Author Archive for: SanVittore

Il vincolo cimiteriale comporta inedificabilitĂ  assoluta

13 Nov 2012
13 Novembre 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1352 del 2012 si occupa del vincolo cimiteriale.

Scrive il TAR: "l'art. 338 del r.d. 1265/34 (t.u. delle leggi sanitarie) prevede il divieto di costruire intorno ai cimiteri edifici entro il raggio di 200 mt., disponendo che il contravventore debba demolire l'edificio o la parte di nuova costruzione, salvi i provvedimenti d'ufficio in caso di inadempienza.
La difesa della ricorrente sostiene che tale divieto riguarderebbe solo l’intero centro abitato e sarebbe derogabile per singole abitazioni.
Tale tesi appare destituita di fondamento, si tratta, infatti, di divieto assoluto, come più volte ha avuto modo di affermare la giurisprudenza amministrativa che ha evidenziato come il vincolo di inedificabilità in questione abbia finalità non solo urbanistico edilizie, ma anche di tutela dell'igiene e della sicurezza pubblica (CdS Sez. IV n.4259/07; n. 1185/07). In particolare, la giurisprudenza del C.d.S. è consolidata nell'affermare che il vincolo in questione non consenta l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione ed alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale. Anche la giurisprudenza della Cassazione si è espressa in termini analoghi a quelli sopra riferiti, ravvisando nel vincolo cimiteriale un caso tipico di inedificabilità legale, vale a dire inderogabile divieto di qualsivoglia interevento modificativo dello stato dei luoghi, fatta eccezione per l'esercizio dell'agricoltura e per l'eventuale ampliamento delle strutture cimiteriali preesistenti (Cass. Civ. Sez. I 23.6.04 n. 11669)".

sentenza TAR Veneto 1352 del 2012

La realizzazione di un soppalco aumenta la superficie utile, costituisce ristrutturazione edilizia ed è soggetta a permesso di costruire

13 Nov 2012
13 Novembre 2012

Si veda sul punto la sentenza n. 1363 del 2012 del TAR Veneto.

Scrive il TAR: "va evidenziato come la realizzazione di un soppalco determini “effettivamente” un aumento di superficie utile, in espresso contrasto con le disposizioni di cui alla variante n.33 del Comune di Verona.
Si consideri ancora come il mutamento di destinazione d’uso sia stato posto in essere (così come risulta dagli accertamenti) mediante la realizzazione di opere edilizie, espressamente preordinate e funzionali allo stesso.
Sul punto va ricordato come, un’altrettanto risalente giurisprudenza, reiterata peraltro con recentissime pronunce (T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II, 23 settembre 2011, n. 952, T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, 07-11-2002, n. 1939), ha sancito che la realizzazione di un soppalco deve essere considerata rientrante nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina una modifica della superficie utile dell'appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico.
Si consideri ancora, che…."deve ritenersi assoggettata al preventivo rilascio della concessione (oggi permesso di costruire) la realizzazione di un soppalco; laddove venga accertata l'esecuzione di opere in assenza della prescritta concessione edilizia, l'adozione dell'ordine di demolizione costituisce un atto dovuto; ciò in quanto, come nel caso di specie, il soppalco comporta un innegabile incremento della superficie calpestabile (T.A.R. Campania Napoli Sez. IV Sent., 29-07-2008, n. 9518)".

Va ricordato che nel Veneto l'art. 9, comma 9, della L.R. 14/2009 stabilisce che è comunque ammesso l'aumento della superificie utile di pavimento all'interno del volume autorizzato, disposizione sulla cui portata le idee non sono ancora chiare (il "comunque" si riferisce al piano casa o prescinde da esso? come ci si regola col carico urbanistico?) .

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1363 del 2012

Il regolamento di polizia idraulica del Consorzio di Bonifica Alta Pianura Veneta

13 Nov 2012
13 Novembre 2012

Pubblichiamo il Regolamento di polizia idraulica,  adottato con Delibera dell’Assemblea del Consorzio di Bonifica Alta Pianura Veneta n° 13 del 11/09/2012 ed approvato con provvedimento della Giunta Regionale nella seduta del 08 ottobre 2012 (di cui alla nota di comunicazione della Regione Veneto – Direzione Enti Locali, Persone Giuridiche e Controllo Atti, prot. n° 0459964 del 11/10/20012 - prot. cons. n° 15062 del 15/10/2012.

