Il garage con le ruote è un abuso edilizio e non una pertinenza non autonomamente utilizzabile

31 Lug 2014
31 Luglio 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 3952 del 2014 ha dato ragione al Comune di Piove di Sacco in merito alla demolizione di un garage con le ruote, in quanto opera abusiva e non una pertinenza non autonomamente utilizzabile. In precedenza, invece, il TAR Veneto, con al sentenza n. 696 del 2003, aveva dato ragione al resistente, mentre la Procura aveva ordinato la demolizione del garage.

Dice il Consiglio di Stato: "8.- Va osservato preliminarmente che con la impugnata sentenza il T.A.R. ha accolto il ricorso dei signori Adriano Benettello e Maria Boaretto contro l’ordine di demolizione del manufatto di circa mq. 33 realizzato, in assenza di concessione edilizia, sulla loro proprietà, ad uso garage con struttura in lamiera e montato su ruote non portanti, nell’assunto che, pur essendo condivisibili le considerazioni del Comune sulla natura non precaria del manufatto, tuttavia, rilevate le sue dimensioni in rapporto a quelle dell’edificio principale, esso era inquadrabile come opera pertinenziale ex art. 76 della l.r. del Veneto n. 61 del 1985 (avendo una cubatura non superiore ad un terzo di quelle dell’edificio principale), limitrofo all’opera principale e destinato durevolmente al
suo servizio, quindi soggetto non a concessione edilizia, ma a regime autorizzatorio, con diverso regime sanzionatorio.

9.- Al riguardo, con il secondo motivo di appello, il Comune ha dedotto che il garage in questione, costruito in violazione delle distanze dai confini, non può essere considerato, contrariamente a quanto dedotto dagli originari ricorrenti, come pertinenza non autonomamente realizzabile e quindi, ai sensi dell’art. 76, punto 1, lettera a) della l.r. del Veneto n. 61 del 1985, sarebbe soggetta solo ad autorizzazione e sanzionabile ex art. 94 della stessa legge.

Infatti, posto che ha natura di pertinenza, soggetta ad autorizzazione edilizia ex art. 7 della l. n. 94/1982, l’opera che, pur conservando una propria individualità ed autonomia, è posta in durevole e funzionale rapporto di subordinazione con altra preesistente, per rendere più agevole l’uso o aumentarne il decoro, il manufatto di cui trattasi non si potrebbe considerare tale e sarebbe, invece, soggetto ratione temporis al regime delle concessioni edilizie, perché di nuova costruzione ed inserito in un contesto residenziale già definito, destinato a rimessa per auto e suscettibile di autonomi atti di disposizione, nonché valutabile autonomamente in termini di cubatura, non precario e con autonomo valore di mercato.

10.- Va rilevato in proposito che l’art. 7, comma 2, lettera a), del d.l. n. 9 del 1982, conv. in l. n. 94 del 1982, all’epoca vigente,
stabiliva che erano “soggette ad autorizzazione gratuita, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, e non
sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497: a) le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti…”.

A sua volta l’art. 76, comma 1, lettera a), della l.r. Veneto n. 61 del 1985 stabiliva che “L'esecuzione degli interventi di trasformazione
urbanistica e/o edilizia degli immobili è soggetta al rilascio di: 1)  un' autorizzazione gratuita per: a) le opere, costituenti pertinenze non autonomamente utilizzabili o impianti tecnologici per edifici già esistenti, la cui cubatura non superi comunque un terzo di quella
dell'edificio principale…”. 

E stata quindi introdotta dalla legge regionale un ulteriore presupposto per la qualificazione di un manufatto come pertinenza, atteso che esso, oltre che non essere autonomamente utilizzabile ovvero costituire un impianto tecnologico al servizio di manufatti già realizzati, comunque non può essere considerato tale nell’ipotesi in cui la sua cubatura superi di un terzo quella dell’edificio principale.

La tesi fatta propria dal T.A.R., secondo il quale l’opera in questione andrebbe considerabile come pertinenza in quanto aveva una cubatura non superiore ad un terzo di quella dell’edificio principale, era limitrofa all’opera principale e destinata durevolmente al suo servizio, è ad  avviso del Collegio erronea, come dedotto dal Comune appellante.

Il criterio del mancato superamento di un terzo della volumetria  rispetto a quella dell’edificio principale va considerato aggiuntivo
rispetto ai criteri fissati dalla legge statale.

Contrariamente a quanto rilevato dal TAR, nella specie rileva il fatto che il manufatto in questione, per le sue caratteristiche, non presenta le caratteristiche che la giurisprudenza ha precisato per qualificare un manufatto come pertinenza edilizia.

Nella materia edilizia, la nozione di pertinenza ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica.

Si deve infatti trattare di un'opera preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato e dotata di un volume minimo; inoltre la nozione di pertinenza, rilevante ai fini dell'autorizzazione, deve essere interpretata in modo compatibile con i principi della materia, di talché non è, quindi, possibile consentire la realizzazione di opere di rilevante consistenza solo perché destinate, dal proprietario, al servizio ed ornamento del bene principale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16 aprile 2014, n. 1953).

La qualifica di pertinenza urbanistica è quindi applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (Cons. St., Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615).

Nel condividere tali orientamenti, il Collegio ritiene di precisare che nell’ordinamento statale vi è il principio generale per il quale - per
ogni nuova volumetria – occorreva ratione temporis il rilascio della concessione edilizia così come ora occorre il rilascio del permesso di costruire (o del titolo avente efficacia equivalente), quando di tratti di una ‘nuova costruzione’.

Manca la natura pertinenziale – ai fini edilizi – quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio.

A tali fini, la natura pertinenziale è ravvisabile solo quando si tratti di opere che:

- non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati;

- comportino un nuovo e modesto volume ‘tecnico’ (così come definito ai fini urbanistici, fermo restando che anche i volumi tecnici, per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, mantengono rilievo ai fini paesaggistici, dovendosi essi considerare ai fini dell’applicazione del divieto di rilascio di autorizzazioni in sanatoria, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Codice n. 42 del 2004: cfr. Sez. VI, 26 marzo 2013, n. 1671; Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578);

- siano in ogni caso sfornite di un ‘autonomo valore di mercato’ e non comportino alcun consumo di suolo o carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1953; Cons. St., Sez. V, 31 dicembre 2008, n. 6756; Sez. V, 13 giugno 2006, n. 3490).

In conclusione può ritenersi che non costituisca pertinenza un garage, comportante nuova volumetria, costruito a ridosso di una abitazione, qualsiasi siano le sue modalità di realizzazione.."

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 3952 del 2014

Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli asili nido

31 Lug 2014
31 Luglio 2014

Pubblichiamo il Decreto del Ministero dell'Interno   16 luglio 2014 Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli asili nido.

Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli asili nido

Come deve essere motivato un parere negativo in materia di condono edilizio?

30 Lug 2014
30 Luglio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 922 del 2014 dichiara illegittimo un parere negativo della Commissione di Salvaguardia di Venezia  per difetto di motivazione: "Detti ricorsi possono essere accolti, ritenendo fondato il motivo relativo all’asserita esistenza di un difetto di motivazione (primo motivo del ricorso RG 306/97 e terzo del ricorso RG 2201/98).

3.1 La Commissione di Salvaguardia, nell’ambito di un procedimento di sanatoria, ha ritenuto di fondare il suo parere negativo, rinviando a quanto in precedenza previsto con riferimento ai pareri negativi del 1985 (peraltro annullato da questo Tribunale per carenza di motivazione) e al vincolo del 1988 (quest’ultimo confermato da una pronuncia di secondo grado), riferiti entrambi ad istanze di autorizzazione per manufatti poi effettivamente realizzati. 

3.2 Ciò premesso è evidente l’illegittimità del parere (e quindi per illegittimità derivata anche del successivo diniego) nel momento in cui la Commissione di Salvaguardia, lungi da esprimere una qualche e autonoma valutazione di incompatibilità con riferimento al
procedimento di sanatoria, si è limita a rinviare, in modo del tutto apodittico, alle precedenti valutazioni poste in essere dalla stessa
Commissione.

3.3 Si consideri, ancora, che i pareri menzionati erano riferiti non ad analoghi procedimenti di condono, bensì a procedimenti di
autorizzazione dei titoli edilizi, nell’ambito dei quali la Commissione di Salvaguardia aveva espresso un giudizio di non compatibilità del progetto che, nel contempo, era stato già realizzato.

3.4 E’, altresì, noto che nell’ipotesi di un’istanza di condono di cui alla L. n. 47/1985 l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo ha l’onere di valutare, in considerazione della specialità e dell’eccezionalità della disciplina del condono, i profili di compatibilità sopra citati che, in quanto tali, devono tenere conto della circostanza che l’opera è stata realizzata e, ancora, dell’esistenza di un interesse del privato al mantenimento dell’opera di cui si tratta.

3.5 Detto principio è applicabile soprattutto nel caso di specie dove la richiesta di sanatoria era riferita non già ad un’opera eseguita in assenza di preventiva concessione, quanto in ragione di un titolo abilitativo poi successivamente annullato.

3.6 Infatti, in relazione a provvedimenti negativi in materia di nulla osta paesaggistico, pur ritenendosi sufficiente una motivazione circoscritta alla situazione di incompatibilità, sussiste comunque l’onere dell’Amministrazione di motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all'esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali le opere edilizie considerate non si ritengono adeguate alle caratteristiche ambientali protette (in questo senso si veda Cons. Stato, VI, 8 maggio 2008, n. 2111 e T.A.R. Salerno sez. I del 20/06/2012 n. 1236).

3.7 Ne consegue che conformemente agli orientamenti sopra citati deve ritenersi illegittimo, nell'ambito della procedura di sanatoria, il parere negativo espresso ai sensi dell'art. 32 della L. n. 47 del 1985, nella parte in cui non contiene una specifica motivazione in ordine al pregiudizio che all'interesse pubblico deriverebbe dall'intervento stesso. E’, altrettanto, evidente che pur non spingendosi l'onere motivazionale fino al punto dell'indicazione di prescrizioni tali da rendere l'intervento edilizio assentibile, il provvedimento di diniego deve rendere intelligibili all'interessato le ragioni del ritenuto contrasto dell'opera con il paesaggio circostante, così da consentire, se del caso, l'adozione di eventuali accorgimenti volti a consentirne il recupero della compatibilità ambientale e paesaggistica.

3.8 Si consideri, ancora, che anche laddove risultasse insistente sull’area un vincolo di inedificabilità assoluto, e risultasse applicabile l’art. 33 della L. n. 47/1985 (circostanza che comunque non è possibile evincere dal parere impugnato) è stato affermato che “nondimeno in caso di vincolo successivo (come nel caso di specie), il parere negativo al rilascio della sanatoria non può ritenersi atto vincolato, da adottarsi in via automatica solo per effetto dell'esistenza del vincolo di inedificabilità, dovendo la Soprintendenza svolgere i necessari accertamenti in concreto per valutare la compatibilità del manufatto con il  provvedimento di vincolo. In altre parole, in caso di vincolo sopravvenuto, l'accertamento della Soprintendenza deve essere concreto ed approfondito e nella motivazione dell'atto devono essere puntualmente indicate le ragioni per le quali la conservazione dell'intervento (conseguente al rilascio della sanatoria) sia incompatibile con i valori tutelati” (T.A.R. Lazio sez. II del 05/02/2009 n. 1212).

4. Detto difetto di motivazione deve ritenersi sussistente, sia per quanto concerne il parere negativo della Commissione di Salvaguardia sia, ancora, per quanto riguarda – e per illegittimità derivata - l’impugnazione proposta avverso il provvedimento definitivo di diniego del 13 Maggio 1998 (RG 2201/98) che, in quanto tale, fa proprie le conclusioni del provvedimento obbligatorio e vincolante sopra citato".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 922 del 2014

Saremo costretti a rimpiangere il bicameralismo perfetto?

30 Lug 2014
30 Luglio 2014

Vale la pena di leggere questa notizia, per capire quali leggi strampalate stiano facendo sul processo amministrativo: http://www.lexitalia.it/p/2014/ricorsodimensionato.htm

Il processo amministrativo è bistrattato da molti anni. Ci sarebbero molte cose da scrivere, ma qualcuno magari direbbe che vogliamo difendere chissà quali privilegi e non il diritto dei cittadini e delle imprese di far valere i propri diritti.

Facciano dunque i nostri legislatori. Ma bisognerebbe almeno che non scadessero nel ridicolo, come in quello che si legge in quel link.

Nel contempo viene però da pensare che forse il legislatore costituente aveva visto giusto prevedendo un bicameralismo perfetto, che avrà anche rallentato il nostro sistema, ma che in tante occasioni ha  permesso di rimediare a sciocchezze come questa. 

Avvocato Giovanni Sala (Vicenza)

Il parere obbligatorio e vincolante è un atto immediatamente impugnabile anche se endoprocedimentale?

30 Lug 2014
30 Luglio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 922 del 2014: "2. Con riferimento al ricorso RG 306/1997 è necessario esaminare l’eccezione preliminare proposta dall’Amministrazione comunale diretta a rilevare l’inammissibilità del ricorso in quanto diretto ad ottenere l’annullamento di un parere e, quindi, di un atto ritenuto endoprocedimentale.

2. 1 L’eccezione è infondata è va respinta. Costituisce orientamento consolidato (per tutti si veda T.A.R. Veneto Sez. II, 10-03-1987, n. 140) che il parere della commissione di salvaguardia, previsto per l'esecuzione di opere edilizie nella laguna di Venezia dall'art. 6, l. 16 aprile 1973, n. 171, ha carattere obbligatorio e vincolante, esplicando “un'efficacia del tutto particolare verso l'attività dell'amministrazione attiva, dal momento che imprime il suo contenuto ed orienta la valutazione finale in maniera ben più intensa di un semplice atto di collaborazione consultiva; esso, pertanto, può essere acquisito anche in via di sanatoria”. 

2.2 E’ inoltre, evidente che detto parere esprime una valutazione di compatibilità, o di incompatibilità, analoga (e per certi versi più ampia in quanto riferita anche a profili edilizi) a quella caratteristica del parere della Soprintendenza di cui all’art. 146 dell’art. 42/2004, in relazione al quale sussiste un orientamento pressocchè unanime diretto a sancire l’autonoma impugnabilità (T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, 16-01-2013, n. 11).

2.3 Va, altresì, ricordato che anche questo Tribunale (T.A.R. Veneto sez. II del 21/10/2005 n. 3731) ha avuto modo di rilevare come il parere della Commissione di Salvaguardia sia immediatamente impugnabile e, ciò, pur costituendo un atto endoprocedimentale inserito, com’è, nel provvedimento di rilascio di un titolo abilitativo".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 922 del 2014

Ratifica e rimozione dei rifiuti

30 Lug 2014
30 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1031 dopo aver chiarito che il programma di smaltimento dei rifiuti ha la stessa  natura giuridica dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti (“L’eccezione con la quale il Comune sostiene l’improcedibilità del ricorso perché con esso è impugnato non un ordine di rimozione di rifiuti ma un ordine di presentazione di un programma di smaltimento che alla fine è stato presentato dai proprietari dei terreni, non può essere accolta.

Infatti l’ordine di presentazione del programma di smaltimento dei rifiuti si inscrive, al pari dell’ordine di rimozione, nell’ambito della procedura prevista dall’art, 192 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, è un atto immediatamente lesivo nei confronti del destinatario, e la sua lesività non è superata dall’avvenuta presentazione del medesimo da parte dei proprietari, che sono solo dei coobbligati in solido”) si sofferma sulla ratifica dei provvedimenti in materia di rimozione dei rifiuti.

In particolare i Giudici statuiscono che: “Infatti va in primo luogo sottolineato che, come chiarito dalla giurisprudenza, la ratifica di un atto amministrativo non richiede una specifica motivazione sull'interesse pubblico (cfr. Consiglio Stato Sez. V, 30 agosto 2005, n. 4419) in quanto l’interesse pubblico che lo sorregge è la perdurante persistenza di quello perseguito dall’atto da convalidare (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 7 settembre 2001, n. 771; Consiglio di Stato , Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 683).

In secondo luogo va osservato che l’esigenza di salvaguardare l’ambiente e le matrici ambientali dalla contaminazione derivante dall’abbandono dei rifiuti, obbliga l’Amministrazione ad individuare i responsabili e ad ottenere da loro il ripristino delle condizioni ambientali precedenti e, contrariamente a quanto dedotto, il potere di ratifica risulta esercitato entro un termine ragionevole, tenuto conto della circostanza che alla data del provvedimento di ratifica non era stato ancora presentato il programma di smaltimento, e l’abbandono dei rifiuti configura un illecito di carattere permanente”.

Infine con riferimento alla omessa comunicazione di avvio del procedimento affermano che: “Orbene, tenuto conto che la ratio perseguita con l'art. 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241, deve ritenersi soddisfatta, nonostante la mancanza della rituale comunicazione di avvio, ogniqualvolta l'interessato abbia avuto comunque compiuta conoscenza dell'avvio del procedimento (cfr. Tar Lazio, Roma, 6 marzo 2013, n. 2391; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. I, 12 dicembre 2012, n. 1167; Consiglio di Stato, Sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032; Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1476; id. 4 dicembre 2009, n. 7607; Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 marzo 2009, n. 1207), la censura deve essere respinta”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1031 del 2014

Differenza tra le regole di zonizzazione/ localizzazione e le prescrizioni di dettaglio del PRG ai fini della decorrenza del termine di impugnazione

29 Lug 2014
29 Luglio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 990 del 2014 distingue tra le varie previsioni del P.R.G. ai fini della decorrenza del termine dell'impugnazione: "Ciò precisato in punto interesse, è tuttavia da osservare come, per le medesime ragioni, le censure dedotte avverso le delibere di variante siano palesemente tardive e quindi il ricorso irricevibile, in quanto, proprio perchè immediatamente pregiudizievoli degli interessi facenti capo ai ricorrenti (nei termini testè ricordati), dovevano essere oggetto di immediata impugnazione, entro i termini ordinari di decadenza, una volta decorsi i termini di pubblicazione (trattandosi di atti generali, che non interessavano direttamente i ricorrenti). E’ quindi proprio l’assunto sulla base del quale i ricorrenti fondano il proprio interesse e quindi la legittimazione alla proposizione del gravame a determinare la fondatezza dell’eccezione di irricevibilità del ricorso per quanto riguarda specificatamente l’impugnazione delle delibere consiliari, risalenti al 2009, che hanno apportato la variante al PRG, modificando, in termini per loro pregiudizievoli, la destinazione urbanistica della zona antistante e comunque posta nelle immediate vicinanze delle loro abitazioni. Sul punto va richiamato e condiviso l’orientamento già manifestato dal Tribunale in fattispecie analoga, nella quale era stata parimenti censurata la modifica di destinazione urbanistica di un area, che da zona F era divenuta zona C (cfr. T.A.R. Veneto, II, n. 1779/2011): in tale occasione il Tribunale, richiamando altri arresti giurisprudenziali, aveva in primo luogo sottolineato che “nel sistema di pubblicità-notizia disciplinato dalla legislazione urbanistica nazionale e regionale nonché ai sensi dell’art. 124 del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267, il termine per l’impugnazione decorre dalla data di pubblicazione del decreto di approvazione o, comunque, al più tardi dall’ultimo giorno della pubblicazione all’albo pretorio dell’avviso di deposito presso gli uffici comunali dei documenti relativi al piano approvato, con la sola eccezione della ipotesi che esso incida specificatamente, con effetti latamente espropriativi, su singoli determinati beni, nel cui caso solo è dovuta la notifica individuale ai proprietari interessati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4545 del 2010; n. 5818 del 2009; 12 giugno 2009, nr. 3730; Cons. Stato, sez. VI, 3 agosto 2007, nr. 4326; Cons. Stato, sez. V, n. 6214 del 2008; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2006, nr. 1534; Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2004, nr. 5510; id., 19 luglio 2004, nr. 5225; id., 8 luglio 2003, nr. 4040; id., 16 ottobre 2001, nr. 5467; C.g.a.r.s., 8 ottobre 2007, nr. 929” (così in motivazione, C.d.S., IV, 28 marzo 2011 n. 1868). Con specifico riguardo al profilo in esame è stato quindi osservato come sia “orientamento consolidato (cfr. Cons. Stato VI Sez. n. 5258 del 2009; 1567 del 2007) quello secondo cui in tema di disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, deve distinguersi fra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione; la destinazione di aree a soddisfare gli “standard” urbanistici; la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) dalle altre regole che più in dettaglio disciplinano l’esercizio dell’attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze; sull’osservanza di canoni estetici; sull’assolvimento di oneri procedimentali e documentali; regole tecniche sull’attività costruttiva, ecc.)”. In altri termini, stante l'immediato effetto conformativo dello jus aedificandi derivante dalla diversa zonizzazione, appare conseguentemente necessario che, onde evitare il consolidarsi di tali previsioni (che per i titolari delle aree interessate costituiscono il fondamento in base al quale potranno essere realizzate le nuove edificazioni, in questo caso a destinazione residenziale) il contenuto di tali previsioni venga contestato entro il termine di decadenza, a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio. In difetto di tale gravame, le regole di zonizzazione e di localizzazione divengono inoppugnabili, diversamente che nel caso in cui si tratti di contestare prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare, le quali sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo e possono essere, quindi, oggetto di censura in occasione della sua impugnazione. I contenuti della variante apportata al PRG del Comune di Cortina, per quel che riguarda la località Calstelverzo di Sopra, proprio per i riflessi che la nuova previsione di zona avrebbe avuto sull’area antistante le abitazioni dei ricorrenti, erano quindi di immediata percezione e soprattutto evidenziavano da subito, senza dover attendere ulteriori specificazioni (ad esempio in sede progettuale o di rilascio dei titoli edilizi) il nuovo assetto del territorio, così come voluto dall’amministrazione comunale, con la possibilità di realizzare due gruppi di insediamenti a destinazione residenziale per l’edilizia popolare. Per tali ragioni, ritenuta la fondatezza dell’opposta eccezione, il ricorso risulta in parte qua irricevibile".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 990 del 2014

 

Anche gli impianti fotovoltaici sono soggetti alla compatibilità ambientale

29 Lug 2014
29 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 14 luglio 2014 n. 3645 conferma che anche gli impianti di produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica devono ottenere la compatibilità paesaggistico-ambientale: “Il decreto legislativo 29 dicembre 2003 n.387 di attuazione della direttiva CEE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili all’art.12 stabilisce espressamente (comma 3) che “la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili … nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi sono soggetti ad un’autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o da altro soggetto istituzionale delegato dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico- artistico” ed inoltre al successivo comma 4 della predetta legge è altresì contemplato che “l’autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nei principi del rispetto della semplificazione …”.

In attuazione di tali previsioni legislative la chiesta progettazione e realizzazione di impianti per essere autorizzati vanno esaminati e assentiti o meno anche in relazione alla loro compatibilità paesaggistico- ambientale e questo perché, ferma restando la valenza delle iniziative volte alla produzione e utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili è indispensabile contemperare la salvaguardia delle esigenze poste dai valori paesaggistici del territorio su cui detti impianti vanno ad inserirsi, in ossequio peraltro ad un più vasto e moderno concetto di governo del territorio volto ad assicurare una tutela delle aree che tenga presente sia dei valori ambientali e paesaggistici, sia delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti sia delle esigenze economico -sociali, unitamente al modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi in considerazione della loro storia, della tradizione e della conformazione morfologica (vedi, per tutte, Cons. Stato Sez. IV 10/5/2012 n. 2710)”.

Per quanto concerne il momento in cui la V.A.S. deve intervenire: “La Valutazione Ambientale Strategica, volta a garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente sì da rendere compatibile l’attività antropica con le condizioni di sviluppo sostenibile va ad integrare le scelte discrezionali tipiche dei piani e dei programmi e l’art.11 del dlgs n.152 del 2006 al comma 3 a proposito della effettuazione i tale procedura così recita: “… la fase di valutazione è effettuata anteriormente all’approvazione del piano o programma … e comunque durante la fase di predisposizione dello stesso. Essa è preordinata a garantire che gli impatti significativi sull’ambiente derivanti dall’attuazione dei detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione”.

Dalla lettura della norma de qua non si evince affatto che la procedura VAS quale passaggio endoprocedimentale (Cons. Stato Sez. IV 12/1/2011 n.133 ; idem 17/9/2012 n.4926) debba avvenire al momento dell’adozione e neppure prima e d’altra parte appare del tutto ragionevole che la valutazione in questione venga esperita prima del varo finale del Piano (l’approvazione) proprio per far sì che la verifica dell’incidenza delle scelte urbanistiche sugli aspetti di vivibilità ambientale del territorio avvenga nel momento in cui tali scelte stiano per divenire definitive”, mentre con riferimento alla V.I.A. si legge che: “Quanto alle ragioni di cui al suindicato punto b) con cui si invoca una sorta di affidamento alla compatibilità ambientale sulla scorta dei pareri resi in precedenza in senso favorevole al progetto, la circostanza dedotta non vale ad inficiare gli atti di segno diverso,successivamente posti essere atteso che il rapporto giuridico in rilievo poteva e doveva essere definito secondo il criterio del tempus regit actum, con riferimento cioè alle disposizioni sopravvenute durante la gestione della varie fasi del procedimento e sussistenti al momento di conclusione dello stesso (Cons. Stato Sez. IV 22/1/2013 n.359).

Col terzo mezzo d’impugnazione parte appellante imputa in sostanza alla Regione di aver ingiustificatamente “baipassato” il parere favorevole reso dal Comune di Brindisi in sede di VIA, disattendendo così la valenza di detto parere valido anche ai fini paesaggistici.

La doglianza non ha pregio.

Invero, è noto che la verifica ambientale di VIA è procedura che viene esperita a monte della pianificazione e attiene appunto agli aspetti squisitamente ambientali della progettazione e su ciò il Comune di Brindisi si è debitamente pronunciato; altra cosa invece è il recepimento da parte dello stesso Ente in sede di variante al PRG delle previsioni recate dalla Carta Idrogeomorfolica, prescrizioni che incidono precipuamente sugli aspetti paesaggistici dei siti posti nelle vicinanze dei corsi d’acqua.

A parte la differenza ontologica esistente tra l’adempimento procedurale previsto dall’art.26 del dlgs n.152/06 e la natura normativa delle prescrizioni della Carta, gli ambiti di applicazione e le finalità perseguite dalle due fasi procedimentali in rilievo sono del tutto diverse, per cui ben può accadere come peraltro correttamente evidenziato dal TAR procedente che un progetto sia compatibile per alcuni aspetti e sotto altri no e questo al di là dell’obbligo , pure sussistente, di definire la richiesta di autorizzazione sulla base dello ius superveniens rappresentato dalla sopraggiunta adozione della Carta Idrogeomorfologica”.  

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3645 del 2014

ANAC: Orientamento n. 11/2014 – SCIA E DIA IN MATERIA EDILIZIA EQUIPARATE A PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI

28 Lug 2014
28 Luglio 2014

La dott.sa Paola Masetto, che sentitamente ringraziamo,  inizia una collaborazione col nostro sito in materia di trasparenza e anticorruzione.

Pubblichiamo la sua nota sull'orientamento ENAC n. 11/2014 in materia di SCIA e DIA.

Orientamento ANAC 11_2014

 

In caso di esproprio il soggetto delegante è responsabile in solido col delegato

28 Lug 2014
28 Luglio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 995 del 2014: "2. Ciò premesso va esaminata l’eccezione, contenuta nel ricorso incidentale proposto dall’Anas, relativa all’accertamento di un difetto di legittimazione attiva, eccezione quest’ultima reiterata, con analoghe – e contrarie - argomentazioni, da parte della società Campenon Bernard.

2.1 Dette eccezioni sono entrambe infondate.

2.2 Se, infatti, alla società concessionaria spettava, in virtù della Convenzione sottoscritta, l’emanazione degli atti di esproprio, risulta dirimente constatare come la stessa procedura espropriativa era stata posta in essere nell’interesse dell’ANAS Spa che, in quanto tale, era comunque tenuta al rispetto degli obblighi di vigilanza sul corretto esperirsi della procedura in questione.

2.3 Un precedente orientamento che questo Collegio ritiene di condividere ha, infatti, correttamente rilevato (TAR Lombardia, Brescia, n. 13/2013 e Corte di Cassazione, sez. I civ., 04 giugno 2010 , n. 13615) che "qualora l'amministrazione espropriante avvalendosi dello schema di cui agli art. 35 e 60 L. n. 865 del 1971 affidi ad altro soggetto, anche mediante appalto o concessione, la realizzazione di un'opera pubblica e gli deleghi nello stesso tempo gli oneri concernenti la procedura ablatoria (e non anche tutti i poteri suoi propri, di soggetto espropriante, come è peculiare della concessione traslativa) da compiere in nome e per conto del delegante", è ravvisabile "una corresponsabilità solidale dell'ente delegante il quale con il conferimento del mandato non si spoglia delle responsabilità relative allo svolgimento della procedura espropriativa secondo i suoi parametri soprattutto temporali e conserva, quindi, l'obbligo di sorvegliarne il corretto svolgimento anche perché questa si svolge non solo in nome e per conto di detta amministrazione, ma anche di intesa con essa. Questa ultima conserva un potere di controllo o di stimolo dei comportamenti del delegato, il cui mancato o insufficiente  esercizio obbliga anche il delegante in presenza di tutti i presupposti al relativo risarcimento ai sensi del combinato disposto degli art. 2043 e 2055 c.c.".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 995 del 2014

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