La determinazione conclusiva della conferenza di servizi, anche se di tipo decisorio, ha sempre carattere endoprocedimentale e presuppone quindi un successivo provvedimento finale con valenza determinativa

16 Set 2013
16 Settembre 2013

Segnaliamo la sentenza del Consiglio di Stato n. 4507 del 2013.

Scrive il Giudice: "Osserva il Collegio come la tesi proposta dalle appellanti incidentali sia in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale, che appare ormai pacifico (C. di S., VI, 9 novembre 2010, n. 7981, e 11 novembre 2008, n. 5620) secondo il quale :

“...la determinazione conclusiva della conferenza di servizi, anche se di tipo decisorio, ha pur sempre carattere endoprocedimentale e presuppone quindi un successivo provvedimento finale con valenza effettivamente determinativa della fattispecie, con conseguente esclusione di onere di impugnazione immediata. La determinazione conclusiva della conferenza di servizi, anche se di tipo decisorio, ha pur sempre carattere endoprocedimentale e presuppone quindi un successivo provvedimento finale con valenza effettivamente determinativa della fattispecie, con conseguente esclusione di onere di impugnazione immediata...”.

Di conseguenza qualora, come di norma e come nel caso che ora occupa, nello schema procedimentale alla conferenza di servizi segua un atto monocratico di recepimento da parte di un organo dell’ente al quale spetta la competenza finale a provvedere, quest’ultimo è l’atto conclusivo del procedimento, al quale devono essere imputati gli effetti eventualmente lesivi.

Osserva il Collegio come la tesi proposta dalle appellanti incidentali sia in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale, che appare ormai pacifico (C. di S., VI, 9 novembre 2010, n. 7981, e 11 novembre 2008, n. 5620) secondo il quale :

In ulteriore conseguenza, è questo l’atto che deve essere impugnato da parte di chi si ritenga leso nella propria sfera giuridica. 

Deve essere osservato, inoltre, come sia irrilevante la qualificazione che, secondo le appellanti incidentali, la conferenza di servizi avrebbe conferito al proprio atto, posto che tale supposta autoqualificazione non può incidere sulla disciplina del procedimento ed ancora meno sulla tutela degli interessati".

Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.09.2013 n. 4507

Convegno di Spinea del 27 settembre 2013 sulla “legge del fare”

14 Set 2013
14 Settembre 2013

Il convegno di Spinea si svolgerĂ  presso la Sala Barbazza (retro Chiesa di Santa Bertilla), Via Gioberti, 1 a Spinea, il 27 settembre 2013, dalle ore 8.30 alle ore 14.30.

Convegno 27 Settembre Programma e Scheda Iscrizione

Il Comune (salvo il caso delle “zone bianche”) non è tenuto a rispondere alle istanze di modifica del PRG

13 Set 2013
13 Settembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1087 del 2013decide un ricorso in matweria di silenzio della P.A.

Nel caso specifico, la ricorrente, proprietaria di un fondo a destinazione industriale artigianale di completamento, volendo dar corso ad un intervento di complessiva ristrutturazione urbanistica di tale area attraverso un piano di recupero, ha proposto azione intesa al superamento del silenzio serbato dal Comune  sull’istanza dalla stessa presentata - avente  ad oggetto la richiesta di modifica parziale al PRG, al fine della individuazione dell’ambito di degrado ex lege 457/1978, propedeutica all’approvazione del Piano di Recupero.

Il TAR dichiara il ricorso inammissibile, con la seguente motivazione: "Infatti, l’art. 2 della L. n. 241/1990, quando impone alle amministrazioni pubbliche di concludere tutti i procedimenti mediante l’adozione di provvedimenti espressi entro il termine fissato dalla legge, si riferisce espressamente ai casi in cui tali procedimenti conseguano obbligatoriamente ad una istanza di parte ovvero debbano essere iniziati d’ufficio. Nel caso di specie, come correttamente osservato dalla difesa del Comune, il procedimento in questione, di approvazione di una variante urbanistica diretta ad individuare una zona di degrado nel territorio comunale, è per sua natura rimesso all’iniziativa esclusiva della P.A., regolato da termini puramente ordinatori e caratterizzato da valutazioni complesse e contenuti altamente discrezionali. A fronte di tale procedimento, il privato non vanta alcuna posizione di interesse legittimo ma una mera aspettativa alla reformatio in melius: sì che in tal caso, all’attesa del privato non corrisponde alcun obbligo di provvedere da parte della P.A. . Invero, il giudizio disciplinato dagli artt. 31 e 117 c.p.a. postula pur sempre l’esercizio di una potestà amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato si configura come un interesse legittimo: solo in tale prospettiva, infatti, trova razionale giustificazione la ratio del predetto giudizio, volto ad accertare se l’amministrazione abbia, con il silenzio, violato il predetto obbligo di provvedere (cfr. Cons. St. n. 3640/2006). Nel caso in esame, la ricorrente, dunque, non può essere considerata titolare di una posizione di interesse legittimo al fine di ottenere una determinazione dell’amministrazione in ordine all’istanza di adozione di una variante urbanistica per la classificazione di un certo ambito come di degrado ex lege 457/78, trattandosi di attività di regolamentazione urbanistica, rimessa alle valutazioni politico-discrezionali dell’amministrazione comunale. Per altro verso, l’amministrazione (salvo il caso delle “zone bianche”) non è tenuta giuridicamente a determinarsi in relazione alle richieste di variante della strumentazione esistente. Ne consegue che in mancanza di tali fondamentali presupposti, anche se l’amministrazione, nel caso di specie, ha attivato il procedimento per l’approvazione della variante, non si può per ciò solo ritenere che l’interesse ad una rapida definizione del medesimo procedimento sia assistito dalla tutela giuridica avverso il silenzio-inadempimento".

Domanda: ma allora il cittadino non può fare niente se la P.A. in questi casi non risponde? Non si potrebbe pensare che, se la P.A. adotta una variante, almeno in questo caso deve poi dire se la approva oppure no? Detto in altri termini: la posizione giuridica dell'istante è identica prima e dopo l'adozione?

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1087 del 2013

Certificazioni e dichiarazioni sostitutive

13 Set 2013
13 Settembre 2013

Il Consiglio di Stato, nella medesima sentenza n. 4471/2013, giĂ  allegata al post che precede, approfondisce le problematiche connesse alle certificazioni di qualitĂ  ed alle dichiarazioni sostitutive.

Nel caso di specie il disciplinare prevedeva, a pena di esclusione, l’onere di fornire le certificazioni di qualità richieste in originale o in copia conforme.

Sul punto si legge che: “Non può nemmeno essere condivisa l’argomentazione secondo la quale la presentazione del certificato di qualità, in originale o in copia autentica, costituisce un adempimento formale desumibile dall’art. 43 del d.lgs. n. 163/2006 (Norme di garanzia della qualità), il quale, in assenza di un sistema accreditato di qualificazione pubblica, fa riferimento al rilascio dei certificati da parte di organismi privati, e pertanto non suscettibili di essere prodotti in gara mediante autocertificazione.

Osserva il Collegio che la suddetta disposizione deve essere letta in chiave non formalistica, potendo l’impresa partecipante provare l’esistenza della qualificazione con mezzi idonei che garantiscano un soddisfacente grado di certezza, nel limite della ragionevolezza e della proporzionalità della previsione della legge speciale di gara, la quale deve garantire la massima partecipazione.

Peraltro, l'attestazione di qualità è certificazione a rilevanza pubblica, tanto è che gli organismi di attestazione, pur essendo privati, rilasciano certificazioni aventi contenuto vincolato e rilievo pubblicistico in rigida osservanza dei criteri fissati dal d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207 e nell'esercizio di una funzione di certificazione soggetta alla vigilanza dell’Autorità, con la conseguente possibilità di produrre le prescritte certificazioni mediante il sistema dell'autocertificazione.

Deve quindi essere affermato che l’art. 5 del disciplinare di gara, nella parte in cui fissa le modalità di allegazione degli obblighi dichiarativi, è illegittimo onde la dichiarazione sostitutiva è idonea, in virtù del principio di autoresponsabilità di cui è espressione, a creare affidamento nella stazione appaltante sul possesso dei requisiti di partecipazione”.

Il Collegio, altresì, specifica come dagli artt. 38, 47 e 76 del D.P.R. 445/200 - che impongono al dichiarante di allegare il documento di identità e di indicare le sanzioni penali per le ipotesi di falsità in atti e di dichiarazioni mendaci - “non si ricava la necessità che ogni sottoscrizione sia supportata da uno specifico richiamo alle sanzioni penali e singolarmente corredata di fotocopia del documento di identità, in quanto la domanda di partecipazione e i relativi allegati sono stati resi in un unico contesto e pertanto assumono, unitariamente considerati, la funzione sostanziale di prova della provenienza della domanda e delle dichiarazioni rese.

L’osservazione secondo la quale i suddetti elementi dovevano essere contenuti in un unico documento, anziché in diversi atti, è priva di rilevanza, una volta che le dichiarazioni suddette sono di contenuto convergente.

Atteso che certamente la domanda di partecipazione e i documenti allegati hanno contenuto convergente e risultano idonei – per il principio di autoresponsabilità – a creare affidamento nella stazione appaltante sul possesso dei requisiti di partecipazione, la censura deve essere respinta”.

dott. Matteo Acquasaliente

Il c.d. principio di tassativitĂ  delle cause di esclusione si applica anche alla concessione di servizi

13 Set 2013
13 Settembre 2013

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 09 settembre 2013 n.4471, indica quale disposizioni del Codice Appalti si applicano alle concessioni di servizi.

Nel post del 19.06.2013 si erano sollevati dei dubbi sull’affermazione contenuta nella sentenza del T.A.R. Veneto n. 797/2013 ove si leggeva che la concessione di servizi, non essendo un affidamento di servizi, è “sottratta all’applicazione delle disposizioni del codice dei contratti (cfr. art. 30 del codice dei contratti)”e agli artt. 119 e 120 c.p.a..

Nella sentenza che ivi si commentata l’appellante ritiene che la tassatività della cause di esclusione, ex art. 46, c. 1 bis, D. Lgs. 163/2006, non si applicherebbe all’affidamento di una concessione di servizi poiché, “ex art. 30 del d.Lgs. 163/2006, non è attratta, per materia, nell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria ed interna in materia di appalti pubblici”.

Il Collegio, tuttavia, ritiene che “la tesi non è condivisibile. Deve essere rilevato infatti che, come precisato anche dal primo giudice, l’art. 30 dispone che la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici, se ed in quanto norme di principio o esplicative di principi generali (C. di S., A. P., 7 maggio 2013, n. 13).

Ai sensi del terzo comma dell'art. 30, appena richiamato, la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicitĂ , non discriminazione, paritĂ  di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalitĂ .

Sulla base di tali principi generali, è pacifico che la norma richiamata indica nella proporzionalità delle prescrizioni della legge di gara il limite alla richiesta di elementi o documenti ulteriori rispetto a quelli essenziali, e che l’art. 46, evidente e concreta espressione dei principi medesimi, è suscettibile di generale applicazione.

I provvedimenti di esclusione da una procedura di gara devono quindi essere fondati - in virtĂą del fondamentale principio di massima partecipazione alla gara e di proporzionalitĂ  - su un'espressa comminatoria di esclusione, la quale deve essere non solo univoca ma anche interpretata nel rispetto dei principi di tipicitĂ  e tassativitĂ  disposti dall'art. 46 comma 1-bis.

Al riguardo, deve essere affermato che detti principi generali rivestono carattere cogente anche contro la previsione di segno contrario della lex specialis, la quale in parte qua deve essere dichiarata illegittima in quanto contrasta con il principio di tassatività delle cause di esclusione (inosservanza di prescrizioni normative, incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, violazione del principio di segretezza delle offerte) le quali non sono configurabili nel caso di specie”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 4471 del 2013

 

S.O.S. Tecnico: l’art. 30 del DL 21 giugno 2013 che proroga i termini dei piani attuativi si applica anche ai piani giĂ  scaduti prima?

12 Set 2013
12 Settembre 2013

Un lettore ci invia il seguente quesito: "con riferimento all' art.30 del DL 21 giugno 2013 convertito in legge 9 agosto 2013, che prevede al punto 3-bis la proroga di tre anni dei termini di validità dei Piani attuativi e Piani similari stipulati entro il 31 dicembre 2012, confrontato con il precedente punto 3 per il quale " sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori ........ nei titolo abilitativi rilasciati........ purchè i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato....." si richiede di sapere se, mancando riferimenti nel caso dei Piani Attuativi alla loro avvenuta decadenza, la proroga può intendersi automaticamente autorizzata ai sensi di legge. Dal fatto che sia la precisazione della decadenza dei titoli abilitativi rilasciati rispetto al testo del D.L., sia l'introduzione del punto 3bis sono stati introdotti contemporaneamente nella conversione in legge del DL, sembrerebbe proprio voluta la indifferenza dell'avvenuta o meno decadenza del Piano Attuativo".

La segnalazione è interessante e il testo dell'articolo citato sembrerebbe militare nel senso che la proroga valga anche per i piani già scaduti (al contrario di quello che vale per i permessi di costruire già scaduti).

Voi cosa ne pensate?

avv. Marta Bassanese

Per il Consiglio di Stato l’ordinanza di demolizione di opere abusive richiede l’avviso di avvio del procedimento o qualcosa di equivalente

12 Set 2013
12 Settembre 2013

Lo dice il Consiglio di Stato nella sentenza n. 4470 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "2. Circa la censura con la quale l’appellante lamenta la mancata adozione dell’avviso di avvio del procedimento a monte dell’ordinanza di demolizione, occorre ribadire che la partecipazione procedimentale dell’interessato deve essere assicurata o attraverso l’invio della comunicazione di avvio del procedimento o attraverso un suo effettivo coinvolgimento nell’attività istruttoria che caratterizza la tipologia  procedimentale in questione. Nel caso in questione l’adozione dell’ordine di demolizione è subordinato all’accertamento del carattere abusivo delle opere, desumibile sulla base di accertamenti tecnici. Pertanto, ciò che appare necessario è che al privato sia data la possibilità di partecipare a quelle attività di rilevamento fattuale che preludono alla valutazione circa l’adozione dell’ordine di demolizione. Il contraddittorio sulle prime esclude che l’attività istruttoria dell’amministrazione si sottragga al contraddittorio con l’amministrato e che quest’ultimo, avvisato di fatto dell’avvio dell’iter procedimentale, possa utilizzare tutte le altre facoltà di accesso infraprocedimentale, di impulso istruttorio, di dialettica per iscritto, che gli consentono di tutelare la propria posizione di interesse legittimo. Del resto, accertato l’abuso, la  disciplina dell’art. 14, l. 47/1985, impone l’adozione dell’ordine di demolizione (cfr. Cons. St., Sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2266). Nella controversia in esame l’appellante è stata reso edotto della presenza di un procedimento teso ad accertare la presenza di un abuso edilizio in costanza del sopralluogo effettuato dalla Polizia Municipale in data 2 maggio 2001 (cfr. verbale prot. 323/2001 in data 7 maggio 2001) e già in quella sede gli era chiesto, se fosse in possesso di eventuali autorizzazioni, ed egli aveva avuto modo di prospettare le proprie considerazioni in ordine all’epoca di realizzazione ed all’utilizzazione dei manufatti oggetto dell’ordinanza di ripristino. Inoltre, la seconda nota di contestazione dell’occupazione abusiva, che confermava la prima, era da quest’ultima preannunciata a guisa di avviso della presenza di un procedimento sanzionatorio in capo all’appellante.  Pertanto, non si riscontra lesione alcuna dei diritti partecipativi del Cibei, essendo stato quest’ultimo sempre in grado di interloquire con l’amministrazione prima dell’adozione dei  provvedimenti recanti gli effetti lesivi della sua sfera giuridica".

Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4470 del 2013

Come si calcolano i termini per il rilascio del parere della Soprintendenza di cui all’art. 146 del D.Lgs. 42/2004

12 Set 2013
12 Settembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1081 del 2013.

Il TAR ha deciso un caso nel quale  il ricorrente aveva presentato alla Regione Veneto una domanda per la trasformazione di un terreno agricolo, parzialmente sottoposto al vincolo idrogeologico,  in vigneto, ai sensi dell’art. 15 della L. reg. 52/78 e dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e dell’art. 2 della L. reg. 63/94terreno boschivo.

Il Servizio Forestale Regionale esprimeva parere favorevole all’intervento. La Soprintendenza comunicava, con nota del 21/10/2011 e al contrario, i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza rilevando che “l’intervento proposto consistente nell’impianto di un nuovo vigneto  …in un’area di eccezionale bellezza e di grande visibilità, … comporterebbe un’alterazione sostanziale dell’ambiente e inciderebbe negativamente sull’equilibrio del contesto sottoposto a tutela paesaggistico…”. Il ricorrente sosteneva la violazione dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004, in quanto non sarebbero rispettati i termini della norma, rilevando nel contempo che comunque il parere avrebbe dovuto considerarsi favorevole, essendo trascorsi 90 giorni senza che la Soprintendenza si fosse pronunciata.

Il TAR non accoglie questa tesi, affermando che: "1.1 E’ infondato il primo motivo mediante il quale si asserisce lala violazione dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004 in quanto non sarebbero rispettati i termini della norma, rilevando nel contempo che comunque il parere avrebbe dovuto considerarsi favorevole, essendo trascorsi 90 giorni senza che la Soprintendenza si fosse pronunciata;
2. Con riferimento a dette eccezioni in primo luogo va confermato la natura obbligatoria e vincolante del parere di cui all’art. 146 sopra citato e, ciò, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, 16-01-2013, n. 11) che ha sancito che “il parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici previsto dall'art. 146 D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali) ha natura obbligatoria e
vincolante e, quindi, assume una connotazione non solamente consultiva, ma tale da possedere un'autonoma capacità lesiva della sfera giuridica del destinatario..”
2.1 Va, inoltre, rilevato come nel concreto siano rispettati anche i termini entro i quali il parere doveva essere emanato e, ciò, considerando che i termini sia di cui al comma 5 che al comma 8 decorrono dalla data di ricezione degli atti e non dalla data di deposito dell’istanza presso l’ufficio regionale competente come sostenuto dalla parte ricorrente.
2.2 Ne consegue come non risulti nemmeno condivisibile l’applicazione di un presunto silenzio assenso di cui al comma 5 della disposizione sopra citata e, ciò, in considerazione del fatto che il parere sfavorevole era stato emesso nei termini sopra citati.
2.3 Si consideri, ancora, come sia infondata l’ulteriore eccezione contenuta sempre nel motivo di cui si tratta diretta a rilevare il mancato rispetto, da parte del Servizio forestale, del termine di 20 giorni dal ricevimento del parere della Soprintendenza per l’emissione del provvedimento finale.
2.4 Le parti resistenti hanno evidenziato, infatti, che il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 146 sopra citato, per quanto concerne la riduzione della superficie boscata, è sottoposta al rilascio del contestuale parere della Commissione Tecnica Regionale Decentrata Lavori Pubblici ai sensi dell’art. 15 della L. Reg. n. 27/2003. L’acquisizione di detto parere ha determinato il superamento del termine di 20 giorni sopracitato, circostanza quest’ultima che consente di evincere come detto superamento non sia ricollegabile ad un’inerzia dell’Amministrazione, ma alla necessità di acquisire l’ulteriore parere sopra citato".

Dario Meneguzzo

sentenza TAr Veneto 1081 del 2013

Si può presentare una SCIA per il cambio di destinazione d’uso di un fabbricato?

11 Set 2013
11 Settembre 2013

Si occupa della questione la sentenza del TAR Napoli n. 4193 del 2013.

Scrive il TAR: "parte ricorrente ha affermato solo genericamente che l’intervento non comporterebbe nessun carico urbanistico, senza allegare ossia alcun elemento serio e circostanziato, in questa direzione, e dunque senza fornire il benché minimo principio di prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. Tale carenza appare tanto più evidente ove soltanto si consideri che il cambio di destinazione d’uso tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee – come nel caso di specie dove si passerebbe da struttura residenziale ad attività di ristorazione – deve essere espressamente vagliato ed autorizzato dall’amministrazione, mediante rilascio di permesso di costruire e non mediante semplice SCIA, anche qualora non si riscontrino modifiche edilizia esteriori: e ciò proprio perché è necessario valutare in siffatte ipotesi gli effetti arrecati sul piano del carico urbanistico, ad esempio in termini di impatto sulla viabilità e sui parcheggi. Analisi questa che il ricorrente, come già anticipato, ha del tutto omesso di effettuare".

Per la verità, tale  questione non era l'oggetto del ricorso e il discorso del carico urbanistico riguardava l'applicazione del PAI, ma il TAR lo ha detto lo stesso, senza, peraltro, chiarire quale sia il nesso normativo tra i concetti richiamati.

Un altro punto della sentenza non risulta tanto chiaro. Il ricorrente ha impugnato l'inibitoria di una SCIA, lamentando, tra l'altro, la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, perchè non è stato inviato il preavviso di diniego prima dell'inibitoria. Il TAR respinge qesto motivo, dicendo che: "per giurisprudenza pressoché pacifica (cfr., ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 12 marzo 2013, n. 1407) è irrilevante la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 nei casi in cui il ricorrente, come nella specie, non avrebbe comunque potuto addurre elementi idonei a modificare il contenuto finale del provvedimento, con ogni conseguenza in ordine alla applicazione della disposizione sanante di cui all'art. 21-octies, comma 2, della stessa legge generale sul procedimento amministrativo".

