo giurisprudenziale, l’omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti dalla lex specialis a pena di esclusione, non può considerarsi alla stregua di un’irregolarità sanabile e, conseguentemente, non se ne può consentire l’integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali, tanto più quando, come nel caso in esame, il documento concerna un elemento essenziale della domanda di partecipazione (la richiesta certificazione ISO è, infatti, garanzia della qualità dei prodotti contenuti nelle macchine self-service di distribuzione alimenti) e non sussistano equivoci o incertezze generati dall’ambiguità di clausole del bando di gara (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 6 marzo 2006, n. 1068).

La sentenza del T.A.R. Puglia n. 1907/2012 (peraltro oggetto di giudizio, non ancora definito, in sede di appello innanzi al Consiglio di Stato), richiamata dalla difesa erariale per giustificare la pretesa nullità della clausola escludente contenuta nel disciplinare di gara, attiene invero alla diversa fattispecie, concernente un vizio puramente formale, in cui la medesima certificazione ISO era stata allegata in copia semplice (corredata da dichiarazione sostitutiva di conformità all’originale), anziché in originale o copia conforme all’originale, così come previsto a pena di esclusione dal disciplinare di gara in quella sede impugnato.

Nel caso di specie, invece, è appurato che la ditta aggiudicataria del servizio non ha neppure dichiarato, all’atto di presentazione della propria domanda di partecipazione, di possedere la certificazione esclusione ISO prevista a pena di esclusione dalla gara”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 637 del 2013

Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) – Adozione variante parziale con attribuzione della valenza paesaggistica

07 Mag 2013
7 Maggio 2013

L.R. 23 aprile 2004, n. 11art. 25 e art. 4

La variante parziale al Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC 2009) per l'attribuzione della valenza paesaggistica, adottata con deliberazione della Giunta Regionale n. 427 del 10 aprile 2013 [Pdf - 61Kb], è stata pubblicata nel Bollettino ufficiale n. 39 del 3 maggio 2013.

Ai sensi del comma 5, dell'art. 25 della Legge regionale n. 11 del 2004, entro centoventi giorni dalla pubblicazione dell'avvenuto deposito di cui al comma 4 del medesimo articolo, gli enti locali, le comunità montane, le autonomie funzionali, le organizzazioni e le associazioni economiche e sociali, nonché chiunque ne abbia interesse, possono presentare alla Giunta regionale osservazioni e proposte.

 

 

Ai sensi dell’art. 29, comma 2, della L.R. 11/04, dall’adozione del PTRC o di sue eventuali varianti e fino alla loro entrata in vigore, e comunque non oltre cinque anni dalla data di adozione, i Comuni sono tenuti a sospendere ogni determinazione sulle domande relative ad interventi di trasformazione edilizia e urbanistica che risultino in contrasto con le prescrizioni contenute nel piano.

 


Avviso di Deposito.

Allegato A
Scheda Valutatore n. 10 del 20 marzo 2013 [Pdf - 30Kb]
Allegato A1
Parere n. 10 del 20 marzo 2013 [Pdf - 1,2 Mb]
del Comitato previsto ai sensi del II comma dell’art. 27 della LR 11 del 2004

Allegato B
Relazione illustrativa 
[Pdf - 4,6Mb]

Allegato B1 - Elaborati grafici:
Tav. 01c Uso del suolo – Idrogeologia e Rischio Sismico [Pdf - 2,9Mb]
Tav. 04 Mobilità [Pdf - 8,4Mb]
Tav. 08 Città, motore di futuro [Pdf - 5,3Mb]
Tav. 09 Sistema del territorio rurale e della rete ecologica (n. 23 tavole):

Allegato B2
Rapporto Ambientale – Sintesi non tecnica [Pdf - 45Mb]

Documento di valutazione di incidenza [Pdf - 8,9Mb]

Allegato B3
Documento per la pianificazione paesaggistica comprendente [Pdf - 29,2Mb]:

 1. Ambiti di paesaggio
 2. Quadro per la ricognizione dei beni paesaggistici
 3. Atlante ricognitivo
 4. Sistemi di valori:
   4.1 I siti patrimonio dell’Unesco
   4.2 Le Ville Venete
   4.3 Le Ville del Palladio
   4.4 Parchi e giardini di rilevanza paesaggistica
   4.5 Forti e manufatti difensivi
   4.6 Archeologia industriale
   4.7 Architetture del Novecento

Allegato B4 - Norme Tecniche [Pdf - 1,5Mb]

La trasformazione abusiva di un sottotetto in un locale abitabile è variazione essenziale?

07 Mag 2013
7 Maggio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 540 del 2013 esamina un abuso costituito dalla trasformazione del sottotetto in locali abitabili completi di servizi (due camere, un bagno e un corridoio).

Scrive il TAR: "con il primo motivo la parte ricorrente sostiene l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per violazione degli artt. 31 e 32 del D.P.R. n. 380/2001 e 92 della L.R. n. 61/85, in quanto le difformità riscontrate non integrerebbero una variazione essenziale al progetto originario tale da giustificare la misura demolitoria. In particolare, secondo il ricorrente, il volume realizzato nel sottotetto non sarebbe superiore ad un quinto (ex art. 92 L.R. n. 61/85) di quello assentito, essendogli stato invece illegittimamente contestato, da parte del Comune, l’aumento volumetrico riguardante l’intero complesso condominiale. Tale motivo è infondato. Infatti, il Comune, nel calcolo riportato nell’ordine di demolizione, ha correttamente preso come dato di partenza il volume regolarmente assentito su tutto il condominio, quindi ha calcolato se in rapporto a questo valore, il volume reso abitabile in tutti i sottotetti fosse superiore al quinto previsto per legge, e ciò in considerazione del fatto che l’abuso riguarda l’intero edificio condominiale.
Il Comune ha dunque riscontrato, mediante un metodo di calcolo esente da vizi logici e matematici, il superamento del limite volumetrico stabilito dalla legge regionale ai fini della configurabilità di una variazione essenziale al progetto assentito.  In ogni caso si osserva che tale criterio di calcolo è sicuramente più favorevole di quello proposto dal ricorrente, secondo il quale andrebbe calcolato l’aumento volumetrico riguardante solo il proprio appartamento e non l’intero complesso condominiale. Così computato, infatti, il rapporto tra volume abusivamente reso abitabile (il proprio sottotetto) e volume assentito (il proprio appartamento) sarebbe sicuramente maggiore di quello calcolato dal Comune, e dunque comunque superiore ad un quinto. La censura, dunque, sarebbe anche inammissibile per difetto d’interesse. Sotto altro aspetto, la parte ricorrente, al fine di dimostrare l’irrilevanza volumetrica del sottotetto in questione, evidenzia che quest’ultimo non ha i requisiti minimi di altezza per essere reso abitabile e deve essere considerato alla stregua di un locale accessorio o di servizio non computabile in termini di volume. Dunque, secondo tale ragionamento, il volume utile sarebbe rimasto inalterato. Anche tale censura è infondata, in quanto l’abuso contestato è costituito proprio dalla trasformazione di locali sottotetto in locali abitabili, in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo, il che ha determinato un incremento del volume residenziale dell’edificio (con conseguente aumento del carico urbanistico) superiore al quinto di quello assentito. In ogni caso, si osserva solo per completezza di ragionamento, come l’opera contestata integrerebbe comunque una variazione essenziale ai sensi dell’art. 32 D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 92 della L.R. n. 61/85, sanzionabile con la demolizione, essendosi verificato un mutamento di destinazione d’uso (con variazione tra categorie non omogenee) attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie".

sentenza TAR Veneto 540 del 2013

Questioni in materia di provvedimenti amministrativi

07 Mag 2013
7 Maggio 2013

 Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 03 aprile 2013 n. 490, affronta numerose questioni in tema di provvedimenti amministrativi, così di seguito sintetizzabili:

- “premesso, invero, che la tipica sanzione prevista per l'invalidità del provvedimento amministrativo è l'annullabilità, di applicazione giudiziale in presenza dei tre tradizionali vizi (violazione di legge, incompetenza e eccesso di potere) ora codificati sia dall'art. 21-octies, I comma della legge n. 241/1990, sia dall'art. 29 del codice del processo amministrativo, la categoria della nullità assume un rilievo meramente residuale, limitato alle ipotesi espressamente comminate dalla legge e ad altri casi di gravi difetti del provvedimento, tassativamente indicati dall'art. 21-septies della legge n. 241/1990: le cause di nullità del provvedimento amministrativo devono intendersi, quindi, in numero chiuso”;

- “Ai sensi dell’art. 19 del DL n. 67/1997 convertito dalla legge 23 maggio 1997 n. 135 (concernente i giudizi aventi ad oggetto "provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico-amministrative ad essa connesse e provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate") sono, infatti, ridotti alla metà tutti i termini processuali nelle controversie ove s’impugnino gli atti di approvazione dei progetti di opere pubbliche (che comportano, anche implicitamente, la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori) e di occupazione d'urgenza di aree per l'esecuzione delle predette opere (cfr., ex pluribus, CdS, IV, 15.5.2000 n. 2737; V, 23.2.2000 n. 959)”;

