Tag Archive for: Veneto

Chi è legittimato a rappresentare l’Associazione Libera Caccia?

28 Mag 2014
28 Maggio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 591 del 2014.

Si legge nella sentenza: "Preliminarmente il Collegio deve valutare la fondatezza dell’eccezione  preliminare sollevata da entrambe le difese resistenti circa l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione dei ricorrenti. Ritiene il Collegio che l’eccezione, distintamente formulata per ciascuno dei due ricorrenti, sia fondata e meritevole di accoglimento per le seguenti motivazioni. Per quanto riguarda l’Associazione Libera Caccia, il ricorso risulta proposto dalla Sezione Provinciale di Verona, in persona del Presidente provinciale pro tempore, sig. Attilio Marangoni. Orbene, premesso che le associazioni fra cacciatori riconosciute dal Ministero dell'Agricoltura come associazioni venatorie agli effetti dell'art. 86 T.U. 5 giugno 1939 n. 1016, modificato dall'art. 35 L. 2 agosto 1967 n. 799, quale è l’Associazione Libera Caccia, sono legittimate, in virtù della particolare posizione loro riconosciuta dall'ordinamento, a tutelare gli interessi legittimi dei cacciatori, nel caso di specie, sulla base di quanto disciplinato dallo Statuto della medesima associazione, non è rinvenibile in capo al Presidente Provinciale, in questo caso della Sezione di Verona, alcun potere rappresentativo dell’Associazione e quindi difetta in capo all’attuale ricorrente la legittimazione, in virtù della carenza dei poteri rappresentativi, a proporre il ricorso in esame. Infatti, in base allo statuto il solo soggetto cui è attribuita la rappresentanza dell’Associazione, evidentemente anche delle sue articolazioni provinciali, è il Presidente dell’Associazione a livello nazionale, nessun altro potere essendo stato attribuito ai Presidenti  provinciali, né essendo stata conferita alcuna delega da parte del Presidente nazionale a quello provinciale, qui ricorrente. Per dette ragioni, per quanto riguarda la ricorrente Sezione provinciale di Verona, difetta il potere rappresentativo e quindi risulta inammissibile il ricorso da questa proposto".

sentenza TAR Veneto 591 del 2014

La Regione può fissare discrezionalmente i tetti di spesa degli ospedali privati

28 Mag 2014
28 Maggio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 692, si occupa della DGRV n. 832 del 15.05.2012 con la quale sono state fissate per l’anno 2012 i criteri per la determinazione dei volumi di attività e dei tetti di spesa degli erogatori ospedalieri privati equiparati e non equipararti al pubblico per la definizione degli accordi di cui all’art. 8 quinquies del D. Lgs. n. 502/1992.

A tal proposito si legge: “Va premesso che il legislatore con gli artt. 32, comma 8, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, 12, comma 3, del Dlgs 23 dicembre 1992, n. 502 e 39 del Dlgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come è stato rimarcato anche dalla più recente giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 12 aprile 2012, n. 3; id. 2 maggio 2006, n. 8; Consiglio Stato, sez. V, 25 gennaio 2002, n. 418; Corte Cost. 26 maggio 2005, n.200; id. 28 luglio 1995, n. 416; id. 23 luglio 1992, n. 356), ha disposto che, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema.

Le deliberazioni impugnate costituiscono espressione di tale potere programmatorio che si identifica nella fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni e nella determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni.

Si tratta dell’esercizio di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, posto che deve bilanciare interessi diversi e per certi versi contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono secondo una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche che garantiscono l'assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico.

Ciò premesso, in ordine al dedotto difetto di motivazione, va osservato che la deliberazione con la quale sono stati fissati i criteri e determinati i volumi di attività e i tetti di spesa degli erogatori ospedalieri privati, non necessita di una specifica motivazione oltre quella che può ricavarsi dai criteri generali, perché, essendo un atto a contenuto generale, soggiace all’art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (mentre costituisce un atto plurimo solo per quanto attiene alla determinazione dei budget riconosciuti ai singoli operatori: cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 2 maggio 2006, n. 8; Tar Lazio, Roma, Sez. III, 5 aprile 2006, n. 2427).

Orbene, il Collegio ritiene che la deliberazione e gli atti dalla stessa richiamati (in particolare il nuovo Piano regionale socio sanitario approvato con la deliberazione della Giunta regionale n. 15/DDL del 26 luglio 2011), contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, rechino una sufficiente indicazione degli obiettivi, delle linee di indirizzo e dei criteri generali seguiti nell’impostazione della programmazione regionale, in ordine ai profili oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti.

Infatti la deliberazione sottolinea che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli; che vi è la necessità di rivedere l’offerta complessiva delle prestazioni messe a disposizione dai soggetti privati utilizzando al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche al fine di garantire il loro massimo rendimento a fronte degli ingenti investimenti effettuati in termini finanziari ed organizzativi; che è necessario tener conto delle peculiarità che caratterizzano le singole realtà locali.

Il Piano socio sanitario regionale 2012 - 2016 (adottato con la deliberazione della Giunta regionale n. 15/DDL del 26 luglio 2011 ed in seguito divenuto la legge regionale 29 giugno 2012, n. 23), a sua volta, con riguardo all’ospedalità privata accreditata, nell’ambito del paragrafo 3.2.3, afferma che ad essa va riconosciuto un ruolo di supporto al sistema pubblico, e che l’assistenza ospedaliera privata, in quanto parte del sistema complessivo, deve considerarsi complementare all’offerta pubblica.

Pertanto il Collegio, rilevata l’esistenza di tali riferimenti nella deliberazione e negli atti programmatori da essa richiamati, ritiene che tali elementi costituiscano una sufficiente indicazione dei criteri generali adottati nell’individuazione dei tetti e dei budget”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 692 del 2014

I diritti dell’uomo e le sentenze dei giudici

27 Mag 2014
27 Maggio 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 2482/2014 è un esempio di come, partendo da temi specialistici e un po' limitati (l'accessione invertita e l'acquisizione sanante), si possa giungere a questioni di fondo dell'ordinamento, di rilievo quasi filosofico ( insomma, quelle cose che piacciono a Dario Meneguzzo).

In sintesi, questa la vicenda decisa dal Consiglio di Stato:

- Una signora subisce un procedimento espropriativo di alcuni suoi terreni (per realizzarvi una strada che corre all'esterno dell'abitato di Castelfranco Veneto).

- Ottiene nel 2009 dal Tar Veneto una sentenza ( 2173/2009) che annulla gli atti della procedura espropriativa, e in particolare i provvedimenti di proroga della dichiarazione di pubblica utilità.

- Conseguentemente, il Tar Veneto dispone che l'Anas "dovrà provvedere alla regolarizzazione dell'attuale situazione, tenendo conto sia dell'annullamento degli atti di proroga della dichiarazione di pubblica utilità testé disposto, sia, ovviamente, dell'avvenuta acquisizione delle aree di cui trattasi al patrimonio pubblico disponibile per accessione invertita…"

- Il riferimento all'accessione invertita contenuto nella sentenza del 2009 è da considerarsi fuori del tempo. L'accessione invertita era già stata censurata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ed era già stata superata dall'articolo 43 del testo unico delle espropriazioni (allora vigente), che prevedeva l'acquisizione sanante: insomma, se un'amministrazione, per regolarizzare l'occupazione di un'area, deve assumere un atto di acquisizione sanante, vuol dire che non è già diventata proprietaria di quell'area in virtù dell'accessione invertita.

- La sentenza del 2009 passa in giudicato ma non ha esecuzione (l'Anas cioè non risarcisce alcun danno per accessione invertita), e nel 2012 la signora si rivolge nuovamente al Tar per l'ottemperanza.

- Il Tar Veneto (con sentenza 500/2013) accoglie il suo ricorso per l'ottemperanza, statuendo però che l'Anas - anziché risarcire il danno per l'accessione invertita - debba portare a termine un procedimento di acquisizione sanante (ex art. 42 bis, nel frattempo entrato in vigore). E forse si tratta del tentativo del Tar Veneto, in sede di ottemperanza, di "correggere il tiro" rispetto alla propria precedente pronuncia, che aveva fatto applicazione di un istituto superato.

- La signora non condivide questa posizione - evidentemente, circostanze fattuali la inducono a preferire l'accessione invertita - e impugna al Consiglio di Stato la sentenza del Tar.

- Il Consiglio di Stato, dunque, con la sentenza che ti allego, le dà ora pienamente ragione.

- E' vero, dice il Consiglio di Stato, che l'accessione invertita è "del tutto superata". Però "diverso è invece il caso in cui la fattispecie traslativa sia conseguenza di una vicenda complessa, come quella attuale, in cui vi è il passaggio in giudicato di una sentenza che ha statuito espressamente in tal senso…".

- Così dunque conclude il Consiglio di Stato: "essendovi stata l'acquisizione alla mano pubblica dell'area, stante il giudicato caduto sulla sentenza del Tar Veneto, sezione prima, n. 2173 del 9 luglio 2009 a proposito di tale profilo, appare del tutto inconferente l'applicazione dell'istituto dell'acquisizione sanante di cui all'art. 42 bis del Tuespr., atteso che l'area è già di proprietà dell'Anas".

Ora, se nel caso concreto la pronuncia del Consiglio di Stato è quella voluta da chi ha subito l'occupazione delle sue aree, va bene così.
Ma il tema è tutt'altro che scontato.
Davvero la forza del giudicato prevale sul fatto che la normativa applicata è contraria ai diritti dell'uomo? Perché questa è, nella sostanza, la statuizione del Consiglio di Stato.
Se l'affermazione non sembra particolarmente problematica in tema di accessione invertita, lo può diventare in altri casi.
Davvero vale il giudicato se ha ad oggetto altre situazioni contrarie ai diritti dell'uomo?
Gli esempi vengono alla mente in quantità.
Si pensi, per andare all'estremo, a un giudicato formatosi su fattispecie di discriminazioni palesemente in contrasto con i diritti dell'uomo, perché basate su religione, colore della pelle, preferenze sessuali. E se la sentenza passata in giudicato avesse statuito che i gay o le persone di colore non possono entrare in un locale pubblico?

avv. Stefano Bigolaro

Sentenza TAR Veneto n. 500 del 2013

sentenza CDS 2482 del 2014

La diffida a ridurre le emissioni rumorose non è autonomamente impugnabile

27 Mag 2014
27 Maggio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 693, si occupa dei piani di classificazione acustica che i Comuni devono adottare in base alla Legge n. 447/1995 (Legge quadro sull’inquinamento acustico) e dei connessi provvedimenti comunali. In particolare la diffida finalizzata ad imporre il rispetto dei limiti legai previsti dalla L: n. 447/1995 e dal D.P.C.N. 14.11.1997 non è un provvedimento direttamente lesivo e, dunque, autonomamente impugnabile, atteso che: “In relazione al primo profilo va infatti rilevato che effettivamente l’atto impugnato, in base ad una corretta qualificazione che tenga conto del suo effettivo contenuto e di quanto dispone, nonché delle caratteristiche che presenta nella sua concreta attuazione (cfr. ex pluribus Consiglio di Stato, Sez. V, 19 novembre 2012, n. 5848; Tar Lazio, Latina, Sez. I, 22 ottobre 2012, n. 791; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 14 novembre 2011, n. 8828), è privo di autonoma lesività, perché non è un atto sussumibile entro quelli contemplati dall’art. 9 della legge 20 ottobre 1995, n. 447, ma si sostanzia in una mera diffida a rispettare i limiti di legge, che in quanto tale è priva di effetti costitutivi e pertanto non è autonomamente impugnabile (cfr. Consiglio Stato, Sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6079; Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 30 ottobre 2001 n. 783), ed è stata emessa nell’esercizio degli ordinari poteri di vigilanza di cui all’art. 6 e all’art. 14, comma 2, della legge 20 ottobre 1995, n. 447, di competenza del dirigente, per le ipotesi non caratterizzate dal presupposto dell’urgenza che perseguono lo scopo di far rientrare le fonti di inquinamento entro i parametri di legge (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 10 settembre 2009, n. 5420).

Una tale conclusione è avvalorata da profili di carattere letterale, dato che non vi è la comminazione di conseguenze pregiudizievoli in caso di mancata osservanza del contenuto monitorio dell’atto.

Infatti vi è solo l’indicazione della possibile adozione di provvedimenti di cui all’art. 9 della legge 20 ottobre 1995, n. 447, in caso di pericolo immediato per la salute pubblica, e l’espressa attribuzione all’atto della valenza di cui all’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 693 del 2014

Nella S.C.I.A. in sanatoria opera il silenzio-assenso

27 Mag 2014
27 Maggio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 31 marzo 2014 n. 1534, si occupa della S.C.I.A. edilizia in sanatoria stabilendo che se l’Amministrazione comunale non inibisce l’intervento entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, l’abuso edilizio si intende sanato: “5. Come risulta dall’esposizione in fatto, l’appellante incidentale ha prodotto copia della segnalazione certificata di inizio attività (ai sensi della L.R. 18 febbraio 2004, n. 1, come modificata e integrata dalla L.R. 16 settembre 2011, n.8), presentata al Comune di Perugia in data 19 dicembre 2012, a sanatoria dell’abuso oggetto dell’ordine di demolizione impugnato in primo grado.

Non è stato contestato dal Comune di Perugia che sia effettivamente decorso il termine di 30 giorni dalla presentazione della predetta s.c.i.a senza che sia stato adottato (e comunicato) alcun provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività proprio ai sensi dell’art. 21, comma 12, della citata L.R. n. 1 del 2004: a ciò consegue che sussiste un titolo abilitativo, sia pur in sanatoria, dell’attività edilizia, originariamente abusiva.

Sotto tale profilo deve rilevarsi che la presentazione della s.c.i.a. (e la conseguente avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria) costituisce in realtà ammissione dell’abuso edilizio commesso, avendo quella segnalazione certificata carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità di fatti attestati e a produrre, con l’inutile decorso del tempo per l’emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una eventuale diversa volontà delle parti (Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2086 per un’ipotesi analoga in tema di condono edilizio ex lege 28 febbraio 1985, n. 47)”.

Ciò determina una sopravvenuta carenza d’interesse da parte dell’Amministrazione a coltivare il ricorso perché: “Ciò posto, essendo stato sanato l’abuso che aveva legittimato l’emanazione dell’ordine di demolizione oggetto di controversia, deve essere dichiarata l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’originario ricorso proposto in primo grado, essendo venute meno nelle more del giudizio le condizioni dell’azione che, com’è noto, devono persistere per tutto il giudizio”.

Alla luce di ciò si evince che, se per il Permesso di costruire in sanatoria vige la regola del silenzio-rigetto o silenzio-diniego, ex art. 36, c. 3 del D.P.R. n. 380/2001, laddove l’Amministrazione non si pronunci entro sessanta giorni dalla richiesta (per il permesso), nella S.C.I.A. in sanatoria, al contrario, vige il principio del silenzio-assenso (nei 30 giorni). Ovviamente ritengo che sia sempre fatto salvo, in ambedue le ipotesi, il potere di autotutela dell’Amministrazione. 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 1534 del 2014

Decreto Ministeriale 22 maggio 2014 “Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale”

27 Mag 2014
27 Maggio 2014

Sul sito del MISE (http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/dgsaie/ambiti/norme.asp) è stata pubblicata la seguente informativa:

 "...Approvazione del documento “Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale” del 7 aprile 2014.

Con Decreto Ministeriale 22 maggio 2014 è stato approvato il documento MISE Linee guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale del 7 aprile 2014 ai sensi dell'articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 e dell’articolo 1, comma 16, del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni in legge 21 febbraio 2014, n. 9.

Tabella Excel Foglio riassuntivo calcolo valore di rimborso..."

Dalle linee guida si evince che:

 "...In conformità con l’articolo 15, comma 5, del DLgs. 164/2000 e s.m.i. e con l’articolo 5, commi 2 e 4, del regolamento criteri di gara, le specifiche metodologie previste nei singoli contratti di concessione vigenti e stipulati precedentemente all’11 febbraio 2012 prevalgono su quanto contenuto nelle presenti Linee Guida, con le limitazioni previste nell’articolo 5 del regolamento criteri di gara e nel capitolo 2 del presente documento.

 Le Linee Guida si applicano ai seguenti casi:

 a. casi di cui all’articolo 5, comma 3, del regolamento criteri di gara, cioè i casi in cui è prevista alla scadenza naturale della concessione la devoluzione onerosa di una porzione di impianto al gestore entrante, la cessazione del servizio è anticipata rispetto alla scadenza naturale (inclusi i casi in cui non è previsto un termine di scadenza) e per cui:

i. i documenti contrattuali, stipulati prima dell’11 febbraio 2012, non prevedano alcuna previsione metodologica o la prevedano solo per alcuni aspetti del calcolo del valore di rimborso; in questo ultimo caso le Linee guida si applicano per gli aspetti metodologici non previsti o per l’applicazione operativa degli aspetti metodologici generali;

ii. gli atti integrativi, stipulati successivamente all’entrata in vigore del Dlgs. 164/2000 (21 giugno 2000), presentino solo un valore, anche se indicizzato, senza specificare la metodologia dettagliata applicata;

iii. i documenti contrattuali, per la valutazione del valore di rimborso, facciano riferimento generico all’articolo 24, comma 4, del regio decreto 2578/1925 o indichino genericamente che la valutazione debba essere effettuata a prezzi di mercato, senza fornire la metodologia dettagliata. A tale categoria appartengono i casi in cui un accordo successivo al 20 giugno 2000 ha sostituito gli atti precedenti in cui era definita la scadenza naturale e gli atti di concessione vigenti, stipulati prima dell’11 febbraio 2012, prevedono una metodologia riconducibile ai criteri di cui all’articolo 24, comma 4, del regio decreto 2578/1925;

b. casi in cui gli atti di concessione ancora in vigore prevedano alla scadenza naturale la devoluzione gratuita al Comune dell’intero impianto o di una sua porzione, ma in cui la cessazione effettiva del servizio è anticipata per disposizioni di legge; in particolare nei due seguenti sottocasi:

i. gli atti di concessione prevedono l’applicazione del regio decreto n.2578/1925 in caso di cessazione anticipata del servizio (caso in cui si applica il secondo periodo dell’articolo 5, comma 14, lettera a, del regolamento criteri di gara);

ii. gli atti di concessioni non riportano alcuna modalità di calcolo in caso di cessazione anticipata del contratto rispetto alla scadenza naturale (caso in cui si applica l’articolo 5, comma 14, lettera b, del regolamento criteri di gara);

c. casi di cui all’articolo 5, comma 1, del regolamento criteri di gara, cioè i casi di cessazione del servizio alla scadenza naturale o successivamente, per cui gli atti di concessione ancora in vigore prevedano esplicitamente, come modalità di calcolo del rimborso alla scadenza naturale dell’affidamento, l’applicazione dei criteri di cui all’articolo 24, comma 4, del regio decreto n.2578/1925.

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Ai sensi dell’articolo 5, comma 4, del regolamento criteri di gara, nei casi in cui gli atti di concessione vigenti, stipulati prima dell’11 febbraio 2012, riportano previsioni solo su aspetti particolari per il calcolo del valore di rimborso (ad esempio, prezziario da utilizzare, vite utili per il calcolo del degrado, o altri dettagli metodologici) le Linee Guida si applicano per gli elementi non definiti in tali atti.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 1, comma 16, del DL 145/2013 in tutti i casi si applica la detrazione dei contributi privati e, pertanto, si applicano in tutti i casi le modalità previste nel paragrafo 17.1 e nel paragrafo 3 dell’Allegato 2, limitatamente al trattamento dei contributi privati.

Nei casi non previsti sopra, qualora i documenti contrattuali facciano riferimento all’applicazione di un prezzario regionale, di una provincia autonoma o della CCIAA provinciale, senza specificarne le modalità applicative, valgono comunque le previsioni contenute nelle Linee Guida per l’utilizzo del prezzario. In particolare, in tale caso si applica quanto previsto nel capitolo 7, per le spese generali e l’utile di impresa, e quanto previsto nei paragrafi 8.2.3.3 e 8.3.2.2 e nell’allegato 1, per la priorità nella scelta della voce, contenuta nel prezzario di riferimento, da utilizzare per una determinata lavorazione relativa a scavi, rinterri e ripristini, per la scelta dei materiali di rinterro e rinfianco tubazioni e per la identificazione di voci di prezzo non idonee a rappresentare la lavorazione per la realizzazione di reti di distribuzione del gas. Anche per quanto riguarda la fornitura e installazione di componenti specifici della distribuzione del gas, inclusa la fornitura e la posa delle tubazioni interrate, valgono, nel suddetto caso, le previsioni contenute nelle Linee guida e non le voci di prezzo del prezzario, in quanto, come evidenziato al capitolo 4, la maggior parte dei prezzari non forniscono voci di costo adeguate alla realizzazione di condotte di notevoli estensioni, quali le reti di distribuzione del gas naturale.

Le Linee Guida non si applicano a valutazioni del valore di rimborso a regime, a cui si applica la metodologia della regolazione tariffaria, ai sensi dell’articolo 14, comma 8, del DLgs. 164/00, come modificato dall’articolo 24, comma 1, del DLgs 93/2011.

La Parte II, riguardante la valutazione del valore di ricostruzione a nuovo dei cespiti, non si applica agli impianti con prima metanizzazione dopo l’anno 2000, che sono stati realizzati con l’ausilio di finanziamenti pubblici e per cui le condizioni di posa e di accessibilità non si siano modificate. Per tali casi, ai sensi dell’articolo 5, comma 6, ultimo periodo, del regolamento criteri di gara, il valore di ricostruzione a nuovo è determinato utilizzando direttamente i costi effettivamente sostenuti, aggiornati con il deflatore degli investimenti fissi lordi. In questo ultimo caso è comunque applicabile la Parte III delle Linee Guida per il trattamento del degrado dei cespiti e del trattamento dei contributi pubblici e privati. 

geom. Daniele Iselle

 

S.O.S. tecnico: la confusione fiscale in materia di cessione di aree al comune

26 Mag 2014
26 Maggio 2014

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa richiesta dell'arch.  Emanuela Volta, che sottoponiamo ai lettori:

Buongiorno, mi permetto di inviare un riferimento a complemento di un tema che avevate già trattato qualche giorno fa, cioè lo Studio del Notariato sul trattamento fiscale dopo il D.Lgs. n. 23/2011 della cessione “gratuita” di aree e di opere di urbanizzazione al Comune.

Ci troviamo in questo momento, e in particolare dal gennaio 2014, a fare i conti con delle nuove regole che generano incertezze ai comuni, a noi professionisti e anche ai privati che decidono di affrontare la strada della cessione di aree al comune sottoforma di perequazione.

Negli ultimi mesi siamo stati costretti, come urbanisti e pianificatori che utilizzano gli accordi all'interno degli strumenti di pianificazione, a confrontarci con tematiche fiscali di recente modifica.

In alcuni accordi il plusvalore calcolato come "beneficio pubblico" fondativo degli accordi pubblico/privato, è stato tradotto in cessione di aree di diversa natura (standard, edificabili per interventi pubblici, fasce di terreno per allargamenti stradali, aree da destinare a piste ciclabili o a viabilità....
E qui ci addentriamo in una selva oscura:
quanto si paga di tassa di registro? E' cessione onerosa? Chi paga? Il privato o l'Ente Territoriale?
Su quale valore dell'area si calcola l'imposta? Il valore ante trasformazione? Il valore delle aree edificabili ai fini imu utilizzato dai comuni per il calcolo delle perequazioni? Il valore dell'area trasformata, quindi il valore di mercato? Il famoso 9% del valore cambia tantissimo, e diventa discriminante tra fare e non fare l'accordo! Abbiamo consultato avvocati, notai, e da ultime le Agenzie delle Entrate. Non una, ma tre. Mi soffermo solo sulle risposte di queste ultime: ovviamente si tratta di tre risposte completamente diverse.
Ci è stata citata lo Studio del Notariato, ma anche una circolare dell'Agenzia delle Entrate, che mi pare di non aver visto nominata sul sito. Ve la indico, magari qualcuno che legge può dare qualche informazione/interpretazione di utilità per tutti quelli che si trovano ad affrontare questo tema.
Pensavo di dover/poter pensare alle strategie di pianificazione, e perché no? a quelle dell'urbanistica creativa che ci costringe oggi a vivere di giurisprudenza...invece facciamo pure i fiscalisti.
La circolare ha come oggetto "Modifiche alla tassazione applicabile, ai fini dell’imposta di
registro, ipotecaria e catastale, agli atti di trasferimento o di costituzione a titolo oneroso di diritti reali immobiliari - Articolo
10 del D.lgs.14 marzo 2011, n. 23", ed è la numero 2/E del 21 febbraio 2014. Grazie per l'attenzione, chissà che si riesca a illuminare "la diritta via smarrita".

CIR2E+DEL+21+02+14+(2

TAR Veneto:come si interpreta la norma del PTRC in materia di salvaguardia dell’Architettura del 900

26 Mag 2014
26 Maggio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 704 del 2014. 

Scrive il TAR: "....Preliminarmente ritiene il Collegio che sia fondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso formulata dalla difesa della Regione.

In particolare, la disciplina normativa delle “Architetture del Novecento”, fra le quali viene elencata la “Manifattura Tabacchi”, è contenuta nell’art. 62 delle n.t.a. del PTRC, il cui comma 3, per quanto qui interessa, stabilisce che: “I Comuni in sede di redazione dei propri strumenti di pianificazione provvedono ad implementare l’elenco (degli edifici e sistemi del Novecento) mediante un tavolo di concertazione a regia regionale nonché ad attivare specifiche e differenziate politiche locali di salvaguardia, valorizzazione e recupero, che valorizzino gli elementi architettonici, gli apparati decorativi e i caratteri insediativi”. Mentre al successivo comma 4 si adotta una misura di salvaguardia del seguente tenore: “fino all’adeguamento degli strumenti di pianificazione comunale per gli edifici e sistemi di cui al comma 1, fatti salvi quelli già disciplinati con finalità di salvaguardia dalla vigente pianificazione comunale, è vietata la demolizione e l’alterazione significativa dei valori architettonici, costruttivi e tipologici”.

Ciò premesso, la difesa della Regione ha correttamente osservato che tale ultima norma (comma 4), diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non pregiudica, di per sé, la realizzazione dei progetti di recupero e valorizzazione già previsti dagli strumenti di pianificazione comunale, in quanto tali progetti siano finalizzati alla tutela e alla salvaguardia degli edifici rientranti nelle “Architetture del Novecento”.

Ed infatti, ha evidenziato la resistente, l’individuazione, da parte della Regione, in sede di variante al PTRC, degli edifici e/o sistemi di edifici rientranti nelle “Architetture del Novecento”, è diretta ad identificare manufatti rilevanti per la ricchezza di relazioni che instaurano con i loro contesti, per il rapporto con il territorio, potendo comprendere sia fabbricati sottoposti a vincolo monumentale o urbanistico, da tutelare, recuperare e conservare, sia fabbricati privi di valore storico-architettonico e quindi da considerare anche ai fini di una possibile demolizione in funzione della salvaguardia, valorizzazione e riconversione dell’intero complesso individuato.

Di qui, in ragione della mancanza di una lesione attuale degli interessi della ricorrente, la dedotta inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse.

Ed invero le osservazioni della difesa regionale appena riportate, e la valutazione, anticipata da questo Collegio nell’ordinanza cautelare, per cui le previsioni del piano relative alle “Architetture del 900” abbiano caratteri di generalità ed astrattezza, trovano conferma in alcuni passaggi della relazione illustrativa di cui all’allegato B della delibera n. 427 del 10 aprile 2013.

Infatti, da tale relazione ne emerge che lo scopo della variante, con riferimento alle “Architetture del 900”, è quella d’individuare solo delle linee generali per la salvaguardia e la valorizzazione di alcuni manufatti del Novecento, manufatti fino ad ora sprovvisti di alcuna tutela specifica, sebbene dotati di un certo valore storico e architettonico che si vuole ora riconoscere. In particolare, in tale relazione si sottolinea più volte che l’obiettivo del progetto non è quello di tutelare singoli elementi di pregio architettonico e urbanistico, ma di mirare “al riconoscimento del ruolo da essi rivestito nel conferire qualità e identità al territorio veneto contemporaneo”. Quindi tali manufatti e sistemi di edifici sono tutelati non tanto per il loro pregio intrinseco, quanto “per la ricchezza di relazioni che instaurano con i loro contesti”, ed in quanto, nel loro complesso o nell’interrelazione con il territorio, generano “veri e propri nuovi paesaggi”.

Ancora si evidenzia nella relazione illustrativa che “l’insieme delle schedature realizzate costituisce non un punto di arrivo ma piuttosto un punto di partenza. Questa prima selezione di manufatti andrà infatti integrata dagli enti locali territoriali, che potranno fare ulteriori segnalazioni e proporre politiche articolate mirate alla salvaguardia e valorizzazione”. Inoltre, anche la pianificazione paesaggistica regionale d’Ambito “sarà l’occasione per una definizione maggiormente dettagliata dei progetti individuati”.

D’altro canto, si è detto, come nel comma 3 dell’art. 62 delle n.t.a. del PTRC, si rimetta ai Comuni il compito di “attivare specifiche e differenziate politiche locali di salvaguardia, valorizzazione e recupero di tali manufatti”.

Pertanto, applicando tali concetti e tali previsioni normative alla fattispecie in esame, ne deriva che:

a) il complesso industriale della “Manifattura Tabacchi” non è oggetto, da parte della delibera impugnata, di una diretta e specifica disciplina delle forme di tutela, valorizzazione e riqualificazione, rientrando, invece, nell’ambito di un progetto, non ancora definito, di tutela del patrimonio novecentesco, al quale sono chiamati a partecipare, sin dalla fase formativa, anche i Comuni; ed essendo, poi, la modulazione delle concrete politiche di salvaguardia e valorizzazione e la definizione di progetti maggiormente dettagliati, rimessa alla discrezionalità di quest’ultimi o dei Piani Paesaggistici d’Ambito;

b) in ogni caso, oggetto di tale tutela non sono individualmente i singoli edifici che compongono la “Manifattura Tabacchi”, ed i magazzini di stoccaggio in particolare, ma questa genericamente nel suo insieme, per la sua capacità di conferire “qualità e identità al territorio veneto contemporaneo”, e di interagire con il contesto urbano di riferimento, generando un “nuovo paesaggio”.

Coerentemente con tale assetto normativo e progettuale, la misura di salvaguardia di cui al comma 4 dell’art. 62 delle n.t.a. della delibera impugnata, a differenza delle tipiche misure di salvaguardia urbanistiche, vieta la demolizione e l’alterazione significativa degli edifici e dei sistemi di edifici identificati “fino all’adeguamento degli strumenti di pianificazione comunale”.

Ciò vuol dire che tale misura di salvaguardia, anziché imporre al Comune l’obbligo di soprassedere al rilascio di permessi di costruire in contrasto con il piano paesaggistico e fino all’approvazione del medesimo, rimanda sin da subito all’amministrazione locale, sia la definizione di una disciplina di dettaglio, con ampia discrezionalità circa la modulazione del grado e dell’intensità della tutela degli edifici e dei sistemi di edifici, sia la successiva attività di valutazione in ordine alla concreta compatibilità di ciascun progetto edilizio con gli obiettivi di valorizzazione del patrimonio novecentesco interessato.

Pertanto, nel caso di specie, allo stato, nulla esclude che il Comune, sulla base della successiva evoluzione procedimentale della fase attuativa della delibera regionale e nell’esercizio della propria residua discrezionalità, possa alla fine giungere a ritenere - in sintonia con gli interessi della ricorrente - compatibile, con gli obiettivi di conservazione e di valorizzazione del complesso industriale della “Manifattura Tabacchi”, anche la demolizione dei magazzini di stoccaggio, se considerati, quest’ultimi, di per sé stessi privi di valore storico-architettonico ed ininfluenti sul valore identitario del complesso industriale.

Ne deriva che la delibera della giunta regionale in oggetto, al momento, non è di ostacolo alla realizzazione delle previsioni del P.I. e del progetto presentato dalla ricorrente, e non essendo quindi attualmente lesiva, potrà essere eventualmente impugnata, quale atto presupposto, solo in esito all’applicazione che di essa ne faccia il Comune nella fase attuativa.

In conclusione, il ricorso deve essere giudicato inammissibile per difetto d’interesse...".

geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto n. 704 del 2014

Il vincolo cimiteriale prevale sul PRG comunale

26 Mag 2014
26 Maggio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 12 maggio 2014 n. 2405, si occupa del vincolo cimiteriale di fonte statale affermando che esso prevale sugli strumenti urbanistici e sulle cartografie comunali che non lo prevedono e/o che lo disciplinano in maniera difforme: “deve rammentarsi che il vincolo cimiteriale, espresso dall'art. 338 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 -come modificato dapprima dall’art. 4 della legge 30 marzo 2001, n. 130 e quindi dall’art. 28, comma 1, lettera a), della legge 1° agosto 2002, n. 166- ha natura assoluta e si impone, in quanto limite legale, anche alle eventuali diverse e contrastanti previsioni degli strumenti urbanistici, in relazione alle sue finalità di tutela di preminenti esigenze igienico-sanitarie, salvaguardia della sacralità dei luoghi di sepoltura, conservazione di adeguata area di espansione della cinta cimiteriale, secondo giurisprudenza granitica (cfr. tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5571, 20 luglio 2011, n. 4403, 16 marzo 2011, n. 1645, 27 ottobre 2009, n. 6547, 8 ottobre 2007, n. 5210; Sez. V, 14 settembre 2010, n. 6671, 8 settembre 2008, n. 4526).

Ne consegue che il rilevato contrasto con previsioni di P.R.G., secondo i rilievi cartografici più o meno certi o opinabili invocati dalla società appellante, non può implicare l'illegittimità del progetto di ampliamento cimiteriale, quando non sia contestato che il suolo appartenente alla società appellante ricada nella fascia assoggettata al vincolo cimiteriale, di tal che, e in ogni caso, risulti affatto prevalente il vincolo legale, e si ponga non già esigenza di una variante urbanistica ma, semmai, di adeguamento delle previsioni grafiche se e in quanto erronee, confuse, contrastanti con il sovraordinato limite legale”. 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 2405 del 2014

All’interno di un comune se il privato invia una istanza a un organo incompetente questi deve girarla a quello competente?

26 Mag 2014
26 Maggio 2014

La risposta a tale interrogativo sembra essere positiva solamente se si estendono in via generale i principi desumibili sia dall’art. 6, c. 2 del D.P.R. n. 18472006 (dettato in materia di accesso ai documenti amministrativi) secondo cui: “La richiesta formale presentata ad amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto di accesso è dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente. Di tale trasmissione è data comunicazione all'interessato” sia dall’art. 2, c. 3 del D.P.R. n. 1199/1971 (dettato in materia di ricorso gerarchico) il quale prevede che: “I ricorsi rivolti, nel termine prescritto, a organi diversi da quello competente, ma appartenenti alla medesima amministrazione, non sono soggetti a dichiarazione di irricevibilità e i ricorsi stessi sono trasmessi d'ufficio all'organo competente”.

Sul punto, però, non c’è una risposta certa poiché manca una chiara disposizione legislativa.

Tale principio, tuttavia, sembra essere stato già accolto dall’Amministrazione tributaria. In realtà, in questo caso, c’è una norma specifica che prevede ciò: l’art.5 del D.M. n. 37/1997 stabilisce infatti che: “Le eventuali richieste di annullamento o di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento avanzate dai contribuenti sono indirizzate agli uffici di cui all'articolo 1; in caso di invio di richiesta ad ufficio incompetente, questo è tenuto a trasmetterla all'ufficio competente, dandone comunicazione al contribuente”.

Alla luce di ciò la giurisprudenza tributaria è giunta ad affermare che vi è un obbligo - almeno per questi enti - di trasmettere le istanza dei privati all’organo competente: “Non osta, del resto, a tale conclusione, la necessità del controllo sulla correttezza del rimborso (su cui nel caso di specie non si fa nessuna questione), tenuto conto del dovere di cooperazione esistente tra gli uffici e dell'obbligo dell'Ufficio finanziario, che riceva atti ritenuti appartenenti alla competenza di altro Ufficio, di inoltrarli a quello reputato competente, in considerazione del principio, da ultimo affermato da Cass. n. 6627 del 2013, secondo cui, per effetto delle norme sul procedimento amministrativo, di cui alla L. n. 241 del 1990, e del principio di buona fede ed affidamento del contribuente di cui alla citata L. n. 212 del 2000, art. 10, "in difetto di trasmissione dell'istanza... all'organo ritenuto competente o di comunicazione al contribuente da parte dell'Ufficio e nell'inerzia dell'Amministrazione finanziaria, il contribuente non ha ragione di dubitare della piena formazione del silenzio-rifiuto e, pertanto, ricorre l'ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. g)" con la possibilità di impugnare il diniego davanti al giudice tributario” (Cass. civ., sez. trib., 19.12.2013, n. 28398), nonché “la prevalente giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che la presentazione dell'istanza ad ufficio diverso, e quindi territorialmente incompetente, osti alla formazione del provvedimento negativo, anche nella forma del silenzio - rifiuto, e conseguentemente determini l'inammissibilità del ricorso presentato alla commissione tributaria per difetto di provvedimento impugnabile; improponibilità rilevabile d'ufficio dal giudice anche in sede di gravame, salvo che si sia già fermato sul punto un giudicato interno (v. ex plurimis Cass. N. 13194 del 16/07/2004; n. 23701 del 15/11/2007; n. 9095 del 2002; Sezioni Un. N. 11217 del 1997). Ritiene però il Collegio che simile drastica conclusione, che viene a penalizzare un errore meramente formale del contribuente, debba essere rivisitata alla luce dei principi di cooperazione, collaborazione e buona fede che, in base alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, devono improntare i rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente.

Sulla scorta di simili principi questa sezione ha già riconosciuto che l'istanza di rimborso presentata ad un ufficio dell'amministrazione finanziaria, ancorchè incompetente funzionalmente o territorialmente a provvedere sulla medesima, è, atto idoneo ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, (Cass. 6 maggio 2005, n. 9407; Cass. N. 14212 del 28 luglio 2004). Ha però soggiunto che tale istanza - rivolta ad organo incompetente - non sarebbe invece idonea a determinare la formazione di un provvedimento di diniego nella forma del silenzio - rifiuto, e renderebbe conseguentemente inammissibile il ricorso al giudice tributario; quindi il contribuente dovrebbe, entro il termine prescrizionale di cui all'art. 2967 c.c., rinnovare l'istanza rivolgendola all'organo competente. Il Collegio ritiene che la coerenza del sistema imponga un ulteriore passo avanti e dunque di riconoscere che l'ufficio non competente che riceva un'istanza di rimborso è tenuto a trasmettere l'istanza all'ufficio competente, in conformità delle regole di collaborazione tra organi della stessa amministrazione (cfr. anche la L. 18 marzo 1968, n. 249, art. 5), restando configurabile, in difetto, un silenzio - rifiuto del rimborso medesimo, impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie (Cass. 8 agosto 1988 n. 4878), e ciò sia perchè la domanda di rimborso non è rivolta ad un organo estraneo all'amministrazione finanziaria, sia perchè, in tema di rimborso, l'ordinamento impone una dovuta costante collaborazione organi (arg. D.P.R. n. 602 cit., ex art. 38, comma 3). La soluzione accolta appare, infine, conforme al principio più volte affermato da questa Corte e secondo cui le leggi devono essere interpretate alla luce delle esigenze di celerità processuale e di sollecita definizione dei diritti delle parti di cui all'art. 11 Cost., (cfr. le sentenze delle Sezioni Unite n. 24883 del 9 ottobre 2008 e n. 4109 del 22 febbraio 2007); appare infatti inutilmente defatigatorio imporre ad |un contribuente, il cui diritto non è venuto meno, di presentare una seconda istanza ed instaurare un secondo giudizio, senza che ciò risponda ad alcuna esigenza sostanziale, dal momento che l'amministrazione ha resistendo nel primo giudizio, manifestato la inequivocabile decisione di non procedere al rimborso” ed ancora che: “Al riguardo rileva che la giurisprudenza tributaria ha sancito l'applicazione ai casi di istanza e/o notifiche presentata ad organi diversi della stesa Amministrazione dei principi ex art 5 della l. 18 marzo 1968 n. 249 che prevedono la trasmissione d'ufficio dell'atto all'organo competente (C.T.C., sez XXVII, sent. n. 2693 del 5 aprile 1992 e sez. IV, sent. n. 4390 del 8 luglio 1992 - sez. XXIII sent. n. 3475 del 9 maggio 1990 e sez. XXV, sent. n. 5747 del 15 luglio 1987). L'equivalenza di un'istanza e/o della notifica di un atto indirizzato ad Ufficio Finanziario anziché ad un altro (e nel caso specifico alla Direzione Compartimentale - ufficio superiore) non solo è stata riconosciuta dalla magistratura tributaria (C.T.C., Sez. VII, sent. 3 gennaio 1992, n. 22; Sez. XXVII, sent. 5 aprile 1991, n. 2691; sez. XII, sent. 4 aprile 1989, n. 2451), ma anche dal Ministero delle Finanze che, con circolare 23 dicembre 1980, n. 38/15/5516, ha autorizzato gli Uffici periferici a trasmettersi le istanze e/o gli atti erroneamente notificati” (Comm. Trib. Reg. Bari, sez. XV, 26.04.2004, n. 7).

Secondo voi queste conclusioni possono valere anche per le altre Pubbliche Amministrazioni? Io riterrei di sì.

dott. Matteo Acquasaliente

Cass. civ. sez. trib. n. 28398 del 2014

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