La variante ad impianto di recupero rifiuti esistente corrisponde alla sua creazione ex novo

17 Lug 2014
17 Luglio 2014

 Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 10 luglio 2014 n. 1007 chiarisce che l’art. 16 della L. R. n. 11/2010 – secondo cui “1. Ai fini dell’adozione del Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, di cui all’articolo 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” e all’articolo 11 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 “Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti”, la Giunta regionale è autorizzata a compiere studi ed analisi dei fabbisogni e della qualità dei rifiuti prodotti e per la definizione dei criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento, anche avvalendosi di tecnici ed esperti esterni.  2. Nelle more dell’approvazione del Piano di cui al comma 1, non possono essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, né concesse autorizzazioni all’esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in assenza di una deliberazione del consiglio provinciale competente per il territorio, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, che accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento prescritto dall’articolo 11, commi 1 e 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 e dall’articolo 199, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.  3. Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo, quantificati in euro 10.000,00 per l’esercizio finanziario 2010, si fa fronte con le risorse allocate all’upb U0029 “Attività di supporto al ciclo della programmazione” del bilancio di previsione 2010” – si applica anche alle “varianti sostanziali” degli impianti di recuperi dei rifiuti già esistenti che, in sostanza, vengono equiparati alla realizzazione dei nuovi impianti.

 Nel caso di specie, l’impianto era stato modificato in modo tale da permettere lo smaltimento/stoccaggio di alcuni rifiuti originariamente non trattati.

 A tal fine si legge che: “Con il quarto motivo di ricorso viene contestata la violazione della legge regionale numero 11 del 2010 laddove prevede che nelle more dell'approvazione del piano regionale non possono essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti nè concesse autorizzazioni all'esercizio di nuovi impianti di smaltimento in assenza di una deliberazione del Consiglio provinciale che accerti l'indispensabilità degli impianti, laddove la Giunta regionale avrebbe autorizzato una modifica sostanziale del progetto originario.

Osserva la difesa regionale come il provvedimento contestato dal Comune riguardi un impianto già esistente e che la deliberazione della Giunta che ha dettato i criteri applicativi della legge - 23 marzo 2010, numero 1210 - ha escluso dall'applicazione dell'articolo 16 le modifiche relative a impianti già esistenti e agli adeguamenti tecnici migliorativi:

A .realizzazione di interventi di ampliamento di impianti esistenti autorizzati allo smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non, in termini di potenzialità, superficie e modifiche gestionali;

B. adeguamenti tecnici migliorativi sotto il profilo gestionale (quali ad esempio il cosiddetto revamping).

Il Collegio ritiene invece che la previsione legittimante l'intervento debba essere letta con stretta interpretazione, senza possibilità di considerazioni estensive, autorizzandosi interventi nelle more dell'adozione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali.

E dunque laddove si parla di interventi di ampliamento in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali non possono essere consentiti interventi di ampliamento che attengano alla integrazione dell'elenco dei codici dei rifiuti attualmente ammessi, per potere far fronte alle mutate richieste di mercato, procedendosi anche all'attuazione delle procedure di recupero dei rifiuti, i quali risultano provenienti anche da aree esterne all'ambito lagunare e al sito di interesse nazionale di porto Marghera ( confronta sub. A descrizione dell'intervento a pagina tre dell’allegato alla delibera giuntale impugnata).

La disposizione legittimante evidentemente consente interventi di ampliamento in termini di potenzialità, relativa alle medesime tipologie di rifiuti già autorizzate, per una superficie più ampia e con modifiche gestionali più moderne (e infatti si parla di miglioramento e ammodernamento degli impianti con l'introduzione di nuove tecnologie al fine di ottimizzare processi), ma non di consentire una significativa modifica del numero di codici autorizzati e di operazioni autorizzate, quali la messa in riserva e il recupero di inerti tramite triturazione o vagliatura.

A tale proposito in sede di discussione la difesa della società controinteressata ha rammentato come molti dei codici collegati a rifiuti siano in realtà accorpabili in altri con una significativa diminuzione del numero di 50 nuovi codici riportati a pagina 49 della delibera impugnata nella tabella sinottica di descrizione delle modifiche fra stato di fatto e stato di progetto; ma ciò non è sufficiente a considerare l’intervento richiesto, per le modalità indicate, come mero adeguamento dell'impianto esistente, traducendosi invece nella realizzazione di un nuovo impianto per legittimare la realizzazione del quale risultava necessaria una esplicita delibera provinciale, la quale non è certamente evincibile – o assorbita- nel parere sfavorevole espresso dal rappresentante della Provincia che avrebbe taciuto rispetto all'accertamento degli indispensabilità degli impianti in ragione dell'osservanza del principio di prossimità, vale a dire proprio su quella valutazione di indispensabilità richiesta dall'articolo 16 della legge regionale del Veneto (confronta pagina 17 della memoria di costituzione dell'amministrazione regionale).

L’aggiornamento e ammodernamento tecnologico dell'impianto, vale a dire il revamping in senso stretto, non può essere richiamato sic et simpliciter nel caso in cui siano modificati significativamente il numero di rifiuti trattati, le modalità di trattamento e anche capacità produttiva e quantità stoccabili, laddove le stesse risultino significativamente diverse da quelle originariamente autorizzate.( 180000t/a di rifiuti trattati ( 120000) e in deposito (60000), con capacità massima raddoppiata fino a 12000 t., a fronte di 726 t/giorno dell’autorizzato)

Pare utile sul punto riportare quanto la sezione ha affermato nella sentenza n. 137 del 5 febbraio 2013: “si dovrebbe comunque definire il medesimo come comportante una variante sostanziale al progetto originario in quanto tale assoggettabile alla medesima disciplina applicabile ai nuovi impianti ai sensi dell’art. 208, comma 19, del Dlgs. n. 152 del 2006, per il quale le procedure di autorizzazione di nuovi impianti si applicano anche per la realizzazione di varianti sostanziali a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata.

Da quanto premesso, discende che il progetto ricade tra quelli assoggettati alla disciplina dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, e che non può quindi essere autorizzato senza una deliberazione del consiglio provinciale competente per territorio che, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento”.

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1007 del 2014

S.O.S. tecnico: le opere di miglioramento fondiario possono ottenere la compatibilità paesaggistica?

16 Lug 2014
16 Luglio 2014

Un tecnico comunale (che ringraziamo sentitamente per la segnalazione)  chiede se per le opere abusive di miglioramento fondiario e/o di sistemazione agraria (per esempio terrazzamenti con “masiere” o modellature collinari)  sia possibile ottenere l’accertamento di compatibilità dal punto di vista paesaggistico, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’articolo 167 del decreto legislativo 42/2004.

La Soprintendenza sembra ritenere (se capiamo bene) che non si possa concedere la sanatoria, perché non trattasi di opere edilizie che incidono su manufatti o edifici.

A tal proposito si ricorda il tenore dell’art. 181, c. 1 ter, lett. a) del D. Lgs. n. 42/2004, secondo cui: “1-ter. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 167, qualora l'autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.

Tuttavia la posizione della Soprintendenza appare confusa, perché è ben possibile che un’opera abusiva incida su un edificio, senza creare né volumi né superfici, perchè non sembra scritto da nessuna parte che la compatibilità paesaggistica si applichi solo aglio edifici e anche perché bisogna distinguere meglio i concetti.

Per quanto riguarda, infatti, le  opere di sbancamento o di creazione di strade, la giurisprudenza, soprattutto quella penale, sembra aver introdotto un concetto di superficie molto ampio, che non c’entra nulla con la superficie in edilizia. In altre parole, il concetto  ambientale-paesaggistico di superficie utile sarebbe diverso da quello edilizio-urbanistico e comprenderebbe anche opere come le strade (anche in terra battuta) o i piazzali.

In sostanza ogni intervento che modifica e/o incida il profilo paesaggistico, creando una superficie dal punto di vista paesaggistico, non potrebbe ottenere la compatibilità paesaggistica, anche se dal punto di vista edilizio non costituisce nè volume nè superficie utile. 

Ovviamente se interpretata alla lettera tale conclusione porterebbe a negare a priori la quasi totalità delle sanatorie paesaggistiche de quibus.

Voi cosa ne pensate?

Alleghiamo la scambio di corrispondenza tra il Comune e la Soprintendenza.

Corrispondenza

Modalità operative per la gestione e l’utilizzo nel settore delle costruzioni di prodotti ottenuti dal recupero e di rifiuti‏

16 Lug 2014
16 Luglio 2014

Modalità operative per la gestione e l'utilizzo nel settore delle costruzioni di prodotti ottenuti dal recupero e di rifiuti. D.lgs. n. 152/2006 e s.m.i., Parte IV, Titolo I. 

DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. 1060 del 24/06/2014

Link: 

Accordo tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, concernente l’adozione di moduli unificati e semplificati per la presentazione dell’istanza del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) edilizia

16 Lug 2014
16 Luglio 2014

Supplemento ordinario alla “Gazzetta Uffi ciale„ n. 161 del 14 luglio 2014 - Serie generale è stato pubblicato un atto della Conferenza Unificata, contenente l'accordo del  12 giugno 2014: "Accordo tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, concernente l’adozione di moduli unificati e semplifi cati per la presentazione dell’istanza del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) edilizia. Accordo, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lett. c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. (Repertorio atti n. 67/CU)".

In allegato si trova tutta la relativa modulistica.

accordo

Il diritto di accesso è autonomo e quindi più ampio rispetto alla situazione che legittimerebbe un ricorso

15 Lug 2014
15 Luglio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 916 del 2014.

Scrive il TAR: "1. In primo luogo va rilevato come sia possibile respingere, in quanto infondata, l’eccezione dei soggetti controinteressati nella parte in cui hanno rilevato la mancanza di legittimazione attiva e di interesse al ricorso degli attuali ricorrenti.

1.1 L’eccezione è infondata, risultando applicabile quel costante orientamento giurisprudenziale diretto a differenziare l’interesse all’accesso rispetto all’interesse all’impugnativa, ritenendo ammissibile il proponimento di un’istanza di accesso “anche sulla base di un interesse di contenuto tale da non legittimare la proposizione del ricorso giurisdizionale, dovendosi ribadire l'autonomia dell'interesse a chiedere l'ostensione di determinati documenti rispetto a quello che conduce, eventualmente, l'interessato, ad agire in giudizio per la tutela di determinate posizioni giuridiche (T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 06-02-2014, n. 317)”.

1.2 L’esercizio del diritto di accesso non è condizionato all’ammissibilità di un’eventuale azione tesa alla tutela di una determinata posizione giuridica, in quanto la legittimazione al diritto di accesso va riconosciuta in presenza di atti idonei a spiegare, in modo diretto e indiretto, effetti sul ricorrente e, ciò, proprio in ragione dell’autonomia del diritto di accesso rispetto alla situazione soggettiva legittimante un eventuale impugnazione dell’atto.

1.3 Nel caso di specie sussiste la legittimazione del ricorrente che agisce per acquisire elementi utili al prosieguo del contenzioso di cui all’RG 618/2013, avente ad oggetto presunti abusi edilizi, nell’esperimento di un accesso defensionale, strumentale rispetto al ricorso sopra citato, accesso che per un costante orientamento giurisprudenziale viene ritenuto prioritario rispetto alla riservatezza dei soggetti terzi (Tar Emilia Romagna n. 7498/2010).

1.4 Rilevata l’infondatezza dell’eccezione preliminare è possibile esaminare nel merito il ricorso, ritenendolo fondato con riferimento al primo motivo.

2. E’ necessario precisare che il contenuto dell’istanza di accesso evidenzia come quest’ultima sia diretta ad ottenere l’accesso ad eventuali procedimenti volti alla modifica e/o alla revisione al contenuto dei provvedimenti di vincolo sulla tenuta Musella in considerazione dell’unitarietà del complesso vincolato, circostanze queste ultime espressamente menzionate nell’istanza sopracitata.

Detta richiesta veniva motivata, infatti, sulla base di una duplicità di esigenze, in quanto riconducibili all’esistenza del ricorso giurisdizionale, pendente e finalizzato a contestare l’esistenza di presunti abusi edilizi e, nel contempo, proprio in ragione di acquisire elementi utili diretti a evidenziare il tenore “degli interventi posti in essere dai Sig. ri Stevanella all’interno della tenuta medesima”.

2.1 Costituisce ulteriore dato accertato che l’immobile di proprietà degli attuali controinteressati si trova all’interno di un unico comprensorio, circostanza quest’ultima che consente di ritenere, di per sé, erronea l’argomentazione della Soprintendenza nella parte in cui ha ritenuto di respingere l’istanza di cui si tratta in ragione della distanza in linea d’aria (pari a circa 800 metri) tra la costruzione dei ricorrenti e degli attuali controinteressati.

2.2 Si consideri, inoltre, che l’accesso defensionale, in quanto propedeutico alla migliore tutela delle proprie ragioni in giudizio, riceve protezione preminente dall’ordinamento atteso che per espressa previsione normativa (art. 24 L. n. 241/90) e, a sua volta, prevale sull’interessi dei terzi, anche qualora questi ultimi siano finalizzati alla tutela della riservatezza (in questo senso Consiglio di Stato n.783/2011).

Anche questo Tribunale ha avuto modo di precisare che l’interesse ad acquisire conoscenza di provvedimenti utili, a proseguire un ricorso, assume una valenza autonoma e non dipendente dalla sorte del processo principale (TAR Veneto n. 120/2014).

2.3 Si consideri, ancora, come la domanda di accesso, se pure riferita ad una pluralità e genericità di atti, conservava comunque un carattere di complessiva omogeneità e non presentava profili di indeterminatezza, risultando sufficientemente specifica nel momento in cui si riferiva “al contenuto e alle estensione ed alle prescrizioni dei provvedimenti di vincolo sulla tenuta Musella”.

2.4 Non sussistono, come sostenuto dall’Amministrazione resistente, i presupposti per un controllo generalizzato dell’azione amministrativa, in applicazione di quell’orientamento giurisprudenziale in base al quale “la legittimazione all'accesso ai documenti amministrativi (artt. 22 ss. della L. n. 241/1990) deve ritenersi consentita a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti anche nei suoi confronti e il diritto di accesso, purché non diretto a detto controllo generalizzato, può essere esercitato anche indipendentemente dall'esistenza di una lesione immediata della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non emulativo, a conoscere gli atti già posti in essere e a partecipare alla formazione di quelli successivi (Cons. Stato Sez. V, 30-08-2013, n. 4321 e T.a.r. Lazio - Roma, sez. I ter, n. 7050/2012)”.

2.5 Al fine di respingere un’ulteriore argomentazione dell’Amministrazione resistente va rilevato come altrettanto recenti pronunce (Cons. Stato Sez. III, 28-11-2011, n. 6276) hanno sancito l’ammissibilità del diritto di accesso esperito e riferito ad atti endoprocedimentali in pendenza del relativo procedimento".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 916 del 2014

I condomini non sono controinteressati nel caso di impugnazione da parte di un condomino di un diniego di sopraelevazione

15 Lug 2014
15 Luglio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 918 del 2014 esclude che, qualora un condomino impugni il diniego del rilascio di un titolo edilizio che egli aveva chiesto, gli altri condomini siamo controinteressati, ad almeno uno dei quali sia necessario notificare il ricorso a pena di inammissibilità dello stesso.

Si legge nella sentenza: "1. In primo luogo è necessario rilevare l’infondatezza dell’eccezione preliminare proposta dal Comune di Chioggia nella parte in cui rileva l’inammissibilità del ricorso in quanto non notificato ad almeno un controinteressato.

1.1 Sul punto va considerato come costituisca orientamento consolidato (per tutti Cons. Stato Sez. V, 27-03-2013, n. 1755) che ai fini di individuare l’esistenza di un onere di notifica, previsto dall'art. 41, co. 2 del Codice del processo Amministrativo, è necessaria la sussistenza di un profilo sostanziale costituito dall'essere il terzo portatore di un  interesse qualificato analogo e contrario a quello che legittima la posizione del ricorrente. In altri termini, la posizione di controinteressato spetta a coloro che abbiano un interesse qualificato alla conservazione dell'assetto giuridico recato dall'atto impugnato o dalla vicenda controversa, e non già a chi è portatore di un interesse comune alla rimozione dell'atto ovvero all'ottenimento di una pronuncia giurisdizionale che possa giovare anche alla propria posizione (Parziale riforma della sentenza del T.a.r. Puglia - Bari, sez. I, n. 919/2011).

1.2 Applicando detti principi al caso di specie non si vede come possa sussistere un interesse qualificato dei proprietari del condominio del palazzo da innalzare e, ciò, considerando come con il presente ricorso si è impugnato un provvedimento di diniego di permesso di costruire e non certo un provvedimento edilizio abilitativo, diretto ad autorizzare le opere pur richieste nell’originaria istanza. 

1.3 L’eventuale annullamento dell’atto impugnato ha l’effetto di determinare l’espunzione di quest’ultimo dall’ordinamento giuridico,
con conseguente obbligo dell’Amministrazione di ripronunciarsi, senza determinare l’automatica emanazione di un provvedimento
autorizzatorio, quest’ultimo suscettibile di ledere, quanto meno in astratto, la posizione giuridica dei proprietari limitrofi e confinanti".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 918 del 2014

I commi 2 e 3 dell’art. 9 del D.M. 1444 del 1968 si riferiscono solo alle zone C

15 Lug 2014
15 Luglio 2014

I commi 2 e 3 dell'articolo 9 del D.M. 1444 del 1968 stabiliscono quanto segue:

"Le distanze minime tra fabbricati -tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti)- debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

- ml 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml 7;  

- ml 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml 7 e ml 15;                        

- ml 10,00 per lato, per strade di larghezza superiore a ml 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con
previsioni planovolumetriche".

La sentenza del TAR Veneto n. 918 del 2014 ribadisce che tali commi si applicano solo alle zone C: "Come ha già avuto modo di precisare questo Tribunale (T.A.R. Veneto Sez. II, Sent., 20-03-2014, n. 364) “i comma 2 e 3 dell'art. 9 si riferiscono esclusivamente alle zone urbanistiche contrassegnate come zone "C)", fattispecie pertanto estranea ai manufatti, come quello in esame, che rientra nell'ambito delle zone classificate come "B)".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 918 del 2014

Le sanzioni per il ritardato pagamento delle rate del contributo di concessione

14 Lug 2014
14 Luglio 2014

La interessante sentenza del TAR Veneto n. 879 del 2014  puntualizza alcuni punti della annosa questione delle sanzioni da applicare nel caso di ritardato versamento delle rate del contributo di concessione.

Scrive il TAR: "Con il ricorso in oggetto e per i motivi in esso dedotti parte istante denuncia, sotto diversi profili, il provvedimento impugnato, con il quale l’amministrazione intimata ha provveduto a dare comunicazione dell’ammontare dell’importo dovuto per il mancato versamento, nei termini previsti, della seconda e terza rata del costo di costruzione e  della seconda e terza rata degli oneri di urbanizzazione, relativi al permesso di costruire n. 92/10, ingiungendone il relativo pagamento. .. la medesima amministrazione, a fronte dell’oggettiva inosservanza dei termini previsti in occasione del rilascio del permesso di costruire per effettuare il versamento della seconda e terza rata degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, ha provveduto ad inoltrare alla ricorrente la comunicazione qui contestata, applicando la maggiorazione prevista ai sensi dell’art. 81 della L.r. 61/85, ossia ingiungendo il pagamento delle somme dovute maggiorate nella percentuale di 4/3.  I motivi dedotti in ricorso si rivolgono a contestare sia la pretesa dell’amministrazione, a fronte della volontà manifestata di ridurre l’entità dell’intervento originariamente assentito, sia il computo delle somme dovute a titolo di sanzione per ritardato pagamento, invocando l’applicazione dei criteri dettati dall’art. 42 del D.P.R. 380/01.  Quanto alla mancata escussione della fideiussione, il Collegio, pur dando atto dei diversi orientamenti espressi riguardo all’obbligo da parte delle amministrazione di escutere la fideiussione rilasciata a prima richiesta, non può non osservare come, nello specifico caso in oggetto, il comportamento del Comune sia stato determinato proprio dall’intenzione manifestata dalla ricorrente di apportare una variante, di modo che, proprio nell’ambito dei rapporti di correttezza tra debitore e creditore, ha ritenuto di non procedere immediatamente all’escussione della fideiussione. Per tali ragioni quindi, il ricorso deve essere respinto con riferimento a tutti i profili che ineriscono la legittimità della pretesa avanzata dall’amministrazione in conseguenza dei ritardati versamenti. A diverse conclusioni è invece possibile giungere con riguardo all’ultimo motivo, con il quale è stato contestato il computo delle somme dovute a titolo di sanzione per il ritardo. In ordine a tale profilo il Collegio ritiene di poter confermare e ribadire anche nel caso di specie l’orientamento già manifestato in fattispecie analoga, circa la diretta applicabilità dei criteri di computo dettati dall’art. 42 del D.P.R. 380/01 (cfr. T.A.R Veneto, II, n. 648/2012). Coerentemente con l’indirizzo richiamato, va dichiarata l’incompatibilità dell’art. 81 della L.r. 61/85 con l’art. 42 del D.P.R. 380/01, laddove il primo articolo prevede, per il caso di ritardo oltre 180 giorni, una sanzione pari ai 4/3 del contributo di costruzione, la quale è superiore al limite massimo entro il quale alla Regione è consentito di stabilirne l’importo (pari al doppio del 40% del contributo di costruzione).  In applicazione dei principi generali, atteso che ai sensi dell’art. 10 della legge n. 62/1953, le leggi regionali possono essere abrogate, oltre che da leggi regionali sopravenute, anche per effetto di normative statali sopravvenute recanti norme di principio rispetto alle quali la previgente normativa regionale risulti incompatibile, ne discende che nella specie, non essendo la Regione intervenuta a disciplinare la materia, possa trovare diretta applicazione il disposto normativo dettato dalla disciplina statale, di modo che la sanzione deve essere calcolata nei termini dettati dall’art. 42, lettera c) del D.P.R. 380/01. Conseguentemente, in accoglimento parziale del presente ricorso, il provvedimento impugnato va annullato nella parte in cui stabilisce ed ingiunge alla ricorrente il pagamento di una sanzione d’importo superiore a quello determinabile sulla base dell’art. 42, lettera c) del D.P.R. 380/01".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 879 del 2014

Quando viene presentata una DIA/SCIA il Comune non può creare risposte diverse dal “modello legale” disciplinato dall’art. 23, comma 6, del t.u. dell’edilizia

14 Lug 2014
14 Luglio 2014

L'opportuno insegnamento è contenuto nella sentenza del TAR Veneto n. 760 del 2014. Il Comune, infatti aveva disposto la "sospensione" dell'atto, concedendo un termine per eventuali integrazioni e preannunciando eventuali futuri dinieghi.

Il TAR censura il Comune: "Il ricorso deduce il seguente primo motivo, che il Collegio ritiene fondato e assorbente: 1) Violazione dell’art. 23, comma 6, del t.u. approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380. Violazione dei principi di tipicità e nominatività degli atti amministrativi; nell’assunto che tutti gli atti emessi dal Comune di Arcugnano sarebbero stati emessi in violazione del “modello legale” disciplinato dall’art. 23, comma 6, del t.u. dell’edilizia. Osserva il Collegio che la norma richiamata in effetti dispone che : “6. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza. E' comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni  necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia. “ Il tenore letterale della legge è chiarissimo e non lascia spazio ad ambiguità interpretative di sorta: l’unico provvedimento che l’Amministrazione può (e deve) assumere a seguito della presentazione di una d.i.a., allorché ritenga che non sussistano le condizioni per l’esecuzione dei lavori, è l’“ordine motivato di non effettuare il previsto intervento”, che deve intervenire entro il termine di legge dei 30 giorni e che, ovviamente, non preclude la facoltà della parte di ripresentare la DIA, modificata o integrata anche nel modo eventualmente suggerito dal Comune. Invece l’atto del 27.2.2014, nonostante gli erculei sforzi “interpretativi” della difesa comunale, non può essere in alcun modo ricondotto al provvedimento tipico previsto dalla legge, proprio perché risulta finalizzato a realizzare una del tutto atipica “sospensione della denuncia di attività” , dando termine per la presentazione di integrazioni ( che, tra l’altro, non è nemmeno chiaramente comprensibile come potessero ritenersi “richieste”) e preannunciando una futura (ed eventuale) emissione del provvedimento di diniego. E’ evidente che già con questo atto il Comune si è posto del tutto al di fuori del procedimento tipico previsto dalla legge! Quindi, la logica conseguenza di questo primo macroscopico errore comunale è che non si è potuto avverare alcun effetto “sospensivo” e basta questo a dimostrare che il provvedimento “tipico”, che è quello che è finalmente intervenuto in data 1 aprile 2014, deve ritenersi palesemente tardivo! Né tale atto può in alcun modo essere salvato mediante l’escamotage di ritenere che la integrazione documentale depositata in data 3.3.2014 costituisse nuova  DIA ( come pure argomentano le difese comunali) e che, rispetto a tale data, il provvedimento inibitorio fosse intervenuto in termine; infatti con tale atto il Comune afferma chiaramente, espressis verbis, che intende inibire l’intervento di cui alla DIA del 22.2.14 e, anche dalla nota di riscontro del 10.3.2014, si evince in maniera evidente che il Comune non ha inteso affatto la succitata integrazione documentale come una nuova DIA, ma ha semplicemente preteso di far decorrere ex novo i termini ritenendo che la stessa integrasse un nuovo progetto. E’ evidente che l’intero iter procedimentale ha completamente stravolto le previsioni normative inerenti la DIA, con la conseguente palese fondatezza del primo motivo di ricorso, che è anche palesemente assorbente rispetto a tutti gli altri motivi e comporta l’accoglimento del ricorso con il conseguente annullamento degli atti comunali impugnati".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 760 del 2014

Sul termine per il deposito del ricorso (e dell’integrazione del contraddittorio) in materia di espropri

14 Lug 2014
14 Luglio 2014

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 784 del 2014 per alcune questioni processuali in materia di esproprio.

La sentenza  ricorda che i termini per il deposito del ricorso presso la segretaria del TAR sono dimezzati e che questo vale anche per l'atto con cui si integra il contraddittorio a seguito dell'ordine del TAR.

L'omesso deposito in termini dell'atto di integrazione del contraddittorio rende il ricorso improcedibile.

 Per l'integrazione del contraddittorio si veda l'art. 49 c.3 del d.lgs 104/2010: "Il giudice, nell'ordinare l'integrazione del contraddittorio, fissa il relativo termine, indicando le parti cui il ricorso deve essere notificato. Può autorizzare, se ne ricorrono i presupposti, la notificazione per pubblici proclami prescrivendone le modalità. Se l'atto di integrazione del contraddittorio non è tempestivamente notificato e depositato, il giudice provvede ai sensi dell'articolo 35".

Il termine è dimidiato ai sensi dell’art. 119 c.p.a.,

L'articolo 35 prevede che nel caso in esame il ricorso venga dichiarato improcedibile.

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 784 del 2014

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