- “l'art. 22, I comma della citata legge,” – cioè la l. 241/1990 – “invero, pur riconoscendo il diritto di accesso agli atti della pubblica Amministrazione a "chiunque vi abbia interesse", non ha introdotto alcun tipo di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sull'Amministrazione, tant'è che ha successivamente ricollegato tale interesse all'esigenza di tutela di "situazioni giuridicamente rilevanti". Pertanto, anche se il diritto di accesso è volto ad assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e a favorirne lo svolgimento imparziale (come recita l'art. 22 cit.), rimane fermo che l'accesso è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti direttamente o indirettamente si rivolgono e che se ne possano eventualmente avvalere per la tutela di una posizione soggettiva e giuridicamente rilevante, non potendo identificarsi con il generico ed indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell'attività amministrativa (cfr., ex multis, CdS, IV, 28.9.2010 n. 7183)”;

- “costituisce principio di diritto consolidato che la mancata indicazione, in un provvedimento amministrativo, dei termini di impugnativa e dell'organo giudiziario a cui ricorrere è omissione che determina una mera irregolarità che non incide sulla legittimità dell'atto e può giustificare solo la concessione dell'errore scusabile quando ne sussistano i presupposti, e quindi in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto (cfr., da ultimo, CdS, VI, 16.4.2012 n. 2155; III, 28.3.2012 n. 1860)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 490 del 2013

Il Consiglio di Stato dice che l’azione ex art. 31 cpa (silenzio) non costituisce un rimedio di carattere generale per tutte le ipotesi di inerzia della P.A.

06 Mag 2013
6 Maggio 2013

Lo afferma il Consiglio di Stato, sezione V, n. 1754 del 27 marzo 201: "“Ai sensi dell'art. 31 del c.p.a. è inammissibile il ricorso diretto all'accertamento dell'illegittimità del silenzio su un'istanza dell'interessato allorché il Giudice amministrativo sia privo di giurisdizione in ordine al rapporto giuridico sottostante ovvero si verta, comunque, nell’ambito di posizioni di diritto soggettivo, anche laddove sia riscontrabile un'ipotesi di giurisdizione esclusiva.

Invero, secondo nota e consolidata giurisprudenza (Consiglio Stato, Sez. V, 17 gennaio 2011, n. 210), l'art. 2 della l. n. 205/2000, che ha introdotto l'art. 21 bis della l. n. 1034/1971 in tema di ricorso avverso il silenzio serbato dall'amministrazione, poi confluito nell'art. 31 del c.p.a., non ha inteso creare un rimedio di carattere generale, esperibile in tutte le ipotesi di comportamento inerte della pubblica amministrazione, e pertanto sempre ammissibile indipendentemente dalla giurisdizione del G.A. (il quale si configurerebbe quindi come giudice del silenzio dell'Amministrazione), ma soltanto un istituto giuridico relativo alla esplicazione di potestà pubblicistiche correlate alle sole ipotesi di mancato esercizio dell'attività amministrativa discrezionale.

Ne consegue che, nell'ipotesi che il procedimento attivato afferisca alla tutela di un diritto soggettivo, l'azione di annullamento del silenzio-rifiuto della pubblica Amministrazione non è esperibile, poiché il giudizio sul silenzio presuppone l'esercizio di una potestà amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato si configura come interesse legittimo.”

avv. Marta Bassanese

cds 1754_2013

 

Le c.d. clausole ambigue: il favor partecipationis impone la regolarizzazione

06 Mag 2013
6 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 03 aprile 2013 n. 497, si occupa delle c.d. clausole ambigue dei bandi di gara: “Sotto altro profilo, occorre rilevare che nel caso di specie la mancanza di chiarezza delle prescrizioni del bando dovuta, in particolare, all’ambiguità della locuzione “oppure” di cui al richiamato art. 14 della lex specialis di gara, ha ingenerato nei concorrenti un’incolpevole affidamento circa il significato da attribuire alle dichiarazioni ad essi richieste, dalla quale non può certamente discendere alcuna conseguenza sfavorevole nei loro confronti né, tantomeno, la prospettata esclusione dalla procedura di gara (cfr., Cons. St., sez. VI, 10.11.2004, n. 7278)”.

Di conseguenza: “Non può, infatti, ritenersi inescusabile l’errore nella predisposizione di un documento di gara quando questo sia determinato, come nel caso di specie, da indicazioni ambigue ed equivoche contenute nelle disposizioni che regolano la procedura selettiva e ciò a prescindere dalla sede in cui le indicazioni stesse siano inserite.

In altri termini, quando l’errore commesso è ingenerato dalla stessa equivoca formulazione del bando, deve farsi applicazione del rimedio della regolarizzazione in omaggio del principio del favor partecipazionis (cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 19 giugno 2009, n. 3300)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 497 del 2013

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC