Ancora sulle opere di miglioramento fondiario e sulla compatibilità paesaggistica

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

In data 16 luglio 2014 abbiamo pubblicato un post relativo alla  possibilità di ottenere la compatibilità paesaggistica per le opere di miglioramento fondiario.

Il geom. Bottone Marcellino di Piedimonte Matese (CE), che sentitamente ringraziamo, ci invia un suo contributo sul tema, che pubblichiamo in allegato.

In ogni caso, va tenuto presente che la giurisprudenza ritiene che i concetti di volume e di superficie ai fini paesaggistici non coincidano con quelli che si usano in edilizia, ma siano più ampi.

Contributo

 

Quando la morte dell’avvocato determina l’interruzione del processo?

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1033 si occupa della interruzione e della riassunzione del processo ammnistrativo affermando che il deposito in giudizio del certificato di morte dell’avvocato che difendeva una parte non determina automaticamente l’interruzione del processo, perché l’evento deve essere portato a conoscenza delle altre parti con una dichiarazione in udienza o con una notificazione: “L’eccezione di estinzione del giudizio deve essere respinta.

La tesi secondo la quale il termine per la riassunzione del giudizio a cura della parte più diligente di cui all’art. 80 cod. proc. amm., decorerebbe dalla data del 23 maggio 2013, quando il difensore del Comune di Schio ha depositato in giudizio il certificato di morte dell’avv. Franco Pasquariello, unico difensore della parte controinteressata, non può essere condivisa.

Infatti il deposito di documenti presso la Segreteria della Sezione non comporta forme di avviso tali da rendere le parti edotte del tipo di documentazione depositata e pertanto il mero deposito del certificato di morte non vale ad integrare una idonea comunicazione dell'evento interruttivo alle altre parti, rispetto alle quali non è neppure configurabile in via generale un onere di verifica periodica del contenuto del fascicolo processuale (cfr. in termini Consiglio di Stato Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1954; Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 aprile 2003, n. 1906; Consiglio di Stato, Sez. IV 30 marzo 1987, n. 199), che nel caso di specie non è avvenuto.

Ne consegue che non si è verificata l’estinzione del giudizio perché il termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo di cui al’art. 80 comma 3, cod. proc. amm., non ha cominciato a decorrere, dato che l'effetto interruttivo del processo non è frutto di un automatismo, ma è il prodotto di una fattispecie complessa, costituita dal verificarsi dell'evento e dalla conoscenza di esso acquisita mediante dichiarazione in udienza o notificazione (Consiglio di Stato, Ad. Plen, 10 ottobre 1983, n. 24; Corte Costituzionale sentenze n. 36 del 1976, n. 159 del 1971, n. 34 del 1970 e n. 139 del 1967).

Anche l’istanza formulata nel corso della trattazione orale dai difensori del Comune di Schio e della controinteressata di dichiarare l’interruzione del processo non può essere accolta.

Infatti la controinteressata, che è la parte colpita dall’evento interruttivo, si è costituita in giudizio con un nuovo difensore con memoria del 7 maggio 2014, e la costituzione del nuovo difensore, qualora avvenga con procura rilasciata prima dell’udienza già fissata (nel caso di specie l’istanza di fissazione udienza è stata presentata dal ricorrente il 20 febbraio 2013), deve ritenersi sufficiente, anche dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ai fini della prosecuzione del processo (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen, 10 ottobre 1983, n. 24; Tar Sicilia, Palermo, 26 gennaio 1988 n. 53; Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 novembre 1997 n. 1599).

Pertanto non deve essere disposta l’interruzione del processo”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1033 del 2014

Ecco perché il G.A. può disapplicare le norme regolamentari

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 14 luglio 2014 n. 3623 conferma il potere del Giudice Amministrativo di disapplicare le norme regolamentari statuendo che: “7.1. Il Collegio osserva preliminarmente che il potere di disapplicazione degli atti regolamentari è principio da lungo tempo recepito dal giudice amministrativo.

“Al giudice amministrativo è consentito disapplicare, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo, la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti in termini di palese contrapposizione con il disposto legislativo primario, cui dovrebbe dare esecuzione” (Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2535).

“Il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti, può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dell’impugnazione congiunta del regolamento” (Cons. Stato, sez. VI, 3ottobre 2007, n. 5098).

“Al giudice amministrativo è consentito disapplicare, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo, la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti con il disposto legislativo primario, del quale è intesa a dare esecuzione” (Cons. di Stato, sez. VI, 12 aprile 2000, n. 2183).

7.2. Ciò premesso il Collegio ritiene di dover ancora preliminarmente osservare che l’istituto della disapplicazione di una norma regolamentare, per la sua intima struttura, non richiede che siano evocate in giudizio le autorità che quel regolamento hanno adottato, perché quell’atto, dopo la pronuncia del giudice, conserva la sua efficacia nell’ordinamento giuridico; la notificazione del ricorso è indispensabile allorquando la pronuncia del giudice elimini dall’ordinamento gli atti impugnati, perché l’autorità emanante ha l’interesse, tutelato dall’art. 24 della Costituzione, alla loro conservazione.

7.3. L’eccezione relativa all’omessa notificazione a tutte le autorità che hanno partecipato alla formazione del Regolamento per la circolazione acquea del Comune di Venezia, a parte le osservazioni dell’appellante, resta superata ove il giudice degradi la richiesta di annullamento a richiesta di disapplicazione, che, come evidenziato al paragrafo precedente, non richiede l’evocazione in giudizio delle autorità emananti.

7.4. La disapplicazione è operazione ermeneutica che può essere compiuta anche d’ufficio dal giudice e, pertanto, non richiede apposita richiesta da parte del ricorrente.

7.5. La deduzione dell’appellato, circa l’impossibilità di operare la disapplicazione del regolamento in assenza di apposita indicazione, così come previsto dall’art. 73, comma 3, Cod. proc. amm., nel caso di specie è irrilevante perché alla questione di diritto ha fatto esplicito riferimento l’appellante nel ricorso in appello: si tratta, quindi, di questione già sottoposta al contraddittorio delle parti, non già rilevata d’ufficio dal giudice.

7.6. Il Collegio osserva preliminarmente che, in sede d’appello, possono esser denunziati, con pertinenti censure, tutti i vizi, che l’appellante ritiene di individuare nella sentenza appellata.

In questa prospettiva l’appellante non può esser privato del bene della vita cui aspira se il giudice di primo grado abbia scelto di adottare una sentenza in forma semplificata, senza pronunciare sulla possibile disapplicazione del regolamento.

Poiché la disapplicazione attiene all’interpretazione delle norme che disciplinano il rapporto controverso, può essere disposta d’ufficio e, quindi, per la prima volta in grado d’appello”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3623 del 2014

Lo spunto del sabato: la sottile differenza tra vincere e perdere

19 Lug 2014
19 Luglio 2014

Novella degli scacchi (1941) è l'ultimo racconto scritto da Stefan Zweig prima del suo suicidio, avvenuto il 22 febbraio 1942.

La novella racconta la storia di un viaggio in nave durante il quale Mirko Czentovič, il campione mondiale degli scacchi, incontra il misterioso dottor B., altrettanto bravo, che lo sfida a scacchi.

Alla fine uno dei due vince (non dico quale, per non rovinare la lettura): egli vince, però, non perchè sia il più bravo a giocare a scacchi, ma perchè riesce a fare perdere la pazienza all'avversario, che così commette un errore fatale.

Dedicato a quelli che pensano di sapere tutto.

Dario Meneguzzo - uno dei tanti

La mancata dimostrazione dell’esistenza di una servitù di passaggio (quindi c’è un fondo intercluso) non osta al rilascio del titolo edilizio (secondo il TAR ma non per il Consiglio di Stato)

18 Lug 2014
18 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 12.01.2011 n. 37 chiarisce che l’Amministrazione comunale può rilasciare un permesso di costruire (per realizzare un parcheggio interrato) anche laddove vi sia un contezioso sul diritto di passaggio, poiché l’esistenza di un fondo intercluso non osta ex se al rilascio del suddetto titolo edilizio che viene concesso “fatto salvo i diritti dei terzi”.

Segnaliamo fin d'ora che tale sentenza è stata riformata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3508 del 2011 (che pubblicheremo lunedì 21 luglio 2014, ringraziando sentitamente l'avv. Paola Mistrorigo, per la segnalazione).)

Nella sentenza del TAR  si legge che: “La questione decisiva verte quindi solo su tale aspetto della motivazione e più in sintesi sul se il proprietario di un fondo intercluso debba dimostrare di disporre del diritto di accesso – nella specie oggetto del contenzioso con i proprietari del fondo servente – ovvero se questo costiuisca un presupposto meramente civilistico sul quale l’amministrazione non può e non deve fondare alcuna preclusione al rilascio del titolo edilizio se ed in quanto il sottostante intervento sia, indipendentemente dalla controversia civile in atto, legittimamente assentibile in quanto ” conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti e della disciplina urbanistico edilizia vigente”.

Orbene, il Collegio, premesso che sul punto non sono reperibili che pochi precedenti e che gli indirizzi giurisprudenziali non sono uniformi, ritiene, aderendo alla tesi sostenuta dal ricorrente, che il motivo di ricorso sia fondato e meritevole di condivisione.

In questo senso, peraltro, in una caso che presenta evidenti analogie rispetto a quello in esame, si è pronunciato il Consiglio di Stato (cfr. C.d.S sez. 4^ n. 7263/2005) affermando che la concessione edilizia si configura come un provvedimento amministrativo di conformità del progetto alla disciplina urbanistica ed edilizia della zona, di natura assolutamente vincolata e non discrezionale e escludendo che il rilascio della concessione edilizia possa essere denegato, in presenza di intervento perfettamente conforme alle norme urbanistiche edilizie, per il fatto, nella specie assunto a motivo del diniego della domanda, che i realizzandi parcheggi, interessando un’area che i privati avevano ceduto al Comune ai fini di standard, creavano, di fatto, una servitù a carico di un bene pubblico.

E ancora (cfr. parere C.d.S. sez. 2^ n. 2559 del 27 febbraio 2002 reso in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato) “che una volta accertata la conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi, l’assumere a presupposto del diniego un elemento estraneo a tale verifica, qual’è la viabilità di accesso al lotto sul quale si chiede di costruire, esula dai poteri assegnati al Comune dalla legge in sede di rilascio dl permesso di costruire”.

Non appare invece conferente il richiamo alla giurisprudenza invocata dalle parti resistenti (TAR Puglia Bari 3^ sezione n. 2994/2004 e TAR Piemonte 1^ sez. 7 maggio 2003 n. 673) che assumono che il rilascio del permesso di costruire deve ritenersi subordinato all’accertata insussistenza di posizioni soggettive di terzi suscettibili di essere pregiudicate dalle opere assentite, come comprova la clausola “salvi i diritti dei terzi” che è ritualmente apposta nei provvedimenti concessori.

Tale clausola, infatti, ritiene il Collegio, indebolisce, anziché rafforzare, la tesi che il permesso di costruire, come ogni altro provvedimento suscettibile di incidere sulla proprietà privata, in quanto rilasciato, sempre e comunque espressamente, senza pregiudizio di eventuali diritti di terzi sui beni che ne sono oggetto, sia condizionato dalla pax inter cives e quindi da eventuali pretese avanzate da soggetti estranei al rapporto amministrativo.(cfr. C.d.S sez. 4^ n. 3201/2006), quali, in ipotesi i terzi che si oppongono al riconoscimento della servitù coattiva di accesso al fondo e solo ad esso

In realtà tale clausola, ad avviso del Collegio, nella fattispecie non rileva perché il permesso di costruire denegato a Bica, se assentito, non avrebbe comportato ex se alcuna lesione di diritti di terzi, né in atto né in prospettiva, poiché l’intervento edilizio si realizza sulla proprietà esclusiva ed incontroversa di Bica e non lede, sotto tale profilo, alcun diritto dei terzi.

In particolare non lede il diritto dei condomini intervenienti che restano proprietari e fruitori del varco di accesso sul quale Bica ha chiesto, in quanto proprietario di fondo intercluso, di acquisire la servitù coattiva di transito sin dal 2005, e cioè ben prima di richiedere il permesso di costruire e indipendentemente da esso.

D’altra parte sarebbe paradossale, a giudizio del Collegio, sostenere che l’azione civile intrapresa da Bica per il riconoscimento della servitù coattiva, che assume come presupposto la necessità di accedere al fondo intercluso per poterne sfruttare le potenzialità in funzione della destinazione ammessa dallo strumento urbanistico (rappresentata dal permesso di costruire il garage interrato) possa essere ostativa ex se del rilascio della stessa concessione perché la servitù, e quindi il c.d. diritto di accesso al fondo, non è stato ancora riconosciuto.

Il Commissario ad acta, va aggiunto, confonde peraltro, l’accesso materiale al fondo, che naturalmente esiste (ed anzi esistono più soluzioni virtuali, tra cui quella ritenuta “più breve e meno onerosa per il fondo servente” nella CTU dep. come doc. n. 16 il 12 giugno 2008) con il diritto d’esercizio del passaggio con automezzi, che è subordinato all’acquisizione della necessaria servitù coattiva oggetto del ricordato giudizio intrapreso da Bica sin dall’anno 2005, che tuttavia è, come sopra chiarito, irrilevante in sede di rilascio della concessione edilizia, poiché l’interclusione del fondo non è, salvo che una determinata strada accesso rilevi come opera di urbanizzazione specificamente richiesta ai fini dell’approvazione del permesso di costruire, una condizione ostativa per il rilascio del titolo stesso, se il progetto edilizio è, in quanto tale, conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti e della disciplina urbanistico edilizia vigente relative all’area in questione.

Non solo ma a rafforzare tale conclusione concorre: per un verso, il fatto che la costituzione della servitù coattiva di passaggio costituisce un diritto del proprietario del fondo privo di accesso e quindi, salvo stabilire il tracciato meno oneroso per il fondo servente e il relativo indennizzo (cfr. art. 1051 c.c.) è acquisito alle condizioni di legge coattivamente e non per concessione volontaria, posto che altrimenti i fondi interclusi non sarebbero mai utilizzabili dai proprietari secondo la destinazione assegnata dalle norme urbanistico- edilizie e per altro verso che anche se, come nella specie, penda un giudizio inter partes diretto alla costituzione della servitù, non spetta all’amministrazione né il compito di sostituirsi all’autorità giudiziaria per stabilire se tale diritto sussista o meno né di sospendere o negare il permesso di costruire in attesa che tale controversia sia definita, se l’intervento che il privato intende realizzare è del tutto conforme a quella che è la destinazione dell’area e quindi se non sussistono specifici motivi per denegare l’intervento di trasformazione previsto dallo strumento urbanistico e dalle norme edilizie che ne fissano i contenuti (cfr. Cass. Civ. 2^ sez. 9 febbraio 1980 n. 908)..

Né vale, infine, obiettare che se l’azione intrapresa da Bica per far accertare il diritto di passaggio coattivo (il cui prolungarsi sembra, allo stato, giustificata più da questioni di indennizzo che dall'esistenza di soluzioni di accesso diverse e meno impattanti, già escluse dalla C.T.U. dimessa in atti) non dovesse avere successo, quantomeno nei confronti dei soggetti aditi, o comunque prolungarsi, lo sfruttamento dell’intervento (il parcheggio interrato) sarebbe vanificato, poiché questo rischio non attinge le condizioni di legittimità dell’intervento edilizio e non esclude che per l’amministrazione l’approvazione del progetto costituisca attività vincolata, tale quindi, come sostiene la ricorrente nel motivo in disamina, da non potere essere ostacolata o condizionata da eventuali controversie tra soggetti privati, estranee e ininfluenti sulla legittimità del titolo edilizio”.

dott. Matteo Acquasaliente 

TAR Veneto n. 37 del 2011

ANAC: Trasmissione delle varianti in corso d’opera di cui al comma 1, lettere b), c) e d), dell’art.132 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163‏

18 Lug 2014
18 Luglio 2014

In data 16 luglio 2014, il Presidente dell'ANAC ha emesso il seguente comunicato, relativo alla trasmissione delle varianti in corso d’opera di cui al comma 1, lettere b), c) e d), dell’art.132 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163‏ 

 Le stazioni appaltanti tenute all’adempimento di cui all’oggetto sono invitate a trasmettere all’Autorità, per ciascuna variante in corso d’opera, i seguenti atti:
 -          Relazione del responsabile del procedimento;

 -          Quadro comparativo di variante;

 -          Atto di validazione;

 -          Provvedimento definitivo di approvazione;

 avendo cura di indicare il numero di CIG, ove non riportato in uno dei suddetti atti e con riserva di fornire una più ampia documentazione progettuale, qualora gli Uffici preposti dell’Autorità lo ritenessero necessario.

 La trasmissione dovrà riguardare le varianti approvate a decorrere dalla data di entrata in vigore del Decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 e dovrà avvenire utilizzando – ove possibile – la posta elettronica certificata (PEC) all’indirizzo protocollo@pec.avcp.it, entro il termine di 30 giorni, previsto dalla norma, a decorrere dall’approvazione da parte della stazione appaltante.

 In caso di ricorso alla posta ordinaria, l’indirizzo di riferimento dovrà essere il seguente:

Autorità Nazionale Anticorruzione – Via di Ripetta, 246 – 00186 ROMA.

 Ai fini del più rapido ed efficace indirizzamento della corrispondenza in questione, all’atto dell’invio si prega di riportare nell’oggetto il seguente testo: “Trasmissione all’A.N.AC. delle varianti in corso d’opera ex art.37 del D.L.n.90/2014 – cig.appalto n.”.

 

Cosa sono i servizi legali che devono essere affidati con procedura concorsuale

18 Lug 2014
18 Luglio 2014

Il T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1383 chiarisce che il Comune deve affidare i servizi legali ricorrendo ad una procedura concorsuale. Soltanto ove si tratti di un singolo incarico difensivo, infatti, l’ente può ricorrere all’affidamento diretto: “Il Collegio osserva che, nella fattispecie in esame, l’incarico affidato ai legali esterni consisteva nella complessiva attività di assistenza e consulenza legale da espletarsi in favore del Comune, ovvero nella gestione di tutto il servizio di attività legale dell’amministrazione, comprensivo, come specificato nello schema di convenzione, di attività di consultazioni orali, scritte, e di redazione di pareri. In sostanza, non si trattava, nello specifico, dell’affidamento, in via fiduciaria, di un singolo incarico o di una singola attività afferente ad una specifica vertenza legale, ma, piuttosto, della organizzazione di una complessiva attività di assistenza in favore dell’ente locale, da farsi rientrare, a pieno titolo, nella nozione ampia di consulenza legale.

Per tali ragioni, il Collegio ritiene che il Comune avrebbe dovuto attivare una procedura comparativa allo scopo di selezionare, secondo logiche concorrenziali, il proprio contraente.

A sostegno di tale conclusione, soccorre anche quanto previsto nello stesso Regolamento per la disciplina degli incarichi esterni, approvato dal Comune di Caposele con delibera n. 102 /10 che, allo scopo di garantire la trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, unitamente alla professionalità degli incarichi, ammette, all’art. 6, la possibilità di procedere al conferimento diretto di incarichi legali a professionisti esterni nelle sole e limitate ipotesi di rappresentanza e difesa in giudizio e di particolari consulenze, laddove l’ente locale reputi che la scelta di un determinato professionista risulti utile al buon esito della lite, prevedendo, negli altri casi, l’utilizzo di procedure selettive per la scelta del professionista esterno.

Il tutto in conformità con quanto previsto, in via generale, dall’art. 7 comma 6 del D. Lgs n. 165/01, come modificato dall’art. 32 del D.L:n. 223/06, conv. in legge n. 248/06, a mente del quale le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione a professionisti esterni, potendo procedere al conferimento di incarichi individuali solo per soddisfare esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, ed alle condizioni e con i presupposti specificamente individuati dal legislatore.

Giova, inoltre, ricordare quanto espresso di recente dalla giurisprudenza contabile (Corte Conti, Sez. Reg. Controllo Basilicata, parere n. 8/09) e dall’autorevole orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale occorre distinguere la nozione di servizio legale da quella di singolo incarico difensivo, caratterizzandosi il servizio legale per un quid pluris, sotto il profilo dell’organizzazione, della continuità e della complessità, rispetto al singolo contratto d’opera intellettuale.

Mentre il patrocinio legale, infatti, costituendo il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente, deve essere inquadrato nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale, il servizio legale presenta qualcosa in più, per prestazione o modalità organizzativa, che giustifica il suo assoggettamento alla disciplina concorsuale.

L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua, configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si esaurisce nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configura quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce (Autorità per la Vigilanza sui Contratti, determina n. 4 del 7 luglio 2011).

Esso, quindi, soggiace alle regole delle procedure concorsuali di stampo selettivo, incompatibili con il solo contratto di conferimento del singolo e puntuale incarico legale, vista la struttura della fattispecie contrattuale, qualificata, alla luce dell’aleatorietà dell’iter del giudizio, dalla non predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali della prestazioni e dalla conseguente assenza di basi oggettive sulla scorta delle quali fissare i criteri di valutazione necessari in forza della disciplina recata dal codice dei contratti pubblici ( Cons. Stato, sez. V. 11 maggio 2012 n. 2730)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Salerno n. 1383 del 2014

Il Consiglio di Stato ritiene legittimo che la Soprintendenza vieti i pannelli fotovoltaici che alterano il paesaggio

17 Lug 2014
17 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 14 luglio 2014 n. 3673 riforma la sentenza del T.A.R. Veneto n. 1157/2013, chiarendo la legittimità della parere della Soprintendenza che impone di rimuove i pannelli fotovoltaici che deturpano il paesaggio.

A tal fine si legge che: “Nell’atto oggetto della impugnazione di primo grado, reso ai sensi dell’art. 167 e dell’art. 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), la Soprintendenza ha espresso il parere favorevole all’intervento edilizio programmato dagli odierni appellati sulla costruzione a due piani sita nel Comune di Malcesine (intervento consistente, nel suo insieme, nella apertura di alcune porte e finestre, nel rialzamento della falda di copertura, nell’abbassamento della falda posta ad est e nell’ installazione di pannelli fotovoltaici su falda est ed ovest), subordinando tuttavia il parere favorevole alla osservanza della seguente condizione prescrittiva:

- “venga rimosso l’impianto fotovoltaico e/o solare costituito da 13 pannelli installati sulla falda est, in quanto risulta in ordine alla posizione, alle dimensioni, alle forme, ai cromatismi, al trattamento superficiale e riflettente, estremamente stridente rispetto all’ambito nel quale si colloca e tale da alterare in modo negativo la visione del contesto paesaggistico circostante che si può percepire sia dal basso che da posizione elevata o a distanza”.

3.- Ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto rilevato dal giudice di primo grado, la Soprintendenza abbia dato una congrua motivazione riguardo alle ragioni che si frappongono alla definitiva allocazione dei pannelli fotovoltaici anche sulla falda est della costruzione (nella prospettiva particolare, cioè, del lago di Garda), a differenza di quanto assentito senza riserve o condizioni in relazione ai pannelli apposti sulla falda ovest dello stesso fabbricato.

L’autorità preposta alla tutela paesaggistica si è soffermata, in particolare, ad analizzare i distinti profili (posizione, dimensioni, forme, cromatismi) che la hanno spinta ad apporre la condizione al parere di compatibilità paesaggistica (per la restante parte, vale sottolineare, favorevole all’intervento) di tal che, considerata la puntualità e la congruità delle ragioni addotte a sostegno della condizione, non pare condivisibile quanto affermato dal giudice di primo grado a proposito del carattere stereotipato e “adattabile a qualsiasi caso” della motivazione dell’atto soprintendentizio.

Al contrario, si deve convenire con il Ministero appellante sul fatto che dalla lettura del parere risultano chiare e coerenti le ragioni ostative individuate, con una valutazione tecnico-discrezionale che è propria della tutela del patrimonio culturale e che risulta immune dai vizi di irragionevolezza o di errore nei presupposti, e che escludono la compatibilità paesaggistica dell’impianto fotovoltaico posizionato sul lato est del tetto in ragione del suo negativo impatto sul particolare paesaggio lacuale, stante la sua piena visibilità, anche a distanza, sia dal basso che dall’alto”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3637 del 2014

TAR Veneto 1157 del 2013

Un caso di proroga automatica del piano attuativo già scaduto prima dell’art. 30 comma 3bis del Dl 98/2013

17 Lug 2014
17 Luglio 2014

Un caso piuttosto particolare è quello deciso dalla sentenza del TAR Veneto n. 1038 del 2014: il piano era già scaduto  prima dell'entrata in vigore dell'art. 30 comma 3bis del Dl 98/2013, ma era già stata presentata una istanza di proroga, sulla quale il Comune non si era ancora pronunziato.

Il Comune riteneva non applicabile la proroga automatica, essendo il piano scaduto prima dell'entrata in vigore dell'art. 30 comma 3bis del Dl 98/2013, ma il TAR è stato di diversa opinione, perchè il Comune non si era ancora pronunziato sulla ,istanza di proroga e, quindi, il piano non poteva considerarsi definitivamente decaduto.

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 1038 del 2014

La disciplina della proroga delle autorizzazioni commerciali

17 Lug 2014
17 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 10 luglio 2014 n. 1012 si occupa della proroga delle autorizzazioni commerciali.

Nella sentenza che si commenta i Giudici chiariscono, con specifico riferimento all’istituto della proroga, il rapporto tra il D. Lgs. n. 114/1998, la L. R. n. 15/2004, la L. R. n. 42/2012 e la L. R. n. 50/2012: “La legge regionale n° 42 del 2012 è stata pubblicata sul BUR del 2 Novembre 2012, è entrata in vigore il 17 Novembre 2012 ed è stata abrogata dall’art. 30 comma 1 lettera g) della legge regionale n° 50 del 2012 con effetto dal 1 Gennaio 2013.

L’art. 5 della legge regionale n° 42 del 2012 stabilisce che i procedimenti amministrativi aventi ad oggetto l’autorizzazione commerciale relativa alle fattispecie di cui agli articoli 1, 2 e 3 della legge regionale n° 42 del 2012, attivati precedentemente all’entrata in vigore della legge stessa, sono riesaminati ad istanza di parte, tenuto conto degli articoli 1, 2 e 3 della legge stessa.

L’art. 2 della legge regionale n° 42 del 2012 stabilisce che l’articolo 10 della legge regionale n° 15 del 2004 si interpreta nel senso che agli esercizi di vicinato ed alle medie strutture di vendita, ubicate all’interno dei parchi commerciali oggetto di ricognizione ai sensi del comma 7 dell’art. 10 della legge regionale n° 15 del 2004, si applicano le disposizioni di cui all’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998.

Dunque, per effetto dell’art. 2 della legge regionale n° 42 del 2012, l’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 si applica anche alle medie strutture di vendita comprese in un parco commerciale.

In tal caso non si applica più l’art. 23 della legge regionale n° 15 del 2004, che prevede una disciplina della proroga più restrittiva rispetto all’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998, nel senso di richiedere una sola proroga fino ad un massimo di un anno.

Invece l’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 si limita ad ammettere la proroga in caso di comprovata necessità, senza porre limiti espressi con riferimento al numero delle proroghe ed alla determinazione del periodo di proroga.

La ratio della legge n° 42 del 2004 è quella di evitare una disparità di disciplina tra medie strutture di vendita ubicate all’interno di parchi commerciali e le medie strutture di vendita non ubicate all’interno di parchi commerciali.

La ratio non è invece quella di offrire maggiori libertà di prorogare i termini di attivazione degli esercizi commerciali connessi al rilascio dei provvedimenti autorizzativi.

Quanto sopra risulta evidente, considerando che il settimo comma dell’art. 18 della legge regionale n° 50 del 2012 (in vigore dal 1 Gennaio 2013) stabilisce che le medie strutture di vendita sono attivate nel termine di decadenza di due anni dal rilascio dell’autorizzazione commerciale o dalla presentazione della SCIA, salva la potestà del comune di prorogare per una sola volta il termine in caso di comprovata necessità, su motivata richiesta dell’interessato da presentarsi entro il predetto termine.

Dunque con la legge regionale n° 50 del 2012 è stata posta una disciplina più restrittiva (in relazione alla determinazione del periodo massimo di proroga ed alla possibilità di prorogare per una sola volta) alle proroghe rispetto a quella posta dall’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998, confermando con ciò che l’intento della legge n° 42 del 2012 non era quello di andare nella direzione di una maggiore possibilità di concessione delle proroghe, ma invece quello di evitare la sopra richiamata disparità di disciplina tra medie strutture di vendita ubicate all’interno di parchi commerciali e le medie strutture di vendita non ubicate all’interno di parchi commerciali.

In ogni caso il procedimento avviato ai sensi dell’art. 5 della legge regionale n° 42 del 2012 consente ulteriori proroghe senza una rigida predeterminazione del periodo di proroga purchè sia fornita una rigorosa dimostrazione della necessità della proroga”.

Per quanto concerne il momento in cui è possibile chiedere la proroga dell’autorizzazione commerciale, il T.A.R. conferma che la stessa deve essere chiesta prima della sua scadenza: “Gli artt. 2 e 5 della legge regionale n° 42 del 2012 consentono all’amministrazione di riesaminare i procedimenti amministrativi “attivati” che riguardano la proroga delle autorizzazioni commerciali, ma non introducono una deroga al principio, riconosciuto dalla costante giurisprudenza per quanto attiene alla disciplina del termine di attivazione di un’iniziativa commerciale od edilizia autorizzata, secondo cui la richiesta di proroga del termine deve essere presentata prima della scadenza del termine originario (così Consiglio di Stato IV n° 360 del 2013).

Tale principio non è derogato né dall’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 né dalla legge regionale n° 42 del 2012.

Infatti la possibilità di prorogare i termini di attivazione degli inteventi edilizi e commerciali autorizzati, successivamente alla loro scadenza, metterebbe in pericolo l’attuazione della programmazione commerciale ed urbanistica e pregiudicherebbe il necessario ordine disciplinatorio degli interventi”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1012 del 2014

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC