Piano casa: vendita alloggio in corso di costruzione e richiesta di voltura del titolo abilitativo

10 Giu 2013
10 Giugno 2013

Un Comune ha posto alla Regione un quesito sul piano casa: si tratta di un nuovo corpo edilizio staccato staccato dalla abitazione esistente, ricavando una nuova abitazione, ai sensi dell'articolo 2 della L.R. 14/09.

Il problema che si pone è come regolarsi nel caso in cui, durante l'esecuzione dei lavori, l'interessato voglia vendere l'immobile a terze persone, alle quali volturare il titolo abilitativo.

La Regione risponde che "si ritiene che quantomeno sino all'avvenuta conclusione dell'iter amministrativo, relativo alla pratica in oggetto, non sia opportuno consentire la voltura dell'atto abilitativo edilizio".

La risposta non risulta molto soddisfacente.

In primo luogo, rileviamo che "opportuno" è un aggettivo che richiama la discrezionalità: ma su queste cose c'è discrezionalità del Comune? In secondo luogo, siamo proprio sicuri che il giorno dopo la conclusione dell'iter si possa vendere l'immobile a un terzo qualsiasi, realizzando così una bella speculazione in deroga al PRG, magari in zona agricola?Era proprio questo lo scopo del piano casa?

In verità, la risposta sembra tradire l'imbarazzo dell'interprete per una legge piuttosto ambigua, che chiama "ampliamento" quella che poi si è voluto far diventare la possibilità di costruire veri e propri edifici autonomi dove capita (e senza neanche il rispetto  delle distanze dai confini).

Dario Meneguzzo

QuesitoPianoCAsa

rispostaQuesitoPianoCasa

Decreto legge 63/2013 per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010 sulla prestazione energetica nell’edilizia

07 Giu 2013
7 Giugno 2013

Sulla GU n.130 del 5-6-2013 è stato pubblicato il DECRETO-LEGGE 4 giugno 2013, n. 63, recante "Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione delle
procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, nonche' altre disposizioni in materia di coesione sociale. (13G00107)".

 Modificazioni all'articolo 8 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192

 1. Il comma 1 dell'articolo 8 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e' sostituito dal seguente:

 «1. Il progettista o i progettisti, nell'ambito delle rispettive competenze edili, impiantistiche termotecniche e illuminotecniche, devono inserire i calcoli e le verifiche previste dal presente decreto nella relazione tecnica di progetto attestante la rispondenza alle prescrizioni per il contenimento del consumo di energia degli edifici e dei relativi impianti termici, che il proprietario dell'edificio, o chi ne ha titolo, deve depositare presso le amministrazioni competenti, in doppia copia, contestualmente alla dichiarazione di inizio dei lavori complessivi o degli specifici interventi proposti. Tali adempimenti, compresa la relazione, non sono dovuti in caso di mera sostituzione del generatore di calore dell'impianto di climatizzazione avente potenza inferiore alla soglia prevista dall'articolo 5, comma 2, lettera g), del decreto 22 gennaio 2008 del Ministro dello sviluppo economico, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, n. 61 del 12 marzo 2008. Gli schemi e le modalita' di riferimento per la compilazione della relazione tecnica di progetto sono definiti con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentita la Conferenza unificata, in funzione delle diverse tipologie di lavori: nuove costruzioni, ristrutturazioni importanti, interventi di riqualificazione energetica. Ai fini della piu' estesa applicazione dell'articolo 26, comma 7, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, per gli enti soggetti all'obbligo di cui all'articolo 19 della stessa legge, la relazione tecnica di progetto e' integrata attraverso attestazione di verifica sulla applicazione della norma predetta redatta dal Responsabile per la conservazione e l'uso razionale dell'energia nominato.».

 2. Dopo il comma 1, e' inserito il seguente:

 «1-bis. In relazione all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2010/31/UE, in caso di nuova costruzione, nell'ambito della relazione di cui al comma 1, e' prevista una valutazione della fattibilita'tecnica, ambientale ed economica per l'inserimento di sistemialternativi ad alta efficienza tra i quali, a titolo puramenteesemplificativo, sistemi di fornitura di energia rinnovabile,cogenerazione, teleriscaldamento e teleraffrescamento, pompe dicalore e sistemi di misurazione intelligenti.».

 Art. 12

Modificazioni dell'articolo 15 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192

 1. L'articolo 15 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e' sostituito dal seguente:

 «Art. 15 (Sanzioni). - 1. L'attestato di prestazione energetica di cui all'articolo 6, il rapporto di controllo tecnico di cui all'articolo 7, la relazione tecnica, l'asseverazione di conformita'e l'attestato di qualificazione energetica di cui all'articolo 8, sono resi in forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai sensi dell'articolo 47, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

 2. Le autorita' competenti che ricevono i documenti di cui al comma 1 eseguono i controlli con le modalita' di cui all'articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445,  e applicano le sanzioni amministrative di cui ai commi da 3 a 6. Inoltre, qualora ricorrano le ipotesi di reato di cui all'articolo 76, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si applicano le sanzioni previste dal medesimo articolo.

 3. Il professionista qualificato che rilascia la relazione tecnica di cui all'articolo 8, compilata senza il rispetto degli schemi e delle modalita' stabilite nel decreto di cui all'articolo 8, comma 1 e 1-bis, o un attestato di prestazione energetica degli edifici senza il rispetto dei criteri e delle metodologie di cui all'articolo 6, e' punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 700 euro e non superiore a 4200 euro. L'ente locale e la regione, che applicano le sanzioni secondo le rispettive competenze, danno comunicazione ai relativi ordini o collegi professionali per i provvedimenti disciplinari conseguenti.

 4. Il direttore dei lavori che omette di presentare al comune l'asseverazione di conformita' delle opere e l'attestato di qualificazione energetica, di cui all'articolo 8, comma 2, contestualmente alla dichiarazione di fine lavori, e' punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 1000 euro e non superiore a 6000 euro. Il comune che applica la sanzione deve darne comunicazione all'ordine o al collegio professionale competente per i provvedimenti disciplinari conseguenti.

 5. Il proprietario o il conduttore dell'unita' immobiliare, l'amministratore del condominio, o l'eventuale terzo che se ne e'assunta la responsabilita', qualora non provveda alle operazioni dicontrollo e manutenzione degli impianti di climatizzazione secondoquanto stabilito dall'articolo 7, comma 1, e' punito con la sanzioneamministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 3000 euro.

 6. L'operatore incaricato del controllo e manutenzione, che non provvede a redigere e sottoscrivere il rapporto di controllo tecnico di cui all'articolo 7, comma 2, e' punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 1000 euro e non superiore a 6000 euro. L'ente locale, o la regione competente in materia di controlli, che applica la sanzione comunica alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di appartenenza per i provvedimenti disciplinari conseguenti.

 7. In caso di violazione dell'obbligo di dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici di nuova costruzione e quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti, come previsto dall'articolo 6, comma 1, il costruttore o il proprietario e' punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 3000 euro e non superiore a 18000 euro.

 8. In caso di violazione dell'obbligo di dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici o le unita' immobiliari nel caso di vendita, come previsto dall'articolo 6, comma 2, il proprietario e' punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 3000 euro e non superiore a 18000 euro.

9. In caso di violazione dell'obbligo di dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici o le unita' immobiliari nel caso di nuovo contratto di locazione, come previsto dall'articolo 6, comma 2, il proprietario e' punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 300 euro e non superiore a 1800 euro.

 10. In caso di violazione dell'obbligo di riportare i parametri energetici nell'annuncio di offerta di vendita o locazione, come previsto dall'articolo 6, comma 8, il responsabile dell'annuncio e'punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 3000 euro.».

 DECRETO-LEGGE 4 giugno 2013, n. 63

I servizi pubblici tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa

07 Giu 2013
7 Giugno 2013

Ringraziando l’Avv. Gianluca Ghirigatto per la segnalazione, pubblichiamo l’ordinanza della Cassazione civile, sez. Unite, 21 marzo 2013 n. 7043, che si occupa del riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici: laddove le controversie sono relative all’organizzazione del servizio vi è la giurisdizione del giudice amministrativo, mentre vi è la giurisdizione ordinaria laddove le censure riguardano il rapporto di utenza. In particolare si legge che: “in materia di pubblici servizi (siano essi dati o meno in concessione), ai fini del riparto della giurisdizione occorre distinguere tra la sfera attinente all'organizzazione del servizio e quella attinente, invece, ai rapporti d'utenza. Sicchè, in ipotesi di azione risarcitoria proposta nei confronti dell'ente gestore del servizio energetico e/o proprietario della rete, se il danno lamentato dall'utente è il riflesso dell'organizzazione del servizio stesso, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo, ai sensi delle disposizioni di cui alle lett. C ed O, comma 1, art. 133 c.p.a.; se, invece, non si controverte dell'esercizio o del mancato esercizio del potere amministrativo o, comunque, di comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni o da soggetti ad esse equiparati e l'utente proponga l'azione con riferimento ai danni derivati dal cattivo funzionamento dell'erogazione e chieda la condanna del convenuto a provvedere alla soluzione tecnica dell'inconveniente, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario”, conformemente alla precedente pronuncia della Cass., sez. Unite, 14 giugno 2007, n. 13887, secondo cui: “Le controversie aventi ad oggetto le domande proposte contro il Gestore della rete di trasmissione nazionale s.p.a. per il risarcimento dei danni cagionati dalla interruzione della somministrazione dell'energia elettrica sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, tenuto conto che nelle iniziative (ovvero nella mancata o negligente adozione di idonee iniziative) predisposte in occasione di abbassamenti di tensione sulla rete nazionale di distribuzione non è ravvisabile un mero comportamento, dato che le scelte dirette a garantire il funzionamento della rete e ad assicurare in via preventiva una riserva di potenza necessaria al suo funzionamento, costituiscono espressione dell'esercizio di un potere derivante dalla concessione e finalizzato al perseguimento dell'interesse pubblico”.

dott. Matteo Acquasaliente

cass sez unite 7043 2013

Le osservazioni di ANCE Veneto sulla proposta di “Regolamento regionale recante gli indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale”

06 Giu 2013
6 Giugno 2013

Pubblichiano le osservazioni  in ordine alla proposta di Regolamento di competenza della Giunta regionale, n. 38/CR del 7.05.2013 “Regolamento regionale recante gli indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale – Art. 4 L.R. 28.12.2012, n. 50”, presentate da ANCE VENETO nella audizione del 5 giugno 2013 davanti alla  III^ Commissione consiliare del Consiglio regionale del Veneto, osservazioni predisposte dal dott. Roberto Travaglini di Confindustria Vicenza, ringraziando sentitamente per averne autorizzato la pubblicazione.

-

Osservazioni di Ance Veneto alla proposta di Regolamento s…

-

Vox clamantis in deserto? Temiamo di si.


La natura conformativa del vincolo di c.d. “verde pubblico attrezzato”

06 Giu 2013
6 Giugno 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 28 maggio 2013 n. 770, ribadisce la natura conformativa – e quindi l’assenza della decadenza ultraquinquennale e dell’obbligo di indennizzo proprio dei vincoli espropriativi – del vincolo di c.d. “verde pubblico attrezzato” previsto dal PRG del Comune: “7. Deve premettersi che, in base alla giurisprudenza a cui aderisce il Collegio, il vincolo di piano regolatore a «verde pubblico attrezzato» non ha natura espropriativa, qualificandosi come vincolo di natura conformativa della proprietà conseguente alla zonizzazione effettuata dagli strumenti urbanistici per definire i caratteri generali dell’edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale, ponendo limitazioni in funzione dell’interesse pubblico generale (Consiglio di Stato Sez. IV,12 maggio 2010, n. 2843).

7.1. Il carattere conformativo dei vincoli non dipende, infatti, dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono ed in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica; di contro il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, nr. 4662; id., 23 settembre 2008, nr. 4606)".

7.2. Pertanto, deve considerarsi conformativo, e come tale non soggetto a decadenza, il vincolo con cui un determinato terreno è classificato come "verde attrezzato" (Così, Tar Napoli 2398 - 3 maggio 2010 -Sez. II, ma cfr. anche Tar Napoli 7606 - 19 giugno 2003 - Sez. Unica), in quanto non comporta né l’ablazione dei suoli né il sostanziale svuotamento dei diritti dominicali di natura privata insistenti su di essi: ciò che, in ragione di quanto più sopra precisato, è sufficiente per escludere che possa trattarsi di vincolo sostanzialmente espropriativo e/o preordinato all’esproprio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 aprile 2012, nr. 2116; Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 2012, nr. 244)”.

Corollario di ciò è che: “la natura conformativa del vincolo in questione introdotto dal PRG del Comune di Fiesso d’Artico esclude l’esistenza delle condizioni normative necessarie per ritenere doveroso il relativo indennizzo (come espressamente affermato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 12 maggio 1999 n. 179, e ribadito dalla giurisprudenza, cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 14 maggio 2000 n. 2934)”.

dott. Matteo Acquasaliente

 TAR Veneto n. 770 del 2013

Secondo il TAR Brescia il seminterrato ha la vocazione a diventare moschea

06 Giu 2013
6 Giugno 2013

Anche i seminterrati possono avere una loro vocazione, almeno secondo il TAR Brescia. 

La questione nasce in riferimento al divieto di effettuare attività di culto e di preghiera presso un locale seminterrato, emanato da un Comune lombardo  a carico di una associazione culturale islamica.

Il Comune deduceva che il locale, legittimamente adibito a sede dell’associazione ricorrente, sarebbe in fatto utilizzato come sede dedicata di culto islamico (ovvero a moschea), uso per il quale, a differenza che per la sede di una associazione, sarebbe richiesto il permesso di costruire, ai sensi dell’art. 52 comma 3 ter della l.r. Lombardia 12/2005, nella specie mancante.

Secondo il TAR Lombardia, sede Brescia, sentenza n. 522 del 29 maggio 2013, però “il Comune è senz’altro titolare dell’astratto potere di sanzionare l’uso di un locale difforme dalla destinazione, ma che nel caso di specie l’uso difforme non può essere identificato con il mero fatto che nel locale si svolga la preghiera, del venerdì o di altra ricorrenza. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza già richiamata e che qui si riproduce –in tal senso C.d.S., sez. IV, 28 gennaio 2011, n°683- e dalla prassi, che pure si torna a citare – in tal senso il parere al Ministero dell’Interno espresso il 27 gennaio 2011 dal Comitato per l’Islam italiano- per ravvisare la presenza di una moschea in senso rilevante per le norme edilizie e urbanistiche sono necessari due requisiti, l’uno intrinseco, dato dalla presenza di determinati arredi e paramenti sacri, l’altro estrinseco, dato dal dover accogliere “tutti coloro che vogliano pacificamente accostarsi alle pratiche cultuali o alle attività in essi svolte” e “consentire la pratica del culto a tutti i fedeli di religione islamica, uomini e donne, di qualsiasi scuola giuridica, derivazione sunnita o sciita, o nazionalità essi siano”(così il parere stesso)”.

Il Collegio continua scrivendo che: “una chiesa consacrata nei termini della religione cattolica, e anche di altri culti, può esistere anche all’interno di una proprietà privata -come nel caso delle cappelle gentilizie, di conventi o di istituti, dove è ben possibile dir regolarmente Messa- ma non assume rilievo urbanistico edilizio sin quando non permetta il libero accesso dei fedeli. Pertanto, l’uso incompatibile potrebbe verificarsi nel caso in cui l’accesso per la libera attività di preghiera fosse non riservato ai membri dell’associazione, ma indiscriminato, perché è in quest’ultimo caso che si verifica l’aumento di carico urbanistico da valutare in sede di rilascio del permesso di costruire, fermo che ciò dovrebbe essere in concreto accertato dall’autorità, attraverso una corretta e completa istruttoria.”

Se da un punto di vista formale il ragionamento del Collegio non incontra ostacoli, nella sostanza però a me sembra che vi sia una differenza essenziale tra le chiese (cattoliche o islamiche) nate come chiese e le moschee sorte come nel caso di specie. Da decenni, le chiese, gli istituti, i conventi citati nella sentenza sorgono, anche, su terreni privati, ma nascono con lo specifico scopo e la destinazione d’uso propria degli istituti di culto

Diversamente, le moschee “improvvisate” di cui al caso di specie, non nascono come luoghi di culto in senso stretto, ma vengono adibite all’interno di luoghi più o meno consoni allo scopo religioso. A volte sono seminterrati di magazzini riadattati a luogo di culto (si ricorda il caso di Legnano ove la Giunta ha ordinato la chiusura del centro anche per motivi di sicurezza, scelta poi appoggiata dal Tar), altre volte sono case private (come nel caso di Giussano ove il Consiglio di Stato ha ritenuto che le attività svolte all’interno di un centro di culto islamico sono equiparabili ad una moschea e per questo necessitano di concessioni e autorizzazioni, permessi che garantiscono di avere i servizi per garantire l’ordine pubblico, come parcheggi per non creare problemi ai residenti della zona).

dott.sa Giada Scuccato

sentenza TAR Brescia 522 del 2013

 

Il T.A.R. Veneto solleva la questione di legittimità costituzionale delle norma statale che attribuiscono al Comune il potere di istituire e localizzare le nuove farmacie

06 Giu 2013
6 Giugno 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nell’ordinanza n. 713 del 17 maggio 2013, solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, c. 1, secondo periodo della legge n. 475 del 1968, nel testo introdotto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 11 del D.L. n. 1 del 2012, come convertito dalla legge n. 27 del 2012, e la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, c. 2, del D. L. n. 1 del 2012 come convertito dalla legge n. 27 del 2012, per contrasto con il principio di sussidiarietà verticale e di libertà d’iniziativa economica di cui agli artt. 41, 97 e 118 Cost., in quanto verrebbe illegittimamente attribuita al Comune la competenza per l’istituzione e la localizzazione delle nuove sedi farmaceutiche.

In particolare il T.A.R. afferma che: “Il collegio ritiene che non sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 (secondo periodo del primo comma) della legge n° 475 del 1968, nel testo introdotto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012. come convertito dalla legge n° 27 del 2012 e la questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012. come convertito dalla legge n° 27 del 2012.

Tali articoli hanno introdotto il nuovo potere del comune di identificare le zone nelle quali collocare le nuove farmacie, in modo che sia assicurato il rapporto, stabilito dal secondo comma dell’art. 1 della legge n° 475 del 1968 (nel testo introdotto dall’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012 convertito dalla legge n° 27 del 2012) di una farmacia ogni 3.300 abitanti.

Tale potere comunale, introdotto dall’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012, ha abrogato le disposizioni che prevedevano la formazione e la revisione periodica delle piante organiche comunali delle farmacie ad opera di un’autorità sovracomunale (così Consiglio di Stato III n° 1858 del 2013).

In particolare nella regione Veneto è stato abrogato, per effetto dell’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012, l’art. 14 della legge regionale n° 78 del 1980 nella parte in cui attribuisce alla giunta regionale le funzioni amministrative concernenti la formazione e la revisione della pianta organica delle farmacie.

L’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012 ha attribuito ai comuni un potere di regolazione del settore farmaceutico in ambito comunale.

Tale potere regolatorio è caratterizzato da un ampio margine di discrezionalità.

Sotto tale profilo non appare idoneo a delimitare la discrezionalità il parametro numerico (contenuto nel secondo comma dell’art. 1 della legge n° 475 del 1968) di una farmacia ogni 3.300 abitanti, perché tale parametro numerico non è riferito alla popolazione di ciascuna zona nella quale deve essere collocata una farmacia, ma al rapporto tra il numero totale delle farmacie da collocare nel territorio comunale ed il numero totale degli abitanti del comune. Tale profilo è reso infatti evidente dal primo periodo del primo comma dell’art. 2 della legge n° 475 del 1968, secondo cui non ogni singola zona, ma ogni comune, nel suo complesso, deve avere un numero di farmacie in rapporto a quanto disposto dall’art. 1 (ossia una farmacia ogni 3.300 abitanti).

L’art. 2 della legge n° 475 del 1968 stabilisce che il potere di zonizzazione attribuito al comune è vincolato ai seguenti scopi:

- assicurare un’equa distribuzione sul territorio;

- garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate.

Tali obiettivi, pur vincolanti, tuttavia non sono idonei ad assicurare un’imparziale zonizzazione delle farmacie, perché il comune ha comunque la facoltà di identificare zone, ciascuna con popolazione diversa (pur nel rispetto del parametro medio di una farmacia ogni 3.300 abitanti), in modo che restino favoriti i titolari delle farmacie per le cui zone è stato previsto un maggior numero di abitanti e dunque un più ampio bacino d’utenza.

Si deve al riguardo inoltre ed a maggior ragione considerare che la titolarità delle farmacie può essere stata assunta dal comune, così come effettivamente è avvenuto nel comune di Treviso.

La circostanza che il comune abbia assunto la titolarità di farmacie può indurre il comune stesso a disegnare la zonizzazione comunale delle farmacie in modo tale da favorire le farmacie comunali, assicurando alle stesse un bacino d’utenza maggiore rispetto alle farmacie non comunali. In tal caso non si ha solo una disciplina inidonea ad assicurare un esercizio imparziale del potere regolatorio di zonizzazione, ma un vero e proprio conflitto d’interessi precedente all’esercizio del potere regolatorio.

I limiti posti dal legislatore all’esercizio della discrezionalità, anche considerando i pareri non vincolanti che devono essere richiesti nel procedimento, non sono sotto tale profilo idonei ad assicurare il perseguimento del carattere di imparzialità del potere regolatorio.

Il conflitto d’interessi sussiste anche quando, come nel caso di specie, il comune sia socio minoritario di una società di gestione del servizio farmaceutico. Infatti anche in tal caso il minore o maggiore fatturato della farmacia determina un minore o maggiore beneficio economico a favore del comune, essendo anche il socio comune beneficiario degli utili d’impresa e dell’eventuale aumento di valore che l’azienda presentasse nel corso dell’esercizio”.

dott. Matteo Acquasaliente

 TAR Veneto ordinanza n. 713 del 2013

Regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici in vigore dal 4-6-2013‏

06 Giu 2013
6 Giugno 2013

Sulla GU n.129 del 4-6-2013 è stato pubblicato il DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 16 aprile 2013, n. 62 "Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. (13G00104)".

Il regolamento entra in vigore il 4-6-2013.

Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici

Come si misurano le aree destinate a parcheggio?

05 Giu 2013
5 Giugno 2013

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza del 28 maggio 2013 n. 2916, si occupa della delimitazione degli spazi adibiti a parcheggi confermando il ragionamento del giudice di prime cure, ossia che per delimitare tali zone bisogna escludere le aree di accesso e di manovra, detrarre le porzioni che non sono utilizzabili per la loro forma, per le ridotte dimensioni ovvero per il loro difficile accesso.

In particolare il Consiglio di Stato esclude che possa avere valore normativo la circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 3210 del 28 ottobre 1967 - applicativa dell’art. 41 sexies della legge n. 1150/1942 - secondo cui gli spazi per parcheggi devono intendersi “gli spazi necessari tanto alla sosta quanto alla manovra ed all’accesso dei veicoli”, e che gli spazi per parcheggi devono essere previsti considerando non solo il dato “quantitativo” e dimensionale, ma anche il dato funzionale dell’area, in applicazione dell’art. 18 della legge 765/1967 secondo cui: “nelle nuove costruzioni ed anche nelle arre di pertinenza delle costruzione stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni  10 metri cubi di costruzioni”.

Invero nella sentenza si legge che: “In disparte lo studio del Consiglio nazionale del notariato, che ha un interesse dottrinario, ma non ha alcun valore normativo (ed è anche abbastanza fonte di perplessità il fatto che esso sia stato esibito in giudizio), va escluso parimenti che possa avere tale valore la circolare ministeriale (che, peraltro, in argomento si esprime in maniera molto netta, affermando che per spazi per parcheggi devono intendersi “gli spazi necessari tanto alla sosta quanto alla manovra ed all'accesso dei veicoli”), atteso che è pacifico in giurisprudenza che le circolari amministrative, in quanto atti di indirizzo interpretativo, non sono vincolanti per i soggetti estranei all'amministrazione, mentre per gli organi destinatari esse sono vincolanti solo se legittime, e ciò in quanto le circolari amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici periferici ovvero sottordinati, e non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all'amministrazione, ben potendo quindi essere disapplicate anche d'ufficio dal giudice investito dell'impugnazione dell'atto che ne fa applicazione (Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2010 n. 7521; id., sez. IV, 21 giugno 2010, n. 3877).

L’unico elemento di valore normativo è quindi quello contenuto nella legge urbanistica, che tuttavia al citato art. 41 sexies prevede unicamente il quantum e la finalità di tali spazi, senza precisare il modus del calcolo delle aree. Si legge, infatti, nel citato articolo, come aggiunto dall’articolo 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765 e successivamente sostituito dall’articolo 2 della legge 24 marzo 1989, n. 122:

“Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione”.

Se quindi non si rinviene nell’ordinamento un elemento cogente che possa permettere la scelta in favore di un’interpretazione piuttosto che di un'altra, esistono invero più decisioni di questo Consiglio che hanno sottolineato l’esistenza di uno stretto collegamento tra, da un lato, gli obblighi normativi che impongono la predisposizione di aree a servizio dei manufatti realizzati e, dall’altro, la concreta possibilità di fruizione di tali spazi. Si è così delineata una lettura orientata in senso teleologico delle disposizioni di tutela, specialmente in materia di standard urbanistici.

In tale ratio, si collocano decisioni che hanno negato la sufficienza di un parcheggio collocato in area non fruibile (e dove la fruibilità era collegata non a valutazioni normative ma fattuali, poiché il “terreno pertinenziale destinato a parcheggio deve ragionevolmente intendersi come condizione necessaria per la migliore fruizione del parcheggio medesimo da parte di tutti coloro che intendono comodamente accedervi con i propri mezzi di locomozione per poi uscire con i relativi acquisti più o meno ingombranti e/o pesanti da collocare su tali mezzi”, Consiglio di Stato, sez. V, 25 giugno 2010 n. 4059); oppure decisioni che hanno evidenziato i pericoli legati alla smaterializzazione degli standard (evidenziando come “la monetizzazione degli standard urbanistici non può essere considerata alla stregua di una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà l’opera, e ciò perché, da un lato, così facendo si legittima la paradossale situazione di separare i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della qualità di vita degli appellanti) e dall’altro, si nega tutela giuridica agli interessi concretamente lesi degli abitanti dell’area”, Consiglio di Stato, sez. IV, 4 febbraio 2013 n. 644).

È pertanto sulla scorta di questa interpretazione della disciplina vigente che deve ritenersi fondata la decisione del giudice di prime cure, e quindi non per un’improbabile compatibilità con la circolare dell’allora Ministero dei Lavori Pubblici 28 ottobre 1967, n. 3210, come evidenziato dal T.A.R., quanto per la stretta connessione della sentenza con la ratio della legge, ratio che risulterebbe invece violata qualora la norma fosse intesa in senso meramente quantitativo, come voluto dalle parti appellanti.

Infatti, qualora si potessero individuare gli standard costruttivi in ragione del solo dato dimensionale, verrebbe conseguentemente posto in ombra il dato funzionale, ossia la destinazione concreta dell’area, come voluta dal legislatore. Soddisfacendo gli standard con la messa a disposizione di aree non utilizzabili in concreto (ossia, seguendo l’indicazione del T.A.R., utilizzando “le porzioni che non sono utilizzabili, per forma o per le ridotte dimensioni, ovvero perché eccedenti un posto macchina standard ma insufficienti per realizzarne un altro, ovvero infine per il difficile accesso”), la norma di garanzia verrebbe frustrata, atteso che il citato art. 41 sexsies della legge urbanistica non contempla un nudo dato quantitativo, ma un dato mirato ad uno scopo esplicito, atteso che essa impone dapprima la riserva di “appositi spazi per parcheggi”, provvedendo poi a quantificarla “in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione”.

dott. Matteo Acquasaliente

Consiglio di Stato n. 2916 del 2013

 

Le imprese non possono presentare varianti progettuali diverse da quelle previste dalla lex specialis

05 Giu 2013
5 Giugno 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 28 maggio 2013 n. 777, dichiara che l’impresa deve essere esclusa dalla gara laddove presenti delle varianti progettuali non contemplate dalla lex specialis: “Ad avviso del Collegio siffatta previsione, ancorché non sia stata espressamente presidiata dalla sanzione dell’esclusione dalla gara, deve comunque essere intesa, sul piano logico-formale, nel senso che la proposizione di varianti non tassativamente contemplate nell’elenco predisposto dalla stazione appaltante debba necessariamente comportare l’esclusione dalla competizione del concorrente che non si sia uniformata alle prescrizioni contenute nel bando.

Sarebbe, infatti, inutiliter data l’espressa elencazione nel disciplinare di gara delle varianti proponibili, se in caso di presentazione di varianti diverse da quelle contemplate nella lex specialis la commissione non escludesse l’impresa che le abbia proposte, e ciò per la decisiva considerazione che è stata la stessa stazione appaltante ad autovincolarsi valutando ex ante che l’opera sia realizzata con le precise caratteristiche definite in sede di progettazione esecutiva (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 25 settembre 2008, n. 2090).

Ed invero, ammettere che la commissione possa derogare ex post a quanto stabilito nel bando e nel disciplinare di gara, equivarrebbe a consentire un’inammissibile violazione del principio dell’affidamento e della par condicio, avuto riguardo ai concorrenti che invece si sono attenuti alle prescrizioni del bando formulando un’offerta conforme alle previsioni del progetto esecutivo (ex multis, T.A.R. Piemonte, sez. I, 16 novembre 2009, n. 2553)”.

Di conseguenza: “Alla luce delle richiamate coordinate giurisprudenziali tale soluzione progettuale avrebbe dovuto essere sanzionata con l’esclusione dalla gara dell’offerta vincitrice in considerazione del fatto che, oltre a determinare una diversa e inammissibile configurazione dei ponti facenti parte dell’opera viaria in questione, ha consentito una cospicua riduzione delle quantità di acciaio (circa 200.000,00 Kg) previste dal progetto esecutivo predisposto dalla stazione appaltante permettendo così alla società controinteressata di giovarsi di una artificiosa riduzione dei costi, e di alterare l’esito della procedura in violazione del richiamato principio di par condicio dei partecipanti alla selezione (cfr. Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2010, n. 743; Cons. St., sez. V, 11 luglio 2008, n. 3481)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 777 del 2013

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC