Tag Archive for: Veneto

Differenza tra le regole di zonizzazione/ localizzazione e le prescrizioni di dettaglio del PRG ai fini della decorrenza del termine di impugnazione

29 Lug 2014
29 Luglio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 990 del 2014 distingue tra le varie previsioni del P.R.G. ai fini della decorrenza del termine dell'impugnazione: "Ciò precisato in punto interesse, è tuttavia da osservare come, per le medesime ragioni, le censure dedotte avverso le delibere di variante siano palesemente tardive e quindi il ricorso irricevibile, in quanto, proprio perchè immediatamente pregiudizievoli degli interessi facenti capo ai ricorrenti (nei termini testè ricordati), dovevano essere oggetto di immediata impugnazione, entro i termini ordinari di decadenza, una volta decorsi i termini di pubblicazione (trattandosi di atti generali, che non interessavano direttamente i ricorrenti). E’ quindi proprio l’assunto sulla base del quale i ricorrenti fondano il proprio interesse e quindi la legittimazione alla proposizione del gravame a determinare la fondatezza dell’eccezione di irricevibilità del ricorso per quanto riguarda specificatamente l’impugnazione delle delibere consiliari, risalenti al 2009, che hanno apportato la variante al PRG, modificando, in termini per loro pregiudizievoli, la destinazione urbanistica della zona antistante e comunque posta nelle immediate vicinanze delle loro abitazioni. Sul punto va richiamato e condiviso l’orientamento già manifestato dal Tribunale in fattispecie analoga, nella quale era stata parimenti censurata la modifica di destinazione urbanistica di un area, che da zona F era divenuta zona C (cfr. T.A.R. Veneto, II, n. 1779/2011): in tale occasione il Tribunale, richiamando altri arresti giurisprudenziali, aveva in primo luogo sottolineato che “nel sistema di pubblicità-notizia disciplinato dalla legislazione urbanistica nazionale e regionale nonché ai sensi dell’art. 124 del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267, il termine per l’impugnazione decorre dalla data di pubblicazione del decreto di approvazione o, comunque, al più tardi dall’ultimo giorno della pubblicazione all’albo pretorio dell’avviso di deposito presso gli uffici comunali dei documenti relativi al piano approvato, con la sola eccezione della ipotesi che esso incida specificatamente, con effetti latamente espropriativi, su singoli determinati beni, nel cui caso solo è dovuta la notifica individuale ai proprietari interessati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4545 del 2010; n. 5818 del 2009; 12 giugno 2009, nr. 3730; Cons. Stato, sez. VI, 3 agosto 2007, nr. 4326; Cons. Stato, sez. V, n. 6214 del 2008; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2006, nr. 1534; Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2004, nr. 5510; id., 19 luglio 2004, nr. 5225; id., 8 luglio 2003, nr. 4040; id., 16 ottobre 2001, nr. 5467; C.g.a.r.s., 8 ottobre 2007, nr. 929” (così in motivazione, C.d.S., IV, 28 marzo 2011 n. 1868). Con specifico riguardo al profilo in esame è stato quindi osservato come sia “orientamento consolidato (cfr. Cons. Stato VI Sez. n. 5258 del 2009; 1567 del 2007) quello secondo cui in tema di disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, deve distinguersi fra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione; la destinazione di aree a soddisfare gli “standard” urbanistici; la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) dalle altre regole che più in dettaglio disciplinano l’esercizio dell’attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze; sull’osservanza di canoni estetici; sull’assolvimento di oneri procedimentali e documentali; regole tecniche sull’attività costruttiva, ecc.)”. In altri termini, stante l'immediato effetto conformativo dello jus aedificandi derivante dalla diversa zonizzazione, appare conseguentemente necessario che, onde evitare il consolidarsi di tali previsioni (che per i titolari delle aree interessate costituiscono il fondamento in base al quale potranno essere realizzate le nuove edificazioni, in questo caso a destinazione residenziale) il contenuto di tali previsioni venga contestato entro il termine di decadenza, a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio. In difetto di tale gravame, le regole di zonizzazione e di localizzazione divengono inoppugnabili, diversamente che nel caso in cui si tratti di contestare prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare, le quali sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo e possono essere, quindi, oggetto di censura in occasione della sua impugnazione. I contenuti della variante apportata al PRG del Comune di Cortina, per quel che riguarda la località Calstelverzo di Sopra, proprio per i riflessi che la nuova previsione di zona avrebbe avuto sull’area antistante le abitazioni dei ricorrenti, erano quindi di immediata percezione e soprattutto evidenziavano da subito, senza dover attendere ulteriori specificazioni (ad esempio in sede progettuale o di rilascio dei titoli edilizi) il nuovo assetto del territorio, così come voluto dall’amministrazione comunale, con la possibilità di realizzare due gruppi di insediamenti a destinazione residenziale per l’edilizia popolare. Per tali ragioni, ritenuta la fondatezza dell’opposta eccezione, il ricorso risulta in parte qua irricevibile".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 990 del 2014

 

Anche gli impianti fotovoltaici sono soggetti alla compatibilità ambientale

29 Lug 2014
29 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 14 luglio 2014 n. 3645 conferma che anche gli impianti di produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica devono ottenere la compatibilità paesaggistico-ambientale: “Il decreto legislativo 29 dicembre 2003 n.387 di attuazione della direttiva CEE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili all’art.12 stabilisce espressamente (comma 3) che “la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili … nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi sono soggetti ad un’autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o da altro soggetto istituzionale delegato dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico- artistico” ed inoltre al successivo comma 4 della predetta legge è altresì contemplato che “l’autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nei principi del rispetto della semplificazione …”.

In attuazione di tali previsioni legislative la chiesta progettazione e realizzazione di impianti per essere autorizzati vanno esaminati e assentiti o meno anche in relazione alla loro compatibilità paesaggistico- ambientale e questo perché, ferma restando la valenza delle iniziative volte alla produzione e utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili è indispensabile contemperare la salvaguardia delle esigenze poste dai valori paesaggistici del territorio su cui detti impianti vanno ad inserirsi, in ossequio peraltro ad un più vasto e moderno concetto di governo del territorio volto ad assicurare una tutela delle aree che tenga presente sia dei valori ambientali e paesaggistici, sia delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti sia delle esigenze economico -sociali, unitamente al modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi in considerazione della loro storia, della tradizione e della conformazione morfologica (vedi, per tutte, Cons. Stato Sez. IV 10/5/2012 n. 2710)”.

Per quanto concerne il momento in cui la V.A.S. deve intervenire: “La Valutazione Ambientale Strategica, volta a garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente sì da rendere compatibile l’attività antropica con le condizioni di sviluppo sostenibile va ad integrare le scelte discrezionali tipiche dei piani e dei programmi e l’art.11 del dlgs n.152 del 2006 al comma 3 a proposito della effettuazione i tale procedura così recita: “… la fase di valutazione è effettuata anteriormente all’approvazione del piano o programma … e comunque durante la fase di predisposizione dello stesso. Essa è preordinata a garantire che gli impatti significativi sull’ambiente derivanti dall’attuazione dei detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione”.

Dalla lettura della norma de qua non si evince affatto che la procedura VAS quale passaggio endoprocedimentale (Cons. Stato Sez. IV 12/1/2011 n.133 ; idem 17/9/2012 n.4926) debba avvenire al momento dell’adozione e neppure prima e d’altra parte appare del tutto ragionevole che la valutazione in questione venga esperita prima del varo finale del Piano (l’approvazione) proprio per far sì che la verifica dell’incidenza delle scelte urbanistiche sugli aspetti di vivibilità ambientale del territorio avvenga nel momento in cui tali scelte stiano per divenire definitive”, mentre con riferimento alla V.I.A. si legge che: “Quanto alle ragioni di cui al suindicato punto b) con cui si invoca una sorta di affidamento alla compatibilità ambientale sulla scorta dei pareri resi in precedenza in senso favorevole al progetto, la circostanza dedotta non vale ad inficiare gli atti di segno diverso,successivamente posti essere atteso che il rapporto giuridico in rilievo poteva e doveva essere definito secondo il criterio del tempus regit actum, con riferimento cioè alle disposizioni sopravvenute durante la gestione della varie fasi del procedimento e sussistenti al momento di conclusione dello stesso (Cons. Stato Sez. IV 22/1/2013 n.359).

Col terzo mezzo d’impugnazione parte appellante imputa in sostanza alla Regione di aver ingiustificatamente “baipassato” il parere favorevole reso dal Comune di Brindisi in sede di VIA, disattendendo così la valenza di detto parere valido anche ai fini paesaggistici.

La doglianza non ha pregio.

Invero, è noto che la verifica ambientale di VIA è procedura che viene esperita a monte della pianificazione e attiene appunto agli aspetti squisitamente ambientali della progettazione e su ciò il Comune di Brindisi si è debitamente pronunciato; altra cosa invece è il recepimento da parte dello stesso Ente in sede di variante al PRG delle previsioni recate dalla Carta Idrogeomorfolica, prescrizioni che incidono precipuamente sugli aspetti paesaggistici dei siti posti nelle vicinanze dei corsi d’acqua.

A parte la differenza ontologica esistente tra l’adempimento procedurale previsto dall’art.26 del dlgs n.152/06 e la natura normativa delle prescrizioni della Carta, gli ambiti di applicazione e le finalità perseguite dalle due fasi procedimentali in rilievo sono del tutto diverse, per cui ben può accadere come peraltro correttamente evidenziato dal TAR procedente che un progetto sia compatibile per alcuni aspetti e sotto altri no e questo al di là dell’obbligo , pure sussistente, di definire la richiesta di autorizzazione sulla base dello ius superveniens rappresentato dalla sopraggiunta adozione della Carta Idrogeomorfologica”.  

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3645 del 2014

ANAC: Orientamento n. 11/2014 – SCIA E DIA IN MATERIA EDILIZIA EQUIPARATE A PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI

28 Lug 2014
28 Luglio 2014

La dott.sa Paola Masetto, che sentitamente ringraziamo,  inizia una collaborazione col nostro sito in materia di trasparenza e anticorruzione.

Pubblichiamo la sua nota sull'orientamento ENAC n. 11/2014 in materia di SCIA e DIA.

Orientamento ANAC 11_2014

 

In caso di esproprio il soggetto delegante è responsabile in solido col delegato

28 Lug 2014
28 Luglio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 995 del 2014: "2. Ciò premesso va esaminata l’eccezione, contenuta nel ricorso incidentale proposto dall’Anas, relativa all’accertamento di un difetto di legittimazione attiva, eccezione quest’ultima reiterata, con analoghe – e contrarie - argomentazioni, da parte della società Campenon Bernard.

2.1 Dette eccezioni sono entrambe infondate.

2.2 Se, infatti, alla società concessionaria spettava, in virtù della Convenzione sottoscritta, l’emanazione degli atti di esproprio, risulta dirimente constatare come la stessa procedura espropriativa era stata posta in essere nell’interesse dell’ANAS Spa che, in quanto tale, era comunque tenuta al rispetto degli obblighi di vigilanza sul corretto esperirsi della procedura in questione.

2.3 Un precedente orientamento che questo Collegio ritiene di condividere ha, infatti, correttamente rilevato (TAR Lombardia, Brescia, n. 13/2013 e Corte di Cassazione, sez. I civ., 04 giugno 2010 , n. 13615) che "qualora l'amministrazione espropriante avvalendosi dello schema di cui agli art. 35 e 60 L. n. 865 del 1971 affidi ad altro soggetto, anche mediante appalto o concessione, la realizzazione di un'opera pubblica e gli deleghi nello stesso tempo gli oneri concernenti la procedura ablatoria (e non anche tutti i poteri suoi propri, di soggetto espropriante, come è peculiare della concessione traslativa) da compiere in nome e per conto del delegante", è ravvisabile "una corresponsabilità solidale dell'ente delegante il quale con il conferimento del mandato non si spoglia delle responsabilità relative allo svolgimento della procedura espropriativa secondo i suoi parametri soprattutto temporali e conserva, quindi, l'obbligo di sorvegliarne il corretto svolgimento anche perché questa si svolge non solo in nome e per conto di detta amministrazione, ma anche di intesa con essa. Questa ultima conserva un potere di controllo o di stimolo dei comportamenti del delegato, il cui mancato o insufficiente  esercizio obbliga anche il delegante in presenza di tutti i presupposti al relativo risarcimento ai sensi del combinato disposto degli art. 2043 e 2055 c.c.".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 995 del 2014

L’istituto della occupazione acquisitiva è stato espunto dall’ordinamento italiano – questioni in materia di risarcimento del danno

28 Lug 2014
28 Luglio 2014

Segnaliamo anche questo interessante passaggio della sentenza del TAR Veneto n. 995 del 2014: "4.2 Sempre dalla pronuncia del Tribunale di Venezia è possibile evincere che, ancora, nel successivo quinquennio dall’immissione in possesso non era stata decretata l’espropriazione definitiva e, ciò, pur essendo stata realizzata l’opera stradale con irreversibile trasformazione del suolo comportante la perdita della proprietà.

4.3 Le domande di risarcimento riconducibili all’avvenuta acquisizione in proprietà da parte dell’Anas presuppongono, tuttavia, la perdurante efficacia nel nostro ordinamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, che però è stato espunto sia, a seguito dell'intervento della Corte europea dei Diritti dell'Uomo sia, ancora, in conseguenza dell'entrata in vigore del'art. 42 bis, D.P.R. n. 327 del 2001. 

4.4 A questa conclusione, induce, altresì lo stesso art. 42-bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, aggiunto dall'art. 34, primo comma, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in L. 15 luglio 2011, n. 111, norma che, anche con riguardo ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, disciplina le modalità attraverso le quali, a fronte di un'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile pervenire ad un'acquisizione non retroattiva della titolarità del bene al patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione e, ciò, sotto condizione  sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprietà, di un importo a titolo di indennizzo, nella misura superiore del dieci per cento rispetto al valore venale del bene (in questo senso Cass. civ., Sez. II, 14 gennaio 2013, n. 705).

4.5 E’ stata proprio l’interpretazione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ad eliminare ogni possibilità di individuare sistemi di
acquisizione che miravano ad individuare fatti o comportamenti (e quindi l'avvenuto completamento dell'opera pubblica o la richiesta del solo risarcimento come momento abdicativo implicito della proprietà) idonei a sostituire i sistemi legali di acquisto della proprietà.

4.6 Il venir meno dell’istituto dell’occupazione acquisitiva comporta che l’Amministrazione può diventare proprietaria dell’area o con un provvedimento di acquisizione sanante ai sensi di quanto previsto dall'art. 42 bis, d.P.R. n. 327 del 2001, o in conseguenza di una cessione volontaria o, ancora, con l’emanazione di un provvedimento di esproprio (in questo senso T.A.R. Toscana sez. III del 29/11/2013 n. 1655 e Consiglio di Stato sez. IV del 29/08/2011 n. 4833).

4.7 Detta ultima circostanza si è verificata nel caso di specie, laddove in particolare il decreto di esproprio non è stato nemmeno impugnato dalla parti ricorrenti, con conseguente formarsi del relativo giudicato per quanto attiene la quantificazione dell’indennità di esproprio ivi prevista.

4.8 Ne consegue che vanno rigettate le richieste di risarcimento del danno correlate al venire in essere dell’occupazione appropriativa e del relativo danno presumibilmente verificatosi.

