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Accordi urbanistici: tabelle, responsabilità, partecipazione dei terzi

01 Ago 2014
1 Agosto 2014

Caro Dario,

Ti mando il testo della relazione sugli accordi nella legge 241 che ho tenuto al recente convegno di Cortina d’Ampezzo organizzato dall’Associazione veneta avvocati amministrativisti.

Dopo aver premesso generali considerazioni sugli accordi ex art. 11 legge 241, ho finito per occuparmi degli accordi urbanistici e di alcuni temi di fondo che mi sembrano non risolti; temi sui quali più volte ci siamo confrontati, partendo dall’esame concreto della realtà veneta.

In particolare, continua a sembrarmi non risolto il tema della misura dell’utilità che l’amministrazione pubblica deve ricavare da un accordo urbanistico.

È noto che molti Comuni, e nel Veneto moltissimi, si sono dotati, sia all'interno dei loro strumenti di pianificazione urbanistica sia all'esterno di essi, di parametri economici precisi con i quali misurare la proposta di accordo urbanistico del privato; di "tariffe", come mi è recentemente capitato di sentire in un incontro pubblico (pure se espresse non necessariamente in denaro, ma in percentuale di volumi o di aree o in finanziamenti di opere pubbliche).

Il riferimento a questo tipo di parametri, specie nell'applicazione rigida che ne è fatta, non è in realtà corretto: si ripercuote evidentemente sulla discrezionalità del potere pubblico nel valutare in concreto quale sia l'interesse pubblico urbanistico da perseguire nelle scelte edificatorie concordate.

Finisce cioè per risultare preminente, rispetto alla valutazione urbanistica dell'intervento, la valutazione dell'amministrazione in merito al rispetto di quei parametri economici.

Insomma, dal punto di vista dell'amministrazione, la considerazione di quanto essa deve in ogni caso conseguire in termini di utilità economica per poter accogliere la proposta del privato non può prevalere sulla considerazione di quello che si consente di realizzare (come intervento urbanistico che rimarrà ad incidere sul territorio comunale nei decenni…).

Sul punto, non sono mancate le riflessioni critiche della giurisprudenza. Cfr. ad es. Cons. Stato 616/2014, su Oderzo (non possono essere conclusi accordi che servono all’amministrazione per conseguire opere che non hanno alcun collegamento con l’intervento assentito); Cons. Stato, 2985/2008, su Ponterotto (non è sulla base di un rapporto meramente quantitativo che può valutarsi la rispondenza all’interesse pubblico di  un accordo urbanistico).

 Si comprende bene, naturalmente, quali sono le ragioni che inducono le amministrazioni a fissare le "tariffe".

Si tratta di evitare disuguaglianze, e rischi per gli amministratori in situazioni che spesso sono difficili da valutare: se vi sono trattamenti diseguali, è evidente il pericolo che si pensi alla volontà di favorire o sfavorire taluno.

Se tutto ciò è ben comprensibile, ugualmente gli esiti di un tal modo di procedere non sono accettabili. Gli interventi urbanistici rilevanti non si misurano con le tariffe ne' con le tabelle.

Tariffe e tabelle non devono essere un armamentario usato dagli amministratori per limitare la propria responsabilità nel compimento di scelte discrezionali di pianificazione consensuale.

Il concetto centrale è quello dell'assunzione di responsabilità (evidentemente, da parte degli amministratori, più che da parte degli uffici).

Alla base di tutto, deve esservi un’assunzione consapevole di responsabilità nel compimento di scelte urbanistiche che sono sì ampiamente discrezionali, ma che devono essere fatte con grande trasparenza e dando ad esse una adeguata pubblicità preventiva.

 Il tema dell'interesse pubblico dell'accordo si lega dunque al tema della responsabilità, e quest'ultimo si connette a sua volta al tema della trasparenza e della partecipazione procedimentale nella formazione degli accordi urbanistici.

 Al riguardo, ritengo che le amministrazioni dovrebbero garantire sulle proposte di accordi urbanistici le più ampie  forme di partecipazione, anche attraverso meccanismi di confronto e di dibattito pubblico.

Fondamentale è infatti attribuire un ruolo ai terzi nel procedimento che conduce all’accordo.

Non è certo sufficiente  - né alla tutela dei terzi, né a fornire all'amministrazione adeguati elementi di valutazione - quella modesta e risalente forma di partecipazione costituita dalla possibilità di presentare osservazioni sul piano urbanistico adottato (ex art 9 l.u.).  Una partecipazione cioè assai limitata, che interviene quando già l'amministrazione ha definito una propria volontà sulla proposta di accordo.

Per avere autentico significato, la partecipazione deve intervenire sulla proposta di accordo, per consentire la valutazione dei termini di essa, e dunque la rispondenza dei suoi contenuti alle specifiche esigenze del territorio sul quale l'intervento dovrà essere compiuto, anche consentendo la prospettazione di proposte alternative.

Stefano Bigolaro - avvocato

Relazione Cortina 11.7.2014

Impianto di gassificazione: compatibilità urbanistica e mancata espressione del parere in sede di conferenza di servizi

01 Ago 2014
1 Agosto 2014

Con la decisione n. 1097 del 20 luglio 2014, la Terza Sezione del TAR per il Veneto ha accolto il ricorso presentato da alcuni cittadini residenti in prossimità di un allevamento intensivo di avicoli (tacchini) avverso l’autorizzazione unica rilasciata, ai sensi del D.Lgs. 387/2013, dalla Regione Veneto per la realizzazione di un impianto di gassificazione delle deiezioni provenienti dal medesimo allevamento e da un allevamento di tacchini collocato in altro sito.

I giudici hanno accolto il ricorso riscontrando i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria procedimentale.

Si segnalano, in particolare, due passaggi della decisione: il primo in cui il TAR chiarisce la portata applicativa del terzo comma dell’art. 12 del d. lgs. n° 387 del 2003[1], sulla autorizzazione in variante: il secondo in cui il TAR la portata applicativa del settimo comma dell’art. 14-ter della legge n° 241 del 1990[2], sul c.d. assenso implicito acquisito in sede di conferenza di servizi.

Con riguardo alla tematica della variante urbanistica necessitata dall’installazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, il Collegio così conclude: “Non è possibile, come vorrebbero invece la regione Veneto e la parte controinteressata, considerare che l’intervento sia stato autorizzato in variante al piano regolatore. L’autorizzazione in variante è consentita dal terzo comma dell’art. 12 del d. lgs. n° 387 del 2003. Tuttavia nel caso di specie l’intervento non è stato autorizzato in variante al piano regolatore, ma sul falso presupposto della conformità al piano regolatore. L’autorizzazione in variante deve essere il frutto di un’istruttoria adeguata e, anche in relazione all’adeguatezza dell’istruttoria, deve essere oggetto di una previsione specifica e motivata. Nel caso di specie la previsione di autorizzare l’intervento in difformità dal piano regolatore non è stata nè specifica né motivata.

La variante, in sostanza, deve essere oggetto di apposita istruttoria in sede di conferenza e costituire oggetto di pronuncia della conferenza stessa. Essa non discende in via automatica dall’approvazione di un impianto in deroga alle previsioni urbanistiche.

Con riguardo alla mancata pronuncia del parere da parte di una delle autorità chiamate a partecipare al procedimento unico, il TAR così precisa: “Dal verbale della conferenza di servizi del 3 Giugno 2013 risulta che la provincia di Vicenza è risultata assente alla conferenza. La Regione Veneto ritiene che, ai sensi del settimo comma dell’art. 14-ter della legge n° 241 del 1990, si è determinato l’implicito assenso della provincia di Vicenza. Tuttavia, affinchè si abbia l’implicito assenso di cui sopra, la conferenza deve deliberare sull’oggetto della volontà che si intende esprimere. (…) sarebbe stato necessario una specifica determinazione della conferenza sul rilascio dell’autorizzazione allo scarico, determinazione che è invece mancata. Ne consegue che la conferenza di servizi è incorsa in violazione di legge, perché non ha deliberato, come invece avrebbe dovuto per poter assentire l’intervento, sull’autorizzazione allo scarico. Il collegio sottolinea che l’art. 14-ter della legge n° 241 del 1990 consente di qualificare come assenso l’assenza dell’amministrazione alla conferenza di servizi, ma a condizione che la conferenza di servizi abbia adottato una specifica delibera sul punto che deve intendersi assentito. Inoltre, anche se, in ipotesi astratta, la provincia di Vicenza fosse da considerarsi soggetto assenziente alla deliberazione della conferenza di servizi, il mancato specifico ed espresso esame degli scarichi effluenti dall’impianto ha determinato un difetto d’istruttoria in relazione alla doverosa valutazione degli effetti che si producono sull’ambiente per effetto degli scarichi stessi. L’autorizzazione impugnata è dunque viziata per violazione di legge e difetto d’istruttoria.”.

In conclusione, per potersi avere l’effetto sostitutivo del parere nel caso in cui l’autorità competente a esprimerlo non si esprima, occorre che la conferenza dei servizi assuma una apposita determinazione sull’aspetto di competenza dell’autorità “silente”.



[1] “La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, ovvero, per impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW, dal Ministero dello sviluppo economico, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. (…)”.

[2] “Si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paessaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all'esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata.”. 

sentenza TAR Veneto n. 1097 del 2014

Testo coordinato del decreto legge 83/2014 “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”

01 Ago 2014
1 Agosto 2014

Si richiama l'attenzione sui seguenti articoli:

 - Art. 4 - Disposizioni urgenti per la tutela del decoro dei siti culturali;
 
- Art. 12 - Misure urgenti per la semplificazione, la trasparenza, l'imparzialita' e il buon andamento dei procedimenti in materia di beni culturali e paesaggistici.
 
geom. Daniele Iselle
 

Richiesta Permesso di costruire via PEC: condizioni di procedibilità e presupposti per la formazione del silenzio assenso

31 Lug 2014
31 Luglio 2014

La sentenza del TAR Abruzzo n. 348 del 2014 si occupa della richiesta del permesso di costruire presentata via PEC e della possibilità che in tal caso si formi il silenzio assenso.

Consigliamo la lettura integrale della sentenza per la rilevanza delle molteplici questioni ivi trattate. 

geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Abruzzo n. 348 del 2014

Il garage con le ruote è un abuso edilizio e non una pertinenza non autonomamente utilizzabile

31 Lug 2014
31 Luglio 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 3952 del 2014 ha dato ragione al Comune di Piove di Sacco in merito alla demolizione di un garage con le ruote, in quanto opera abusiva e non una pertinenza non autonomamente utilizzabile. In precedenza, invece, il TAR Veneto, con al sentenza n. 696 del 2003, aveva dato ragione al resistente, mentre la Procura aveva ordinato la demolizione del garage.

Dice il Consiglio di Stato: "8.- Va osservato preliminarmente che con la impugnata sentenza il T.A.R. ha accolto il ricorso dei signori Adriano Benettello e Maria Boaretto contro l’ordine di demolizione del manufatto di circa mq. 33 realizzato, in assenza di concessione edilizia, sulla loro proprietà, ad uso garage con struttura in lamiera e montato su ruote non portanti, nell’assunto che, pur essendo condivisibili le considerazioni del Comune sulla natura non precaria del manufatto, tuttavia, rilevate le sue dimensioni in rapporto a quelle dell’edificio principale, esso era inquadrabile come opera pertinenziale ex art. 76 della l.r. del Veneto n. 61 del 1985 (avendo una cubatura non superiore ad un terzo di quelle dell’edificio principale), limitrofo all’opera principale e destinato durevolmente al
suo servizio, quindi soggetto non a concessione edilizia, ma a regime autorizzatorio, con diverso regime sanzionatorio.

9.- Al riguardo, con il secondo motivo di appello, il Comune ha dedotto che il garage in questione, costruito in violazione delle distanze dai confini, non può essere considerato, contrariamente a quanto dedotto dagli originari ricorrenti, come pertinenza non autonomamente realizzabile e quindi, ai sensi dell’art. 76, punto 1, lettera a) della l.r. del Veneto n. 61 del 1985, sarebbe soggetta solo ad autorizzazione e sanzionabile ex art. 94 della stessa legge.

Infatti, posto che ha natura di pertinenza, soggetta ad autorizzazione edilizia ex art. 7 della l. n. 94/1982, l’opera che, pur conservando una propria individualità ed autonomia, è posta in durevole e funzionale rapporto di subordinazione con altra preesistente, per rendere più agevole l’uso o aumentarne il decoro, il manufatto di cui trattasi non si potrebbe considerare tale e sarebbe, invece, soggetto ratione temporis al regime delle concessioni edilizie, perché di nuova costruzione ed inserito in un contesto residenziale già definito, destinato a rimessa per auto e suscettibile di autonomi atti di disposizione, nonché valutabile autonomamente in termini di cubatura, non precario e con autonomo valore di mercato.

10.- Va rilevato in proposito che l’art. 7, comma 2, lettera a), del d.l. n. 9 del 1982, conv. in l. n. 94 del 1982, all’epoca vigente,
stabiliva che erano “soggette ad autorizzazione gratuita, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, e non
sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497: a) le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti…”.

A sua volta l’art. 76, comma 1, lettera a), della l.r. Veneto n. 61 del 1985 stabiliva che “L'esecuzione degli interventi di trasformazione
urbanistica e/o edilizia degli immobili è soggetta al rilascio di: 1)  un' autorizzazione gratuita per: a) le opere, costituenti pertinenze non autonomamente utilizzabili o impianti tecnologici per edifici già esistenti, la cui cubatura non superi comunque un terzo di quella
dell'edificio principale…”. 

E stata quindi introdotta dalla legge regionale un ulteriore presupposto per la qualificazione di un manufatto come pertinenza, atteso che esso, oltre che non essere autonomamente utilizzabile ovvero costituire un impianto tecnologico al servizio di manufatti già realizzati, comunque non può essere considerato tale nell’ipotesi in cui la sua cubatura superi di un terzo quella dell’edificio principale.

La tesi fatta propria dal T.A.R., secondo il quale l’opera in questione andrebbe considerabile come pertinenza in quanto aveva una cubatura non superiore ad un terzo di quella dell’edificio principale, era limitrofa all’opera principale e destinata durevolmente al suo servizio, è ad  avviso del Collegio erronea, come dedotto dal Comune appellante.

Il criterio del mancato superamento di un terzo della volumetria  rispetto a quella dell’edificio principale va considerato aggiuntivo
rispetto ai criteri fissati dalla legge statale.

Contrariamente a quanto rilevato dal TAR, nella specie rileva il fatto che il manufatto in questione, per le sue caratteristiche, non presenta le caratteristiche che la giurisprudenza ha precisato per qualificare un manufatto come pertinenza edilizia.

Nella materia edilizia, la nozione di pertinenza ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica.

Si deve infatti trattare di un'opera preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato e dotata di un volume minimo; inoltre la nozione di pertinenza, rilevante ai fini dell'autorizzazione, deve essere interpretata in modo compatibile con i principi della materia, di talché non è, quindi, possibile consentire la realizzazione di opere di rilevante consistenza solo perché destinate, dal proprietario, al servizio ed ornamento del bene principale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16 aprile 2014, n. 1953).

La qualifica di pertinenza urbanistica è quindi applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (Cons. St., Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615).

Nel condividere tali orientamenti, il Collegio ritiene di precisare che nell’ordinamento statale vi è il principio generale per il quale - per
ogni nuova volumetria – occorreva ratione temporis il rilascio della concessione edilizia così come ora occorre il rilascio del permesso di costruire (o del titolo avente efficacia equivalente), quando di tratti di una ‘nuova costruzione’.

Manca la natura pertinenziale – ai fini edilizi – quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio.

A tali fini, la natura pertinenziale è ravvisabile solo quando si tratti di opere che:

- non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati;

- comportino un nuovo e modesto volume ‘tecnico’ (così come definito ai fini urbanistici, fermo restando che anche i volumi tecnici, per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, mantengono rilievo ai fini paesaggistici, dovendosi essi considerare ai fini dell’applicazione del divieto di rilascio di autorizzazioni in sanatoria, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Codice n. 42 del 2004: cfr. Sez. VI, 26 marzo 2013, n. 1671; Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578);

- siano in ogni caso sfornite di un ‘autonomo valore di mercato’ e non comportino alcun consumo di suolo o carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1953; Cons. St., Sez. V, 31 dicembre 2008, n. 6756; Sez. V, 13 giugno 2006, n. 3490).

In conclusione può ritenersi che non costituisca pertinenza un garage, comportante nuova volumetria, costruito a ridosso di una abitazione, qualsiasi siano le sue modalità di realizzazione.."

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 3952 del 2014

Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli asili nido

31 Lug 2014
31 Luglio 2014

Pubblichiamo il Decreto del Ministero dell'Interno   16 luglio 2014 Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli asili nido.

Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli asili nido

Come deve essere motivato un parere negativo in materia di condono edilizio?

30 Lug 2014
30 Luglio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 922 del 2014 dichiara illegittimo un parere negativo della Commissione di Salvaguardia di Venezia  per difetto di motivazione: "Detti ricorsi possono essere accolti, ritenendo fondato il motivo relativo all’asserita esistenza di un difetto di motivazione (primo motivo del ricorso RG 306/97 e terzo del ricorso RG 2201/98).

3.1 La Commissione di Salvaguardia, nell’ambito di un procedimento di sanatoria, ha ritenuto di fondare il suo parere negativo, rinviando a quanto in precedenza previsto con riferimento ai pareri negativi del 1985 (peraltro annullato da questo Tribunale per carenza di motivazione) e al vincolo del 1988 (quest’ultimo confermato da una pronuncia di secondo grado), riferiti entrambi ad istanze di autorizzazione per manufatti poi effettivamente realizzati. 

3.2 Ciò premesso è evidente l’illegittimità del parere (e quindi per illegittimità derivata anche del successivo diniego) nel momento in cui la Commissione di Salvaguardia, lungi da esprimere una qualche e autonoma valutazione di incompatibilità con riferimento al
procedimento di sanatoria, si è limita a rinviare, in modo del tutto apodittico, alle precedenti valutazioni poste in essere dalla stessa
Commissione.

3.3 Si consideri, ancora, che i pareri menzionati erano riferiti non ad analoghi procedimenti di condono, bensì a procedimenti di
autorizzazione dei titoli edilizi, nell’ambito dei quali la Commissione di Salvaguardia aveva espresso un giudizio di non compatibilità del progetto che, nel contempo, era stato già realizzato.

3.4 E’, altresì, noto che nell’ipotesi di un’istanza di condono di cui alla L. n. 47/1985 l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo ha l’onere di valutare, in considerazione della specialità e dell’eccezionalità della disciplina del condono, i profili di compatibilità sopra citati che, in quanto tali, devono tenere conto della circostanza che l’opera è stata realizzata e, ancora, dell’esistenza di un interesse del privato al mantenimento dell’opera di cui si tratta.

3.5 Detto principio è applicabile soprattutto nel caso di specie dove la richiesta di sanatoria era riferita non già ad un’opera eseguita in assenza di preventiva concessione, quanto in ragione di un titolo abilitativo poi successivamente annullato.

3.6 Infatti, in relazione a provvedimenti negativi in materia di nulla osta paesaggistico, pur ritenendosi sufficiente una motivazione circoscritta alla situazione di incompatibilità, sussiste comunque l’onere dell’Amministrazione di motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all'esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali le opere edilizie considerate non si ritengono adeguate alle caratteristiche ambientali protette (in questo senso si veda Cons. Stato, VI, 8 maggio 2008, n. 2111 e T.A.R. Salerno sez. I del 20/06/2012 n. 1236).

3.7 Ne consegue che conformemente agli orientamenti sopra citati deve ritenersi illegittimo, nell'ambito della procedura di sanatoria, il parere negativo espresso ai sensi dell'art. 32 della L. n. 47 del 1985, nella parte in cui non contiene una specifica motivazione in ordine al pregiudizio che all'interesse pubblico deriverebbe dall'intervento stesso. E’, altrettanto, evidente che pur non spingendosi l'onere motivazionale fino al punto dell'indicazione di prescrizioni tali da rendere l'intervento edilizio assentibile, il provvedimento di diniego deve rendere intelligibili all'interessato le ragioni del ritenuto contrasto dell'opera con il paesaggio circostante, così da consentire, se del caso, l'adozione di eventuali accorgimenti volti a consentirne il recupero della compatibilità ambientale e paesaggistica.

3.8 Si consideri, ancora, che anche laddove risultasse insistente sull’area un vincolo di inedificabilità assoluto, e risultasse applicabile l’art. 33 della L. n. 47/1985 (circostanza che comunque non è possibile evincere dal parere impugnato) è stato affermato che “nondimeno in caso di vincolo successivo (come nel caso di specie), il parere negativo al rilascio della sanatoria non può ritenersi atto vincolato, da adottarsi in via automatica solo per effetto dell'esistenza del vincolo di inedificabilità, dovendo la Soprintendenza svolgere i necessari accertamenti in concreto per valutare la compatibilità del manufatto con il  provvedimento di vincolo. In altre parole, in caso di vincolo sopravvenuto, l'accertamento della Soprintendenza deve essere concreto ed approfondito e nella motivazione dell'atto devono essere puntualmente indicate le ragioni per le quali la conservazione dell'intervento (conseguente al rilascio della sanatoria) sia incompatibile con i valori tutelati” (T.A.R. Lazio sez. II del 05/02/2009 n. 1212).

4. Detto difetto di motivazione deve ritenersi sussistente, sia per quanto concerne il parere negativo della Commissione di Salvaguardia sia, ancora, per quanto riguarda – e per illegittimità derivata - l’impugnazione proposta avverso il provvedimento definitivo di diniego del 13 Maggio 1998 (RG 2201/98) che, in quanto tale, fa proprie le conclusioni del provvedimento obbligatorio e vincolante sopra citato".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 922 del 2014

Saremo costretti a rimpiangere il bicameralismo perfetto?

30 Lug 2014
30 Luglio 2014

Vale la pena di leggere questa notizia, per capire quali leggi strampalate stiano facendo sul processo amministrativo: http://www.lexitalia.it/p/2014/ricorsodimensionato.htm

Il processo amministrativo è bistrattato da molti anni. Ci sarebbero molte cose da scrivere, ma qualcuno magari direbbe che vogliamo difendere chissà quali privilegi e non il diritto dei cittadini e delle imprese di far valere i propri diritti.

Facciano dunque i nostri legislatori. Ma bisognerebbe almeno che non scadessero nel ridicolo, come in quello che si legge in quel link.

Nel contempo viene però da pensare che forse il legislatore costituente aveva visto giusto prevedendo un bicameralismo perfetto, che avrà anche rallentato il nostro sistema, ma che in tante occasioni ha  permesso di rimediare a sciocchezze come questa. 

Avvocato Giovanni Sala (Vicenza)

Il parere obbligatorio e vincolante è un atto immediatamente impugnabile anche se endoprocedimentale?

30 Lug 2014
30 Luglio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 922 del 2014: "2. Con riferimento al ricorso RG 306/1997 è necessario esaminare l’eccezione preliminare proposta dall’Amministrazione comunale diretta a rilevare l’inammissibilità del ricorso in quanto diretto ad ottenere l’annullamento di un parere e, quindi, di un atto ritenuto endoprocedimentale.

2. 1 L’eccezione è infondata è va respinta. Costituisce orientamento consolidato (per tutti si veda T.A.R. Veneto Sez. II, 10-03-1987, n. 140) che il parere della commissione di salvaguardia, previsto per l'esecuzione di opere edilizie nella laguna di Venezia dall'art. 6, l. 16 aprile 1973, n. 171, ha carattere obbligatorio e vincolante, esplicando “un'efficacia del tutto particolare verso l'attività dell'amministrazione attiva, dal momento che imprime il suo contenuto ed orienta la valutazione finale in maniera ben più intensa di un semplice atto di collaborazione consultiva; esso, pertanto, può essere acquisito anche in via di sanatoria”. 

2.2 E’ inoltre, evidente che detto parere esprime una valutazione di compatibilità, o di incompatibilità, analoga (e per certi versi più ampia in quanto riferita anche a profili edilizi) a quella caratteristica del parere della Soprintendenza di cui all’art. 146 dell’art. 42/2004, in relazione al quale sussiste un orientamento pressocchè unanime diretto a sancire l’autonoma impugnabilità (T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, 16-01-2013, n. 11).

2.3 Va, altresì, ricordato che anche questo Tribunale (T.A.R. Veneto sez. II del 21/10/2005 n. 3731) ha avuto modo di rilevare come il parere della Commissione di Salvaguardia sia immediatamente impugnabile e, ciò, pur costituendo un atto endoprocedimentale inserito, com’è, nel provvedimento di rilascio di un titolo abilitativo".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 922 del 2014

Ratifica e rimozione dei rifiuti

30 Lug 2014
30 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1031 dopo aver chiarito che il programma di smaltimento dei rifiuti ha la stessa  natura giuridica dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti (“L’eccezione con la quale il Comune sostiene l’improcedibilità del ricorso perché con esso è impugnato non un ordine di rimozione di rifiuti ma un ordine di presentazione di un programma di smaltimento che alla fine è stato presentato dai proprietari dei terreni, non può essere accolta.

Infatti l’ordine di presentazione del programma di smaltimento dei rifiuti si inscrive, al pari dell’ordine di rimozione, nell’ambito della procedura prevista dall’art, 192 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, è un atto immediatamente lesivo nei confronti del destinatario, e la sua lesività non è superata dall’avvenuta presentazione del medesimo da parte dei proprietari, che sono solo dei coobbligati in solido”) si sofferma sulla ratifica dei provvedimenti in materia di rimozione dei rifiuti.

In particolare i Giudici statuiscono che: “Infatti va in primo luogo sottolineato che, come chiarito dalla giurisprudenza, la ratifica di un atto amministrativo non richiede una specifica motivazione sull'interesse pubblico (cfr. Consiglio Stato Sez. V, 30 agosto 2005, n. 4419) in quanto l’interesse pubblico che lo sorregge è la perdurante persistenza di quello perseguito dall’atto da convalidare (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 7 settembre 2001, n. 771; Consiglio di Stato , Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 683).

In secondo luogo va osservato che l’esigenza di salvaguardare l’ambiente e le matrici ambientali dalla contaminazione derivante dall’abbandono dei rifiuti, obbliga l’Amministrazione ad individuare i responsabili e ad ottenere da loro il ripristino delle condizioni ambientali precedenti e, contrariamente a quanto dedotto, il potere di ratifica risulta esercitato entro un termine ragionevole, tenuto conto della circostanza che alla data del provvedimento di ratifica non era stato ancora presentato il programma di smaltimento, e l’abbandono dei rifiuti configura un illecito di carattere permanente”.

Infine con riferimento alla omessa comunicazione di avvio del procedimento affermano che: “Orbene, tenuto conto che la ratio perseguita con l'art. 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241, deve ritenersi soddisfatta, nonostante la mancanza della rituale comunicazione di avvio, ogniqualvolta l'interessato abbia avuto comunque compiuta conoscenza dell'avvio del procedimento (cfr. Tar Lazio, Roma, 6 marzo 2013, n. 2391; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. I, 12 dicembre 2012, n. 1167; Consiglio di Stato, Sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032; Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1476; id. 4 dicembre 2009, n. 7607; Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 marzo 2009, n. 1207), la censura deve essere respinta”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1031 del 2014

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