Ma siamo sicuri che l'inibitoria di una SCIA richieda il preavviso di diniego ex art. 10 bis L. 241/90?

Dario Meneguzzo

TAR Napoli 4193 del 2013

Le novitĂ  in materia di DURC

11 Set 2013
11 Settembre 2013

Il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) è un certificato unico che attesta la regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi nonché in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa vigente nei confronti di Inps, Inail e Casse Edili, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento (cfr. "requisiti di regolarità"). La normativa che regola le modalità di rilascio del certificato e le regole di utilizzo è stata modificata ad opera dell’art.31 del D.L. n.69/13 (c.d. “Decreto del Fare”), convertito in legge il 9 agosto scorso. In sintesi, gli interventi riguardano le ipotesi di esenzione, i casi di acquisizione d’ufficio, l’estensione temporale di validità, le modalità di regolarizzazione della posizione del contribuente. Infine, si segnala l’avvio dell’obbligo di richiesta del certificato solo a mezzo PEC.

Ampliamento dei casi di esenzione

Viene sancito l’esonero dall’obbligo di richiesta del DURC qualora vengano eseguiti lavori privati di manutenzione in edilizia effettuati direttamente in economia dal proprietario dell’immobile, senza ricorrere a imprese “esterne”. Rimane ovviamente da chiarire il significato della locuzione di lavori “effettuati direttamente in economia dal proprietario”; sul punto, nemmeno la circolare n.36/13 del Ministero del Lavoro suggerisce utili spunti.

Casi di acquisizione d’ufficio del DURC

Le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori, nell’ambito degli appalti pubblici, debbono acquisire d’ufficio il DURC, tanto ai fini della verifica di ricorrenza di eventuali cause di esclusione, sia ai fini del pagamento delle prestazioni rese nell’ambito dell’appalto o subappalto. L’acquisizione d’ufficio del DURC interessa anche gli uffici pubblici chiamati a verificare l’assenza di violazioni, la regolarità della aggiudicazione dell’appalto e della stipula del relativo contratto, la possibilità di effettuare i pagamenti dei SAL, la regolarità per collaudi e conformità, nonché il pagamento del saldo finale.
Ampliamento della validitĂ  temporale del DURC Il documento unico di regolaritĂ  contributiva rilasciato per i contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture ha validità di 120 giorni dalla data del rilascio, ed ha validità per la fase della verifica, dell’aggiudicazione e della stipula del contratto. Dopo la stipula del contratto, i soggetti obbligati acquisiscono il DURC ogni 120 giorni; per il pagamento del saldo finale é in ogni caso necessaria l'acquisizione di un nuovo DURC. Fino al 31 dicembre 2014, la validità di 120 giorni del DURC interessa anche i lavori edili dei soggetti privati.

Invito alla regolarizzazione della posizione

Poiché il DURC attesta lo stato di regolarità contributiva del richiedente, vi possono essere situazioni in cui non siano stati regolarmente effettuati alcuni versamenti oppure non siano stati posti correttamente in essere alcuni adempimenti. Per effetto delle modifiche apportate alla norma, prima dell’emissione del DURC o dell’annullamento del documento già rilasciato, gli Enti interessati devono invitare l’azienda interessata, direttamente o tramite il Consulente del lavoro/Commercialista ed utilizzando la PEC, a regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a 15 giorni, indicando analiticamente le cause della irregolarità. In tal modo, si potrà provvedere tempestivamente per rimuovere eventuali anomalie ed ottenere il
certificato.

Richiesta del certificato solo a mezzo PEC

Dopo alcune proroghe, l’Inps, l’Inail e le Casse Edili, in accordo con il Ministero del Lavoro, hanno deciso di dare pratico avvio alle modalità di comunicazione esclusivamente tramite PEC; ne danno notizia appositi messaggi degli istituti di fine agosto. A decorrere dal 2 settembre scorso, dunque, è fatto obbligo di richiedere il DURC esclusivamente a mezzo di posta elettronica certificata (PEC). In tal senso, dovrà essere appositamente valorizzato il campo dell’indirizzo di posta elettronica certificata sul format presente sul sito www.sportellounicoprevidenziale.it. In mancanza di tale dato, non è più consentita la trasmissione della richiesta. L’invio tramite PEC equivale alla notifica a mezzo posta.

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