Richiesta di parere alla seconda commissione consiliare sull’atto di indirizzo relativo al dimensionamento dei piani e degli standard di aree per servizi”

23 Lug 2014
23 Luglio 2014

Pubblichiamo la deliberazione della Giunta regionale n.  99/CR  del 15 luglio 2014, contenente  la richiesta di parere alla seconda commissione consiliare (lr n. 11/2004 art. 46, comma 1), circa l'atto di indirizzo recante: ''Lr 23.4.2004 n. 11: Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio'', art. 46, comma 1, lett. b): ''Il dimensionamento dei piani e degli standard di aree per servizi''.

richiesta parere II Commissione CR 99]-attiindirizzo aree standard

Sanatoria paesaggistica: quale concetto di volume rileva?

23 Lug 2014
23 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza n. 761/2014 sembra avallare quella parte di giurisprudenza che, ai fini della compatibilità paesaggistica ex art. 167 del D. Lgs. n. 42/2004, ritiene rilevante una nozione di superficie e/o volume di carattere puramente paesaggistico-ambientale e non urbanistico-edilizio: “L’intervento “sanato” ai sensi dell’art. 181 d.lgs 42/04 consiste infatti nella mera diversa realizzazione del porta vivande, che non crea ovviamente superficie nè volume di cui all’art. 167, d.lgs 42/04.

Infatti il volume tecnico non può avere alcuna rilevanza e la superficie utile a cui fa riferimento l’art. 167, ad impedimento della regolarizzazione postuma degli interventi edilizi in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, è soltanto quella che muta l'assetto dei luoghi o meglio, come afferma la stessa sentenza della Cassazione penale citata dalla ricorrente (sez. III, 29 novembre 2011, n. 889), quella che determina "l'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio”, in modo che questo sia idoneo a determinare una compromissione ambientale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 761 del 2014

Anche il cambio d’uso di una terrazza scoperta può comportare un aumento del carico urbanistico

23 Lug 2014
23 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 06 giugno 2014 n. 761 chiarisce che anche la terrazza scoperta può comportare un aumento del carico urbanistico. Di conseguenza, ai fini della quantificazione degli oneri di urbanizzazione, il Comune non deve considerare la natura coperta o meno del manufatto, ma soltanto verificare se vi sia un concreto ed effettivo aumento del carico urbanistico: “Il capitolo III delle N.T.A., che comprende l’art. 16 ricordato, è dedicato alle “destinazioni d’uso degli edifici”. E’ del tutto evidente che la disciplina che esso reca vale indistintamente per gli interi edifici e le singole porzioni di essi, indipendentemente dalla loro consistenza volumetrica.

D’altra parte, se l’obiettivo specifico della nuova normativa è “un equilibrato rapporto di connessione fra residenza, lavoro ed attività produttive, al fine generale del più corretto utilizzo del patrimonio edilizio nel Centro Storico (art. 15, terzo comma, N.T.A.), non si vede davvero che differenza corra tra destinare a un’attività commerciale uno spazio coperto (dunque costituente volume) o uno spazio scoperto (quale la terrazza), quando è indiscutibile che il carico urbanistico deriva dall’attività in sé e non dalla concreta configurazione del luogo (esistenza o meno di elementi edilizi di copertura) in cui essa si svolge”.

Anche il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 19.11.2012 n. 5836 (che annulla la sentenza del T.A.R. Veneto n. 2327/2004) conferma pienamente quanto esposto: “D'altra parte, se l'obiettivo specifico della nuova normativa è "un equilibrato rapporto di connessione fra residenza, lavoro ed attività produttive, al fine generale del più corretto utilizzo del patrimonio edilizio nel Centro Storico (art. 15, terzo comma, N.T.A.), non si vede davvero che differenza corra tra destinare a un'attività commerciale uno spazio coperto (dunque costituente volume) o uno spazio scoperto (quale la terrazza), quando è indiscutibile che il carico urbanistico deriva dall'attività in sé e non dalla concreta configurazione del luogo (esistenza o meno di elementi edilizi di copertura) in cui essa si svolge”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 761 dsel 2014

CdS n. 5836 del 2012

Si può porre a base di gara di una prestazione professionale un compenso esiguo ?