5. Va respinta, altresì, sia la richiesta di risarcimento del danno “non patrimoniale” in quanto non è stata addotta alcuna prova circa il venire in essere dei presupposti idonei a configurarne l’esistenza sia, ancora, la richiesta di risarcimento correlata al presunto deprezzamento del fondo residuo.

5.1 In relazione a detta fattispecie va, peraltro, rilevato che anche il CTU nel corso del giudizio innanzi al Tribunale di Venezia, ne aveva rilevato la sua infondatezza, ritenendo che detta fattispecie doveva ritenersi inclusa nella valutazione complessiva dell’area non edificabile.

6. Se quindi non può essere risarcito il danno da perdita della proprietà, in quanto il diritto dominicale era rimasto in capo al ricorrente sino all’emanazione del decreto di esproprio, è possibile giungere a conclusioni differenti per quanto attiene la richiesta di risarcimento correlata al mancato godimento del bene.

6.1 Si è, infatti, affermato (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-02-2012, n. 1130) che “l'unica domanda risarcitoria accoglibile è quella relativa all'illegittima occupazione dei suoli per il danno riferibile all'arco temporale compreso tra l'immissione nel possesso dei medesimi e l'emanazione del decreto di esproprio”.

6.2 Il danno in questione deve, allora, essere liquidato in misura pari agli interessi moratori sul valore di mercato del bene per ciascun anno del periodo di occupazione, con rivalutazione e interessi dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza (Cons. Stato, Sez. IV, 1 giugno 2011, n. 3331).

6.3 Detto risarcimento deve operare con riferimento al momento in cui l'occupazione dell'area privata è divenuta illegittima e, quindi, dal momento in cui è avvenuta la prima apprensione del bene e, ciò, sia nell’ipotesi in cui l'intera procedura espropriativa sia stata annullata sia, ancora, se – come è avvenuto nel caso di specie, l’immissione nel  possesso sia avvenuta dopo la scadenza del termine previsto nel decreto di occupazione d’urgenza, sino al definitivo trasferimento della proprietà posto in essere dal decreto di espropriazione sopra citato.

6.4 Sul punto si condivide infatti l’opinione di parte ricorrente che individua detto dies a quo nell’avvenuto decorso del termine per operare una legittima immissione nel possesso, termine che, pertanto, è possibile far coincidere con la materiale occupazione dei beni avvenuta in data 24 Marzo 1992.

6.5 In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui il decreto di esproprio è risultato idoneo a produrre i suoi effetti, consentendo l’acquisizione della proprietà.

6.6 Per quanto attiene il quantum del risarcimento è possibile applicare, condividendone le conclusioni, quanto già deciso in un’analoga pronuncia (T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, 22-10-2013, n. 632), facendo luogo ad una valutazione equitativa ai sensi degli artt. 2056 e 1226 del codice civile che, in quanto tale, prende atto dell’avvenuta quantificazione del valore venale del bene disposta con il provvedimento di esproprio del 31 maggio 2002, calcolando su detta somma la percentuale del cinque per cento annuo, in linea con il parametro fatto proprio dal Legislatore con l'art. 42- bis, comma 3, d.P.R. n. 327/2001.

7. La richiesta di risarcimento per mancato godimento è, pertanto, accolta e per l’effetto si condannano le attuali parti resistenti a
corrispondere alla ricorrente la somma così calcolata e con riferimento al periodo di tempo che intercorre dal 24 Marzo 1992 sino all’avvenuta pubblicazione del decreto di esproprio. 

7.1 Detta somma, costituendo debito di valore (Cass., I, 4.2.2010, n. 2602), dovrà essere rivalutata secondo l'indice ISTAT dei prezzi al consumo, mentre sulle somme anno per anno rivalutate dovranno, altresì, essere corrisposti gli interessi legali fino alla data di deposito della sentenza.

7.2 Le somme così quantificate devono considerarsi dovute sia dall’Anas Spa che dalla Società Campenon bernard SGE in regime
dell’applicazione del principio di solidarietà passiva e, ciò, sulla base delle argomentazioni che hanno consentito di respingere le eccezioni di difetto di legittimazione attiva sopra ricordate. In conclusione il ricorso è accolto limitatamente a quanto sopra specificato, mentre va respinto per la parte rimanente".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 995 del 2014

Quando si ha la piena conoscenza dell’apertura di un centro commerciale

28 Lug 2014
28 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1032 stabilisce quando si forma la piena conoscenza dell’apertura di un centro commerciale.

A tal proposito si legge: “Al fine di comprovare la effettiva conoscenza dell’apertura, il Comune e la controinteressata allegano degli inserti pubblicitari che attestano l’intensa campagna di informazione che ha preceduto l’apertura della struttura, e degli articoli di quotidiani locali che contengono la cronaca dei problemi di affollamento di clienti e di congestione del traffico riscontrati a seguito dell’apertura del centro commerciale (cfr. doc. 17 allegato dal Comune; doc. 1 allegato dalla controinteressata).

A tale rilievo replica la ricorrente sostenendo che non è corretto ritenere provata l’effettiva conoscenza dell’esistenza di atti lesivi da articoli di quotidiani, richiamandosi in proposito alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3299.

L’ordine di idee espresso dalla parte ricorrente non può essere condiviso.

Infatti la sentenza del Consiglio di Stato richiamata si riferisce in realtà ad un caso diverso da quello in esame in cui era la notizia del rilascio dei titoli abilitativi prima dell’apertura dell’esercizio tratta dalla stampa locale a non essere ritenuta sufficiente a costituire fatto notorio, e quindi piena conoscenza, del loro rilascio.

A diverse conclusioni si deve giungere invece (lo afferma espressamente anche la sopra citata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3299) qualora si tratti di una fattispecie, come quella in esame, in cui è già avvenuta l’apertura dell’esercizio.

Infatti costituisce un principio ricorrentemente affermato in giurisprudenza che la presunzione di piena conoscenza dell'autorizzazione nei suoi elementi fondamentali, ai fini della decorrenza del termine d'impugnazione della licenza di commercio da parte di chi paventi uno sviamento della propria clientela derivante dal nuovo esercizio, possa essere riferita alla circostanza obiettiva dell'apertura dello stesso (cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. II, 10 ottobre 2003, n. 8248; Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 21 febbraio 1995, n. 90; Tar Piemonte, Sez. I, 23 maggio 1987, n. 207), con la precisazione che tuttavia l’apertura dell’esercizio non costituisce un dato di riferimento automatico e vincolante, ma rilevante come fatto storico, da rapportarsi, caso per caso, al concreto svolgimento della situazione di fatto e al tipo di censure dedotte.

Orbene, il Collegio ritiene che nel caso di specie siano allegati elementi sufficienti a comprovare la piena conoscenza dell’esistenza degli atti lesivi già dal 24 ottobre 2013, data dell’apertura del centro commerciale, e pertanto la tardività della loro impugnazione avvenuta con atto notificato solo il 7 gennaio 2014.

Sul punto infatti il Collegio ritiene che non vi siano elementi per discostarsi dalle conclusioni in proposito raggiunte con riguardo ad un caso per molti aspetti analogo a quello in esame (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 21 agosto 2012, n. 1171), dato che, anche nel caso di specie, vi sono una pluralità di elementi che inducono a ritenere l’apertura del centro commerciale idonea a costituire il momento in cui la ricorrente ha acquisito piena conoscenza dell’esistenza di atti lesivi che avrebbero comportato la necessità di attivarsi senza indugio a tutelare giurisdizionalmente i propri interessi”.

Nella stessa sentenza il Collegio chiarisce quando è possibile ricorrere alla presunzioni per provare un fatto ignoto: “Orbene, in tale contesto, nel quale il Comune di Villorba e la controinteressata hanno documentato che vi è stata un’intensa campagna pubblicitaria che ha preceduto l’apertura del centro commerciale e che la stampa locale ha dato conto dei problemi di affollamento di clienti e di congestione del traffico generati dall’apertura del centro commerciale (cfr. doc. 17 allegato dal Comune; doc. 1 allegato dalla controinteressata), vi sono sufficienti elementi per far ritenere che l’apertura del centro commerciale assurga a fatto generalmente conosciuto a livello locale dagli operatori commerciali e ancor più dalla ricorrente che aveva già presentato ricorsi e ancor più recentemente una diffida e un’istanza di accesso per impedire l’apertura della struttura, e che quindi sussistano presunzioni gravi, precise e concordanti che, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., consentono di provare il fatto ignoto attraverso fatti noti e, in ultima analisi, oltre ogni ragionevole dubbio, la circostanza che dalla data dell’apertura della struttura della parte controinteressata la ricorrente ha avuto una cognizione piena ed effettiva sull’esistenza delle autorizzazioni rilasciate e del loro carattere pregiudizievole per la propria attività, ben avendo gli strumenti per valutare il loro grado di effettiva lesività, e si sarebbe dovuta quindi attivare per impugnarli nel termine di decadenza (circa l’ammissibilità del ricorso a presunzioni, qualora assurgano a dignità di prova, per dimostrare la piena conoscenza del provvedimento lesivo da parte del ricorrente cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 23 ottobre 2000, n. 5668; Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 giugno 1993, n. 649)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1032 del 2014

Lo spunto del sabato: “siamo un paese di povera gente”

26 Lug 2014
26 Luglio 2014

Giuseppe Bettiol è stato uno dei più importanti professori di diritto penale italiani, un maestro della visione etica del diritto penale, di cultura cattolica. Me lo ricordo nei corridoi dell'Università  di Padova, in età ormai avanzata, alto, massiccio e con le stampelle. Nella Prefazione all'undicesima edizione del suo manuale di diritto penale, datato marzo del 1982, si legge: "La prevenzione speciale ha dato tutto quello che poteva dare, cioè il nulla. Con la prevenzione generale si può finire nel terrorismo e al terrorismo non si risponde con il terrorismo ma con un diritto penale razionale e umano che comprenda i fenomeni delittuosi, e li contenga. Non c'è altro da sperare. Le garanzie formali di legittimità sono ormai superate... Le pene hanno perduto ogni funzione e la pena di morte non è un deterrente. Le uniche garanzie che dal '45 mi permettevo di suggerire e che pur oggi hanno una valenza sono di natura sostanziale: esse sono la colpevolezza, la retribuzione, il rapporto di proporzione tra colpa e pena. Sono le sole che si inseriscono in una efficace difesa dei diritti dell'uomo. La difesa sociale - antica o moderna che sia - è solo una barzelletta per gli ingenui e finisce nella distruzione fisica o morale della persona umana. Ringrazio Iddio di avermi dato cinquant'anni di insegnamento per chiarire tutto questo. Sarò stato una voce isolata ma questo non interessa. Ciò che conta è rendere una testimonianza di verità nella vita... In questa edizione ho tenuto presenti le principali "modifiche al sistema penale" approvato dalla Camera dei deputati il 16 dicembre 1980 che complica purtroppo in peggio l'attuale codice penale senza senso alcuno di responsabilità. L'unica vera e autentica riforma penale sarebbe la demolizione degli attuali istituti di pena e la costruzione di nuove città carcerarie che eliminassero la soffocazione dell'uomo recluso  che è pur sempre un valore. Ma anche se spendiamo miliardi per ludi pubblici siamo un paese ... di povera gente!".

Dedicato a quelli che credono che il sistema penale italiano sia tutta un'altra cosa.

Non posso sottrarmi alla responsabilità morale di rendere testimonianza su quello che vedo e su come è ridotto il mio Paese: in Italia il carcere viene usato senza processo come ordinario strumento di tortura per estorcere dichiarazioni alle persone sottoposte a indagini, con la complicità della stampa, che ne enfatizza i risultati immorali come se fossero successi. Uso scientemente la parola "dichiarazioni" e non "confessioni", perchè le confessioni implicano la verità di quello che viene detto, mentre le dichiarazioni ne prescindono, perchè vengono rese solo per compiacere il torturatore e sottrarsi così al suo potere.   Se poi voi preferite continuare a fingere di non vedere e di non sentire o, peggio ancora, a pensare che vada bene così, non me ne curo, perchè a me basta di sapere che sto mettendo in pratica quello che mi ha insegnato Giuseppe Bettiol. Caso mai siete voi che non lo state facendo. Caro Papa Francesco, non basta dire che la tortura è un peccato mortale, se poi non puntiamo il dito verso un pubblico ministero o un G.I.P. o un presidente del tribunale del riesame, anche di un paese che si vanti di essere democratico, e, guardandolo negli occhi, non abbiamo la forza e il coraggio di dirgli: "tu stai torturando un essere umano".

Dario Meneguzzo - un avvocato cui è toccato in sorte di vivere in questo tempo in questo frammento dell'universo 

P.S. Mi è stato chiesto di spiegare meglio come le persone finiscano in carcere o agli arresti domiciliari senza processo. E' semplice. L'articolo 274 del codice di procedura penale italiano stabilisce che le misure cautelari prima del processo (tra le quali rientrano la custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari) sono disposte quando sussiste una di queste tre esigenze cautelari: 1)   pericolo di inquinamento delle prove; 2) pericolo di fuga; 3) pericolo di reiterazione del reato. La richiesta è presentata dal pubblico ministero ed è disposta del G.I.P. (giudice delle indagini preliminari). Quindi basta un accordo tra due magistrati. Il problema nasce dal fatto che molto spesso viene detto che sussistono il pericolo di reiterazione del reato o quello di inquinamento delle prove con motivazioni banalissime e prive di qualsiasi dignità logica, che coincidono con l'arbitrio più totale.  Non costituisce alcuna barriera a tale deriva il tribunale del riesame (noto anche come "tribunale della libertà"), visto che molti di questi tribunali possiedono lo stupefacente record di rigettare il 98% dei ricorsi che vengono loro presentati. E' evidente che il tribunale del riesame costituisce ormai una tutela per il pubblico ministero (che può così vantarsi che anche un tribunale abbia confermato la bontà dell'impianto accusatorio, come amano dire i giornalisti collusi) e non per il popolo italiano. L'enorme quantità di  reati anche gravi che commettono i cittadini italiani non può essere invocato come giustificazione per  il perdurare di questo stato di cose, che colpisce indiscriminatamente colpevoli e innocenti. L'inciviltà giuridica non è mai stata un valore negativo al quale ci si possa rassegnare.

Le deliberazioni che reiterano i vincoli richiedono una motivazione seria

25 Lug 2014
25 Luglio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 920 del 2014 si occupa anche della necessità di motivare in modo serio le deliberazioni che reiterano i vincoli scaditi.

Scrive il TAR: "6. E’, altresì, da accogliere il terzo motivo, nell’ambito del quale si rileva il difetto di motivazione delle delibere che procedono alla reiterazione del vincolo.

6.1 Come correttamente ricorda parte ricorrente l’orientamento giurisprudenziale prevalente richiede l’indicazione e l’esplicitazione delle ragioni alla base del provvedimento, precisando che nell’ipotesi in cui vi sia stata una prima reiterazione, quella successiva deve contenere una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le argomentazioni idonee ad escludere profili di eccesso di potere e, nel contempo, ad ammettere l’attuale sussistenza dell’interesse pubblico (in questo senso si veda Cons. di Stato sez. IV del 02/10/2008 n. 4765).

6.2 In particolare una recente pronuncia del Consiglio di Stato (n. 3365/2012), i cui contenuti questo Collegio non può che condividere, ha rilevato che “la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti (oggi rientrante nella previsione di cui all'art. 9 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) non può disporsi senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze, pubbliche e private, in quanto l'amministrazione nel reiterare i vincoli scaduti è tenuta ad accertare che l'interesse  pubblico sia ancora attuale e non possa essere soddisfatto con soluzioni alternative e deve indicare le concrete iniziative assunte o di prossima attuazione per soddisfarlo, nonché disporre l'accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell'indennità di espropriazione. Si è rilevato, in particolare, che: " l'obbligo di motivazione in materia di reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti sussiste anche quando la reiterazione del vincolo sia disposta in occasione dell'adozione di variante generale al p.r.g. “.

6.3 Sempre secondo la pronuncia sopra citata per conferire alla valutazione di imposizione di vincoli scaduti ed alla conseguente motivazione un grado di concretezza sufficiente occorre che si proceda secondo uno schema logico "minimo" composto ssenzialmente: “a) dalla ricognizione del perdurante bisogno di realizzare un certo assetto urbanistico di interesse della collettività e della portata, dimensione e priorità di tale interesse in relazione alla situazione attuale ed alle risorse disponibili; b) dall'accertamento che la realizzazione di tale assetto possa implicare il coinvolgimento necessario ed attuale dell'are di proprietà privata già oggetto di vincolo; c) dalla dimostrazione che eventuali soluzioni alternative siano impraticabili o eccessivamente onerose in base a criteri oggettivi di comparazione che tengano, però, anche conto del necessario bilanciamento tra costo dell'intervento pubblico e sacrificio imposto al privato".

6.4 Nulla di tutto ciò è presente nelle delibere impugnate che dispongono la reiterazione e, ciò, a prescindere dal fatto che riguardino l’adozione o l’approvazione della variante n. 55/2013.

6.5 Nulla si afferma circa la persistenza e l'attualità dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera, così come non è possibile evincere le ragioni del ritardo nell'esecuzione che, in quanto tali, hanno determinato la decadenza del primo vincolo e del successivo. 

6.6 In presenza di detto obbligo di motivazione va evidenziato come sia del tutto irrilevante la qualifica formale dell'atto; se quindi quest’ultimo integri la fattispecie di una variante o un provvedimento esplicito, finalizzato esclusivamente all’apposizione del vincolo, realizzandosi in tutti i casi una lesione sostanziale e protratta nel tempo del diritto di proprietà del singolo.

6.7 Ne consegue che la reiterazione non può essere disposta senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree, finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze pubbliche e private.

6.8 Ciò premesso, e pur nella convinzione dell'illegittimità in parte qua degli atti impugnati, va comunque rilevato come la necessità di vagliare soluzioni alternative costituisce un profilo che va strettamente correlato al caso di specie e allo stato di avanzamento dell’opera. 

6.9 Se il caso di specie era foriero di una particolare “tipicità” come sostiene l’Amministrazione comunale ciò non esclude che dell’esistenza di queste ragioni si sarebbe dovuto dar conto nelle delibere che reiteravano il vincolo, ponendo in stretta correlazione la reiterazione con le circostanze che avevano determinato il ritardo e le ragioni che ritenevano indispensabile disporre l’ulteriore limitazione al diritto di  proprietà.

6.9 Si consideri, inoltre, che nel caso in esame la valutazione circa l’esistenza di soluzioni alternativa era già stata esaminata dalla
precedente sentenza di questo Tribunale nell’ambito della quale si era già avuto modo di evidenziare come detta fattispecie attenga al merito dell'azione amministrativa e non sia suscettibile di una valutazione, se non per i tradizionali profili in materia di eccesso di potere, peraltro insussistenti nel caso di specie.

6.10 In conclusione a parere di questo Tribunale vanno nettamente distinti i profili attinenti alle pur legittime istanze finalizzate ad un "riposizionamento delle opere", rispetto a quei profili strettamente correlati al rispetto degli obblighi di motivazione gravanti nei confronti dell'Amministrazione procedente.

7. In definitiva è possibile accogliere le censure sopra citate, assorbendo gli ulteriori motivi dedotti e disponendo l’annullamento degli atti impugnati limitatamente alla parte in cui dispongono la reiterazione del vincolo espropriativo nei termini sopra citati".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 920 del 2014

D. lgs. 427/2004 – nuovo art. 146 comma 4 – ma cosa vuol dire che il ritardo sia dipeso dall’interessato?

25 Lug 2014
25 Luglio 2014

Il geom. Alberto Marangoni (responsabile del servizio edilizia privata del Comune di Spinea, che sentitamente ringraziamo) ha effettuato studio sulla relazione tra tempi di validità dell'autorizzazione paesaggistica e validità del titolo edilizio,   soprattutto alla luce delle recentissime modifiche introdotte al comma 4 dell'art. 146 del d. lgs. 42/2004.

Il nuovo testo è il seguente: "L'autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione. I lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro, e non oltre, l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo. Il termine di efficacia dell'autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell'intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest'ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all'interessato". (art. 146 comma 4, del Decreto Legislativo 22/01/2004 n. 42 e s.m. come modificato dall'art. 12, comma 1, lettera a), decreto-legge n. 83 del 31.05.2014)

CASO 1
Per le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal 01/06/2014 compreso (data di entrata in vigore del D.L. 83/2014)
VISTA l'autorizzazione paesaggistica n°.......... (allegata al presente atto) rilasciata, ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, in data ...... al  prot. n° ...... dal Settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Spinea, efficace per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data di ricevimento della notifica di avvenuto rilascio del presente titolo edilizio, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati interventi deve essere sottoposta a nuova autorizzazione ai sensi di quanto previsto dall'art.146, comma 4, del citato decreto; si precisa altresì che, ai sensi del citato comma, i lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo.

Attenzione: per tutte le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal 01/06/2014 bisogna anche verificare se il presente titolo edilizio viene rilasciato con un ritardo che dipende da circostanze imputabili all'interessato.
In questa circostanza bisogna utilizzare questa frase: (proposta)
VISTA l'autorizzazione paesaggistica n°.......... (allegata al presente atto) rilasciata, ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, in data ...... al  prot. n° ...... dal Settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Spinea, la quale, in forza di quanto stabilito dall'art.12, comma 1, lettera a) del D.L. n°83/2014, è efficace per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data del relativo rilascio in ragione del fatto che il presente titolo edilizio viene rilasciato con un ritardo che dipende da circostanze imputabili all'interessato (quali ...specificare...), scaduto il quale l'esecuzione dei progettati interventi deve essere sottoposta a nuova autorizzazione ai sensi di quanto previsto dall'art.146, comma 4, del citato decreto; si precisa altresì che, ai sensi del citato comma, i lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo.

CASO 2
Per le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate tra il 21/08/2013 compreso (data di entrata in vigore della Legge n°98/2013) e il 01/06/2014 escluso (data di entrata in vigore del D.L. 83/2014)
VISTA l'autorizzazione paesaggistica n°.......... (allegata al presente atto) rilasciata, ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, in data ...... al  prot. n° ...... dal Settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Spinea, efficace per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data del relativo rilascio, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati interventi deve essere sottoposta a nuova autorizzazione ai sensi di quanto previsto dall'art.146, comma 4, del citato decreto; si precisa altresì che, ai sensi del citato comma, i lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo.

CASO 3
Per le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate prima del 21/08/2013 (data di entrata in vigore della Legge n°98/2013) che risultavano ancora efficaci alla data del 21/08/2013
VISTA l'autorizzazione paesaggistica n°.......... (allegata al presente atto) rilasciata, ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, in data ...... al  prot. n° ...... dal Settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Spinea, efficace per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data del relativo rilascio, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati interventi deve essere sottoposta a nuova autorizzazione ai sensi di quanto previsto dall'art.146, comma 4, del citato decreto; si precisa altresì che: a) i lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo; b) ai sensi dell'art.30, comma 3, della L.R. n°98/2013  è prorogato di tre anni il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia alla data del 21/08/2013 (a quanto pare le due opzioni sono entrambe valide ... anche se sembrano escludersi a vicenda)

Il responsabile del servizio edilizia privata del comune di Spinea
geom. Alberto Marangoni

L’art. 34 della L. Reg. n. 11/2004 vieta di reiterare il vincolo espropriativo più di una volta anche con variante ordinaria

24 Lug 2014
24 Luglio 2014

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 920 del 2014, dove si legge che: "4. E’ in particolare fondato il secondo motivo, laddove si rileva la violazione dell’art. 34 della L. Reg. n. 11/2004 nella parte in cui prevede il divieto di reiterazione del vincolo espropriativo non più di una volta. 

4.1 La lettura della deliberazione n. 21/2013 conferma la validità della prospettazione dei ricorrenti e, nel contempo, consente di evincere come l’imposizione del vincolo sia avvenuta una prima volta con la deliberazione n. 2733/1995. Si desume, altresì, che una successiva reiterazione è stata posta in essere con la variante n. 18/2004 approvata con la delibera del Consiglio comunale di Vittorio Veneto n. 73/2004.

4.2 E’, allora, evidente che la seconda reiterazione del vincolo è stata “adottata” con la delibera n.21/2013 e poi approvata con la delibera della Provincia di Treviso e, ciò, in violazione dell’espresso divieto in questo senso contenuto nell’art. 34 sopra citato.

4.3 A fronte di detto dato oggettivo non è possibile condividere le tesi dell’Amministrazione comunale laddove evidenzia che la prima
reiterazione sarebbe stata posta in essere in un momento in cui non era ancora entrato in vigore l’art. 34 della L. reg. 11/2004.

4.4 L’infondatezza di detta argomentazione è evidente laddove si consideri che nel momento in cui veniva emanata la delibera di
adozione n. 21/2013 era pienamente vigente il divieto in questione, circostanza che avrebbe dovuto obbligare l’Amministrazione comunale a non procedere ad un’ennesima reiterazione.

5. Nemmeno appaiono di pregio le argomentazioni dirette a sostenere che l’adozione della variante ordinaria ai sensi dell’art. 50 comma 1 e 3 della L. Reg.11/2004 consentirebbe di superare il divieto di reiterazione sopra citato.

5.1 Se così fosse si introdurrebbe un regime differenziato a secondo che il vincolo sia contenuto in una variante ordinaria o semplificata. 

5.2 La differenza tra variante predisposta in forma semplificata (ai sensi dell’art. 50 comma 4 della L. Reg. 61/1985), e quella predisposta ai sensi del comma 1, va individuata nel solo fatto che la variante ordinaria ha lo scopo di modificare la destinazione urbanistica per le aree non conformi, introducendo un vincolo espropriativo in precedenza non previsto".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 920 del 2014

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC