L’istituto della occupazione acquisitiva è stato espunto dall’ordinamento italiano – questioni in materia di risarcimento del danno

28 Lug 2014
28 Luglio 2014

Segnaliamo anche questo interessante passaggio della sentenza del TAR Veneto n. 995 del 2014: "4.2 Sempre dalla pronuncia del Tribunale di Venezia è possibile evincere che, ancora, nel successivo quinquennio dall’immissione in possesso non era stata decretata l’espropriazione definitiva e, ciò, pur essendo stata realizzata l’opera stradale con irreversibile trasformazione del suolo comportante la perdita della proprietà.

4.3 Le domande di risarcimento riconducibili all’avvenuta acquisizione in proprietà da parte dell’Anas presuppongono, tuttavia, la perdurante efficacia nel nostro ordinamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, che però è stato espunto sia, a seguito dell'intervento della Corte europea dei Diritti dell'Uomo sia, ancora, in conseguenza dell'entrata in vigore del'art. 42 bis, D.P.R. n. 327 del 2001. 

4.4 A questa conclusione, induce, altresì lo stesso art. 42-bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, aggiunto dall'art. 34, primo comma, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in L. 15 luglio 2011, n. 111, norma che, anche con riguardo ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, disciplina le modalità attraverso le quali, a fronte di un'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile pervenire ad un'acquisizione non retroattiva della titolarità del bene al patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione e, ciò, sotto condizione  sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprietà, di un importo a titolo di indennizzo, nella misura superiore del dieci per cento rispetto al valore venale del bene (in questo senso Cass. civ., Sez. II, 14 gennaio 2013, n. 705).

4.5 E’ stata proprio l’interpretazione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ad eliminare ogni possibilità di individuare sistemi di
acquisizione che miravano ad individuare fatti o comportamenti (e quindi l'avvenuto completamento dell'opera pubblica o la richiesta del solo risarcimento come momento abdicativo implicito della proprietà) idonei a sostituire i sistemi legali di acquisto della proprietà.

4.6 Il venir meno dell’istituto dell’occupazione acquisitiva comporta che l’Amministrazione può diventare proprietaria dell’area o con un provvedimento di acquisizione sanante ai sensi di quanto previsto dall'art. 42 bis, d.P.R. n. 327 del 2001, o in conseguenza di una cessione volontaria o, ancora, con l’emanazione di un provvedimento di esproprio (in questo senso T.A.R. Toscana sez. III del 29/11/2013 n. 1655 e Consiglio di Stato sez. IV del 29/08/2011 n. 4833).

4.7 Detta ultima circostanza si è verificata nel caso di specie, laddove in particolare il decreto di esproprio non è stato nemmeno impugnato dalla parti ricorrenti, con conseguente formarsi del relativo giudicato per quanto attiene la quantificazione dell’indennità di esproprio ivi prevista.

4.8 Ne consegue che vanno rigettate le richieste di risarcimento del danno correlate al venire in essere dell’occupazione appropriativa e del relativo danno presumibilmente verificatosi.

5. Va respinta, altresì, sia la richiesta di risarcimento del danno “non patrimoniale” in quanto non è stata addotta alcuna prova circa il venire in essere dei presupposti idonei a configurarne l’esistenza sia, ancora, la richiesta di risarcimento correlata al presunto deprezzamento del fondo residuo.

5.1 In relazione a detta fattispecie va, peraltro, rilevato che anche il CTU nel corso del giudizio innanzi al Tribunale di Venezia, ne aveva rilevato la sua infondatezza, ritenendo che detta fattispecie doveva ritenersi inclusa nella valutazione complessiva dell’area non edificabile.

6. Se quindi non può essere risarcito il danno da perdita della proprietà, in quanto il diritto dominicale era rimasto in capo al ricorrente sino all’emanazione del decreto di esproprio, è possibile giungere a conclusioni differenti per quanto attiene la richiesta di risarcimento correlata al mancato godimento del bene.

6.1 Si è, infatti, affermato (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-02-2012, n. 1130) che “l'unica domanda risarcitoria accoglibile è quella relativa all'illegittima occupazione dei suoli per il danno riferibile all'arco temporale compreso tra l'immissione nel possesso dei medesimi e l'emanazione del decreto di esproprio”.

6.2 Il danno in questione deve, allora, essere liquidato in misura pari agli interessi moratori sul valore di mercato del bene per ciascun anno del periodo di occupazione, con rivalutazione e interessi dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza (Cons. Stato, Sez. IV, 1 giugno 2011, n. 3331).

6.3 Detto risarcimento deve operare con riferimento al momento in cui l'occupazione dell'area privata è divenuta illegittima e, quindi, dal momento in cui è avvenuta la prima apprensione del bene e, ciò, sia nell’ipotesi in cui l'intera procedura espropriativa sia stata annullata sia, ancora, se – come è avvenuto nel caso di specie, l’immissione nel  possesso sia avvenuta dopo la scadenza del termine previsto nel decreto di occupazione d’urgenza, sino al definitivo trasferimento della proprietà posto in essere dal decreto di espropriazione sopra citato.

6.4 Sul punto si condivide infatti l’opinione di parte ricorrente che individua detto dies a quo nell’avvenuto decorso del termine per operare una legittima immissione nel possesso, termine che, pertanto, è possibile far coincidere con la materiale occupazione dei beni avvenuta in data 24 Marzo 1992.

6.5 In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui il decreto di esproprio è risultato idoneo a produrre i suoi effetti, consentendo l’acquisizione della proprietà.

6.6 Per quanto attiene il quantum del risarcimento è possibile applicare, condividendone le conclusioni, quanto già deciso in un’analoga pronuncia (T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, 22-10-2013, n. 632), facendo luogo ad una valutazione equitativa ai sensi degli artt. 2056 e 1226 del codice civile che, in quanto tale, prende atto dell’avvenuta quantificazione del valore venale del bene disposta con il provvedimento di esproprio del 31 maggio 2002, calcolando su detta somma la percentuale del cinque per cento annuo, in linea con il parametro fatto proprio dal Legislatore con l'art. 42- bis, comma 3, d.P.R. n. 327/2001.

7. La richiesta di risarcimento per mancato godimento è, pertanto, accolta e per l’effetto si condannano le attuali parti resistenti a
corrispondere alla ricorrente la somma così calcolata e con riferimento al periodo di tempo che intercorre dal 24 Marzo 1992 sino all’avvenuta pubblicazione del decreto di esproprio. 

7.1 Detta somma, costituendo debito di valore (Cass., I, 4.2.2010, n. 2602), dovrà essere rivalutata secondo l'indice ISTAT dei prezzi al consumo, mentre sulle somme anno per anno rivalutate dovranno, altresì, essere corrisposti gli interessi legali fino alla data di deposito della sentenza.

7.2 Le somme così quantificate devono considerarsi dovute sia dall’Anas Spa che dalla Società Campenon bernard SGE in regime
dell’applicazione del principio di solidarietà passiva e, ciò, sulla base delle argomentazioni che hanno consentito di respingere le eccezioni di difetto di legittimazione attiva sopra ricordate. In conclusione il ricorso è accolto limitatamente a quanto sopra specificato, mentre va respinto per la parte rimanente".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 995 del 2014

Quando si ha la piena conoscenza dell’apertura di un centro commerciale

28 Lug 2014
28 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1032 stabilisce quando si forma la piena conoscenza dell’apertura di un centro commerciale.

A tal proposito si legge: “Al fine di comprovare la effettiva conoscenza dell’apertura, il Comune e la controinteressata allegano degli inserti pubblicitari che attestano l’intensa campagna di informazione che ha preceduto l’apertura della struttura, e degli articoli di quotidiani locali che contengono la cronaca dei problemi di affollamento di clienti e di congestione del traffico riscontrati a seguito dell’apertura del centro commerciale (cfr. doc. 17 allegato dal Comune; doc. 1 allegato dalla controinteressata).

A tale rilievo replica la ricorrente sostenendo che non è corretto ritenere provata l’effettiva conoscenza dell’esistenza di atti lesivi da articoli di quotidiani, richiamandosi in proposito alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3299.

L’ordine di idee espresso dalla parte ricorrente non può essere condiviso.

Infatti la sentenza del Consiglio di Stato richiamata si riferisce in realtà ad un caso diverso da quello in esame in cui era la notizia del rilascio dei titoli abilitativi prima dell’apertura dell’esercizio tratta dalla stampa locale a non essere ritenuta sufficiente a costituire fatto notorio, e quindi piena conoscenza, del loro rilascio.

A diverse conclusioni si deve giungere invece (lo afferma espressamente anche la sopra citata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3299) qualora si tratti di una fattispecie, come quella in esame, in cui è già avvenuta l’apertura dell’esercizio.

Infatti costituisce un principio ricorrentemente affermato in giurisprudenza che la presunzione di piena conoscenza dell'autorizzazione nei suoi elementi fondamentali, ai fini della decorrenza del termine d'impugnazione della licenza di commercio da parte di chi paventi uno sviamento della propria clientela derivante dal nuovo esercizio, possa essere riferita alla circostanza obiettiva dell'apertura dello stesso (cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. II, 10 ottobre 2003, n. 8248; Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 21 febbraio 1995, n. 90; Tar Piemonte, Sez. I, 23 maggio 1987, n. 207), con la precisazione che tuttavia l’apertura dell’esercizio non costituisce un dato di riferimento automatico e vincolante, ma rilevante come fatto storico, da rapportarsi, caso per caso, al concreto svolgimento della situazione di fatto e al tipo di censure dedotte.

Orbene, il Collegio ritiene che nel caso di specie siano allegati elementi sufficienti a comprovare la piena conoscenza dell’esistenza degli atti lesivi già dal 24 ottobre 2013, data dell’apertura del centro commerciale, e pertanto la tardività della loro impugnazione avvenuta con atto notificato solo il 7 gennaio 2014.

Sul punto infatti il Collegio ritiene che non vi siano elementi per discostarsi dalle conclusioni in proposito raggiunte con riguardo ad un caso per molti aspetti analogo a quello in esame (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 21 agosto 2012, n. 1171), dato che, anche nel caso di specie, vi sono una pluralità di elementi che inducono a ritenere l’apertura del centro commerciale idonea a costituire il momento in cui la ricorrente ha acquisito piena conoscenza dell’esistenza di atti lesivi che avrebbero comportato la necessità di attivarsi senza indugio a tutelare giurisdizionalmente i propri interessi”.

Nella stessa sentenza il Collegio chiarisce quando è possibile ricorrere alla presunzioni per provare un fatto ignoto: “Orbene, in tale contesto, nel quale il Comune di Villorba e la controinteressata hanno documentato che vi è stata un’intensa campagna pubblicitaria che ha preceduto l’apertura del centro commerciale e che la stampa locale ha dato conto dei problemi di affollamento di clienti e di congestione del traffico generati dall’apertura del centro commerciale (cfr. doc. 17 allegato dal Comune; doc. 1 allegato dalla controinteressata), vi sono sufficienti elementi per far ritenere che l’apertura del centro commerciale assurga a fatto generalmente conosciuto a livello locale dagli operatori commerciali e ancor più dalla ricorrente che aveva già presentato ricorsi e ancor più recentemente una diffida e un’istanza di accesso per impedire l’apertura della struttura, e che quindi sussistano presunzioni gravi, precise e concordanti che, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., consentono di provare il fatto ignoto attraverso fatti noti e, in ultima analisi, oltre ogni ragionevole dubbio, la circostanza che dalla data dell’apertura della struttura della parte controinteressata la ricorrente ha avuto una cognizione piena ed effettiva sull’esistenza delle autorizzazioni rilasciate e del loro carattere pregiudizievole per la propria attività, ben avendo gli strumenti per valutare il loro grado di effettiva lesività, e si sarebbe dovuta quindi attivare per impugnarli nel termine di decadenza (circa l’ammissibilità del ricorso a presunzioni, qualora assurgano a dignità di prova, per dimostrare la piena conoscenza del provvedimento lesivo da parte del ricorrente cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 23 ottobre 2000, n. 5668; Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 giugno 1993, n. 649)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1032 del 2014

Lo spunto del sabato: “siamo un paese di povera gente”

26 Lug 2014
26 Luglio 2014

Giuseppe Bettiol è stato uno dei più importanti professori di diritto penale italiani, un maestro della visione etica del diritto penale, di cultura cattolica. Me lo ricordo nei corridoi dell'Università  di Padova, in età ormai avanzata, alto, massiccio e con le stampelle. Nella Prefazione all'undicesima edizione del suo manuale di diritto penale, datato marzo del 1982, si legge: "La prevenzione speciale ha dato tutto quello che poteva dare, cioè il nulla. Con la prevenzione generale si può finire nel terrorismo e al terrorismo non si risponde con il terrorismo ma con un diritto penale razionale e umano che comprenda i fenomeni delittuosi, e li contenga. Non c'è altro da sperare. Le garanzie formali di legittimità sono ormai superate... Le pene hanno perduto ogni funzione e la pena di morte non è un deterrente. Le uniche garanzie che dal '45 mi permettevo di suggerire e che pur oggi hanno una valenza sono di natura sostanziale: esse sono la colpevolezza, la retribuzione, il rapporto di proporzione tra colpa e pena. Sono le sole che si inseriscono in una efficace difesa dei diritti dell'uomo. La difesa sociale - antica o moderna che sia - è solo una barzelletta per gli ingenui e finisce nella distruzione fisica o morale della persona umana. Ringrazio Iddio di avermi dato cinquant'anni di insegnamento per chiarire tutto questo. Sarò stato una voce isolata ma questo non interessa. Ciò che conta è rendere una testimonianza di verità nella vita... In questa edizione ho tenuto presenti le principali "modifiche al sistema penale" approvato dalla Camera dei deputati il 16 dicembre 1980 che complica purtroppo in peggio l'attuale codice penale senza senso alcuno di responsabilità. L'unica vera e autentica riforma penale sarebbe la demolizione degli attuali istituti di pena e la costruzione di nuove città carcerarie che eliminassero la soffocazione dell'uomo recluso  che è pur sempre un valore. Ma anche se spendiamo miliardi per ludi pubblici siamo un paese ... di povera gente!".

Dedicato a quelli che credono che il sistema penale italiano sia tutta un'altra cosa.

Non posso sottrarmi alla responsabilità morale di rendere testimonianza su quello che vedo e su come è ridotto il mio Paese: in Italia il carcere viene usato senza processo come ordinario strumento di tortura per estorcere dichiarazioni alle persone sottoposte a indagini, con la complicità della stampa, che ne enfatizza i risultati immorali come se fossero successi. Uso scientemente la parola "dichiarazioni" e non "confessioni", perchè le confessioni implicano la verità di quello che viene detto, mentre le dichiarazioni ne prescindono, perchè vengono rese solo per compiacere il torturatore e sottrarsi così al suo potere.   Se poi voi preferite continuare a fingere di non vedere e di non sentire o, peggio ancora, a pensare che vada bene così, non me ne curo, perchè a me basta di sapere che sto mettendo in pratica quello che mi ha insegnato Giuseppe Bettiol. Caso mai siete voi che non lo state facendo. Caro Papa Francesco, non basta dire che la tortura è un peccato mortale, se poi non puntiamo il dito verso un pubblico ministero o un G.I.P. o un presidente del tribunale del riesame, anche di un paese che si vanti di essere democratico, e, guardandolo negli occhi, non abbiamo la forza e il coraggio di dirgli: "tu stai torturando un essere umano".

Dario Meneguzzo - un avvocato cui è toccato in sorte di vivere in questo tempo in questo frammento dell'universo 

P.S. Mi è stato chiesto di spiegare meglio come le persone finiscano in carcere o agli arresti domiciliari senza processo. E' semplice. L'articolo 274 del codice di procedura penale italiano stabilisce che le misure cautelari prima del processo (tra le quali rientrano la custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari) sono disposte quando sussiste una di queste tre esigenze cautelari: 1)   pericolo di inquinamento delle prove; 2) pericolo di fuga; 3) pericolo di reiterazione del reato. La richiesta è presentata dal pubblico ministero ed è disposta del G.I.P. (giudice delle indagini preliminari). Quindi basta un accordo tra due magistrati. Il problema nasce dal fatto che molto spesso viene detto che sussistono il pericolo di reiterazione del reato o quello di inquinamento delle prove con motivazioni banalissime e prive di qualsiasi dignità logica, che coincidono con l'arbitrio più totale.  Non costituisce alcuna barriera a tale deriva il tribunale del riesame (noto anche come "tribunale della libertà"), visto che molti di questi tribunali possiedono lo stupefacente record di rigettare il 98% dei ricorsi che vengono loro presentati. E' evidente che il tribunale del riesame costituisce ormai una tutela per il pubblico ministero (che può così vantarsi che anche un tribunale abbia confermato la bontà dell'impianto accusatorio, come amano dire i giornalisti collusi) e non per il popolo italiano. L'enorme quantità di  reati anche gravi che commettono i cittadini italiani non può essere invocato come giustificazione per  il perdurare di questo stato di cose, che colpisce indiscriminatamente colpevoli e innocenti. L'inciviltà giuridica non è mai stata un valore negativo al quale ci si possa rassegnare.

Le deliberazioni che reiterano i vincoli richiedono una motivazione seria

25 Lug 2014
25 Luglio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 920 del 2014 si occupa anche della necessità di motivare in modo serio le deliberazioni che reiterano i vincoli scaditi.

Scrive il TAR: "6. E’, altresì, da accogliere il terzo motivo, nell’ambito del quale si rileva il difetto di motivazione delle delibere che procedono alla reiterazione del vincolo.

6.1 Come correttamente ricorda parte ricorrente l’orientamento giurisprudenziale prevalente richiede l’indicazione e l’esplicitazione delle ragioni alla base del provvedimento, precisando che nell’ipotesi in cui vi sia stata una prima reiterazione, quella successiva deve contenere una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le argomentazioni idonee ad escludere profili di eccesso di potere e, nel contempo, ad ammettere l’attuale sussistenza dell’interesse pubblico (in questo senso si veda Cons. di Stato sez. IV del 02/10/2008 n. 4765).

6.2 In particolare una recente pronuncia del Consiglio di Stato (n. 3365/2012), i cui contenuti questo Collegio non può che condividere, ha rilevato che “la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti (oggi rientrante nella previsione di cui all'art. 9 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) non può disporsi senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze, pubbliche e private, in quanto l'amministrazione nel reiterare i vincoli scaduti è tenuta ad accertare che l'interesse  pubblico sia ancora attuale e non possa essere soddisfatto con soluzioni alternative e deve indicare le concrete iniziative assunte o di prossima attuazione per soddisfarlo, nonché disporre l'accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell'indennità di espropriazione. Si è rilevato, in particolare, che: " l'obbligo di motivazione in materia di reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti sussiste anche quando la reiterazione del vincolo sia disposta in occasione dell'adozione di variante generale al p.r.g. “.

6.3 Sempre secondo la pronuncia sopra citata per conferire alla valutazione di imposizione di vincoli scaduti ed alla conseguente motivazione un grado di concretezza sufficiente occorre che si proceda secondo uno schema logico "minimo" composto ssenzialmente: “a) dalla ricognizione del perdurante bisogno di realizzare un certo assetto urbanistico di interesse della collettività e della portata, dimensione e priorità di tale interesse in relazione alla situazione attuale ed alle risorse disponibili; b) dall'accertamento che la realizzazione di tale assetto possa implicare il coinvolgimento necessario ed attuale dell'are di proprietà privata già oggetto di vincolo; c) dalla dimostrazione che eventuali soluzioni alternative siano impraticabili o eccessivamente onerose in base a criteri oggettivi di comparazione che tengano, però, anche conto del necessario bilanciamento tra costo dell'intervento pubblico e sacrificio imposto al privato".

6.4 Nulla di tutto ciò è presente nelle delibere impugnate che dispongono la reiterazione e, ciò, a prescindere dal fatto che riguardino l’adozione o l’approvazione della variante n. 55/2013.

6.5 Nulla si afferma circa la persistenza e l'attualità dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera, così come non è possibile evincere le ragioni del ritardo nell'esecuzione che, in quanto tali, hanno determinato la decadenza del primo vincolo e del successivo. 

6.6 In presenza di detto obbligo di motivazione va evidenziato come sia del tutto irrilevante la qualifica formale dell'atto; se quindi quest’ultimo integri la fattispecie di una variante o un provvedimento esplicito, finalizzato esclusivamente all’apposizione del vincolo, realizzandosi in tutti i casi una lesione sostanziale e protratta nel tempo del diritto di proprietà del singolo.

6.7 Ne consegue che la reiterazione non può essere disposta senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree, finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze pubbliche e private.

6.8 Ciò premesso, e pur nella convinzione dell'illegittimità in parte qua degli atti impugnati, va comunque rilevato come la necessità di vagliare soluzioni alternative costituisce un profilo che va strettamente correlato al caso di specie e allo stato di avanzamento dell’opera. 

6.9 Se il caso di specie era foriero di una particolare “tipicità” come sostiene l’Amministrazione comunale ciò non esclude che dell’esistenza di queste ragioni si sarebbe dovuto dar conto nelle delibere che reiteravano il vincolo, ponendo in stretta correlazione la reiterazione con le circostanze che avevano determinato il ritardo e le ragioni che ritenevano indispensabile disporre l’ulteriore limitazione al diritto di  proprietà.

6.9 Si consideri, inoltre, che nel caso in esame la valutazione circa l’esistenza di soluzioni alternativa era già stata esaminata dalla
precedente sentenza di questo Tribunale nell’ambito della quale si era già avuto modo di evidenziare come detta fattispecie attenga al merito dell'azione amministrativa e non sia suscettibile di una valutazione, se non per i tradizionali profili in materia di eccesso di potere, peraltro insussistenti nel caso di specie.

6.10 In conclusione a parere di questo Tribunale vanno nettamente distinti i profili attinenti alle pur legittime istanze finalizzate ad un "riposizionamento delle opere", rispetto a quei profili strettamente correlati al rispetto degli obblighi di motivazione gravanti nei confronti dell'Amministrazione procedente.

7. In definitiva è possibile accogliere le censure sopra citate, assorbendo gli ulteriori motivi dedotti e disponendo l’annullamento degli atti impugnati limitatamente alla parte in cui dispongono la reiterazione del vincolo espropriativo nei termini sopra citati".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 920 del 2014

D. lgs. 427/2004 – nuovo art. 146 comma 4 – ma cosa vuol dire che il ritardo sia dipeso dall’interessato?

25 Lug 2014
25 Luglio 2014

Il geom. Alberto Marangoni (responsabile del servizio edilizia privata del Comune di Spinea, che sentitamente ringraziamo) ha effettuato studio sulla relazione tra tempi di validità dell'autorizzazione paesaggistica e validità del titolo edilizio,   soprattutto alla luce delle recentissime modifiche introdotte al comma 4 dell'art. 146 del d. lgs. 42/2004.

Il nuovo testo è il seguente: "L'autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione. I lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro, e non oltre, l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo. Il termine di efficacia dell'autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell'intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest'ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all'interessato". (art. 146 comma 4, del Decreto Legislativo 22/01/2004 n. 42 e s.m. come modificato dall'art. 12, comma 1, lettera a), decreto-legge n. 83 del 31.05.2014)

CASO 1
Per le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal 01/06/2014 compreso (data di entrata in vigore del D.L. 83/2014)
VISTA l'autorizzazione paesaggistica n°.......... (allegata al presente atto) rilasciata, ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, in data ...... al  prot. n° ...... dal Settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Spinea, efficace per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data di ricevimento della notifica di avvenuto rilascio del presente titolo edilizio, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati interventi deve essere sottoposta a nuova autorizzazione ai sensi di quanto previsto dall'art.146, comma 4, del citato decreto; si precisa altresì che, ai sensi del citato comma, i lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo.

Attenzione: per tutte le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal 01/06/2014 bisogna anche verificare se il presente titolo edilizio viene rilasciato con un ritardo che dipende da circostanze imputabili all'interessato.
In questa circostanza bisogna utilizzare questa frase: (proposta)
VISTA l'autorizzazione paesaggistica n°.......... (allegata al presente atto) rilasciata, ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, in data ...... al  prot. n° ...... dal Settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Spinea, la quale, in forza di quanto stabilito dall'art.12, comma 1, lettera a) del D.L. n°83/2014, è efficace per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data del relativo rilascio in ragione del fatto che il presente titolo edilizio viene rilasciato con un ritardo che dipende da circostanze imputabili all'interessato (quali ...specificare...), scaduto il quale l'esecuzione dei progettati interventi deve essere sottoposta a nuova autorizzazione ai sensi di quanto previsto dall'art.146, comma 4, del citato decreto; si precisa altresì che, ai sensi del citato comma, i lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo.

CASO 2
Per le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate tra il 21/08/2013 compreso (data di entrata in vigore della Legge n°98/2013) e il 01/06/2014 escluso (data di entrata in vigore del D.L. 83/2014)
VISTA l'autorizzazione paesaggistica n°.......... (allegata al presente atto) rilasciata, ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, in data ...... al  prot. n° ...... dal Settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Spinea, efficace per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data del relativo rilascio, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati interventi deve essere sottoposta a nuova autorizzazione ai sensi di quanto previsto dall'art.146, comma 4, del citato decreto; si precisa altresì che, ai sensi del citato comma, i lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo.

CASO 3
Per le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate prima del 21/08/2013 (data di entrata in vigore della Legge n°98/2013) che risultavano ancora efficaci alla data del 21/08/2013
VISTA l'autorizzazione paesaggistica n°.......... (allegata al presente atto) rilasciata, ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, in data ...... al  prot. n° ...... dal Settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Spinea, efficace per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data del relativo rilascio, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati interventi deve essere sottoposta a nuova autorizzazione ai sensi di quanto previsto dall'art.146, comma 4, del citato decreto; si precisa altresì che: a) i lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo; b) ai sensi dell'art.30, comma 3, della L.R. n°98/2013  è prorogato di tre anni il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia alla data del 21/08/2013 (a quanto pare le due opzioni sono entrambe valide ... anche se sembrano escludersi a vicenda)

Il responsabile del servizio edilizia privata del comune di Spinea
geom. Alberto Marangoni

L’art. 34 della L. Reg. n. 11/2004 vieta di reiterare il vincolo espropriativo più di una volta anche con variante ordinaria

24 Lug 2014
24 Luglio 2014

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 920 del 2014, dove si legge che: "4. E’ in particolare fondato il secondo motivo, laddove si rileva la violazione dell’art. 34 della L. Reg. n. 11/2004 nella parte in cui prevede il divieto di reiterazione del vincolo espropriativo non più di una volta. 

4.1 La lettura della deliberazione n. 21/2013 conferma la validità della prospettazione dei ricorrenti e, nel contempo, consente di evincere come l’imposizione del vincolo sia avvenuta una prima volta con la deliberazione n. 2733/1995. Si desume, altresì, che una successiva reiterazione è stata posta in essere con la variante n. 18/2004 approvata con la delibera del Consiglio comunale di Vittorio Veneto n. 73/2004.

4.2 E’, allora, evidente che la seconda reiterazione del vincolo è stata “adottata” con la delibera n.21/2013 e poi approvata con la delibera della Provincia di Treviso e, ciò, in violazione dell’espresso divieto in questo senso contenuto nell’art. 34 sopra citato.

4.3 A fronte di detto dato oggettivo non è possibile condividere le tesi dell’Amministrazione comunale laddove evidenzia che la prima
reiterazione sarebbe stata posta in essere in un momento in cui non era ancora entrato in vigore l’art. 34 della L. reg. 11/2004.

4.4 L’infondatezza di detta argomentazione è evidente laddove si consideri che nel momento in cui veniva emanata la delibera di
adozione n. 21/2013 era pienamente vigente il divieto in questione, circostanza che avrebbe dovuto obbligare l’Amministrazione comunale a non procedere ad un’ennesima reiterazione.

5. Nemmeno appaiono di pregio le argomentazioni dirette a sostenere che l’adozione della variante ordinaria ai sensi dell’art. 50 comma 1 e 3 della L. Reg.11/2004 consentirebbe di superare il divieto di reiterazione sopra citato.

5.1 Se così fosse si introdurrebbe un regime differenziato a secondo che il vincolo sia contenuto in una variante ordinaria o semplificata. 

5.2 La differenza tra variante predisposta in forma semplificata (ai sensi dell’art. 50 comma 4 della L. Reg. 61/1985), e quella predisposta ai sensi del comma 1, va individuata nel solo fatto che la variante ordinaria ha lo scopo di modificare la destinazione urbanistica per le aree non conformi, introducendo un vincolo espropriativo in precedenza non previsto".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 920 del 2014

La approvazione di una variante al PRG non sana i vizi della adozione che si trasmettono invece alla approvazione

24 Lug 2014
24 Luglio 2014

Si legge nella sentenza del TAR Veneto n. 920 del 2014: "2. E’ altrettanto infondata l’eccezione di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse nella parte in cui l’Amministrazione comunale rileva che la delibera n. 27/2013 consentirebbe di superare tutti i motivi proposti avverso la precedente delibera n. 21/2013. Sul punto va ricordato che il procedimento di “adozione e approvazione” delle varianti al Piano regolatore, così come richiamato dall’art. 9 del Dpr 327/2001, costituisce un unico procedimento che presuppone tuttavia, l’emanazione di atti distinti e autonomi, nell’ambito dei quali, peraltro, i vizi contenuti nella delibera di adozione hanno l’effetto di riverberarsi sulla successiva delibera di approvazione (in questo senso Cons. Stato Sez. IV, 15-02-2013, n. 921)".

Dario Meneguzzo - avvocato

Il termine di 60 giorni assegnato dall’art. 46 del codice alle parti intimate per la costituzione in giudizio non è perentorio

24 Lug 2014
24 Luglio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 920 del 2014, precisando che per lo più "la parte intimata" è l'ente pubblico che ha emanato l'atto che viene impugnato.

Scrive il TAR: "1.1 Per quanto riguarda l’asserita violazione del termine dimezzato, e stabilito di cui all’art. 46 del Codice del Processo Amministrativo, va rilevato come costituisca espressione di un principio consolidato (Consiglio di Stato Sez. III, sent. n. 4601 del 02-08-2011) che “il termine di sessanta giorni dal perfezionamento della notificazione nei propri confronti, assegnato alle parti intimate per la costituzione in giudizio dall'art. 46 del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) non ha carattere perentorio in assenza di una puntuale comminatoria di legge. Il termine in parola, lungi dal rappresentare un onere per la parte resistente, ha invece una funzione garantistica in suo favore, nel senso che sino a che esso non è decorso non possono essere compiuti in suo pregiudizio atti che presuppongano la pienezza del contraddittorio (salva la specificità della fase cautelare, che prevede termini diversi). La parte resistente che non sfrutta la  possibilità di costituirsi entro l'apposito termine non perde il diritto di difendersi e, quindi, di costituirsi, ma semmai si espone al rischio che nelle more vengano presi provvedimenti pregiudizievoli senza averne potuto discutere (Conferma della sentenza del T.a.r. Marche - Ancona, sez. I, n. 2455/2010)”. 

1.2 Ne consegue che almeno sino allo spirare del termine di cui all’art. 73 del Codice del Processo Amministrativo la costituzione può avvenire con il deposito di memorie scritte".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 920 del 2014

Quando cessano per il concessionario gli obblighi della gestione post operativa di una discarica?

24 Lug 2014
24 Luglio 2014

Se la Provincia proroga di 15 anni la fase della gestione post operativa di una discarica, gli obblighi di gestione gravano sul concessionario (con convenzione peraltro scaduta) o sul Comune proprietario della discarica?

Il TAR Veneto, nella sentenza n. 1050 del 2014, precisa che gli obblighi rimangono in capo al vecchio concessionario, in forza di alcune clausole della convenzione.

Scrive il TAR: "Premesso che la mancata impugnazione della delibera della Giunta Provinciale rende intangibile la determinazione di proroga della fase di gestione post chiusura per almeno ulteriori 15 anni, atteso il perdurare della produzione di percolato e di bio-gas, deve condividersi la difesa del Comune laddove richiama il disposto dell'articolo 9 della convenzione, in tema di esercizio della discarica, in particolare ove vien detto che la concessionaria si obbliga a esercitare la discarica in conformità alle prescrizioni limiti e disposizioni che potranno essere contenute nei provvedimenti regionali o provinciali adeguandosi in ogni tempo ed entro i termini stabiliti alle eventuali nuove normative o prescrizioni. Ma se anche potesse sostenersi che tale previsione sia sempre contenuta nel torno temporale regolato dall'articolo 3 della convenzione, la domanda va respinta in quanto l'articolo 13 del decreto legislativo 36 del 2003 prevede che il gestore della discarica sia responsabile della corretta attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1,2 e3: nella gestione dopo la chiusura della discarica devono essere rispettati tempi modalità e criteri e le prescrizioni stabilite dall'autorizzazione e dai pieni di gestione operativa, post operativa e di ripristino ambientale… la manutenzione, la sorveglianza e i controlli della discarica devono essere assicurati anche nella fase della gestione successiva alla chiusura, fino a che l'ente territoriale competente accerti che la discarica non comporta rischi per la salute e l'ambiente. Il venir meno della convenzione non fa dunque cessare ex se la condizione di gestore della discarica in capo alla ricorrente, dato che alla  scadenza della convenzione l'obbligo della concessionaria stessa è quello della riconsegna dell'area, essendo ormai ultimata la ricomposizione ambientale, mentre, per effetto della disposta proroga, anche tale ricomposizione deve essere oggetto della proposta elaborata dal gestore e dal soggetto autorizzato all'esercizio della discarica. La mancata impugnazione della delibera della Giunta provinciale, infine impedisce anche la cognizione della legittimità della delibera di proroga sotto il profilo della eventuale mancata individuazione dei fondi per la gestione post operativa".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 1050 del 2014

Farmacie rurali e fatturato annuo

24 Lug 2014
24 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 17.07.2014 n. 1045 si occupa del fatturato annuo delle farmacie rurali affermando che: “Ricorda il Collegio tuttavia come la recente giurisprudenza abbia interpretato (confronta Consiglio di Stato sezione terza numero 1683 del 2014) la disposizione nel senso contrario a quanto ritenuto dai ricorrenti.

Richiamando infatti le modifiche introdotte nel 2001 rileva il giudice d'appello che “due sono le innovazioni contenute: anche per le farmacie rurali sussidiate ai fini dell'applicazione della deroga all'ordinario regime di sconti a favore del servizio sanitario nazionale viene introdotto un limite di fatturato al di sopra del quale la deroga non è applicabile; al contempo i limiti di fatturato a tal fine previsti sia per le farmacie rurali sussidiate, sia per le altre farmacie vengono ridefiniti rispetto alle precedenti disposizioni, prendendo a riferimento non il fatturato complessivo annuo- espressione che poteva intendersi riferita non solo alle vendite di tutti i medicinali ivi compresi quelli pagati privatamente dei cittadini, ma anche tutti gli altri prodotti, anche a carattere non sanitario normalmente venduti in farmacia, come cosmetici, giocattoli per la prima infanzia ecc.-, ma solo il fatturato annuo in regime di servizio sanitario nazionale al netto dell'Iva.

L’espressione fatturato annuo in regime di servizio sanitario nazionale si riferisce, secondo il suo significato letterale, a tutte le prestazioni a carico del servizio sanitario nazionale, comprese quelle di assistenza integrativa.”

Prosegue la decisione richiamata affermando non essere condivisibile l'assunto dell'appellante secondo cui, poiché le quote di spettanza per i farmacisti sul prezzo di vendita al pubblico fanno riferimento alle sole specialità medicinali e le percentuali dello sconto si riferiscono alle stesse specialità medicinali, anche l'espressione fatturato annuo in regime di servizio sanitario nazionale non può che assumere il medesimo significato e il medesimo parametro di riferimento. È viceversa ragionevole e coerente la scelta del legislatore risultante dal significato letterale dell'espressione predetta ove si consideri la disciplina di ordine generale sul rapporto tra servizio sanitario nazionale e farmacie.

Infatti l'articolo otto, comma due del decreto legislativo numero 502 del 1992 stabilisce che detto rapporto è disciplinato con convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali che devono tener conto di specifici principi, fra i quali quello secondo cui le farmacie pubbliche e private erogano l'assistenza farmaceutica per conto delle unità sanitarie locali del territorio regionale dispensando, su presentazione della ricetta del medico, specialità medicinali, preparati galenici, prodotti dietetici, presidi medico chirurgici e altri prodotti sanitari erogabili dal servizio sanitario nazionale. Anche alla luce di questa disposizione, che configura in senso ampio e unitario l'assistenza fornita per il tramite delle farmacie nell'ambito del servizio sanitario nazionale e delle sue articolazioni regionali non vi è ragione per ritenere che quando si tratta di fatturato annuo in regime di servizio sanitario nazionale si intenda riferirsi al fatturato delle sole specialità medicinali, escludendo quello degli altri prodotti sanitari erogati agli assistiti, come pretende l'appellante.

Non è, poi, vero, conclude la sentenza del Consiglio di Stato, che la conclusione interpretativa a cui giunge il Ministero della salute, quando afferma che l’espressione predetta “abbraccia il fatturato riguardante tutte le prestazioni erogate con onere a carico del Servizio sanitario nazionale (comprese, quindi, le prestazioni di assistenza integrativa”), sia priva di motivazione, come sostenuto nell’atto di appello. La nota ministeriale, infatti, oltre a richiamare il dato testuale, svolge questa specifica considerazione, che il Collegio ritiene del tutto condivisibile: “E’ ragionevole supporre…che qualora il legislatore avesse voluto ulteriormente favorire i farmacisti che beneficiano dell’indennità di residenza prendendo in considerazione il solo fatturato farmaceutico, avrebbe utilizzato una specifica e appropriata formulazione, in luogo di quella generica, riferibile a tutte le erogazioni in regime di SSN, così come ha avuto cura di precisare che l’importo deve calcolarsi ‘al netto dell’IVA’””.

dott. Matteo Acquasaliente 

TAR Veneto n. 1045 del 2014

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