23 Lug 2014
23 Luglio 2014

Il T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1844, si occupa degli importi posti a base di gara per l’esercizio di un’attività professionale.

Dopo aver ricordato che l’art. 36 Cost. – in materia di proporzionalità della retribuzione – si applica solo al lavoro subordinato, i Giudici insistono comunque sulla natura congrua del compenso: soltanto una puntuale e specifica motivazione, infatti, può giustificare una retribuzione esigua.

Ecco il passo che interessa: “Il Collegio osserva che l’art. 2 comma 1 del d. lgs. n. 163/2006 dispone che “L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”. I suddetti principi sono ribaditi anche dal successivo art. 27, il quale stabilisce che anche i c.d. “contratti esclusi” sono affidati“nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità”.

A tutela della qualità delle prestazioni, poi, il legislatore nazionale ha posto specifiche norme volte a garantire che il corrispettivo offerto dall’appaltatore nelle gare pubbliche sia proporzionato e sufficiente rispetto all’oggetto dell’appalto. Ci si riferisce agli articoli 86 e seguenti del d. lgs. n. 163/2006 in materia di verifica dell’anomalia delle offerte, la cui finalità “è quella di evitare che offerte troppo basse espongano l'Amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella richiesta, o con modalità esecutive in violazione di norme, con la conseguenza di far sorgere contestazioni e ricorsi. L'appalto deve quindi essere aggiudicato a soggetti che abbiano prestato offerte che, avuto riguardo alle caratteristiche specifiche della prestazione richiesta, risultino complessivamente proporzionate sotto il profilo economico all'insieme dei costi, rischi ed oneri che l'esecuzione della prestazione comporta a carico dell'appaltatore…” (ex multis Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2063 del 15 aprile 2013).

Ancora, “Il meccanismo previsto per l’eliminazione delle offerte ingiustificatamente anomale dal novero di quelle ammesse ad una gara è teso ad evitare che possa risultare aggiudicataria di una gara una ditta che, per l’esiguità del prezzo offerto, non sia poi in grado di assicurare una prestazione adeguata alle esigenze che l’amministrazione vuole soddisfare con l’appalto indetto”( TAR Sicilia, Palermo, Sentenza 07/09/2011 n. 1608).

La ratio del sub procedimento di verifica dell’anomalia è, pertanto, quella di accertare la serietà, la sostenibilità e la sostanziale affidabilità della proposta contrattuale, in maniera da evitare che l’appalto sia aggiudicato a prezzi eccessivamente bassi, tali da non garantire la qualità e la regolarità dell’esecuzione del contratto oggetto di affidamento.

Se tanto è vero “a valle” delle procedure di aggiudicazione, a maggior ragione, parallelamente, lo stesso principio deve fondare l’attività della Pubblica Amministrazione “a monte” della procedura stessa, e cioè nella fase dell’individuazione dell’importo determinato proprio dalla stazione appaltante quale corrispettivo del servizio da acquisire.

Nel caso specifico, a fronte della prestazione professionale complessa e specializzata richiesta (si veda l’articolo 2 del bando), l’Istituto scolastico ha previsto un compenso omnicomprensivo (articolo 7 del bando) di euro 1.500,00, manifestamente e palesemente incongruo e inadeguato.

Tanto è ancora più evidente se si considera che il predetto importo include anche le spese vive da sostenere per l’espletamento dell’incarico (spese di viaggio, assicurazione, materiale di consumo, disponibilità di specifici programmi) e, inoltre, che lo stesso incarico deve essere espletato su due plessi scolastici situati in Comuni diversi (Galatina e Galatone), distanti quasi 20 chilometri uno dall’altro.

Sicchè l’importo palesemente esiguo offerto potrebbe indurre il professionista ad una non corretta esecuzione dell’incarico ed essere foriera di probabili futuri contenziosi. Ciò è tanto più grave in relazione alla delicatezza dell’oggetto dell’incarico, che coinvolge la vita e la sicurezza degli operatori scolastici e degli alunni.

Il Collegio osserva, inoltre, che la stazione appaltante non ha motivato in ordine alle modalità seguite nella determinazione del compenso. Al riguardo, non è condivisibile il rilievo opposto dall’Istituto resistente relativo alla mancanza di parametri tabellari professionali minimi inderogabili.

Il Collegio non ignora che l’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27, ha disposto, al comma 1, l’abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. E’ evidente, pertanto, che le stesse non possono essere più indicate nemmeno quale possibile riferimento per l’individuazione del valore della prestazione.

Tuttavia, lo stesso art. 9, al comma 4, pur con specifico riferimento al mercato privato, fornisce indicazioni utili anche per la determinazione dell’importo relativo ai compensi per l’espletamento di incarichi affidati dalle Pubbliche Amministrazioni, stabilendo che, in ogni caso, la misura del compenso “deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi”.

Da tale disposizione si ricava che la determinazione dell’importo dell’affidamento non può essere connotata da arbitrarietà: le stazioni appaltanti non possono, quindi, porre a base di gara un importo senza un minimo di analisi che consenta di comprendere le modalità esatte di determinazione dell’importo e senza motivare il percorso tecnico-logico seguito nella determinazione del valore stesso.

L’interpretazione di cui innanzi risulta, altresì, coerente con quanto prescritto dalla lettera d) del comma 1) dell’articolo 264 del d.P.R. n. 207 del 2010, nella parte in cui dispone che nel bando di gara devono essere indicate le modalità di calcolo del corrispettivo. Difatti, se il riferimento alla possibilità di utilizzo delle tariffe professionali è da ritenersi abrogato, è tuttavia da considerare ancora del tutto vigente l’obbligo di illustrare le predette modalità.

A questi fini le stazioni appaltanti non possono limitarsi ad una generica e sintetica indicazione del compenso, ma devono specificare con accuratezza ed analiticità i singoli elementi che compongono la prestazione, nonché dare conto del percorso motivazionale seguito per la determinazione del suo valore.

Tali principi sono stati espressi anche dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici con la deliberazione n. 49 del 3 maggio 2012.

Nel caso di specie, al contrario, nel bando di gara non vi è traccia alcuna dei criteri di calcolo specificamente utilizzati dall’Istituto per la quantificazione del corrispettivo.

Fermo restando quanto innanzi esposto, la Sezione osserva, infine, che, in extrema ratio, l’Amministrazione avrebbe potuto motivare l’esiguità del corrispettivo fissato anche ricorrendo a giustificazioni di natura diversa, inerenti, ad esempio, la necessità di conciliare l’esiguità delle risorse di bilancio disponibili con l’adempimento di obblighi di legge (quale, appunto, quello relativo alla prevenzione e protezione), o, ancora, la richiesta di collaborazione e disponibilità ai professionisti eventualmente interessati. Tanto avrebbe, altresì, consentito di evitare quella lesione della “dignità professionale”, in considerazione della quale l’ordine ricorrente si è determinato a respingere la richiesta della Stazione appaltante di pubblicazione sul proprio albo dell’avviso in questione.

Al riguardo, si richiama il condivisibile ed autorevole orientamento giurisprudenziale, secondo il quale è stata riconosciuta la possibilità della prestazione gratuita per l’attività professionale: in tal senso è la sentenza della Cassazione Civile, 17 agosto 2005, n. 16966, per la quale “Come più volte affermato da questa Corte (v. Cass. 7741/1999; Cass. 8787/2000), poichè l'onerosità costituisce un elemento normale del contratto d'opera intellettuale, ma non essenziale ai fini della sua validità, è consentita al professionista la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari che possono consistere nell'affectio o nella benevolentia, o in considerazioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio””.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Lecce n. 1844 del 2014

Anche le sanzioni pecuniarie in materia edilizia si prescrivono in 5 anni: ma da quando?

22 Lug 2014
22 Luglio 2014

Segnaliamo la interessante sentenza del TAR Veneto n. 1001 in materia di sanzioni amministrative pecuniarie in edilizia.

Scrive il TAR: "il Collegio ritiene fondata l’eccezione d’intervenuta prescrizione quinquennale del diritto del Comune alla riscossione della sanzione pecuniaria in discorso, ai sensi dell’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Orbene, secondo la prospettazione (in via subordinata) della ricorrente, siccome dal 22 febbraio 2000, data del primo atto interruttivo della prescrizione (primo atto irrogativo della sanzione pecuniaria), al 13 marzo 2009 (secondo atto irrogativo della sanzione pecuniaria), sono decorsi più di cinque anni, il diritto dell'amministrazione resistente a riscuotere la sanzione si sarebbe prescritto ai sensi dell'art. 28 della legge n. 689/1981. L'Amministrazione comunale ha controdedotto alla predetta eccezione di prescrizione affermando la natura imprescrittibile dell'illecito edilizio in considerazione della sua natura permanente e la conseguente possibilità di esercitare il potere repressivo senza limiti di tempo. Va innanzitutto ricordato come secondo il costante orientamento della giurisprudenza sia applicabile alle sanzioni edilizie il principio di cui all'art. 28 della legge n. 689/1981, a norma del quale "il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione".; trattandosi di disposizione applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689/1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria. Nell'applicare tale regola, tuttavia, con riguardo all'individuazione del dies a quo della decorrenza della prescrizione, occorre tener conto della particolare natura degli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica, i quali, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni. Conseguentemente, per la decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (cfr. Cons. Stato, IV, 16.4.2010, n. 2160; Cons. Stato, V, 13.7. 2006, n. 4420; Cons. Stato, IV, 2.6.2000, n. 3184). Più in particolare, dal carattere permanente degli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica ne deriva che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente. Conseguentemente, nel campo dell'illecito amministrativo la permanenza cessa e il termine quinquennale di prescrizione comincia a decorrere o con l'irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell'autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere rilasciata anche in via postuma (cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 11.4. 2002, n. 4; Cons. Stato, VI, 12.5. 2003, n. 2653). Alla luce dei richiamati principi deve, pertanto, essere accolta l'eccezione di prescrizione sollevata dalla ricorrente.  Ed infatti, nel caso di specie, la permanenza dell’illecito è cessata nel momento in cui il Comune, con l’ordinanza del 22 febbraio 2000, ha irrogato la sanzione pecuniaria (alternativa alla demolizione) in relazione agli abusi ritenuti non sanabili; dunque, da tale momento ha cominciato a decorrere il termine prescrizionale di cui all'art. 28 della legge n. 689/1981. In particolare, poi, l’ordinanza del 18 aprile 2000, con cui il Comune si è limitato a sospendere il termine di pagamento della sanzione pecuniaria  irrogata, non vale ad intaccare l’intervenuto perfezionamento della fattispecie legale complessa, costituita dall’accertamento dell’abuso nella sua materialità e dalla conclusione dello specifico subprocedimento che termina con l’irrogazione della sanzione, fattispecie alla quale, alla luce di quanto sopra esposto è riconnessa la cessazione dell’illecito e l’inizio della decorrenza della prescrizione. Ed infatti, una volta irrogata la sanzione con l’ordinanza del 22 febbraio 2000, spettava al Comune di procedere alla riscossione della somma così liquidata; tuttavia il Comune, per sua libera scelta, ha ritenuto di sospendere sine die il termine di pagamento essendo “necessario un aggiornamento di quanto precedentemente determinato”. A questo punto, tuttavia, l’omessa rideterminazione del credito costituisce un’inerzia dell’amministrazione di cui essa subisce gli effetti, senza che possa valere a sospendere il decorso della prescrizione nei confronti dell'odierna ricorrente. Tale inerzia, infatti, è collocabile nella fase della riscossione della somma dovuta, essendo conclusa la fase della irrogazione della sanzione, rimanendo quest’ultima, non emendata e sospesa solo quanto al termine di pagamento. Ne deriva che la seconda ordinanza di pagamento del 13 marzo 2009, con la quale è stata anche annullata l’ordinanza di pagamento del 22 febbraio 2000, è stata emessa ben oltre l’intervenuta estinzione del diritto dell’amministrazione a riscuotere la sanzione pecuniaria. Per tali ragioni il ricorso deve, quindi, essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 1001 del 2014

Il Consiglio di Stato sembra aver posto fine alla querelle sugli oneri specifici

22 Lug 2014
22 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 18 luglio 2014 n. 3864, conferma quanto già ribadito nel post del 03 luglio 2014, ovvero che l’obbligo di indicare gli oneri specifici per la sicurezza a pena di esclusione c’è soltanto negli appalti di servizi e/o forniture e non negli appalti di lavori e/o nelle concessioni di servizi.

A tal proposito si legge che: “5.– L’art. 86-comma 3-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che: «nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture».

L’art. 87 dello stesso decreto legislativo dispone, al comma 4, che: «nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture».

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che, alla luce di quanto disposto dalle norme sopra riportate, per gli appalti di lavori le stazioni appaltanti sono tenute a verificare gli oneri per la sicurezza nella sola fase di verifica dell’anomalia dell’offerta. Non è, pertanto, necessario indicare nell’offerta i costi per la sicurezza aziendale (in questo senso, da ultimo, Cons. Stato, V, 17 giugno 2014, n. 3056).

5.1.– L’art. 30 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che le concessioni di servizi sono sottratte alla puntuale disciplina del diritto comunitario e del codice dei contratti pubblici e che ad esse si applicano i principi desumibili dal Trattato e i principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, i principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.

I costi sostenuti per la sicurezza non possono farsi rientrare tra i principi generali a tutela della concorrenza, in quanto perseguono la diversa finalità di tutela dei lavoratori e vengono in rilievo, come sopra rilevato, nella fase di verifica dell’anomalia dell’offerta.

Del resto, se la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha escluso che sussiste finanche per i contratti di appalto di lavori disciplinati dal Codice l’obbligo di indicare nell’offerta gli oneri di sicurezza, non potrebbe sostenersi, come ha fatto il primo giudice, che tale obbligo trovi applicazione per le concessioni di servizi”.

dott. Matteo Acquasaliente

Cds n. 3864 del 2014

Prime linee guida per l’avvio di un circuito collaborativo tra ANAC-Prefetture-UTG e Enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l’attuazione della trasparenza amministrativa

22 Lug 2014
22 Luglio 2014

MINISTERO DELL'INTERNO

PROTOCOLLO DI INTESA 15 luglio 2014 

Prime linee guida per l'avvio di un circuito collaborativo tra ANAC-Prefetture-UTG e Enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l'attuazione della trasparenza amministrativa. (14A05669) (GU Serie Generale n.165 del 18-7-2014) 

Prime linee guida per l'avvio di un circuito collaborativo tra ANAC-Prefetture-UTG e Enti locali

geom. Daniele Iselle

D. LGT. 102/2014: Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica

22 Lug 2014
22 Luglio 2014

DECRETO LEGISLATIVO 4 luglio 2014, n. 102 

Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE. (14G00113) (GU Serie Generale n.165 del 18-7-2014)

Entrata in vigore del provvedimento: 19/07/2014 

Art. 14 Servizi energetici ed altre misure per promuovere l'efficienza energetica 1. I contratti di prestazione energetica stipulati dalla pubblica amministrazione contengono gli elementi minimi di cui all'allegato 8 al presente decreto. 2. All'articolo 4, comma 1 dell'allegato 2 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n 115, dopo la lettera a) e' aggiunta la seguente: «aa) per la prima stipula contrattuale, la riduzione stimata dell'indice di energia primaria per la climatizzazione invernale di almeno il 5 per cento rispetto al corrispondente indice riportato sull'attestato di prestazione energetica, nei tempi concordati tra le parti e, comunque, non oltre il primo anno di vigenza contrattuale;». 3. Le Regioni e le Province Autonome forniscono assistenza tecnica alle pubbliche amministrazioni nella stesura dei contratti di rendimento energetico e rendono disponibili al pubblico informazioni sulle migliori pratiche disponibili nell'attuazione dei suddetti contratti anche con il supporto di ENEA. 4. L'ENEA, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, in collaborazione con le Regioni, integra il contratto-tipo per il miglioramento del rendimento energetico dell'edificio di cui all'articolo 4-ter, comma 3, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, con gli elementi minimi di cui all'allegato 8. 5. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, il Ministro delle infrastrutture e trasporti e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, d'intesa con la Conferenza unificata, sono approvate entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, linee guida per semplificare ed armonizzare le procedure autorizzative per l'installazione in ambito residenziale e terziario di impianti o dispositivi tecnologici per l'efficienza energetica e per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili nonche' per armonizzare le regole sulla attestazione della prestazione energetica degli edifici, i requisiti dei certificatori e il sistema dei controlli e delle sanzioni. Tali linee guida sono finalizzate, in particolare, a favorire: a) la gestione delle procedure autorizzative attraverso portali on-line accessibili da cittadini ed imprese e contenenti altresi' informazioni su vincoli emergenti dalla pianificazione urbanistica territoriale; b) uniformita' e snellimento della documentazione a supporto delle richieste autorizzative; c) applicazione di costi amministrativi o d'istruttoria massimi, tali da non scoraggiare l'installazione di tecnologie efficienti. 6. Nel caso di edifici di nuova costruzione, con una riduzione minima del 20 per cento dell'indice di prestazione energetica previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalita' di cui al medesimo decreto legislativo, lo spessore delle murature esterne, delle tamponature o dei muri portanti, dei solai intermedi e di chiusura superiori ed inferiori, eccedente ai 30 centimetri, fino ad un massimo di ulteriori 30 centimetri per tutte le strutture che racchiudono il volume riscaldato, e fino ad un massimo di 15 centimetri per quelli orizzontali intermedi, non sono considerati nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze, delle superfici e nei rapporti di copertura. Nel rispetto dei predetti limiti e' permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprieta', alle distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario, nonche' alle altezze massime degli edifici. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime riportate nel codice civile. 7. Nel caso di interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti che comportino maggiori spessori delle murature esterne e degli elementi di chiusura superiori ed inferiori necessari ad ottenere una riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalita' di cui al medesimo decreto legislativo, e' permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprieta' e alle distanze minime di protezione del nastro stradale, nella misura massima di 25 centimetri per il maggiore spessore delle pareti verticali esterne, nonche' alle altezze massime degli edifici, nella misura massima di 30 centimetri, per il maggior spessore degli elementi di copertura. La deroga puo' essere esercitata nella misura massima da entrambi gli edifici confinanti. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime riportate nel codice civile.  8. Al comma 9-bis, dell'articolo 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, e successive modificazioni, dopo la lettera c) sono aggiunte le seguenti: «d) si procede alle ristrutturazioni di impianti termici individuali gia' esistenti, siti in stabili plurifamiliari, qualora nella versione iniziale non dispongano gia' di camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione con sbocco sopra il tetto dell'edificio, funzionali e idonei o comunque adeguabili alla applicazione di apparecchi a condensazione; e) vengono installati uno o piu' generatori ibridi compatti, composti almeno da una caldaia a condensazione a gas e da una pompa di calore e dotati di specifica certificazione di prodotto.» 9. II comma 9-ter, dell'articolo 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, e successive modificazioni, e' sostituito da seguente: «9-ter. Per accedere alle deroghe previste al comma 9-bis, e' obbligatorio: i. nei casi di cui alla lettera a), installare generatori di calore a gas a camera stagna il cui rendimento sia superiore a quello previsto all'articolo 4, comma 6, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica, del 2 aprile 2009, n. 59; ii. nei casi di cui alle lettere b), c), e d), installare generatori di calore a gas a condensazione i cui prodotti della combustione abbiano emissioni medie ponderate di ossidi di azoto non superiori a 70 mg/kWh, misurate secondo le norme di prodotto vigenti; iii. nel caso di cui alla lettera e), installare generatori di calore a gas a condensazione i cui prodotti della combustione abbiano emissioni medie ponderate di ossidi di azoto non superiori a 70 mg/kWh, misurate secondo le norme di prodotto vigenti, e pompe di calore il cui rendimento sia superiore a quello previsto all'articolo 4, comma 6, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica, del 2 aprile 2009, n. 59; iv. in tutti i casi, posizionare i terminali di scarico in conformita' alla vigente norma tecnica UNI7129 e successive modifiche e integrazioni.». 10. I provvedimenti di cui all'articolo 4, comma 1 e all'articolo 6, comma 12 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 sono adottati entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, favorendo l'applicazione omogenea su tutto il territorio nazionale di regole semplici per la valutazione della prestazione energetica e l'attestazione della prestazione energetica degli edifici. 11. Ai progetti di efficienza energetica di grandi dimensioni, non inferiori a 35.000 TEP/anno, il cui periodo di riconoscimento dei certificati bianchi termini entro il 2014, e' prorogata la durata degli incentivi per i soli anni 2015 e 2016, a fronte di progetti definiti dallo stesso proponente e previa verifica tesa a valutare in maniera stringente le reali peculiarita' dei progetti e purche' i progetti stessi siano in grado di produrre nuovi risparmi di energia in misura complessivamente equivalente alla soglia minima annua indicata, siano concretamente avviati entro il 31 dicembre 2015 e rispondano a criteri di: collegamento funzionale a nuovi investimenti in impianti energeticamente efficienti installati nel medesimo sito industriale; efficientamento energetico di impianti collegati alla medesima filiera produttiva, anche in siti diversi, avviati nella medesima data; risanamento ambientale nei siti di interesse nazionale di cui all'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; salvaguardia dell'occupazione. 12. E' fatto divieto ai distributori di energia, ai gestori dei sistemi di distribuzione e alle societa' di vendita di energia al dettaglio, di tenere comportamenti volti ad ostacolare lo sviluppo del mercato dei servizi energetici e ad impedire la richiesta e la prestazione di servizi energetici o altre misure di miglioramento dell'efficienza energetica, compresa la preclusione dell'accesso al mercato per i concorrenti o l'abuso di posizione dominante. 
geom. Daniele Iselle
D_LGT_102-2014

Quando l’omissione dell’avviso di avvio del procedimento rende illegittimo il provvedimento finale

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

Anche di questa questione si occupa la sentenza del Consiglio di Stato n.  3508 del 2014.

Si legge nella sentenza: "la giurisprudenza ha sempre affermato che la violazione dell'art. 7, l. n. 241 del 1990 non produce ex se l'illegittimità del provvedimento terminale, dovendo la disposizione essere interpretata alla luce del successivo art. 21 octies, comma 2, che impone al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento, e quindi di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo.

Il privato pertanto non può limitarsi a dolersi della mera circostanza della mancata comunicazione di avvio, ma deve anche indicare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Ne consegue che, ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile per assoluta genericità (cfr Consiglio Stato, sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3786; idem sez. V, 19 marzo 2007, n. 1307).
Nel caso poi, il Comune aveva più volte rappresentato alla società ricorrente l’esigenza di produrre un titolo idoneo a provare i proprio diritti reali sull’accesso sia nel 2007 che nel 2008, per cui nella specie non può riscontrarsi alcun difetto sostanziale di contraddittorio".

Dario Meneguzzo - avvocato

CdS n. 3508 del 2014

Per il Consiglio di Stato non si può rilasciare il permesso di costruire se il fondo è intercluso

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

In data 18 luglio abbiamo pubblicato un post relativo alla possibilità di rilasciare un titolo edilizio per un fondo intercluso.

Nel post si dava conto della sentenza del TAR Veneto n.  37 del 2011 sul tema.

L'avv. Paola Mistrorigo, che sentitamente ringraziamo, ci ha segnalato la sentenza del Consiglio di Stato n.  3508 del 2014, che ha riformato la suddetta sentenza del TAR Veneto.

Si legge nella sentenza: "In linea teorica è esatto il richiamo della sentenza appellata all’orientamento giurisprudenziale per cui il rilascio del permesso di costruire avviene nell'ambito del rapporto pubblicistico, e non si estende ai rapporti tra privati, in quanto la lesione di diritti dei terzi non discende direttamente dal rilascio del titolo, ma solo dalla fisica realizzazione dell’opera contro la quale può chiedersi tutela davanti al giudice civile (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332). 

In quanto atto amministrativo che legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico, il permesso non attribuisce però alcun diritto soggettivo alla stregua del diritto comune a favore di tale soggetto. La rilevanza giuridica della licenza edilizia va circoscritta infatti ai rapporti tra p.a. e costruttore ed ai possibili riflessi sulle correlate posizioni di interesse legittimo dei terzi, ma comunque presuppone pur sempre il necessario ed ineludibile possesso dei titoli proprietari da parte del richiedente .
Il primo comma dell’art. 11, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, infatti, prevede espressamente che il permesso di costruire è “rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”. La legge specificamente impone, tra i requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli reali per poter intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 07 settembre 2009 , n. 5223; Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2007 n.4703; idem 7 luglio 2005 n.3730).
Certamente deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile,ovvero a ricercare le limitazioni negoziali al diritto di costruire (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332).
Tuttavia, secondo le regole generali, l'Amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 6, I° co. lett. a) della L. n. 241/1990 e s.m.i. deve verificare “…le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti rilevanti …” per l’adozione del provvedimento finale.
La proprietà, o comunque il possesso dei titoli civilisticamente idonei a legittimare la situazione giuridica del richiedente, per tutte le aree direttamente interessate dall’intervento, costituisce dunque un requisito di legittimazione dell’istanza che deve essere procedimentalmente dimostrato ai fini dell’ammissibilità stessa della domanda.
I titoli per l'esercizio dello "ius aedificandi" costituiscono un presupposto legale la cui mancanza impedisce infatti all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 12 maggio 2003, n. 2506).
Nel caso, quindi, l’interclusione del fondo oggetto della richiesta di intervento non attiene ai generici rapporti civilistici del richiedente con i terzi alle quali l’amministrazione è del tutto estranea -- come erroneamente affermato dal TAR -- ma invece concerne propriamente un presupposto necessario di legittimazione della società richiedente, ai sensi del cit. art. 11. primo co. del d.lgs. n.380, la quale avrebbe quindi dovuto allegare all’istanza tutti i titoli di servitù di transito veicolare sulla proprietà altrui.
Il difetto del possesso dei titoli reali relativi ai diritti di passaggio veicolare attraverso il cortile altrui costituisce un elemento procedimentalmente ostativo, per il quale legittimamente si nega il rilascio del permesso di costruire". 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3508 del 2014

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