I “casoti da cacia” all’interno dei siti natura 2000 (sic-siti di importanza comunitaria e zps-zone di protezione speciale) richiedono la valutazione di incidenza?

19 Set 2013
19 Settembre 2013

Sembra che la Forestale ritenga che la costruzione dei "casoti da cacia" all'interno dei siti natura 2000 (sic-siti di importanza comunitaria e zps-zone di protezione speciale) richieda la preventiva valutazione di incidenza, ai sensi del dpr 357/1997, come modificato dal dpr 120/2003 ed in violazione delle direttive 147/2009/ce (direttiva uccelli) e 92/43/ce (direttiva habitat).

Segnaliamo che il TAR Palermo, con al sentenza n. 1474 del 2013, ha dichiarato illegittimi i calendari venatori e il piani faunistico venatorio per non essere stati preceduti dalla valutazione di incidenza ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, come sostituito dall’art. 6 del d.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Palermo 1474 del 2013

Lo stato di abbandono di un immobile non ne azzera il carico urbanistico (ai fini del contributo concessorio in caso di lavori edili)

19 Set 2013
19 Settembre 2013

Segnaliamo sul tema del carico urbanistico, ai fini del calcolo del contribhuto concessorio, la sentenza del TAR Piemonte 1009 del 2013.

Il TAR decide un ricorso col quale la società ricorrente ha lamentato l’illegittimità dell’imposizione da parte del Comune, in sede di rilascio del permesso di costruire, del pagamento di oneri di urbanizzazione per la realizzazione dei lavori di riqualificazione dell’immobile che, consistendo in semplici opere di manutenzione straordinaria e mantenendo inalterate superfici e volumetria dell’unità immobiliare, non avrebbero comportato, a suo parere, a differenza di quanto ritenuto dall’Amministrazione, un incremento del carico urbanistico, già considerato al momento del rilascio dei titoli edilizi per la costruzione e l’ampliamento dell’impianto industriale nel 1973 e nel 1980.

IL Comune ha tentato di sostenere che la debenza ex novo degli oneri di urbanizzazione sarebbe stata cagionata dallo stato di abbandono che avrebbe caratterizzato lo stabilimento industriale (inattivo da circa 20 anni) “azzerando” il precedente “carico urbanistico derivante dal suo uso”.

Il TAR accoglie il ricorso.

Scrive il TAR: "Va ribadito sul tema che il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 10.02.2011 n. 243).

Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’immobile: poiché l’entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e, quindi, l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 14.11.2007, n. 11213).

Nella fattispecie non affiorano elementi utili a comprovare che il rifacimento dei servizi (bagni, spogliatoi) e la realizzazione di nuovi impianti tecnici (centrale termica, centrale frigorifera, impianto di scarico acque bianche, impianto di scarico acque nere, impianto antincendio) sia stata accompagnata da un’alterazione del carico urbanistico, tenendo conto che la “riqualificazione” de qua interessa un immobile avente già in precedenza destinazione industriale .

In ogni caso, come affermato di recente (cfr. sentenze di questa Sezione 2/3/2012 n. 355; 24/8/2012 n. 1467) in presenza di un insediamento già in possesso di analoghe caratteristiche funzionali (l’immobile era, come detto, già sede di una fabbrica di ceramiche) l’Amministrazione – per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione – avrebbe dovuto dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evinceva il maggior carico urbanistico addebitabile alla predetta destinazione (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 4/5/2009 n. 3604).

Nel caso concreto l’Amministrazione ha evidenziato, invece, solo nelle memorie difensive che la debenza ex novo degli oneri di urbanizzazione sarebbe stata cagionata dallo stato di abbandono che avrebbe caratterizzato lo stabilimento industriale (inattivo da circa 20 anni) “azzerando” il precedente “carico urbanistico derivante dal suo uso”.

Tali argomentazioni, soprattutto in mancanza di precisi elementi esposti al riguardo nel provvedimento impugnato, non possono essere condivise.

Alla luce delle argomentazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato nella parte relativa alla richiesta da parte del Comune degli oneri di urbanizzazione, accertamento della non spettanza dei detti oneri per l’intervento di “riqualificazione” di cui è causa ed assorbimento di ogni altra doglianza".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Piemonte 1009 del 2013

Se la P.A. non paga, l’appaltatore può sospendere i lavori

19 Set 2013
19 Settembre 2013

Si segnala che tra le novità introdotte dal c.d. “Decreto del fare” (D.L. 35/2013 convertito dalla L. 34/2013) vi è la previsione di una disciplina transitoria sul rifiuto dell’appaltatore di eseguire la propria prestazione ai sensi dell’art. 1460 c.c. (Eccezione d’inadempimento).

L’art. 6 bis del decreto ha inserito nell’art. 253 del Codice dei Contratti il comma 23 bis, che così recita: “In relazione all'articolo 133, comma 1, fino al 31 dicembre 2015, la facoltà dell'esecutore, ivi prevista, di agire ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile può essere esercitata quando l'ammontare delle rate di acconto, per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il 15 per cento dell'importo netto contrattuale"

Ciò significa che, fino al 31 dicembre 2015, le imprese che non vengono pagate dalle amministrazioni potranno sospendere i lavori ed agire per la risoluzione del contratto, se l'ammontare delle rate di acconto non pagate raggiunge il 15% dell'importo contrattuale netto, anziché il 25% come previsto in via ordinaria dall’art. 133 c. 1 D.lgs. 163/2006.

avv. Marta Bassanese

Le distanze per le api

19 Set 2013
19 Settembre 2013

Segnaliamo che l'articolo 8 della L. 24 dicembre 2004, n. 313 (Disciplina dell'apicoltura) ha disciplinato le distanze per gli apiari, stabilendo che:

Dopo l’articolo 896 del codice civile, è inserito il seguente:

 “Art. 896-bis – (Distanze minime per gli apiari) – Gli apiari devono essere collocati a non meno di dieci metri da strade di pubblico transito e a non meno di cinque metri dai confini di proprietà pubbliche o private.
Il rispetto delle distanze di cui al primo comma non è obbligatorio se tra l’apiario e i luoghi ivi indicati esistono dislivelli di almeno due metri e se sono interposti, senza soluzione di continuità, muri, siepi o altri ripari idonei a non consentire il passaggio delle api. Tali ripari devono avere una altezza di almeno due metri. Sono comunque fatti salvi gli accordi tra le parti interessate.
Nel caso di accertata presenza di impianti industriali saccariferi, gli apiari dev ono rispettare una distanza minima di un chilometro dai suddetti luoghi di produzione".

La regola del rispetto della distanza dei dieci metri, di cui all’art. 9 del D.M. n.1444/68, vale per le pareti con vedute e non per quelle con luci

18 Set 2013
18 Settembre 2013

Lo precisa la sentenza del Consiglio di Stato n. 4451 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "Ebbene, un preciso orientamento sia della Cassazione (Cass. Sez. Civ., Sez. II 30 aprile 2012 n.6604), sia di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. IV 22 gennaio 2013 n.844) - dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi- ha avuto modo di affermare come la regola del rispetto della distanza dei dieci metri, di cui all’art. 9 del D.M. n.1444/68, si riferisce esclusivamente a pareti munite di finestre qualificabili come vedute e non ricomprende anche quelle su cui si aprono finestre cosiddette lucifere (come nel caso di specie). Ciò che rileva, insomma, è che il Novaro non ha la possibilità di “inspicere” nell’altrui prospiciente proprietà; e se così è, non v’è luogo all’applicazione della norma ex art. 9 citato, non esistendo, appunto, pareti finestrate su edifici fronteggianti e/o contrapposti (illuminante al riguardo è la riproduzione fotografica n. 4 della documentazione acclusa alla relazione dell’Ufficio accertatore)".

Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4451 del 2013

Le dichiarazioni ex art. 38 Codice Appalti riguardano anche l’affitto del ramo d’azienda

18 Set 2013
18 Settembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 11 settembre 2013 n. 1090, asserisce che le dichiarazioni rese ex art. 38, D. Lgs. 163/2006, devono essere espressamente riferite anche al legale rappresentante/amministratore dell’impresa, dalla quale la concorrente di una ATI si sia resa affittuaria di un ramo d’azienda: “Vero è che nel codice degli appalti manca una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o fitto d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori e direttori tecnici della cedente - atteso che l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda successiva all’aggiudicazione della gara - tuttavia non è neppure dubitabile che la norma di cui al citato art. 38, comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono (così TAR Napoli, Sez. I, 03 giugno 2013, n. 2868, nonché A.P. n. 10 del 2012 per la fattispecie specifica della cessione d’azienda).

3.4. Peraltro, l’esigenza di riferire le dichiarazioni anche agli amministratori dell’impresa dalla quale la concorrente ha ottenuto la disponibilità dell’azienda è ancora più evidente nel caso in cui si tratti di affitto e non di cessione dell’azienda, dal momento che l’influenza dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti (cfr., in termini, Consiglio di Stato, Sezione III, 18 luglio 2011, n. 4354; C.G.A., 5 gennaio 2011, n.8 e 26 ottobre 2010, n. 1314; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 16 marzo 2011, n. 488).

3.5. Né, per le stesse ragioni, può aver rilievo la circostanza che, nel caso di specie, il fitto di ramo di azienda sia intervenuto in epoca antecedente (tre mesi prima) alla pubblicazione del bando”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1090 del 2013

La semplice comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 non estingue l’obbligo di provvedere perché non coincide con l’emanazione del provvedimento finale

17 Set 2013
17 Settembre 2013

Lo precisa (ma bisognava proprio farselo dire?) la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 9/9/2013 n. 4473.

Scrive il Consiglio di Stato:  "....Va osservato che, poiché sia l'art. 2 della legge n. 241/1990 che l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 stabiliscono che l'amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso e motivato, l’adempimento di detto obbligo si realizza solo mediante l'adozione del provvedimento finale, entro i termini stabiliti dalla legge o dai regolamenti, in quanto è proprio l'emanazione di esso provvedimento che costituisce l'oggetto dell'obbligo di provvedere gravante (in base a dette norme) sull'Amministrazione e solo l'emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento fa venire meno l'inerzia dell'amministrazione.

Di conseguenza, la semplice adozione di un atto endoprocedimentale, come la comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10 bis della l. n. 241/1990, non estingue l'obbligo di provvedere e non fa venire meno l'inerzia dell'amministrazione, perché non coincide con l'emanazione del provvedimento finale, oggetto dell'obbligo di provvedere.

Sotto altro profilo va considerato che l'avvio del procedimento e la trasmissione dell'avviso dei motivi ostativi comunque non possono soddisfare la pretesa del ricorrente ad ottenere un provvedimento espresso, né rendere inutile la decisione del ricorso, atteso che solo la declaratoria giurisdizionale dell'obbligo di provvedere e dell'illegittimità del silenzio attribuisce con sicurezza al ricorrente la possibilità di ottenere, anche tramite la nomina di un commissario “ad acta”, un provvedimento espresso e motivato sull'istanza proposta....".

Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4473 del 2013

Negli appalti di servizi le attrezzatture devono essere indicate a pena di esclusione

17 Set 2013
17 Settembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 11 settembre 2013 n. 1091, chiarisce che, negli appalti di servizi, la disposizione prevista dall’art. 42, c. 1, lett. h), D. Lgs. 16372006 (secondo cui: “Negli appalti di servizi e forniture la dimostrazione delle capacità tecniche dei concorrenti può essere fornita in uno o più dei seguenti modi, a seconda della natura, della quantità o dell'importanza e dell'uso delle forniture o dei servizi: (...) h) per gli appalti di servizi, dichiarazione indicante l'attrezzatura, il materiale e l'equipaggiamento tecnico di cui il prestatore di servizi disporrà per eseguire l'appalto”) è da intendersi prevista a pena di esclusione ex artt. 46, c. 1 bis e 48, D. Lgs. 163/2006.

 A riguardo si legge che: “7.1. Infatti, la richiesta di indicazione dei veicoli messi a disposizione per l’espletamento del servizio di cui alle citate disposizioni della legge di gara, da un lato, risponde ad uno specifico interesse pubblico inerente l’oggetto e la natura del servizio messo a gara (per lo svolgimento del quale risulta essenziale “la disponibilità di mezzi preventivamente allestiti al bisogno ed omologati”), dall’altro, risulta perfettamente conforme al dettato dell’art. 42, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale ammette, nel caso di appalti di servizi, che la dimostrazione della capacità tecnica e professionale dei concorrenti possa essere fornita mediante una specifica “dichiarazione indicante l’attrezzatura, il materiale e l’equipaggiamento tecnico di cui il prestatore di servizi disporrà per eseguire l’appalto”, ossia mediante una descrizione delle attrezzature e dei materiali tecnici di cui il concorrente intende avvalersi, tale da consentirne una loro precisa individuazione già in sede di offerta, suscettibile di verifica ai sensi del successivo art. 48 (il cui esito negativo comporta la sanzione espulsiva).

7.2. Peraltro, nella fattispecie in esame, l’omessa elencazione dei mezzi che in concreto sarebbero stati utilizzati per il servizio si è tradotta, al contempo, nel difetto di un requisito speciale per la partecipazione alla gara e in un’incertezza assoluta di un elemento essenziale dell’offerta, in quanto tale non suscettibile di alcuna “regolarizzazione” successiva da parte della stazione appaltante (pena la violazione della par condicio dei concorrenti), così da determinarne la necessaria esclusione dalla gara”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Venento 1091 del 2013

Per esercitare l’attività medico dentistica l’immobile deve essere in regola non solo dal punto di vista igienico-sanitario ma anche da quello urbanistico-edilizio

17 Set 2013
17 Settembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1085 del 2013 esamina un caso nel quale uno studio dentistico è stato installato in un immobile il quale, secondo il PRG,  può avere solo destinazione residenziale.

Il TAR conferma che il cambio d'uso è abusivo, anche se si tratta di attività medica.

Scrive il TAR: "2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 9, 10 e 11 della L.R. n. 22/2002, in quanto, la domanda di autorizzazione all’esercizio dell’attività medico-dentistica doveva essere esaminata secondo la normativa in materia igienico-sanitaria e non sotto il profilo urbanistico-edilizio. Anche tale doglianza non è condivisibile. Infatti, il legittimo esercizio dell’attività medico-dentistica deve necessariamente essere ancorato alla regolarità dell’immobile, nella quale essa attività deve essere svolta, sotto il profilo urbanistico-edilizio. Ciò in quanto i due profili sono strettamente connessi presupponendo il primo l’esistenza del secondo, posto che se l’immobile non è conforme alla normativa urbanistica edilizia esso non può essere utilizzato per lo svolgimento dell’attività autorizzanda, dovendo comunque il Comune intervenire per reprimere l’abuso sul piano edilizio. Pertanto, è evidente che l’accertamento della conformità dell’immobile alla disciplina edilizia ed urbanistica, oltre che alla disciplina igienicosanitaria, costituisce presupposto indefettibile per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria. Nel caso di specie, il Comune ha accertato un mutamento di destinazione d’uso da residenziale a direzionale non autorizzato e non consentito dalla normativa regionale e comunale in vigore, ragion per cui l’immobile non può essere utilizzato per lo svolgimento di attività sanitaria".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1085 del 2013

S.O.S. tecnico: il piano casa consente di realizzare unità indipendenti dall’edificio originario che viene ampliato?

16 Set 2013
16 Settembre 2013

IL geometra Carlo Brun Cardo del Comune di Sarego (VI) pone un rilevante quesito in materia di applicazione del piano casa.

La questione è la seguente: gli interventi realizzati col piano casa possono portare a un nuovo edificio (casa o appartamento, per esempio) del tutto autonomo rispetto all'edificio che ha originato l'ampliamento oppure devono consistere solo ed esclusivamente in veri e propri ampliamenti dell'edificio originario?

Argomenti a favore dell'autonomia:

1) il comma 2 dell'articolo 2 della legge sul piano casa (legge regionale 14/2009, come modificata dalla legge regionale 13/2011) stabilisce che "L'ampliamento di cui al comma 1 deve essere realizzato in aderenza rispetto al fabbricato esistente o utilizzando un corpo edilizio contiguo già esistente; ove ciò non risulti possibile oppure comprometta l'armonia estetica del fabbricato esistente può essere autorizzata la costruzione di un corpo edilizio separato". Il fatto che possa essere realizzato un corpo separato dimostrerebbe che è possibile realizzare una unità immobiliare indipendente da quella originaria, soprattutto dopo che è stata abrogata la parte della disposizione che precisava: "di carattere accessorio e perinenziale";

2) da nessuna parte sta scritto che l'ampliamento non può essere commercializzato separatamente rispetto all'edificio originario.

Argomenti contrari all'autonomia:

1) il comma 1 dell'articolo 2 della legge stabilisce che il piano casa si attua attraverso "l'ampliamento degli edifici esistenti"; il significato letterale della parola "ampliamento" non può essere stravolto fino al punto di realizzare edifici svincolati da quello originario che viene ampliato; la possibilità di realizzare un corpo edilizio separato sta a significare che è possibile realizzare, per esempio, anche cucine o camere separate dall'edificio originario (e non solo locali accessori, come cantine o garage);

2) il comma 1 dell'articolo 2 stabilisce che l'ampliamento serve per raggiungere le finalità dell'articolo 1 della legge, il quale si riferisce a "interventi finalizzati al miglioramento della qualità abitativa per preservare, mantenere ricostruire e rivitalizzare il patrimonio edilizio esistente"; da nessuna parte sta scritto che possono essere realizzate unità indipendenti;

3) per separare giuridicamente l'ampliamento dall'edificio originario bisogna effettuare una ristrutturazione edilizia  dell'edificio compelssivo risultante da quello originario + l'ampliamento.

Al fine di realizzare una statistica, chiediamo ai lettori di inviarci informazioni per sapere quali comuni si regolano in uno o nell'altro modo.

Dario Meneguzzo

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