Delibera consorzio appr. regolamento polizia idraulica

REGOLAMENTO DI POLIZIA IDRAULICA

Col piano casa il proprietario dell’ultimo piano può recuperare un sottotetto condominiale, mediante la realizzazione di abbaini

12 Nov 2012
12 Novembre 2012

Lo ha affermato il TAR Veneto nella sentenza n. 1359 del 2012.

Con i provvedimenti impugnati dal ricorrente il Comune di Mogliano Veneto ha ritenuto di vietare un intervento edilizio oggetto di D.I.A., da realizzarsi in applicazione della L.R. n. 14/2009 e consistente nel recupero di un sottotetto condominiale, da parte del proprietario dell’ultimo piano, mediante la realizzazione di abbaini.Secondo il Comune, in particolare, la mancata autorizzazione dell’intervento da parte dell’assemblea dei condomini sarebbe ostativa alla possibilità di dar corso ai lavori.

Il TAR ha ritenuto fondato il ricorso, scrivendo che: " Infatti, in primo luogo, l’intervento in questione, non mutando la sostanza o la destinazione delle parti comuni dell’edificio, non può essere considerato come intervento d’innovazione del fabbricato ai sensi dell’art. 1120 c.c., come tale necessitante dell’assenso della maggioranza dei condomini, rientrando, invece, tra le modifiche alle parti comuni dell'edificio (contemplate dagli artt. 1102 c.c., comma 1 e 1122 c.c.) che possono essere apportate dal singolo condomino nel proprio interesse ed a proprie spese al fine di conseguire un'utilità maggiore e più intensa: sempre che non alterino la normale destinazione della cosa comune e non ne impediscano l'altrui pari uso.
Proprio con riguardo ad un intervento del tipo di quello qui in discussione la Cassazione ha affermato che “il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può aprire su di esso degli abbaini e delle finestre per dare aria e luce alla sua proprietà. Invero, tali opere - ove eseguite a regola d'arte e tali da non pregiudicare la funzione di copertura propria del tetto ne' da impedire l'esercizio da parte degli altri condomini dei propri diritti sulla cosa comune - costituiscono soltanto modifiche e non innovazioni della cosa comune e pertanto non necessitano, come invece le innovazioni vere e proprie, della previa approvazione dell'assemblea dell'edificio in condominio ex artt. 1120 e 1336 c.c.” (Cass. 17099/2006).
Pertanto, in virtù del disposto degli articoli del codice civile, 1102 (facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni) e 1122 (facoltà del condomino di eseguire, nel piano di sua proprietà, opere sulle parti comuni che non rechino danno alle stesse), il singolo condomino ha la facoltà di eseguire l’opera progettata sulle parti dell’edificio che sono sì comuni, ma che risultano legate da un vincolo di stretta pertinenzialità con l’ unità immobiliare di sua esclusiva proprietà, senza che gli altri condomini possano legittimamente opporvisi. Con l’unico limite che l’intervento non vada ad incidere sulla funzionalità della parte comune di cui si discute e non ne pregiudichi il pari uso da parte degli altri comproprietari.
Ebbene, poiché nel caso di specie, la realizzazione degli abbaini sul tetto condominiale non pregiudica la funzione di copertura svolta da tale parte comune, né la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio, e non va a ledere il pari diritto degli altri condomini sul tetto medesimo, non vi sono limiti privatistici alla legittimazione dell’odierno ricorrente a realizzare l’intervento oggetto di D.I.A.
.Viceversa, l’opposizione manifestata dagli altri condomini, non fondandosi sulla prospettazione di rischi per la sicurezza dell’edificio o sulla loro esigenza di utilizzare nel proprio interesse la copertura per scopi analoghi, non appare meritevole di tutela e pertanto non può essere presa in considerazione da parte dell’amministrazione.
Peraltro, anche il mutamento di destinazione d’uso di un unità immobiliare in seno al condominio, non implica in sé innovazione vietata, e deve considerarsi, in generale legittimo perché esercizio delle facoltà del proprietario (cfr. Cass. n. 5612/2001). Ovviamente il mutamento di destinazione potrà incidere sul valore dell’unità immobiliare (che comporta una modifica delle tabelle millesimali), e comportare una diversa distribuzione degli oneri a carico del proprietario.
Infine, si rileva che, mentre l’art. 2, comma 4 della L.R. n. 14/2009, per il caso di ampliamenti di unità immobiliari comprese in edifici condominiali, prevede semplicemente che l’ampliamento possa realizzarsi “compatibilmente con le leggi che disciplinano il condominio negli edifici”, la delibera comunale n. 126 del 29.11.2011, avente per oggetto “L.R. n. 13 del 9.07.2011 – Piano Casa limiti e modalità applicative”, più restrittivamente, stabilisce che, in caso di edifici condominiali, l’intervento in ampliamento di cui all’art. 2 della L.R. n. 14/2009, sia consentito solo previa delibera di approvazione dell’assemblea condominiale. Tuttavia si osserva che, ai sensi dell’art. 8 comma 4 della L.R. n. 13/2011, il potere comunale di regolare e limitare l’applicazione della legge sul piano casa può riguardare solo gli edifici non destinati a prima casa di abitazione, mentre, l’intervento del sig. Zanchi ha ad oggetto una “prima casa di abitazione”, conseguentemente la limitazione introdotta dalla delibera comunale non può valere per il caso di specie".

sentenza TAR Veneto 1359 del 2012

E’ il comune che deve dimostrare l’epoca di realizzazione di un manufatto edilizio asseritamente abusivo?

12 Nov 2012
12 Novembre 2012

La questione era già stata considerata in quersto blog nel post del giorno 11 ottobre 2012, intitolato "La semplice constatazione del fatto che un’opera è priva di titolo, a prescindere dal tempo trascorso, costituisce un legittimo presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere abusive?"

Sul tema torna la sentenza del TAR Veneto n. 1364 del 2012, riguardante, tra l'altro,  due manufatti (uno adibito al ricovero di macchine e attrezzi ed un secondo adibito a ricovero per un cavallo), che secondo il ricorrente erano realizzati prima del 1964 e che, quindi, non sarebbero statisoggetti all’obbligo del previo conseguimento del titolo edilizio.

Il Comune ne aveva ordinato al demolizione, qualificandoli come opere abusive.

Dalla sentenza si evince che il ricorrente ha fornito un "principio di prova" che i manufatti sono anteriori al 1967 e il TAR ha deciso che: "Ritiene il Collegio che il ricorso sia meritevole di parziale accoglimento, con specifico riguardo ai due manufatti risalenti ad epoca anteriore al 1964, ossia prima dell’entrata in vigore della L. 765/67.
Al riguardo può ritenersi sussistente il difetto di istruttoria, non avendo l’amministrazione riscontrato le reale epoca di realizzazione degli interventi, dato che, diversamente, parte istante ha provveduto a corroborare di un principio di prova, così come documentato in atti".

Dunque, il TAR ha ritenuto che il comune abbia violato l'art. 6 della L. 241/90, non avendo accertato l'epoca di realizzazione dei manufatti a fronte di un "principio di prova" fornito dal ricorrente (dalla sentenza, peraltro, non emerge in che cosa consista il principio di prova).

E' interessante porsi anche il problema se l'interessato sia tenuto a fornire almeno un "principio di prova" e, nel caso di risposta affermativa, se tale principio  di prova possa consistere semplicemente in una autocertificazione.

Per quanto riguarda l'autocertificazione sarei orientato a dire di sì, cosicchè poi il problema passa al comune.

Per la verità, però, sulla questione principale  il sottoscritto ha un convincimento ancora più radicale, vale a dire che è il comune e non il proprietario che deve provare che un immobile è abusivo, perchè realizzato dopo una certa data (art. 2697 del codice civile: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costiuiscono il fondamento).

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1364 del 2012

Quando nell’avvalimento si prestino requisiti immateriali si dovrĂ  confezionare un contratto idoneo a determinare una sorta di “traditio simbolica” di tali requisiti

09 Nov 2012
9 Novembre 2012

Lo chiarisce il Consiglio di Stato nella stessa sentenza n. 5595, giĂ  allegata al post che precede.

Scrive il Consiglio di Stato: "poiché nell’avvalimento l’operazione economica complessiva si compone di un contratto tra impresa ausiliata ed impresa ausiliaria, di una dichiarazione di impegno dell’impresa ausiliaria e di un contratto di appalto, manifestandosi, dunque, quale collegamento negoziale composto da un susseguirsi di schemi contrattuali inscindibilmente connessi, è evidente che l’oggetto dell’impegno negoziale dell’impresa ausiliata con cui essa trasferisce il requisito mancante in capo all’impresa partecipante, deve essere non solo lecito e determinato (o determinabile), ma anche possibile ex art. 1346 c.c.
In presenza di requisiti strettamente personali, dunque, l’oggetto di un eventuale contratto di avvalimento non può ritenersi giuridicamente possibile, in quanto non deducibile quale prestazione ai sensi degli art. 1173 e 1321 c.c.
Il Collegio osserva, peraltro, che in astratto gli schemi contrattuali che compongono l’operazione economica delineata dal citato art. 49 possono avere ad oggetto sia requisiti materiali (mezzi, attrezzature, forza lavoro), sia requisiti immateriali (capacità economica-finanziaria, fatturato, attestazione SOA e, secondo un filone prevalente nella giurisprudenza di questo Consiglio, anche le certificazioni di qualità).
Nell’ipotesi di conferimento di requisiti materiali l’impresa avvalsa si priva (nei limiti delle prestazioni necessarie ad eseguire il contratto da affidare con gara) effettivamente dei mezzi prestati a favore dell’impresa concorrente; nell’ipotesi, invece, in cui si conferiscano (rectius: si prestino) requisiti immateriali si dovrà comunque confezionare un contratto idoneo a determinare una sorta di “traditio simbolica” di tali requisiti dall’impresa ausiliaria a quella ausiliata partecipante alla gara d’appalto (ad es., ricorrendo all’affitto di azienda o di ramo di azienda).
Il tratto comune è rappresentato, come detto, dal fatto che il prestito dei requisiti riguarda i requisiti dell’impresa e non quelli dell’imprenditore, che sono insuscettibili di trasferimento anche in forma simbolica, trattandosi di requisiti soggettivamente indefettibili di cui il possessore non può, neppure in modo circostanziato e eposodico, privarsi e, di conseguenza, non possono nemmeno essere dedotti quali oggetto di “possibile” prestazione contrattuale, come si deve ribadire.
Peraltro, si deve aggiungere ad abundantiam che anche il d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione e attuazione del Codice dei contratti pubblici) conferma tale interpretazione: l’art. 88, comma 5, dedicato al contratto di avvalimento in gara e alla qualificazione mediante avvalimento, prevede espressamente, infatti, che l’impresa ausiliata per conseguire la qualificazione di cui all’art. 50 del codice, deve possedere i requisiti di cui all’art. 78 in proprio.
I requisiti di cui all’art. 78 che l’impresa deve possedere in proprio sono i requisiti d’ordine generale che, ai sensi del comma 1 del predetto articolo, sono quelli previsti dagli articoli 38, comma 1, e 39 commi 1 e 2, del Codice appalti".

Sono insuscettibili di avvalimento i requisiti di cui agli artt. 38 e 39 del Codice degli appalti

09 Nov 2012
9 Novembre 2012

Lo precisa il Consiglio di Stato nella sentenza n. 5595 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "questo Consiglio, con la sentenza della sez. III 15 Novembre 2011, n. 6040, ha icasticamente affermato che in tema di gare di appalto pubblico, anche se all'istituto dell'avvalimento deve ormai essere riconosciuta portata generale, resta salva, tuttavia, l'infungibilitĂ  dei requisiti ex artt. 38 e 39 del codice dei contratti, in quanto requisiti di tipo soggettivo, intrinsecamente legati al soggetto e alla sua idoneitĂ  a porsi come valido e affidabile contraente per l'Amministrazione.
Si deve, infatti, rilevare che l’avvalimento, istituto di iniziale elaborazione della giurisprudenza comunitaria (sentenza Ballast Nedam Groep I, ricavata dall'interpretazione dell'art. 26, lett. e, direttiva n. 71/305/CEE, nonché C. Giust. CE, sez. V, 14 aprile 1994, C-389/92, C. giust. CE, sez. III, 18 dicembre 1997, C-5/97 e C. Giust. CE, sez. V, 2 dicembre 1999, C-176/98, Holst Italia S.p.A. c. Comune di Cagliari), è fondato sulla necessità di potenziare la libertà di concorrenza delle imprese, essendo lo stesso funzionale a rimuovere ogni ostacolo al suo libero esercizio in ambito Comunitario e idoneo a garantire la massima partecipazione alle procedure di gara e, nel contempo, la par condicio dei concorrenti.
La disciplina dell'art. 49 del Codice Appalti, in coerenza con la giurisprudenza e la normativa comunitaria, non pone alcuna limitazione all'avvalimento, stabilendo che un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi, purché vi sia, in positivo, un’adeguata prova della disponibilità dei requisiti prestati, dimostrando all’Amministrazione aggiudicatrice che l’impresa concorrente disporrà dei mezzi necessari.
Fanno eccezione a questa portata generale dell’istituto i requisiti strettamente personali, come quelli di carattere generale ai sensi dell’art. 38 del Codice appalti (cd. requisiti di idoneità morale), così come quelli soggettivi di carattere personale, individuati nell’art. 39 del medesimo Codice (cd. requisiti professionali).
Tali requisiti, infatti, non sono attinenti all’impresa e ai mezzi di cui essa dispone e non sono intesi a garantire l’obiettiva qualità dell'adempimento; essi, invece, sono relativi alla mera e soggettiva idoneità (professionale) del concorrente (quindi non dell’impresa ma dell’imprenditore) a partecipare alla gara d’appalto e ad essere, quindi, contraente con la Pubblica Amministrazione.
Pertanto, secondo il Collegio, è per una ragione logica, prima ancora che giuridica, che devono ritenersi insuscettibili di avvalimento i requisiti di cui agli artt. 38 e 39 del Codice degli appalti, trattandosi, si ribadisce, di requisiti di onorabilità, moralità e professionalità intrinsecamente legati al soggetto concorrente alla gara e alla sua idoneità a porsi come valido e affidabile contraente per l'Amministrazione".

sentenza CDS 5595 del 2012

L’art. 96 lett. f) del r.d. n. 523 del 1904 e la distanza “stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse localitĂ ”

08 Nov 2012
8 Novembre 2012

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5619 del 2012 interveniene sulla questione di cui al titolo del post.

Scrive il Consiglio di Stato: "L’art. 96 citato elenca una serie di “lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese”.
Come afferma costantemente la giurisprudenza, il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi d’acqua, previsto dalla lettera f) dell’art. 96, è informato alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cass. civ., SS.UU., 30 luglio 2009, n. 17784) e ha carattere legale e inderogabile: ne segue che le opere costruite in violazione di tale divieto ricadono nella previsione dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985 e non sono pertanto suscettibili di sanatoria (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. V, 26 marzo 2009, n. 1814; Id., Sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 772; Id., Sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3781; Trib. Sup. acque pubbl., 15 marzo 2011, n. 35; ivi riferimenti ulteriori).
E’ ben vero che la lettera f) dell’art. 96, che qui viene in questione, commisura il divieto alla distanza “stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località” e in mancanza di queste lo stabilisce alla distanza “minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Senonché – come è stato più volte affermato in giurisprudenza – alla luce del generale divieto di costruzione di opere in prossimità degli argini dei corsi d’acqua, il rinvio alla normativa locale assume carattere eccezionale. Tale normativa, per prevalere sulla norma generale, deve avere carattere specifico, ossia essere una normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la norma locale prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale deroga. Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche mediante l'utilizzo di uno strumento urbanistico, come può essere il piano regolatore generale, ma occorre che tale strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli argini anche in eventuale deroga alla disposizione della lettera f) dell’art. 96, in relazione alla specifica condizione locale delle acque di cui trattasi (cfr. Cass. civ., SS. UU., 18 luglio 2008, n. 19813; Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2011, n. 2544).
In mancanza di una difforme disciplina sul punto specifico nel P.R.G. dell’epoca, deve ritenersi non sussistere una normativa locale derogatoria di quella generale, alla quale dunque occorre fare riferimento.
Neppure giova alla tesi, infine, il richiamo alla presenza in zona di altri manufatti, trattandosi di circostanza che, genericamente affermata piĂą che effettivamente dimostrata, andrebbe comunque esaminata con riguardo ai singoli casi concreti".

sentenza CDS 5619 del 2012

Il decreto legge 188 del 2012 in materia di Province e CittĂ  metropolitane

08 Nov 2012
8 Novembre 2012

E' stato pubblicato sulla GU n. 259 del 6-11-2012 ed è entrato in vigore il 7-11-2012 il DECRETO-LEGGE 5 novembre 2012, n. 188, recante "Disposizioni urgenti in materia di Province e Citta' metropolitane. (12G0210)".

DECRETO-LEGGE 5 novembre 2012, n. 188
  Disposizioni urgenti in materia di Province e Citta' metropolitane. (12G0210)  
 

 

Le slides ARPAV per il convegno del 26 ottobre 2012 sulla gestione ottimale del servizio di raccolta dei rifiuti nel Veneto

08 Nov 2012
8 Novembre 2012

L'ing. Silvia Rizzardi dell'Osservatorio Regionale Rifiuti dell'ARPAV, che sentitamente ringraziamo, ci ha fornito le slides della sua relazione sulla gestione ottimale del servizio di raccolta dei rifiuti nel Veneto, tenuta nel convegno del 26 ottobre 2012 ad Arzignano.

GESTIONE DEI RIFIUTI_ARPAV 26_10_2012

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